di Tito Menzani
Se si cercasse in un buon vocabolario della lingua italiana di qualche anno fa il termine «ludopatia» non lo si troverebbe. Si tratta, infatti, di un neologismo, coniato per indicare un disturbo del comportamento connesso ad un rapporto patologico con il gioco d’azzardo. Le liberalizzazioni che hanno investito questo settore tra anni novanta e duemila, unite alle possibilità offerte dalla tecnologia multimediale, hanno provocato nel nostro paese una vera e propria emergenza sociale legata al gioco d’azzardo. Alcuni hanno sviluppato una sorta di dipendenza da videopoker, altri hanno perso i risparmi di una vita, altri ancora hanno pensato che l’attività del giocatore professionista potesse sostituirsi a un lavoro regolarmente retribuito. Per tutti questi motivi, il dibattito sul gioco d’azzardo e sui suoi costi sociali è tornato d’attualità, dopo decenni di sostanziale disinteresse per questo tema.
Il libro di Andrea Giovannucci – dottore di ricerca in Storia e informatica all’Università di Bologna – ci porta nella Bologna del XIX secolo, fra bische clandestine e personaggi di malaffare, per raccontarci la clandestinità del gioco d’azzardo e la lotta istituzionale al fenomeno. Si tratta della ricerca svolta per la tesi di dottorato, pubblicata nella collana del Dipartimento di Storia, culture, civiltà, con una bella prefazione di Angelo Varni.
Il volume è aperto da alcuni capitoli preliminari che ci introducono all’argomento e alla questione storiografica. Si definisce cos’è il gioco d’azzardo, si ripercorre la legislazione che lo ha normato, si dà conto dei vari studi storici sul gioco, per ricostruire un adeguato contesto alla narrazione successiva. Il quinto e il sesto capitolo sono quelli che trattano il cuore dell’argomento, a partire soprattutto dalle carte di polizia.
Si racconta, dunque, «una storia che si svolge tra bettole e lussuosi club privati, tra vincite e perdite, tra lecito e illecito, in cui i protagonisti sono truffatori, giocatori incalliti e insospettabili, poliziotti, giornalisti, giudici e avvocati». Di particolare interesse sono la mappa con luoghi del gioco d’azzardo della Bologna ottocentesca (pp. 76-77), la ricostruzione delle regole di alcuni giochi all’epoca molto in voga e poi scomparsi, come il faraone, e la ricapitolazione di alcune vicende particolarmente interessanti, quali la sollevazione di numerosi cittadini di Borgo Tossignano contro le forze dell’ordine intervenute a sanzionare dei giocatori d’azzardo durante una festa paesana. Quest’ultimo episodio, proprio perché particolarmente interessante e significativo, era già stato anticipato dall’autore nel saggio Il gioco e la storia: la curiosa vicenda di Tossignano, in Per continuare il dialogo… Gli amici ad Angelo Varni, a cura di Alberto Malfitano, Alberto Preti, Fiorenza Tarozzi (Bologna, Bononia university press, 2014).
Un altro bell’episodio, molto ben documentato, è quello della chiusura della bisca nella centralissima via Rizzoli. Dopo mesi di indagini, appostamenti e raccolta di informazioni, le autorità decisero di dare ordine agli agenti di polizia di irrompere nel locale e di sorprendere i giocatori in flagrante. Giovannucci ricostruisce i fatti sulla base dei verbali depositati presso l’Archivio di Stato di Bologna, nel fondo Questura atti generali, e analizza anche l’estrazione sociale dei trentatré fermati nel corso di quell’operazione, ricavandone una certa trasversalità sociale, seppur con una prevalenza di impiegati e di esercenti commerciali.
In sintesi, l’interessante e appassionata ricerca di Giovannucci implementa un filone storiografico che probabilmente nell’immediato futuro avrà un certo successo, per le ragioni ricordate all’inizio, e cioè l’attualità della ludopatia. Più in generale, come ricorda anche Varni nella prefazione, lo studio del gioco d’azzardo può anche rimandare all’analisi delle «visioni ancestrali» ad asso legate, e dunque a un corpus di superstizioni e credenze popolari, molto interessanti agli occhi di chi si occupa di storia culturale.