di Alessia Guerriero
Gli anni della segreteria di Luigi Longo sono stati considerati generalmente dalla storiografia come un periodo di transizione. La figura del capo leggendario della Resistenza sarebbe stata oscurata da due forti personalità politiche che hanno guidato, in due momenti distinti, il Partito comunista italiano: Togliatti e Berlinguer.
Il libro di Alexander Höbel, Il PCI di Luigi Longo (1964-1969), edito dalle Edizioni scientifiche italiane nel 2010, ha senz’altro il merito di evidenziare l’impostazione e il contributo specifico del segretario – braccio destro di Togliatti per vent’anni – che resse il Pci in un momento storico particolare, negli anni del centro-sinistra, della contestazione giovanile e della crisi cecoslovacca, connotando la propria direzione all’insegna di una tensione costante rivolta verso la collegialità, con un deciso affievolimento dell’accentramento togliattiano, nel quadro di una chiara tendenza volta alla spersonalizzazione della leadership.
Si tratta di un lavoro di ricerca condotto con diligente cura filologica – attraverso l’utilizzo di una mole rilevante di fonti archivistiche, a stampa e degli Atti parlamentari – in cui l’autore ricostruisce l’intenso confronto/scontro politico-culturale nel Pci degli anni Sessanta.
L’opera è suddivisa in due parti principali: la prima, dalla morte di Togliatti all’XI Congresso (1964-1966), e la seconda che prende le mosse da quell’importante assise congressuale per spingersi sino all’ascesa di Berlinguer.
L’XI Congresso rappresenta un momento fondamentale, e imprescindibile, per la comprensione della vicenda politica dei comunisti, in quanto fu proprio in quell’occasione che Longo, neosegretario del Partito dopo la morte di Togliatti, lanciò apertamente la politica delle alleanze con il Psiup e le forze socialiste democratiche avanzate. Rappresentò anche la sede in cui venne eletto il nuovo Comitato centrale che inglobò nuove personalità politiche del calibro di Tortorella, La Torre e Di Giulio: si trattava, come lo stesso Höbel evidenzia, dell’ingresso più consistente di nuovi dirigenti dal dopoguerra, che manifestava una volontà di rinnovamento sia pure nel solco del mantenimento della continuità.
Il problema principale con cui il Pci si trovò a combattere proprio in quegli anni riguardava il superamento della Conventio ad excludendum operante dal 1947. I comunisti auspicavano l’apertura di una nuova stagione nello scenario politico italiano e a tal fine inizialmente guardarono con favore alla formula governativa del centrosinistra. Presto si ingenerò, tuttavia, la delusione per la battuta d’arresto nell’impostazione riformatrice del centrosinistra a seguito della subordinazione, con il conseguente rinvio, da parte del gruppo doroteo democristiano della nascita delle Regioni alla volontà del PSI di estendere il centrosinistra alle giunte locali. In questo contesto politico del 1963 si consumava di fatto la frattura della maggioranza socialista capeggiata da Lombardi, mentre si avviava l’apertura a sinistra con il primo governo “organico” presieduto da Moro. Di lì a poco il riformismo avrebbe subito l’ennesimo contraccolpo con l’attuazione di una politica economica restrittiva. A sottolineare le difficoltà di quella fase era stato Amendola in un discorso tenuto alla Camera il 23 giugno di quell’anno, quando l’esponente comunista aveva posto la necessità di una nuova maggioranza basata su un’intesa tra comunisti, cattolici e socialisti. Quanto anticipato da Amendola veniva ripreso e approfondito da Longo, il quale individuava come interlocutore principale del Pci il Psiup; benché non avesse ottenuto risultati tangibili la Lettera aperta ai socialisti, scritta da Longo, va intesa come la volontà da parte del segretario di scongiurare ulteriori pericoli di isolamento del Partito attraverso la ricerca di un consenso più ampio.
Di gran lunga importante risulta anche il rapporto che il Pci intraprese con il Movimento sessantottino; i fatti di Valle Giulia posero fine alle diffidenze che i comunisti nutrivano nei confronti del movimento studentesco e sancirono l’inizio del dialogo. In vista del Convegno di Firenze promosso dalla Fgci, Longo e alcuni leader studenteschi scrissero il documento preparatorio in cui si rendeva noto che l’azione congiunta dei comunisti e degli studenti soleva operare in virtù della valorizzazione di tutte le forme autonome di organizzazione delle masse; il Movimento studentesco veniva interpretato dai dirigenti della Fgci, di orientamento ingraiano, come un’occasione utile a precisare i termini della “via italiana al socialismo” tanto cara a Longo. Il segretario medesimo affermò in quella sede che occorreva assumere un atteggiamento di apertura e “comprensione del nuovo”, sancendo il collegamento della lotta dei comunisti con quella anticapitalistica avanzata dagli studenti; si trattava di una presa di posizione in netta controtendenza rispetto all’atteggiamento di chiusura assunto da Amendola.
A segnare il momento più alto e significativo del dialogo tra Partito e Movimento fu l’incontro di Longo con alcuni esponenti provenienti dalla Fgci; il segretario spiegò chiaramente il modo di intendere la lotta studentesca: come una possibilità utile per mobilitare le masse e conquistare nuove posizioni più avanzate. Come chiarì in seguito su un articolo apparso sulla rivista di Partito «Rinascita», Longo colse l’esigenza della contestazione di trovare un referente politico. Il successo della linea comunista fra i giovani fu chiaro nella tornata elettorale del 1968, in occasione della quale si registrò una crescita del Pci e del Psiup, che ottennero il 43,5% dei voti tra le fasce giovanili. Longo rappresentava, come Höbel sottolinea, “l’uomo del dialogo possibile” per la sua capacità di concepire il movimento e le sue istanze “interni ad una strategia di democratizzazione integrale” che il Pci perseguiva da decenni: si trattava di tematiche che avrebbero legato il Sessantotto agli anni Settanta generando “l’onda lunga del Sessantotto”; furono gettati sul tappeto una serie di obiettivi di riforma come: lo Statuto dei lavoratori, il Servizio sanitario nazionale e l’Equo canone.
Altro aspetto imprescindibile nell’analisi della segreteria Longo riguarda la politica estera. L’apprezzamento espresso dal segretario e dai comunisti italiani nei confronti della Primavera di Praga e di Dubček, fautore del “nuovo corso”, succeduto a Novotny alla guida del Partito comunista cecoslovacco, va concepito come difesa ed appoggio nei riguardi degli esperimenti delle diverse vie al socialismo teorizzate, dal segretario comunista, con la formula dell’“unità nella diversità”. Il “nuovo corso” cecoslovacco era considerato fonte di rinnovamento e stimolo per il superamento delle vecchie remore che limitavano tuttavia il pieno sviluppo della democrazia socialista. In agosto con la destituzione manu militari di Dubček da parte del Pcus, che pose fine all’esperimento democratico, Longo si espresse apertamente condannando ancora una volta la logica dei blocchi e riaffermando i princìpi del nuovo Internazionalismo; benché la posizione del segretario fosse chiara egli si diceva contrario ad una rottura col Pcus e agì in tal senso per ritessere i rapporti con i dirigenti sovietici. Come scrive Höbel la condanna dei comunisti italiani dell’intervento sovietico a Praga e la contrarietà nei confronti della politica dei blocchi e delle alleanze ad essi legate sancirono un primo ‘strappo’ ed una discontinuità dei rapporti con l’Urss. Si andava definendo un nuovo internazionalismo appoggiato dai comunisti italiani, che ricollocava il Pci sulla scena mondiale attraverso un graduale superamento delle divisioni storiche del movimento operaio europeo con l’attuazione della cooperazione economica. Si trattava di un internazionalismo opposto alla linea cinese perpetrata da Mao, che apriva alle relazioni con movimenti di liberazione e schieramenti più ampi.
Lo studio di Höbel si conclude con il XII Congresso del Pci del 1969 che sancì l’elezione di Berlinguer come vicesegretario di Longo, colpito prima da un ictus e successivamente da un’ischemia. Si trattava di una designazione che manifestava, come precisa l’Autore, il “rinnovamento nella continuità” poiché il futuro segretario puntò ad una politica estera di ampio respiro, di dimensioni europee e mondiali che andasse oltre la “concezione bipolare”, portando il Paese fuori dalla Nato e avviandolo nella direzione della neutralità; ciò era possibile, secondo Berlinguer, attraverso l’attuazione delle “strategia delle riforme” fondata su importanti conquiste sociali e nuove forme di controllo e potere da parte delle classi lavoratrici. L’elemento di novità che il Congresso aveva fatto emergere, rispetto al periodo togliattiano, riguardava inoltre il principio dell’autonomia organizzativa e politica del Pci attraverso la saldatura con una generazione nuova: si trattava di un traguardo fondamentale che aveva permesso al Partito di uscire da quell’isolamento in cui era stato confinato sino a quel momento, mentre andava affermandosi nella politica italiana “la questione comunista”.