di Tito Menzani
Nel 2014 è ricorso il centenario della cosiddetta Settimana rossa, un evento insurrezionale concentratosi tra il 7 e il 14 giugno del 1914. Il casus belli fu la repressione di un comizio antimilitarista ad Ancona, con l’uccisione di tre manifestanti da parte della forza pubblica. Un’ondata di indignazione si levò nelle Marche e in Romagna, e poi in Toscana e in altre aree del paese, in particolare tra le fila degli anarchici, dei socialisti e dei repubblicani, che in varie località indissero uno sciopero generale e insorsero contro i simboli del potere costituito.
La provincia di Ravenna fu uno dei territori dove questo moto sovversivo ebbe i caratteri più accesi e radicali, con una forte venatura anticlericale. Non a caso, varie chiese furono incendiate e in molte piazze furono eretti gli alberi della libertà, a imitazione di ciò che era accaduto durante la Rivoluzione francese. Inoltre furono attaccati i palazzi della pubblica amministrazione, bloccati i trasporti ferroviari, tagliati i fili dei telegrafi, lanciati slogan contro il Re e contro il governo.
A un secolo di distanza da questi episodi – destinati poi a rifluire gradualmente fino ad essere cancellati dallo scoppio della Grande guerra che spaccò il fronte dei rivoltosi fra interventisti e neutralisti – due tra i principali studiosi dell’argomento hanno dedicato una monografia alla ricostruzione e all’analisi di quei drammatici eventi. Si tratta di Alessandro Luparini, storico contemporaneista e neodirettore della Fondazione Casa di Oriani di Ravenna, e di Laura Orlandini, studiosa di storia che collabora a vario titolo con alcuni istituti culturali romagnoli.
Il loro volume è aperto da una introduzione di Luigi Lotti, già ordinario di storia contemporanea all’Università di Firenze e ora presidente della Fondazione Casa di Oriani, ma soprattutto tra i primi a dedicare attenzione storiografica alla Settimana rossa. Il libro è di fatto diviso in due sezioni. Nella prima, scritta da Luparini, sono ricostruite le varie vicende entro il quadro politico di quegli anni, a individuare i substrati culturali e le motivazioni che spinsero i rivoltosi a certe scelte, nonostante la forza pubblica cercasse di contrastare energicamente l’insurrezione. Nella seconda, invece, scritta da Orlandini, si prende in esame la reazione del mondo cattolico, che giudicò l’impeto sovversivo un tragico e sconsiderato sacrilegio.
Amplissimo è il ventaglio di fonti utilizzate dai due studiosi, che hanno attinto dai materiali custoditi nell’Archivio centrale dello Stato e nell’Archivio segreto Vaticano, ma soprattutto da raccolte documentarie ravennati, conservate nel locale Archivio di Stato, in quello Arcivescovile, in quello dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea, e in quello della Diocesi di Faenza. Sono soprattutto le fonti a stampa e le carte della Prefettura ad aiutare i due storici a ricostruire i fatti e il clima di quei giorni, durante i quali l’esaltazione collettiva fu il sintomo di odi e di frustrazioni covate da tempo.
Particolarmente interessante è anche l’inserto centrale del volume, composto da trentadue immagini, tra fotografie scattate in quei giorni e scansioni di documenti inerenti alla Settimana rossa. Tra questi la copia dell’atto con cui Focaccetti, all’epoca prefetto di Ravenna, si dichiarava impossibilitato a far fronte alla rivolta e rimetteva il ristabilimento dell’ordine pubblico nelle mani del maggiore generale Ciancio, comandante della Divisione militare di Ravenna; e anche la risposta di quest’ultimo che, nell’accettare il compito, dichiarava che “i disordini decorsi […] accenna[vano] ad intenti e fini che ogni buon patriota deve condannare”. Tra gli altri documenti riprodotti c’è anche la lettera che don Strani, parroco di Mezzano, scrisse alle autorità per chiedere un contributo per la riedificazione della chiesa, “completamente bruciata da una turba di forsennati”; nonché la prima pagina del settimanale “La voce mazziniana” che il 21 giugno titolava La magnifica insurrezione dell’Italia popolare contro la politica monarchica della strage.
In sintesi, si tratta di un libro che ha il grande merito di fissare le fondamentali coordinate storiografiche relative alla Settimana rossa, un evento che a lungo è stato commemorato o stigmatizzato in sé, al di fuori del contesto politico e socio-economico in cui era maturato. In particolare, mentre finora era stata riservata grande attenzione alla scintilla che aveva prodotto l’escalation sovversiva, Luparini e Orlandini insistono sulla coda insurrezionale, riassorbita dalle tensioni internazionali coeve, che infatti poco tempo dopo i fatti di Romagna avrebbero condotto allo scoppio della prima guerra mondiale. E a distanza di circa un anno, coloro che erano insorti all’insegna dell’anticlericalismo e dell’antimilitarismo si ritrovarono nelle trincee del Carso, inquadrati nell’esercito e con indosso quella divisa che avevano fino a poco tempo prima osteggiato.