Fabio Chisari
Tra il 1994 e il 2009 il sistema della comunicazione giornalistica sul Web ha compiuto passi da gigante, con un’accelerazione evidente negli ultimi 5 anni. Tanto per farsi un’idea, se nel 2005 i contatti dei “visitatori unici” mensili del sito di repubblica.it, leader nel segmento, superavano di poco i 5 milioni di media, nel 2009 le visite giornaliere dello stesso sito hanno raggiunto quasi 1 milione e 300 mila, con un incremento di circa l’800%! Un universo in inarrestabile espansione, verrebbe da dire; ma anche un universo che ha vissuto momenti di riflessione e di difficoltà. Ed è proprio a questo universo in espansione che il giornalista Andrea Bettini rivolge la sua attenzione, per la seconda volta nel giro di pochi anni, con la seconda edizione, ampliata e aggiornata, di Giornali.it/2.0 – La storia dei siti internet dei principali quotidiani italiani, pubblicato da Ed.it.
Come sottolineato da Gianni Lucarini nella prefazione al testo, “nella sua accurata ricerca, Andrea Bettini, ripercorre la nascita e lo sviluppo del giornalismo online italiano partendo proprio dalle iniziative dei quotidiani, che sono stati e continuano ad essere protagonisti su internet” (p. 8). Dopo un breve excursus storico sulla realtà del giornalismo online italiano, che va dal pionierismo dell’Unione Sarda, da quando i giornali online altro non erano che la copia virtuale della versione cartacea, fino alle ultimissime e più evolute versioni multimediali, ed in cui si analizzano in maniera molto rapida (forse troppo) ma incisiva i 15 anni che hanno “rivoluzionato l’offerta di informazione su internet” (p. 33), l’autore ci introduce alla conoscenza delle più autorevoli realtà dell’editoria periodica online. “La Repubblica”, i siti del gruppo Rcs (“Corriere della Sera” e “Gazzetta dello Sport”), “La Stampa”, “Quotidiano.net”, “Il Sole 24 Ore” (novità di questa seconda edizione): a ciascuna di queste esperienze è dedicato un capitolo a sé stante, con uno schematismo interpretativo che, pur rischiando di apparire a volte troppo ripetitivo, permette tuttavia al lettore di potersi fare un’idea molto precisa sull’evoluzione degli sviluppi grafici e contenutistici di ogni singola testata online. Così scopriamo come il gruppo Espresso, grazie alla partnership con Kataweb, sia stato il primo a scommettere sulla multimedialità; e come invece alla Rcs ci si sia mossi con più cautela e diffidenza nei confronti della nuova piattaforma comunicativa, lasciando alla “Gazzetta dello Sport” il compito di aprire la strada e causando pertanto il continuo inseguimento del sito del “Corriere della Sera” a quello di repubblica.it, suo diretto competitor; e anche come proprio gazzetta.it sia invece riuscito a captare l’esigenza partecipativa del pubblico dei suoi lettori online attraverso l’interattività dei forum tematici; e così via dicendo. Tante microstorie, insomma, che nel loro insieme riescono a ricostruire il quadro dell’intero sistema; senza tra l’altro perdere mai di vista anche l’importante tema dell’evoluzione della professione giornalistica all’interno delle nuove Web-redazioni.
I pregi dell’opera si possono riassumere nella sua essenzialità strutturale e nel suo approccio scientifico-empirico, di natura molto “british”, e nella dovizia della ricostruzione storico-evolutiva, assai puntigliosa quanto utile nella comprensione delle tematiche più rilevanti. I limiti si possono invece ridurre a due elementi essenziali. In primo luogo, si sarebbe potuto dedicare maggiore spazio ad una più approfondita ricostruzione di contesto, nazionale e internazionale, che avrebbe potuto rendere ancora più comprensibile l’analisi critica. Secondariamente, il testo avrebbe sicuramente potuto diventare ancora più interessante si fosse ricorso ad un maggiore utilizzo di fonti primarie, per andare ancora oltre le pur interessanti interviste ai protagonisti delle vicende in questione (riportate integralmente in appendice) e la semplice analisi delle schermate delle varie edizioni nella loro evoluzione cronologica: quante risorse, umane ed economiche, sono state investite? Quali erano le effettive volontà degli editori? Vi sono stati casi di “spionaggio industriale”? Ecco, se oltre che tra le carte e le scrivanie delle redazioni l’autore si fosse aggirato di più anche tra quelle dei consigli d’amministrazione, forse a queste e ad altre interessanti domande si sarebbe potuto tentare di dare risposta.
Nonostante questi limiti, che sono comunque quasi fisiologici, il testo di Bettini colma una lacuna nel panorama degli studi sulla storia del giornalismo e dei new media. E lo fa in maniera credibile, autorevole e assai godibile nella sua lettura, rispondendo quindi all’esigenza, dichiarata dall’autore nell’introduzione al testo, di “comprendere meglio il panorama attuale per orizzontarsi con maggiore consapevolezza in un sistema in continuo cambiamento come quello dell’informazione sul web” (p. 34).