Alessandra Di Martino Il territorio: dallo Stato-nazione alla globalizzazione Sfide e prospettive dello Stato costituzionale aperto Milano, Giuffrè, 2010

Paolo Passaniti

Scaffale PassanitiNella crescente letteratura giuridica sulla globalizzazione si inserisce il vasto e approfondito studio di Alessandra Di Martino sullo Stato costituzionale nell’età della globalizzazione, osservato attraverso l’elemento della territorialità. Una scelta che coglie con precisione le implicazioni costituzionali insite nell’individuazione di uno “spazio giuridico globale” (Cassese 2003), in cui il diritto statuale si trova a rincorrere l’economia senza confini, perché la velocità dell’interazione abbatte frontiere, dando un contenuto inedito agli spazi che quelle frontiere contenevano e sollecitando domande sul senso di quelle frontiere, che ci sono ancora per contenere più uomini che merci, più diritti che economie. Secondo Paolo Grossi, la globalizzazione è fondamentalmente un fatto di territorialità, di territorialità infranta, annullata dall’alleanza tra “recentissime tecniche info-telematiche” e la capacità espansiva di nuovi mercati: l’alleanza di “due potenze deterritorializzanti”. Il nesso globalizzazione-diritto, da cui scaturiscono i tanti diritti globalizzati e globalizzanti, è da cogliere in primo luogo, ad un livello macro-giuridico, nella teoria dello Stato, quello stesso Stato nazionale per due secoli fabbricante in regime di monopolio del prodotto giuridico: “globalizzazione significa deterritorializzazione; di conseguenza, significa anche primato dell’economia a tutto detrimento della politica; di più, significa eclisse dello Stato e della sua espressione più speculare, la sovranità” (Grossi 2002).

In maniera efficace, nell’introduzione, l’autrice afferma che “se il costituzionalismo trova il suo terreno di elezione all’interno dello Stato moderno, e quindi in un contesto che presuppone la sovranità territoriale, esso oggi non può non cimentarsi con i forti contraccolpi avvertiti da quest’ultima, specie alla luce dei processi di globalizzazione” (p. 5).

Proprio per l’esatta individuazione di questo filtro concettuale, la ricerca non perde di vista il solido ancoraggio al profilo disciplinare costituito dal diritto costituzionale, ma senza esaurirsi in un’analisi “tutta interna”. Almeno due, infatti, sono i rischi speculari che caratterizzano la letteratura sulla globalizzazione del diritto: da una parte la spiegazione globale di una crisi giuridica tutta svolta nelle mura di uno specialismo scientifico, con il rischio di celebrare affrettati funerali o di festeggiare premature nascite senza fare i conti con la storia, senza alcun serio tentativo di contestualizzazione del globale, dall’altra la tendenza a generalizzare intorno al nodo globalizzazione-diritto, con il rischio della genericità non sempre scongiurato. Rischi che sono il sintomo di un disorientamento che affligge il giurista positivo, abituato a fare i conti con il carattere nazionale e la dimensione territoriale del diritto.

Molto difficile appare, dunque, un discorso giuridico sulla globalizzazione che non sconfini nel futuribile, nella “politica del diritto” che rischia di essere smentita il giorno dopo da qualche tempesta globale, più o meno annunciata. Il lavoro della Di Martino prende proprio le mosse da questo malessere professionale: “l’impiego della metafora spaziale – scrive l’autrice – sembra essere indice di una difficoltà di fondo, del disagio dei giuristi tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, stretti tra la morsa di concetti dogmaticamente consolidati e fino ad un passato non lontano analiticamente efficaci, e strutture socio-culturali radicalmente trasformate” (p. 4).

Un disagio che è superato in una metodica strategia dell’attenzione per la traiettoria storica dello Stato costituzionale, in cui la globalizzazione de-mitologizzata, denudata di qualsiasi vestito neo(o post )-ideologico, appare al naturale come un momento della storia che può essere raccontato soltanto nella storia. Storicità e interdisciplinarità sono le coordinate, di questa ricostruzione dello Stato costituzionale, sino allo stadio attuale in cui si ritrova ad essere oggetto e soggetto delle dinamiche globali. In una felice combinazione, attraverso il canale della comparazione, tra diritti positivi e storie del diritto, basti pensare alla lex mercatoria e alla storia del diritto internazionale, l’autrice tematizza la storicità, la relatività dello Stato costituzionale, come punto di partenza per riflettere naturalmente sulle sfide e sulle prospettive. Le frontiere disciplinari sono così usate per distinguere e non per frammentare il discorso giuridico.

Il primo capitolo attiene al diritto negli spazi dell’Europa pre-moderna. La riflessione prosegue poi con gli spazi giuridici della modernità (cap. II) e con il territorio dello Stato nel diritto pubblico e internazionale tra XIX e XX secolo (cap. III). Viene così ripercorso un itinerario concettuale ai confini tra la storia del pensiero giuridico e la filosofia del diritto. La Di Martino riprende il filo del ragionamento da una Storia dello Stato polarizzata, declinata intorno al nodo della territorialità. Dal punto di vista dello storico del diritto, il percorso seguito ha il grande merito di non aver relegato la storia giuridica nel ghetto delle paginette introduttive, quelle che precedono appunto i discorsi “seri”, “veri” del giurista positivo. Qui la storicità del pensiero giuridico è al centro della comprensione del fenomeno trattato, è lo strumento metodologico adoperato per dare una forma, un senso giuridico, proprio in quanto storico, alla globalizzazione.

Sarebbe ingeneroso un giudizio settoriale o più giudizi settoriali su un percorso da osservare nell’insieme, nella ricchezza interdisciplinare. Non si possono infatti valutare i capitoli in cui predominano contenuti storico-giuridici secondo il metro della storia del diritto commerciale o del diritto internazionale, per individuare magari lacune in una visione dichiaratamente circoscritta al tema della territorialità del diritto, o, peggio, secondo i canoni ermeneutici della letteratura costituzionalistica, in cui quei contenuti potrebbero apparire come un’ingombrante, erudita premessa al discorso sulla globalizzazione. L’operazione va osservata e giudicata secondo il metodo scelto dall’autrice, proprio per non svilire quel profilo di interdisciplinarità necessario per afferrare un fenomeno, come la globalizzazione, che produce effetti costituzionali in termini di disarticolazione del sistema. Interdisciplinarità che non significa affatto sciogliere il diritto costituzionale in una sorta di brodo di culture giuridiche. Se si utilizza la storia-giuridica come elemento essenziale di uno sforzo ricostruttivo, evidentemente non vi può essere alcuna rinuncia al rigore anche nell’accurata scelta delle fonti bibliografiche, testimoniata ad esempio dall’ampio utilizzo degli scritti di Paolo Grossi e di un giurista sempre attento alla storicità del diritto come Cassese.

Proprio con riferimento al tema della globalizzazione, il Grossi (2001, 506-507) ha affermato che “la parola dello storico è salutare perché serve a fornire due irrobustimenti, di cui il cultore del diritto positivo, da solo, rischia di non disporre: la coscienza del mutamento, connessa all’esigenza di tenervi dietro bandendo pigrizie e misoneismi; il senso della linea storica, che soltanto chi padroneggia il confronto tra le diverse dimensioni temporali può vedere limpidamente”.

Nella riflessione della Di Martino questo ripercorrere la linea storica consente aperture al passato e al futuro, sempre seguendo in maniera sicura il tracciato prescelto. Proprio per questo appare persino arbitraria una distinzione tra una parte storica e una parte di diritto positivo, perché il diritto costituzionale aperto di cui l’autrice raccoglie la sfida, non è altro che il diritto pubblico novecentesco, ravvivato e lacerato, allo stesso tempo, dal vento globale. Un diritto che ha perso un tetto nazionale, ma ha guadagnato la straordinaria opportunità di ambire a quell’universalità che nella prospettiva nazionale sembrava aver definitivamente smarrito. Un diritto che deve restringersi ed allargarsi, costretto a cambiare anche per conservare una propria ragion d’essere rispetto all’economia globale agile e muscolare che lo attraversa, passando attraverso confini che non riconosce.

Nel capitolo IV la riflessione tocca i nodi del costituzionalismo contemporaneo intorno alla pluralità degli spazi giuridici, aprendosi alla prospettiva del rapporto tra diritto internazionale e diritto interno. Un rapporto tutto da rielaborare all’esito dell’ondata mercatista, perché non basta un semplice ripensamento del concetto di comunità internazionale. Il problematico governo globale dell’economia mette in crisi lo stesso concetto di democrazia nelle sue articolazioni a livello statuale, in quanto “relativizzata la sovranità territoriale, i concetti giuridici non convergono più come un fascio nel quadro dello Stato-nazione, rinviando invece ad orizzonti spaziali diversificati” (pp. 412-413). Come evidenziato dal Fioravanti, il bisogno di ripensare il passato, anche se non soprattutto per elaborare un nuovo costituzionalismo, è avvertito, ad esempio, nei nodi sollevati dall’integrazione europea: “ per far crescere l’Europa non solo sul piano dell’applicazione del diritto comune, ma anche su quello della cittadinanza comune, della comune appartenenza, abbiamo […] bisogno di riconsiderare in modo diverso la tradizione storica della sovranità nazionale, in modo che possa far parte di una forma politica più ampia” (Fioravanti 2009, 146-147).

Nell’ultimo capitolo dedicato proprio allo Stato costituzionale aperto, riletto nella dimensione degli spazi europei, l’autrice non dimentica il respiro storico di questioni nuovissime, ma dal sapore antico, basti pensare alla libertà di circolazione di uomini e merci. In particolare, appaiono particolarmente efficaci le considerazioni sul diritto dei migranti sempre in bilico tra universalismo dei diritti e contingenza delle politiche sicuritarie a livello statuale.

Il riuscito intreccio tra il diritto – secondo la direttrice che dal diritto costituzionale statuale arriva al governo mondiale dell’economia, passando per la comparazione e il diritto internazionale – e la teoria e la storia dello Stato, mantiene intatta la sua tensione anche con riferimento ai profili che il giurista di formazione novecentesca definirebbe “tecnici”, e in quanto tali non suscettibili di divagazioni “culturali”. Nella monografia di Alessandra Di Martino, la storia, la comparazione e le incursioni in altri campi disciplinari sono parte di una tecnica volta a comprendere la globalizzazione – giuridicamente – come un prodotto della storia.

Un libro dunque di grande interesse, perché, più che offrire facili risposte, sollecita difficili domande ad un pubblico di giuristi che va ben oltre uno specifico campo disciplinare.

Bibliografia

Cassese S.

2003                Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, Laterza.

Fioravanti M.

2009                Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze attuali, Roma-Bari, Laterza.

Grossi P.

2002                Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in “Foro italiano”, CXXVII, pt. V, coll. 154-155.

2001                Il diritto tra norma e applicazione, il ruolo del giurista nell’attuale società italiana, in “Quaderni fiorentini”, tomo I.