Alexander Höbel Luigi Longo, una vita partigiana (1900-1945), Roma, Carocci, 2013

Michelangela Di Giacomo

Scaffale  Di GiacomoChiunque abbia conosciuto Alexander Höbel negli ultimi quindici anni lo descriverebbe come lo storico napoletano che studia Luigi Longo. In maniera assolutamente desueta e molto al di là di quelle distorte logiche carrieristiche che spingono intere generazioni di studiosi a riempire il curriculum di saggi con un produttivismo degno di una catena di montaggio, Höbel si sta infatti dedicando ormai da anni, grazie al supporto della Fondazione Luigi Longo di Alessandria, alla ricostruzione della vicenda biografica di questo spesso sottovalutato Segretario del Partito Comunista Italiano. I risultati di questa mole imponente di lavoro storiografico si stanno pubblicando “a tappe” in vari volumi – il primo era stato il poderoso Il Pci di Luigi Longo (1964-1969), uscito per Esi edizioni nel 2010, ora seguito dal presente Luigi Longo, una vita partigiana cui si spera faccia seguito quanto prima un ulteriore lavoro a copertura degli anni ancora mancanti della lunga vita di Longo (1900-1980) e del Pci. Come giustamente osserva nella sua introduzione Aldo Agosti, la scelta di una suddivisione di tal fatta denota una certa dose di coraggio da parte dell’A., mettendo da parte le lusinghe della divulgazione a favore dell’accuratezza scientifica. Il volume, dunque, si presenta come una prima parte della vita di Longo, dalla rapida ricostruzione dell’infanzia e della gioventù – che pure emerge in tutta la sua importanza formativa, tanto per il contatto con il mondo operaio quanto per le letture svolte in quegli anni – fino all’insurrezione nazionale della primavera 1945. Anzitutto, vi è da notare come mancasse di fatto una biografia scientificamente sostenuta di Longo e come l’opera di Höbel arrivi infine a colmare tale lacuna. In secondo luogo, è opportuno notare che vi è una ripresa di attenzione diffusa nelle nuove generazioni di storici per la biografia politica di personaggi centrali delle culture socialiste e comunista lasciati in passato in secondo piano o tratteggiati in forme schematiche – basti pensare ai lavori di Tommaso Nencioni su Riccardo Lombardi (2014), di Luca Bufarale sullo stesso dirigente socialista (2014), di Luisa Lama su Nilde Iotti (2013), di Marco Albertaro su Pietro Secchia (2013), di Gianluca Scroccu su Riccardo Giolitti (2012). Un filone che risponde chissà all’esigenza di ricreare un panorama di traiettorie esperenziali esemplari, che colmino un certo vuoto che si riscontra nell’essere politico di molte generazioni odierne. Il volume di Höbel, in tal senso, racconta l’uomo-Longo con un’empatia e un entusiasmo che coinvolgono il lettore con suggestioni generali, senza perciò dimenticare gli aspetti più dettagliati, le mille sfumature di un dibattito politico che tra gli anni Venti e Quaranta incendiava gli animi e che oggi rimangono comprensibili solo agli occhi degli esperti. Una biografia che non è solo esemplare nella figura dell’uomo, ma che soprattutto ricalca la storia stessa del Pci. Nella fusione della narrazione di questi due soggetti – il politico e il partito – emerge la capacità dell’autore di uscire da quelle immagini riduttive del capo partigiano o dell’uomo semplice che hanno accompagnato per decenni una narrazione di Longo che lo ha spesso forzato in schemi e preconcetti. Ed emerge anche un aspetto di insegnamento rispetto al presente, alle nuove generazioni politiche. Non solo per quanto riguarda l’aspetto entusiasmante di vicende di vissuto come quelle di Longo – ma, aggiungeremmo, anche di vicende di ricerca così dense di una partecipazione emotiva come è quella di Höbel e che sono assai rare. Organizzazione, formazione, lavoro culturale, rapporto con le masse, politica di alleanze, comunicazione: questi i leit motiv del volume, parole spesso desuete nella politica del presente che invece descrivono in un crescendo la vicenda politica di Longo. “Noi non dobbiamo con i nostri discorsi, aggirarci in un mondo troppo lontano e diverso da quello abituale in cui vivono le masse operaie” (p. 43, la citazione è del 1921); “Essere rivoluzionari – conclude Longo – non significa preparare gesti clamorosi ma ‘fare questo lavoro di organizzazione e di agitazione di ogni giorno” (p. 104, 1928). Queste le due idee di fondo che collegano nell’esperienza di Longo dall’azione costante e fitta per ricreare l’azione clandestina in Italia – che, nonostante i duri sacrifici, dal 1930 gettò le basi per l’egemonia comunista nella lotta al socialfascismo – alla direzione delle Brigate Internazionali nella guerra di Spagna, dall’organizzazione della Resistenza in Italia alle scelte del dopoguerra. Una tensione unitaria sempre presente, che fa di Longo uno dei più strenui difensori della via italiana al socialismo, controparte dialettica di Togliatti senza esserne oppositore ma complementare, uno dei più amati e noti dirigenti del Partito nel dopoguerra. Superamento dell’attendismo e ruolo di avanguardia, associato ad una capacità politica lungimirante e ad una vasta cultura, fanno del Longo descritto da Höbel un personaggio cruciale per la definizione della morfologia stessa del Pci. A voler appuntare una critica ad un volume che è senza dubbio meritorio, vi è chissà un eccessivo indugiare sugli aspetti di crescita e di continuità della personalità politica ed umana di Longo, quasi a legare davvero in un’unica vicenda anche momenti diversi dello sviluppo del personaggio e soprattutto senza spesso enfatizzare il punto di vista dei molteplici personaggi – da Teresa Noce a Togliatti passando per Bordiga – che pure vengono citati come indispensabili punti di riferimento e controparti dibattenti per la maturazione del soggetto protagonista ma le cui voci autonome quasi non emergono. Per quanto riguarda il merito della ricerca da un punto di vista degli “attrezzi del mestiere”, v’è da dire che l’A. si è rivolto in primo luogo ad una mole vasta di documenti d’archivio finora sostanzialmente inutilizzati e scarsamente esplorati, come quello della Sezione Italiana delle Brigate Internazionali. Inedite anche molte delle memorie citate nel volume, tra cui in primo luogo quelle di Luigi Libero (Gino) Longo.

Per tutti questi aspetti, il lavoro di Höbel merita di trovare vasta eco nella discussione politica attuale, una discussione in cui proprio gli aspetti del lavoro culturale, della minuta attenzione per le masse in un contatto quotidiano, di una dialettica interna ai gruppi dirigenti che sia costruttiva e non distruttiva sembrano essere altrettanti fattori cruciali per la ripresa di un interesse generale per la res publica e per la sfera politica che invece sono stati in passato a più riprese calpestati.