di Gianluca Scroccu
“Ai partiti di oggi servirebbe avere una Frattocchie!”. Quante volte, nel dibattito politico di questa Italia che si avvicina alle elezioni politiche del marzo 2018, abbiamo sentito questa frase, utilizzata come richiamo ad una professionalità di candidati e dirigenti che oggi appare annegata nei talk-show televisivi e nella politica fatta attraverso Facebook e Twitter? Come mai nell’immaginario contemporaneo la scuola di preparazione del Pci ancora oggi richiama per antonomasia un’idea di serietà e dedizione di cui oggi si sente una grande mancanza? Fu davvero così, oppure la debolezza dei partiti odierni ingigantisce una storia che aveva comunque i suoi limiti?
Per rispondere a questa domanda si può leggere l’accuratissimo libro che Anna Tonelli ha dedicato all’istituzione finalizzata alla preparazione di dirigenti, consiglieri regionali deputati, senatori più famosa della storia dell’Italia repubblicana. Già dal titolo, A scuola di partito. Il modello comunista di Frattocchie (1944-1993) (Roma-Bari, Laterza, 2017) si comprende che si sta parlando di un caso esemplare ed unico nella storia politica del secondo dopoguerra, con una sua nascita e una sua fine coincidente con l’epopea del Partito Comunista Italiano.
Ciò che colpisce del lavoro della Tonelli è la ponderosa e accurata selezione delle fonti da lei utilizzate per la sua ricerca, dal fondo del Pci presso la Fondazione Gramsci di Roma a quelli sempre legati al partito ritrovati però in diversi archivi provinciali, cui si somma il materiale analizzato presso l’Archivio Centrale dello Stato. In aggiunta, attraverso un efficace sistema di incrocio di più fonti, sono presenti in ricca quantità interessanti fonti a stampa come l’inedito bollettino “Scuola comunista”, strumenti che hanno permesso di evitare il rischio dell’autorappresentazione a favore di un quadro vario e dinamico. Con scelta felice, l’autrice ha poi eluso l’azzardo di dare spazio alle memorie autobiografiche degli ex corsisti e degli ex docenti, documenti che avrebbero dato un peso eccessivo ad una visione interna. Un libro ricco di analisi su una mole notevole di documenti d’archivio e di fonti a stampa, ma che ha il grande pregio di essere ben scritto e di restituirci anche pagine divertenti dove si vedono le piccole cose che rendevano la scuola del Pci un luogo non solo di studio severo e disciplinato, ma anche teatro di situazioni ironiche e talvolta paradossali. Quello della Tonelli è del resto il primo lavoro organico di ricostruzione storica della vicenda di Frattocchie, dove emerge non solo la formazione del militante ma anche, come dice giustamente l’autrice, l’educazione alla politica.
Come ben si ricostruisce nel volume, il problema della formazione dei militanti e in prospettiva dei quadri dirigenti venne affrontato dal partito già nell’ottobre 1944, a guerra ancora in corso: la consapevolezza del prossimo futuro democratico della nuova Italia liberata dal fascismo rendeva necessaria la formazione dei gruppi dirigenti. La lezione gramsciana, da questo punto di vista, rappresentava un modello a cui fare costante riferimento. Niente poteva essere affidato all’improvvisazione e tutto doveva essere inserito all’interno del progetto di costruzione de nuovo partito Il controllo nella selezione dei docenti, degli allievi e delle attività del corso da subito ebbe un ruolo centrale e rigidamente determinato. Organizzare un progetto di educazione di massa alla politica aveva naturalmente dei costi importanti, che si scontrava con una situazione di bassa scolarizzazione di molti dei corsisti, tutte circostanze che rendevano difficile lo svolgimento delle lezioni e che presentavano non poche problematiche. L’obiettivo di formare ed educare i militanti e la classe dirigente del partito, donne e uomini provenienti da diverse classi sociali ma dove i contadini e gli operai erano visti come il fulcro del nuovo partito di massa togliattiano, restava centrale e giustificava un notevole sforzo economico; senza cultura non era possibile affrontare il percorso della lotta rivoluzionaria verso il comunismo. Il varo nel 1955 dell’ “Istituto di Studi Comunisti” in località Frattocchie, lungo la via Appia e alla periferia della capitale, portò alla fine ad un investimento di circa cento milioni di lire, una cifra considerevole che mobilitò il partito, compresi gli architetti e i costruttori vicini al Pci. Nel tempo, alla sede centrale, si sarebbero affiancate realtà locali dal carattere peculiare che avrebbero concorso a strutturare l’universo educativo dei comunisti italiani, come ben dimostra la Tonelli nella sua ricerca (la Scuola Marabini di Bologna, quella Centrale di Milano, le scuole femminili, l’Istituto Curiel di Faggeto Lario, l’Istituto Alicata ad Albinea, l’Istituto Novella a Roma, quello Grieco a Bari e l’istituto Sereni di Cascina).
Il periodo che arriva sino alla svolta del XX congresso è quello segnato da una rigida subordinazione ai dettami degli anni dello stalinismo, dove predominavano la disciplina, la rigidità delle materie, oltre all’autocritica vista come come metro per formare, catechizzare e giudicare i corsisti, annullando i personalismi e gli egocentrismi a favore del collettivo e degli obiettivi generali del partito. Nel libro sono analizzati nel dettagli i corsi, che potevano durare da alcuni mesi ad un anno, con le “cartelle segnalatrici” che evidenziavano il rendimento ma anche il comportamento degli allievi e che diventavano essenziali per il proseguimento della carriera. Le materie erano naturalmente quelle che si riferivano alla storia del movimento operaio e dell’Unione Sovietica e alla cultura marxista, cui si sommavano però anche esercizi di grammatica e di logica dove le conoscenze linguistiche e sintattiche erano più deboli. Un’esposizione troppo meccanica della dottrina marxista rischiava del resto di non essere compresa se non riferita alle questioni concrete della politica (p. 49). Nel libro sono ben descritte le ore in cui la giornata dei corsisti veniva puntualmente cadenzata, così come l’attenzione per il cibo mangiato nelle mense, che spesso veniva giudicato migliore rispetto a quanto mangiato a casa (p. 61). La questione della selezione degli allievi, come si è già accennato, divenne subito centrale, perché i problemi legati tanto alla capacità di apprendimento che alla disciplina potevano rappresentare un ostacolo insormontabile per figure candidate a ricoprire un ruolo dirigente e comunque a rappresentare il partito a livello sia periferico che centrale. Le schede di valutazione dei corsisti sono tra le pagine più interessanti, nelle quali emerge il profilo dello studente migliore e con possibilità di carriera o di formazione ulteriore direttamente in Unione Sovietica, ovvero “quello che sa dosare profondità e osservazione, socievolezza e attitudine al comando, passione e sacrificio” (p. 84); tra i corsisti destinati a diventare famosi, spicca nel libro il riferimento all’altissima valutazione assegnata ad un giovane Pio La Torre (p. 79). Severe censure andavano invece verso quei corsisti che “seminavano zizzania” e mettevano la propria persona davanti alla dimensione collettiva; in un partito dove erano molto forti le tendenze maschiliste e dove i rapporti sentimentali venivano inquadrati all’interno della morale comunista, tematiche a cui la Tonelli ha dedicato in passato studi molto importanti, la sfera privata poteva diventare elemento di valutazione che concorreva al giudizio sul corsista e sulle sue possibilità di far carriera.
I cambiamenti degli anni Settanta, dalle nuove responsabilità nel governo locale del Pci con la nascita delle regioni, al protagonismo giovanile, avrebbero modificato il ruolo delle scuole a favore di uno sviluppo pluritematico. Le diverse istituzioni di formazione del partito avrebbero ognuna sviluppato una propria peculiarità; uno sforzo che tra il 1971 e il 1976 comportò la stampa di migliaia di opuscoli che raccolsero lezioni, materiali di studio e orientamento, e a cui si aggiungevano i volumi editi dagli Editori Riuniti (p. 196).
Dopo gli importanti risultati elettorali avvenuti sia a livello locale che nazionale a metà degli anni Settanta acquisterà un peso del tutto particolare l’economia e con essa la politica economica, a testimonianza di una consapevolezza nuova dei mutamenti avvenuti nello scenario internazionale dopo Bretton Woods che evidentemente rendeva necessaria una più forte preparazione dei quadri su queste materie. E proprio a metà di quel decennio, come spiega molto bene l’autrice, si completa quel processo iniziato alla fine degli anni Sessanta e avviene quel turning point che comportò una mutazione delle Frattocchie da scuola che doveva formare operai e contadini in istituto che doveva preparare dirigenti destinati ad avere ruoli cruciali nel partito e nelle funzioni amministrative e di governo, a livello locale e in prospettiva nazionale, cui il Pci era chiamato. Nondimeno, negli anni Settanta nelle scuole del Pci si avvertì la necessità di studiare le ragioni dell’ascesa e della sfida allo Stato democratico del terrorismo, contro cui il Pci avrebbe dovuto confrontarsi a livello politico e nelle organizzazioni sindacali di riferimento, come dimostrerà la barbara uccisione di Guido Rossa nel 1979.
La crisi del Pci berlingueriano negli anni Ottanta ebbe una conseguenza inevitabile sul numero degli iscritti alle scuole di partito; il riflusso e il distacco sempre più individualista verso la politica organizzata posero molti interrogativi ai dirigenti del partito circa il futuro delle scuole. Emerse, ad esempio, la necessità di ammodernare gli insegnamenti, al fine di garantire approfondimenti più vicini ad una cultura moderna che l’impostazione delle scuole non poteva garantire (p. 236). L’obiettivo, come si dimostra nel libro, era di avere più una scuola politica che un luogo di formazione ideologica, con un approccio meno totalizzante e più snello. Desideri che si sarebbero scontrati con la notevole diminuzione del finanziamento da parte del partito, sino alla crisi definitiva successiva al 1989 che con lo scioglimento del Pci portò alla liquidazione del sistema delle scuole. Passato come immobile di proprietà agli eredi prima del Pds e poi dei Democratici di Sinistra, Frattocchie è stato poi venduto ad un gruppo immobiliare privato ed ora è di fatto un rudere. Eppure, questo edificio, come quelli gemmati creati in provincia, rappresentano una storia importante che non racchiude soltanto ideologia o militanza, ma un processo di educazione alla politica e di profonda passione di cui oggi si è perso il ricordo, ma che questa bella ricerca di Anna Tonelli ha il grande merito di portare di nuovo alla luce.