Giacomo Parrinello
Gli storici sono molto legati alle ricorrenze. Si potrebbero addurre molte ragioni a spiegazione di ciò. Alcune sono complesse e attengono al tormentato rapporto tra memoria e sapere storico, vero nodo irrisolto e insieme base costitutiva della disciplina. Oppure, molto più semplicemente, si potrebbe ricordare come la rammemorazione – collettiva e rituale – garantita dagli anniversari, offra allo storico una straordinaria occasione di visibilità per il proprio lavoro. Una condizione sempre più importante in un tempo in cui, a fronte di una superfetazione di narrazioni storiche, la produzione accademica stenta ad accedere al grande pubblico dei lettori non specialisti. Essere in grado di cogliere tale occasione testimonia la capacità, da parte degli storici, di adattare il proprio lavoro e i propri interessi alle esigenze e ai bisogni di conoscenza della società. Non è difficile intravedere in ciò la percezione chiara della funzione civile della storiografia, forse unico antidoto ai rischi di autoreferenzialità e marginalizzazione della disciplina.
Al di là dei meriti intrinseci di tali operazioni, è un fatto ormai assodato che le ricorrenze di eventi storici particolarmente rilevanti coincidano con la pubblicazione di numerosi contributi storiografici. Anche la catastrofe che il 28 dicembre 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria non fa eccezione. Sin dal cinquantenario, quasi ogni anniversario è stato occasione di convegni, mostre, pubblicazioni monografiche o raccolte di saggi. C’era da aspettarsi che in un’occasione importante come il centenario questa tendenza non sarebbe stata smentita. Così è stato, forse anche al di là delle migliori aspettative. Infatti, dopo anni di pubblicazioni di urbanistica, geografia umana, architettura, per la prima volta sono stati gli storici a offrire il maggior numero di contributi sulla catastrofe dello Stretto. Tra il 2008 e l’inizio di questo 2009, si sono succedute parecchie importanti pubblicazioni che hanno gettato una luce nuova su aspetti trascurati o poco noti dell’evento: Giovanna Motta sulla eco internazionale della catastrofe e le reazioni a essa in vari paesi del mondo; Luciana Caminiti sulla politica dei soccorsi; John Dickie sulle complesse implicazioni simboliche e culturali della catastrofe su scala nazionale (Caminiti 2008; Dickie 2008; Motta 2008). Accanto a questi studi, al terremoto sono stati dedicati numerosi convegni tra cui spicca per completezza e articolazione quello curato dall’Università di Messina con l’Istituto di Studi Storici Salvemini tra gennaio e marzo di quest’anno1.
Proprio tra queste istituzioni scientifiche messinesi e l’Università di Siena è maturato lo studio di Andrea Noto sul sisma del 1908; uno studio nato come tesi di dottorato, prima di essere pubblicato dall’editore Rubbettino sotto il patrocinio dell’Istituto Salvemini. Collocare il lavoro di Noto tra le ricerche prodotte in occasione del centenario è un compito semplice e difficile allo stesso tempo, e lo è per i medesimi motivi. Se, infatti, ciascuno di questi studi si concentra su uno dei possibili punti di osservazione del caso, i soccorsi o l’eco internazionale, oppure sceglie una chiave di lettura dichiaratamente parziale come nel caso di John Dickie, Noto sembra voler tentare un’operazione più complessa e difficile. Nonostante il titolo del volume sembri richiamare l’attenzione prioritariamente alla questione della “percezione”, il testo in realtà affronta una ben più articolata serie di questioni, proponendosi piuttosto come un tentativo d’inquadramento generale del caso. Operazione appunto niente affatto scontata e in buona sostanza inedita, nonostante la bibliografia ormai ricca accumulatasi nel corso dei decenni.
Che l’ambizione del testo di Noto non sia poca, traspare già dall’ampiezza degli argomenti trattati. Il caso di Messina, infatti, è posto solo al termine di due lunghe premesse. La prima consiste in un corposo excursus metodologico, nel quale Noto ripercorre le principali tappe degli studi contemporanei sui disastri, tra psicologia sociale e sociologia. In questa ricostruzione – di cui lo stesso Noto (2008) aveva già offerto un primo saggio apparso nel n. 17 di questa rivista – gli Stati Uniti e il filone “disastrologico” fanno la parte del leone. La storia della disciplina, dalle origini militari alla conversione civile è anche l’occasione per una revisione delle problematiche guida, evolutesi verso una sempre maggiore considerazione di dinamiche e comportamenti collettivi. L’obiettivo evidente dell’excursus di questo primo capitolo è di mettere a fuoco le implicazioni che queste ricerche (e i modelli e concetti da esse elaborati) hanno per la storiografia. Come reagiscono gli uomini alle catastrofi? Questa domanda chiave della disastrologia, trasversale, in fondo, alle varie fasi di ricerca e orientamenti metodologici, è trasposta in chiave storiografica: come hanno reagito le società alle catastrofi? Un interrogativo così formulato s’incrocia inevitabilmente con ambiti di ricerca storica che travalicano ampiamente la sola tematica dei disastri. Anche di ciò Noto prova a dare conto nella sua lunga premessa metodologica, privilegiando il filone di studi sviluppatosi attorno all’ambiguo concetto di “mentalità”. Ciò che interessa Noto della “storia della mentalità”, è la possibilità di individuare “diversamente dalla storia delle idee, […] l’evoluzione delle credenze e delle abitudini intellettuali proprie di una collettività o di un gruppo sociale di un dato periodo e di una data epoca” (p. 37). Questa possibilità si rivelerebbe particolarmente interessante se applicata al caso delle catastrofi. Confrontarsi con la catastrofe significa confrontarsi con il nodo storico dell’evento come punto di articolazione di una dialettica tra breve e lunga durata, rispetto al quale studiare continuità e mutamenti. Il terremoto può essere considerato il prototipo per eccellenza della catastrofe in quanto evento rivelatore di mutamenti o continuità; nell’evoluzione delle interpretazioni che di esso sono state date è possibile leggere in controluce tanto le caratteristiche dei mondi culturali umani, quanto le tracce della grande trasformazione che, all’insegna della secolarizzazione, ha rivoluzionato la nostra esperienza del mondo.
Questa lunga rassegna contiene degli spunti molto interessanti. Si sarebbe tentati di dire che Noto abbia provato a delineare chiaramente una precisa direzione di ricerca, o almeno una base metodologica puntuale e per tale ragione anche escludente. Ciò nonostante, il libro dà seguito a queste promesse solo in parte. Prevale, infatti, una volontà “generalizzante” che spinge l’autore, nel momento in cui si applica all’analisi di casi concreti, a voler abbracciare una pluralità di elementi, che spesso esulano dalla “storia della mentalità” o dalla “storia culturale” per incrociare i domini della storia economica, politica o sociale. Il primo evidente sintomo di questo scarto è già contenuto nel secondo capitolo. In questa parte, l’autore propone una comparazione fra tre sismi europei d’epoca moderna particolarmente rilevanti: il terremoto siciliano del 1693, il terremoto di Lisbona del 1755 e il terremoto calabrese del 1783. Si tratta di un’operazione di per sé interessante e innovativa: la storiografia sui terremoti raramente ha tentato comparazioni sistematiche, sebbene esse siano in grado di rilevare meglio peculiarità, ricorrenze e trasformazioni. La scelta dei tre episodi, poi, appare particolarmente azzeccata. La capacità distruttiva dei terremoti in questione è stata terribilmente simile: in ognuno dei casi fu necessario ricostruire ex novo gli insediamenti antropici e i tessuti socio-economici delle comunità. In secondo luogo, il periodo coperto dalla comparazione non supera il secolo: in quei cento anni che separano il primo caso dall’ultimo, si compie un decisivo passaggio della storia europea, in cui si fanno strada nuove concezioni della società e del mondo, mutano i riferimenti e gli orizzonti culturali, vengono alla luce nuove strutture politiche e sociali. In poche parole, i tre terremoti attraversano l’intero arco di quel XVIII secolo che è stato culla e alba della modernità.
Tuttavia, il centro focale dell’analisi non è circoscritto alla “mentalità” o alla “cultura”, non quantomeno nel senso che lo stesso Noto ha voluto attribuire a questi concetti nel primo capitolo. Ciò che guida questa comparazione, infatti, è proprio quel tentativo di allargare lo sguardo a tutto campo di cui si diceva sopra. Prima di tutto, la ricostruzione narrativa degli eventi tellurici e dei loro effetti distruttivi; subito dopo, la gestione dell’emergenza e della ricostruzione; poi la rappresentazione “colta” tra scienza e arti; infine l’impatto sulle comunità coinvolte. Come si è anticipato, siamo di fronte al tentativo di fare una storia completa del terremoto, i cui risultati però (almeno in questa parte) sono condizionati dall’assenza di un lavoro diretto sulle fonti e quindi inevitabilmente schiacciati sulla letteratura già esistente sui tre casi. Non occorre ricordare, di contro, che un lavoro del genere avrebbe richiesto un impegno specifico supplementare, comprensibilmente escluso dalle priorità dell’autore.
I risultati cui perviene questa comparazione, però, sono comunque di notevole interesse, non fosse altro che in virtù dell’accostamento inedito. Attraverso i quattro frame analitici di cui si è detto sopra, infatti, emerge una serie di elementi comuni ai tre terremoti. Modalità simili di gestione dell’emergenza, attraverso la nomina di plenipotenziari. La tendenza a fare della ricostruzione un’occasione per esperimenti urbanistici ma anche sociali ed economici. La possibilità di riscontrare atteggiamenti simili da parte delle comunità colpite e il ricorrere di topoi interpretativi propri della cultura popolare. L’emergere progressivo, infine, di un atteggiamento scientifico orientato alla spiegazione razionale dei fenomeni, che getterà le basi delle moderne scienze geo-sismologiche.
È questa seconda parte, in realtà, molto più che la prima, a dare il tono al resto del volume e a prefigurare la struttura della restante e più corposa terza parte dedicata a Messina. Questo è il vero cuore del lavoro di Noto, cui egli ha dedicato non solo lo spazio maggiore, ma anche il maggiore sforzo di ricerca. Qui emerge con chiara evidenza tanto la “capillare ricerca bibliografica” di cui scrive Santi Fedele nella sua prefazione, quanto il più originale apporto in termini di fonti d’archivio. La struttura tematica ricalca, ampliandola, quella del secondo capitolo: la ricostruzione del sisma e dei suoi effetti sulla base delle testimonianze del tempo; la gestione dell’emergenza da parte dei poteri pubblici; le interpretazioni ex post tanto sotto forma di credenze popolari ricorrenti, quanto come complicate interpretazioni scientifiche o accorate rappresentazioni artistiche; le vicende politiche ed economiche della lunga ricostruzione; gli effetti culturali del sisma sulla società urbana. Lo sguardo di Noto dunque, si estende a una grande varietà di elementi e problemi, con tutto ciò che questo comporta di buono e di meno buono.
In ogni caso emerge un quadro d’insieme affascinante e ricco di complesse implicazioni. Il sisma del 1908 fu tra i maggiori a memoria d’uomo per effetti materiali e numero di morti. Le immani dimensioni della catastrofe emergono dalle testimonianze riportate: i rapporti e le descrizioni degli studiosi accorsi all’indomani per studiarne gli effetti sia sulle strutture edilizie urbane che sul paesaggio, ma anche i reportage giornalistici italiani e stranieri. Fenomeno affascinante e ricorrente, anche all’indomani del terremoto di Messina si moltiplicano le testimonianze che raccontano di segni premonitori – come fenomeni celesti e insoliti comportamenti animali – o di profezie, in alcuni casi utilizzate per duri scambi d’accuse tra fronti politici all’indomani della catastrofe. Anche l’interpretazione data all’evento ricalca linee generali già riscontrabili in altri casi storici: da una parte la rappresentazione della vendetta divina, cui corrispondono i vari fenomeni di devozione popolare come processioni e recupero di oggetti liturgici; dall’altra la visione “laica” delle forze della natura, a volte ostili all’uomo, cui questi può e deve rispondere rivendicando la propria potenza creatrice.
Le risposte delle autorità costituiscono un ulteriore, interessante capitolo della vicenda. Dai ritardi iniziali nei soccorsi del governo italiano, la cui prima risposta culmina nella proclamazione dello stato d’assedio sotto il comando del generale Mazza, si passa alla seconda fase caratterizzata da una legislazione innovativa e quantitativamente rilevante. Stanziamenti straordinari e tasse di scopo si affiancano al varo della prima organica legislazione antisismica, vera e propria base di quel corpus di norme di cui oggi siamo dotati. La pianificazione, ma soprattutto la gestione economica della ricostruzione (vera grande opportunità della nuova Messina), consente poi di svolgere il filo delle vicende cittadine e delle complicate lotte di potere che le contraddistinsero. Il controllo della ricostruzione, in un primo tempo affidata ai complicati meccanismi di un apposito ente, l’Unione edilizia messinese, diventa posta in gioco di violenti conflitti nella transizione al fascismo. L’affermazione della Chiesa cattolica quale soggetto di riferimento del nuovo potere fascista, chiude un ciclo, segnando al contempo il decisivo balzo in avanti nella riedificazione.
La società di fronte al sisma è l’oggetto finale dell’attenzione di Noto. Prima di tutto le retoriche attraverso le quali la catastrofe è rappresentata nel discorso pubblico: il ricorrente nazionalismo emotivo della “patria straziata” ma anche la narrazione solidaristica della fratellanza universale o dell’unità al di sopra e oltre le classi sociali. A questo quadro, per così dire esterno alla comunità colpita, l’autore fa seguire una descrizione, basata sugli studi di psicologia pubblicati negli anni immediatamente successivi e sulle testimonianze giornalistiche, dei comportamenti individuali dei superstiti. Infine è la comunità colpita, in quanto gruppo sociale, a essere oggetto della considerazione critica di Noto, che rileva un “processo di indebolimento dell’identità collettiva cittadina” (p. 303) cui si accompagna e fa da corrispettivo una profonda trasformazione dell’economia e della compagine sociale. Su questa considerazione si innesta, a conclusione del lavoro, un’originale proposta di periodizzazione. Elemento fondamentale nel recupero dell’identità collettiva messa in crisi dal sisma fu, almeno in parte, la ritualità religiosa tradizionale. Il ripristino, nel 1929, delle feste popolari dei giorni di metà agosto può essere considerato la soglia di passaggio tra la prima e la seconda fase del dopo terremoto, un vero e proprio evento periodizzante.
C’è molta carne al fuoco nella “cucina” storica di Noto, questo è evidente. E il minimo che si possa dire è che si tratta di un testo fondato su un notevole impegno di studio. Innanzitutto un’approfondita conoscenza della bibliografia relativa al caso messinese, di cui l’autore padroneggia l’intera vasta gamma di titoli accumulatisi negli anni, combinandone i risultati spesso in modo originale e facendo così nuova luce su passaggi della storia del terremoto pure ritenuti già abbondantemente esplorati. Senz’altro poi una vasta esplorazione delle fonti giornalistiche, utilizzate tanto per raccontare avvenimenti quanto per fornire esempi di temi culturali, rappresentazioni narrative e interpretazioni. Infine, il tutto è integrato dall’utilizzo di alcuni importanti fondi d’archivio, come il fondo del gabinetto della Prefettura di Messina presso l’Archivio di Stato di Messina e il fondo del Comitato centrale di soccorso presso l’Archivio centrale dello Stato che, seppure generalmente già noti, offrono nondimeno preziose testimonianze a supporto alle considerazioni di Noto. Non è solo dal punto di vista delle fonti, tanto primarie che secondarie, che questo lavoro può essere apprezzato. È del tutto evidente, dalla lettura del testo, il tentativo di un approccio integrato alla storia del terremoto che tenga insieme dimensioni differenti e di solito studiate separatamente, ricombinandole in una narrazione unitaria. A prescindere dal risultato, comunque apprezzabile, ancor di più lo è il tentativo stesso e lo sforzo che lo sorregge. Innanzitutto, uno sforzo di metodologia: il necessario confronto con discipline diverse dalla storia, per quanto affini, come sociologia e antropologia. In secondo luogo, uno sforzo narrativo: la difficoltà di combinare elementi così diversi in una costruzione retorica lineare e accessibile al lettore. E, come si è già detto, uno sforzo bibliografico notevole. Su questi elementi, uniti al tentativo lodevole di comparazione sperimentato nel secondo capitolo, si fondano gli elementi di originalità della ricerca di Noto, probabilmente primo tentativo organico di scrivere la storia del terremoto di Messina.
Inevitabilmente, una ricerca così vasta lascia dietro di sé anche dei nodi non del tutto sciolti, e delle domande passibili di risposte più articolate e lunghe. Proprio il tema della “mentalità”, probabilmente, avrebbe potuto essere maggiormente esplorato con profitto. Proviamo a fare qualche esempio. Uno degli elementi che emerge con maggior forza dalle testimonianze riguarda la natura religiosa di molte delle interpretazioni della catastrofe. La rappresentazione del terremoto come flagello divino, come ricorda nel primo capitolo lo stesso Noto, è un elemento tipico dell’età antica, che la modernità vede sempre più affievolirsi a vantaggio dell’interpretazione scientifica. Che cosa significa il riproporsi dell’interpretazione religiosa all’inizio del Ventesimo secolo? È una sopravvivenza, una “scoria” che fa la sua ultima apparizione, o al contrario testimonia la problematicità di qualsiasi lettura in termini evolutivi? Un altro esempio può essere trovato nelle fonti giornalistiche che raccontano gli scenari e i comportamenti della popolazione. Balza agli occhi il riproporsi, in testi e autori diversi, dei medesimi elementi narrativi. A quale logica obbedisce tutto ciò? Sono sempre e comunque descrizioni “neutre”? Potrebbero anche dirci qualcosa sul mondo culturale, sulla “mentalità” di questa speciale categoria di intellettuali moderni che sono i giornalisti – e dei gruppi sociali di cui fanno parte – di fronte alla catastrofe? La ricorrenza di alcuni topoi, di cosa può essere indizio? Il magistrale lavoro di Placanica (1985) sulla “media intellettualità” calabrese di fronte al terremoto del 1783 potrebbe fornire più di uno spunto metodologico in tal senso. Se è possibile fare un appunto all’autore, dunque, è proprio quello di non essersi spinto ancora più avanti con l’interpretazione, pur avendone la possibilità. Ma, del resto, l’emergere di così tante domande che spingono il lettore oltre il testo, verso territori ancora inesplorati, non è forse il merito migliore di qualsiasi opera di scrittura?
Queste brevi note sono state aperte ricordando lo statuto delle ricorrenze nella storiografia: la funzione civile della scrittura della storia, di supporto e stimolo alla domanda sociale di conoscenza del passato, ne è inevitabilmente esaltata. Questo libro, come le altre pubblicazioni in occasione del centenario del terremoto dello Stretto, si inscrive efficacemente all’interno di tale campo di tensione. Ma non solo. Oggi, ancor più che le ricorrenze, sono gli eventi dell’attualità a rendere manifesta la funzione civile della produzione di sapere storico: di fronte al terremoto che ha recentemente scosso le terre d’Abruzzo, con il suo carico niente affatto fatale di distruzione e morte, la storiografia dei terremoti assume un valore e un’importanza che sarebbe miope e pericoloso continuare a ignorare.
Bibliografia
Caminiti L.
2008 La grande diaspora. 28 dicembre 1908. Le politiche dei soccorsi tra carità e bilanci, Messina, GBM.
Dickie J.
2008 Una catastrofe patriottica. 1908: il terremoto di Messina, Roma-Bari, Laterza.
Motta G.
2008 La città ferita:il terremoto dello Stretto e la comunità internazionale, Milano, Franco Angeli.
Noto A.
2008 La “disastrologia”: approcci e contributi significativi, “Storia e Futuro”, n. 17, giugno.
Noto A.,
2008 Messina 1908. I disastri e la percezione del terrore nell’evento terremoto, Rubbettino, Soveria Mannelli.
Placanica A.
1985 Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del Settecento, Torino, Einaudi.
Contenuti correlati
- Messina dalla vigilia del terremoto del 1908 all’avvio della ricostruzione, gennaio-marzo 2009, Università degli Studi di Messina, Istituto di Studi Storici “Gaetano Salvemini”. [↩]