Appunti sul rapporto tra educazione e politica in Antonio Labriola: una ricerca in corso

di Massimo Gabella

Abstract

Intellettuale impegnato a lungo, e a vari livelli, nel mondo della scuola e della formazione, Antonio Labriola dal 1890, quando inizia a muoversi in una prospettiva marxista, sembra abbandonare questi terreni di intervento cui egli aveva conferito un sostanziale taglio politico. Perché? I problemi dell’educazione e della formazione perdono importanza? Viene meno il nesso con la politica? In che termini giunge egli a concepire, da marxista, il problema della formazione dell’uomo come essere sociale e storico? Quali direzioni di lavoro delinea adesso per affrontare la questione dell’arretratezza culturale delle masse? In che modo questi problemi si connettono a tutto il lavoro politico e culturale – di cui i Saggi del 1895-1897 sono l’espressione più alta, ma non l’unica da tenere in considerazione – che egli intraprende ai fini della formazione di una prospettiva rivoluzionaria autonoma, indipendente, e consapevole per il movimento dei lavoratori?

Abstract english

An intellectual long and deeply involved in questions related to education in a broad meaning, largely intertwined with politics, Antonio Labriola seems to abandon them as he starts thinking in Marxist terms around 1890. Why? Do they lose their relevance? How does he get to think, as a Marxist, about the issue of the development of men as social and historical beings? Which directions of work does he now set up in order to deal with the masses’ cultural backwardness? How do these problems connect with all the political and cultural work he carries on – which is not limited to the essential 1895-1897 Essays – in order to build an autonomous, independent, and conscious revolutionary perspective for the workers’ movement?

Antonio Labriola, importante teorico marxista e figura di spicco della cultura italiana ed europea della seconda metà dell’Ottocento, fu impegnato a vari livelli, nel corso di un travagliato e complesso itinerario intellettuale e politico (Dal Pane 1975; Garin 1977; Miccolis 2004), nel mondo della scuola, della pedagogia, dell’educazione, della formazione. Insegnò, a partire dal 1874, filosofia morale e pedagogia all’Università di Roma; scrisse saggi di pedagogia; fu direttore del Museo d’Istruzione e di Educazione; collaborò a progetti governativi di riforma scolastica; condusse ricerche sugli ordinamenti scolastici di altri paesi; si relazionò al mondo dell’associazionismo degli insegnanti; fu ispettore presso le scuole normali; intervenne assiduamente nel dibattito sull’università; fu presidente del Circolo pedagogico romano; tenne conferenze sulla scuola popolare. L’attenzione verso problemi di educazione e formazione rappresenta evidentemente un elemento centrale nel pensiero e nell’attività di Labriola; alcuni studiosi hanno messo in luce la dimensione pedagogica di tutta la sua riflessione – “sempre proiettata verso il futuro, verso una trasformazione in meglio della situazione, mediante l’educazione dell’uomo, la sua illuminazione, il suo farsi più lucido, più razionale, collocato in una società migliore” (Garin 1994, 4) – dando vita a un filone di indagini sul Labriola “educatore” e “maestro perpetuo”, che ha in Garin e Siciliani de Cumis i suoi punti di riferimento (Garin 1983; Siciliani de Cumis 1975, 1976, 1981b, 1994; vedi anche Agresta 1972; Bertondini 1974; Bertoni Jovine 1961; Guerra 1963; Mameli 1975; Marchi 1971, 1984; Marino 1990; Neri 1968; Volpicelli 2003). Diversi interpreti hanno evidenziato, inoltre, la carica politica sempre assunta da questa riflessione in senso lato pedagogica, quel “proposito etico-politico” che rimane inalterato in tutta la sua traiettoria (Mastroianni 1976, 7); spesso dialogando, in questo modo, con la storiografia maggiormente incentrata sul Labriola “politico” (Badaloni 1971, 1975; Cingari 2006; Gerratana 1970, 1979, 1985; Miccolis 1980, 1988, 1996; Proto 1967; Zanantoni 2004).

Il rapporto tra educazione e politica rappresenta dunque, senza dubbio, un punto di osservazione privilegiato per apprezzare gli sviluppi del pensiero di Labriola; sviluppi tortuosi, viste le giovanili posizioni politiche moderate, poi progressivamente radicalizzate negli anni Ottanta, per giungere all’adesione al movimento dei lavoratori e alla meditazione sul marxismo, a partire dal 1890 e fino alla morte nel 1904. Si tratta di capire in che termini tale problema sia impostato da Labriola nei diversi momenti della sua traiettoria.

Così, come la letteratura ha ben documentato (Miccolis 1988, 1996), il giovane Labriola, formatosi sotto l’insegnamento di Bertrando Spaventa (Savorelli 2006) e vicino alla Destra storica, nonché partecipe osservatore dei problemi, dei ritardi, delle contraddizioni del periodo post-unitario, teorizza a partire dal 1871 in saggi filosofici, articoli politici su diversi giornali moderati, recensioni, lettere (Labriola 1981a, 1998, 2014, 2018; Savorelli, Miccolis 2010; Siciliani de Cumis 1981a)1 la necessità di un intervento pedagogico attivo dello Stato – che deve essere guidato da una classe dirigente dall’altissimo profilo intellettuale e morale – sul terreno dell’educazione delle masse (la “plebe” che deve farsi “popolo” consapevole), in aperta contrapposizione alle rivendicazioni della Chiesa in questo campo; influenzato dalla filosofia herbartiana, egli dedica molti sforzi alla realizzazione di una teoria scientifica dell’educazione che possa risultare organica a questo progetto. L’impostazione hegeliana di Labriola trova dunque stimoli fecondi, tra le diverse correnti del pensiero post-herbartiano che si affacciavano anche presso l’ambiente napoletano (Oldrini 1986; Volpicelli 2003), nell’indirizzo della Völkerpsychologie, o psicologia dei popoli, approccio che Labriola considera proficuo per cogliere le modalità storico-genetiche concrete – e non dedotte logicamente da un’entità trascendente2 – della costituzione di uno spirito collettivo (Bondì 2013; Centi 1984, 1988; Meschiari 1980, 1985; Poggi 1978, 1982). Non può che essere lo Stato, che – molto più che semplice complesso di istituzioni giuridiche, e puro garante delle libertà individuali – è a sua volta dover-essere, norma morale, “scuola” e “diffusione di lumi” (Labriola 2014, 778) a dovere, tramite una trasformazione generalizzata del carattere resa possibile dall’educazione, rendere costume l’agire moralmente ispirato (Centi 1988). Il punto di partenza di ogni riflessione politica e filosofica di Labriola in questa fase sembra essere la sproporzione tra l’altezza dell’ideale rappresentato dallo Stato unitario e la limitatezza e parzialità della consapevolezza di questa necessità. Da qui il riferimento esclusivo a quella élite politica e culturale che ha storicamente realizzato il processo risorgimentale e a cui ora spetta l’immane responsabilità di elevare, pedagogicamente, le masse popolari a tale consapevolezza3.

Già a partire dalla fine degli anni Settanta, accanto a un temporaneo abbandono dal coinvolgimento politico più diretto, ma non della tensione etico-politica, Labriola inizia a problematizzare, via via con sempre maggiore radicalità, le proprie posizioni filosofiche e politiche; a cominciare dalla concezione dello Stato, di cui inizia ora a mettere in dubbio la capacità di armonizzare i conflitti presenti nella società (Centi 1988; Dal Pane 1975) e soprattutto di risolvere la “questione sociale” che si affaccia prepotentemente nella vita politica del paese (Candeloro 1970). In questo percorso di avvicinamento e graduale immersione nelle contraddizioni reali della società, un ruolo importante è giocato dal coinvolgimento concreto di Labriola nei problemi della scuola: per tutti gli anni Settanta e Ottanta, l’impegno nel mondo della formazione è costante a ogni livello. Risultato di queste riflessioni ed esperienze è la scelta, compiuta intorno al 1886, di impegnarsi direttamente in politica, stavolta in campo democratico-radicale; prima con un (fallito) tentativo di candidatura alle elezioni politiche, poi con la partecipazione alle agitazioni dei lavoratori e disoccupati romani e l’attività nel variegato mondo politico radicale e socialista (Carocci 2016). Tale momento democratico-radicale di Labriola non solo è cronologicamente molto più breve del precedente4, ma è non semplice da “fissare” analiticamente poiché nel periodo che va dal 1886 al 1890 le idee di Labriola mutano a grandissima velocità, come l’esame attento e incrociato dei suoi scritti di varia destinazione ampiamente dimostra (Labriola 1970). E tuttavia fino certamente a tutto il 1888 le concezioni politiche di Labriola – che ha inoltre pubblicato nel 1887 una importantissima riflessione sulla filosofia della storia (Labriola 2018; v. Bondì 2013) – presentano alcuni significativi tratti di fondo, con l’accento posto sulla richiesta di decentramento politico, di riforme sociali in senso radicale (con il quale termine, a lungo disprezzato, intende invece ora tutto ciò “che, diminuendo l’autorità e i modi gerarchici del governo, aumenti la rappresentanza” – Labriola 1970, p. 137), e sul binomio educazione alla democrazia-scuola popolare. La scuola popolare – come hanno in effetti intuito alcuni autori (Badaloni 1971; Miccolis 1981), ma senza forse aver ancora chiarito il punto in ogni sua implicazione – è uno dei pilastri delle concezioni politiche di Labriola in questo momento.

Se la storiografia ha inquadrato in modo soddisfacente, se forse non ancora conclusivo in ogni risvolto, la riflessione labrioliana intorno al nesso educazione-politica in questi due momenti, molta minore attenzione è stata invece dedicata in modo più specifico al modo in cui tale nesso viene ridefinito da Labriola nel periodo marxista, che inizia approssimativamente (Zanardo 2005) nel 1890, con l’abbandono dei radicali (Labriola 1970, 218) e l’adesione a una prospettiva di autonomia e indipendenza del movimento operaio5; e ciò nell’ottica di esaminare non solo gli elementi di continuità, ma anche e soprattutto quelli di rottura rispetto ai momenti precedenti del suo pensiero. Ciò che appare immediatamente evidente, infatti, è la netta assenza di interventi esplicitamente dedicati in questo periodo a temi di scuola e pedagogia – sebbene egli continui a insegnare regolarmente pedagogia all’Università di Roma, fino alla morte nel 1904. Perché? I problemi dell’educazione e della formazione perdono importanza? Viene meno il nesso con la politica? In che termini giunge egli a concepire, da marxista, il problema della formazione dell’uomo come essere sociale e storico? Quali direzioni di lavoro delinea adesso per affrontare la questione dell’arretratezza culturale delle masse? In che modo questi problemi si connettono a tutto il lavoro politico e culturale – di cui i Saggi del 1895-18976 sono l’espressione più alta, ma non l’unica da tenere in considerazione – che egli intraprende ai fini della formazione di una prospettiva rivoluzionaria autonoma, indipendente, e consapevole per il movimento dei lavoratori?

Insomma, se alcuni autori hanno suggerito che la generale funzione politico-etico-pedagogica passi ora, nell’economia del discorso labrioliano, “dallo Stato al movimento operaio” (Cingari 2006, 490; cfr. Siciliani de Cumis 1976; Orsomarso 2015), la fisionomia di tale passaggio non sembra essere stata ancora affrontata in modo esauriente. Né i pochi studi dedicati al problema in senso lato educativo nel periodo marxista – che peraltro forniscono interpretazioni opposte7 – né gli altri che allargano lo sguardo all’intera riflessione labrioliana sembrano offrire risposte esaurienti e definitive a tutti questi interrogativi. Soprattutto, risalta l’assenza di un lavoro che esamini la specificità del ragionamento del marxista Labriola sul nesso educazione-politica, proponendosi non tanto, come già è stato fatto, di analizzare fino a che punto “tutta quanta l’opera di Antonio Labriola, dai primi scritti politici ‘moderati’ e filosofici ‘hegeliani’ o ‘herbartiani’, fino agli stessi Saggi sul materialismo storico, si configuri complessivamente come una pedagogia” (Siciliani de Cumis 1981b, 13), quanto piuttosto di affrontare i modi in cui il Cassinate ridefinisce di volta in volta tale rapporto, cogliendo quali elementi della sua riflessione precedente si conservino, quali vengano ridefiniti, quali abbandonati nel passaggio al marxismo8; e proprio per meglio “cogliere le peculiarità, e i modi di un singolare avvicinamento” (Garin 1994, 10). Va anche aggiunto che si tratta di un tema, quello del rapporto tra educazione e politica nell’opera labrioliana e in particolare nel marxismo, che non ha ricevuto di recente grande attenzione da parte degli studiosi, in un momento in cui, dopo i numerosi convegni tenuti intorno al centenario della morte (2004), in generale è tutto Labriola a essere scarsamente studiato.

Tale indagine intende dunque collocarsi in quella “ripresa tematica del marxismo di Labriola” che Luigi Punzo constatava qualche anno fa a proposito della critica labrioliana, ora inserita “in una prospettiva di lettura unitaria del suo pensiero” (Punzo 2006, 18). Anzi, proprio l’esame del nesso educazione-politica potrebbe rivelarsi un punto di osservazione importante per affrontare una questione da sempre al centro dell’attenzione degli studiosi di Labriola, quella “relativa alla valutazione della cosiddetta fase marxista del suo pensiero: se essa, quindi, debba essere considerata come un elemento di discontinuità del suo itinerario intellettuale o se invece non sia la naturale conclusione di un percorso di ricerca che trova nel materialismo storico la soluzione dei problemi precedentemente individuati” (Ibid.).

Come è evidente, adottare un approccio di questo tipo implica necessariamente prendere in esame l’intera riflessione politica e filosofica di Labriola; ricognizione che, d’altra parte, gli studiosi di Labriola da tempo ritengono imprescindibile svolgere (Garin 1994; Bondì 2007), anche alla luce delle acquisizioni di nuovo materiale documentario. Il riferimento va in primo luogo alle carte Labriola del Fondo Dal Pane, contenenti in particolare appunti, schemi e resoconti dei corsi universitari, acquistate dalla biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria nel 1986 (data posteriore a buona parte degli studi che hanno affrontato i temi di cui qui si tratta)9; al carteggio integralmente ricostruito da S. Miccolis (Labriola 2000-2006) e che rende di fatto superato l’epistolario pubblicato in tre volumi nel 1983; alle nuove letture del pensiero labrioliano10; il tutto da porre in relazione con il progetto, avviato nel 2004, di una Edizione Nazionale delle Opere di Labriola11. L’esigenza di una ricognizione dell’intera riflessione labrioliana richiede a sua volta, da un punto di vista metodologico, l’esame di tutta la produzione scritta a lui riferibile: scritti destinati alla stampa nelle varie edizioni, articoli di giornale, corrispondenze, recensioni, interventi pubblici, testi e resoconti di conferenze, tracce e schemi per i corsi universitari, appunti di vario genere, nonché un carteggio che negli ultimi anni acquista una ampiezza e una rilevanza davvero notevoli12; certo rimanendo ben consapevoli delle diverse destinazioni ipotizzate da Labriola per gli scritti e dunque della differenza di obiettivi, forme e linguaggio, e consapevoli del rischio derivante da un “appiattimento” indistinto del materiale13. “La lettura convergente del Carteggio e degli appunti ancora inediti – è stato sottolineato anche di recente – arricchirebbe percorsi di ricerca già noti e contribuirebbe ad alimentare il dibattito sulle fasi e gli sviluppi del pensiero del Cassinate” (Bondì 2007, 361). La necessità di un approccio di questo tipo si comprende anche alla luce delle caratteristiche del pensatore – tendenzialmente restio a pubblicare volumi, e maggiormente a proprio agio nell’insegnamento e negli interventi pubblici e privati (Dal Pane 1975; Garin 1983) – nonché della impossibilità di separare nettamente il teorico dal militante, il politico dal filosofo ribadita da molti studiosi; sarebbe dunque limitante considerare solamente gli scritti esplicitamente destinati alla pubblicazione.

Alcune direzioni di ricerca

Se ovviamente il marxismo di Labriola si innesta, e non potrebbe essere altrimenti, sulle sue riflessioni precedenti, che certamente contribuiscono alla particolare “curvatura” da lui data, tuttavia la portata del passaggio non può essere sottovalutata e fino a un certo punto esso in effetti rappresenta un “salto”, sebbene non improvviso come nella ben nota interpretazione crociana. Da marxista, né ovviamente la direzione dall’alto della classe dirigente illuminata, né il binomio educazione alla democrazia-scuola popolare possono più essere il punto di riferimento per le sue riflessioni sulla formazione dell’uomo come essere sociale consapevole. La ricerca fin qui svolta ha tuttavia da un lato constatato la continua centralità del problema, dall’altro individuato due linee fondamentali di analisi, che qui non possono essere presentate se non in forma di “note”, in quanto in fase di definizione ed elaborazione.

A un primo livello teorico – che trova nei Saggi (Labriola 1965) la sistemazione più compiuta – c’è la messa in discussione, necessaria data l’adesione al marxismo, delle stesse condizioni di pensabilità del problema della formazione e della perfettibilità dell’uomo, nel momento in cui cadono le residue speranze in una pedagogia “individualistica e soggettiva” (ibid., 128), in una scuola, in qualunque processo educativo che pretenda di astrarre dalle condizioni materiali in cui si svolgono i processi di produzione e riproduzione della società, e dunque dalle contraddizioni di classe che ne costituiscono l’essenza. Il superamento di tali contraddizioni per via rivoluzionaria, entro un processo di transizione al socialismo che viene in un punto definito “governo tecnico e pedagogico dell’intelligenza” (ibid., p. 117) – appare ora a Labriola il passaggio ineludibile per costruire la possibilità sostanziale, e non solo formale, di uno sviluppo integrale dell’uomo sociale. Il rapporto educazione-politica si lega ora intrinsecamente alla concezione materialistica della storia, e alla filosofia della praxis che ne costituisce il “midollo”: contro tutte le visioni ideologiche, proficuamente esaminate e criticate nei Saggi, al centro del processo storico di evoluzione umana – che Labriola definisce “formazione integrale dell’uomo, per entro allo sviluppo storico” (ibid., 77) – è ora il lavoro sociale; ne deriva l’apprezzamento delle “attitudini mentali e operative degli individui quali creazioni proporzionali e proporzionate alle sue variazioni” (Bondì 201914)15.,, alle forme antagonistiche in esso trova forma nel divenire storico. Il materialismo storico di Marx ed Engels è inteso da Labriola nel triplice aspetto “di tendenza filosofica nella veduta generale della vita e del mondo, di critica dell’economia […] e di interpretazione della politica, e soprattutto di quella che occorre e giova alla direzione del movimento operaio verso il socialismo” (Labriola 1965, 189-190).

Quest’ultimo riferimento ad una lettura della politica che sia funzionale alla “direzione” del movimento operaio verso il socialismo ci conduce al secondo livello di analisi, che è strettamente connesso e anzi logicamente conseguente dal primo; cioè a dire il problema della formazione del soggetto politico rivoluzionario in grado di svolgere questa funzione. Problema che è insieme politico e pedagogico, in quanto costruzione, formazione della consapevolezza delle leggi di movimento del divenire storico e la capacità di traduzione in azione politica conseguente, nelle condizioni concrete – che per Labriola è l’essenza della politica rivoluzionaria. Il problema del partito è, da subito, collegato a quello della direzione del proletariato, poiché senza una chiara consapevolezza storica e politica, esso è facile preda da un lato dello spontaneismo e dall’altro, scrive a Engels, degli “artifizii demagogici degli Aftersozialisten” (Labriola 2000-2006, III, 120), gli pseudo-socialisti. Si capisce che su questo piano si pongono tutta una serie di assi problematici su cui Labriola si misura incessantemente, non senza oscillazioni e ripensamenti16, fino alla morte: necessità storica dell’avvento del socialismo-ruolo della soggettività, partito (e socialisti, e intellettuali)-masse, classe in sé-classe per sé, alto-basso dell’azione politica, direzione-spontaneità, dimensione nazionale-internazionale. Non c’è dubbio, in ogni caso, che la formazione di tale soggetto storico sia al centro della riflessione filosofica e politica di Labriola fino alla morte, e che l’accento posto – eclatante, ad esempio, nello scontro con Turati – sull’autonomia politica e culturale del movimento di classe e sulla funzione della teoria per l’azione rivoluzionaria siano elementi fondamentali di questo lavoro. Come Labriola vada affrontando tali problemi, in ogni caso, è questione che va certamente analizzata diacronicamente, sempre collocando tali riflessioni nel quadro, in rapida evoluzione tra il 1890 e il 1904, di trasformazione del modo di produzione capitalistico e, parallelamente, del movimento operaio europeo e del marxismo (Oldrini 2005; Savorelli 2013); il che non può che confermare l’opportunità di una lettura parallela degli scritti e delle carte.

In conclusione, il rapporto tra educazione e politica nel marxismo di Labriola appare rappresentare un fecondo “angolo visuale” per riflettere da un lato sul pensiero di una figura tanto stimolante quanto scarsamente studiata negli ultimi anni; dall’altro sul tema del rapporto, a tutti i livelli (teorico generale e politico-organizzativo), tra politica ed educazione nella storia del marxismo e del movimento dei lavoratori.

1 È sovente impresa ardua identificare al di là di ogni ragionevole dubbio quali articoli, non di rado non firmati, siano effettivamente del giovane Labriola. È parso opportuno prendere in esame – in coerenza con le indicazioni metodologiche fornite dalla critica (Miccolis 1988, 1996; Savorelli, Miccolis 2010), e con i criteri adottati per l’Edizione nazionale delle Opere e in particolare per l’ultimo volume che raccoglie le recensioni (Aa.Vv. 2009; Labriola 2018) – solamente gli articoli su cui esiste una ragionevole certezza in merito all’attribuzione all’autore; sebbene vada aggiunto che molti degli articoli sulla cui paternità labrioliana esistono solamente buone probabilità non spostano i termini generali delle posizioni politiche di Labriola a quest’altezza. Una disamina definitiva degli articoli labrioliani, che era certamente nei piani di S. Miccolis prima della morte improvvisa, è in ogni caso ancora di là da venire.

2 Del resto, è in Labriola costante – e decisivo anche per il suo marxismo – il rifiuto di ogni visione lineare della storia a disegno, secondo un piano.

3 Formare un popolo consapevole, che si riconosca realmente, sia collettivamente che a livello dei singoli individui, nello Stato appena costituito, che ne avverta la necessità, è il problema che si pone concretamente davanti a lui in tutta la sua portata e con tutte le difficoltà e contraddizioni che può osservare anche empiricamente; del resto, la psicologia dei popoli nasce in Germania proprio a partire da esigenze simili (Meschiari 1999, 18). Ciò in ogni caso si presenta come integrazione di una concezione dello Stato che è di chiara impostazione hegeliana e che Labriola non metterà immediatamente in discussione: fino ai primi anni Ottanta, come Miccolis ha mostrato molto chiaramente, “il cardine della riflessione politica di Labriola è l’idea ‘della funzione preminentemente pedagogica dello Stato’ entro una prospettiva d’interpretazione della società sostanzialmente organicistica” (Bondì 2007, 361). È solo che, attento osservatore dei problemi concreti, non può credere che tale intima convinzione (collettiva e individuale) si formi spontaneamente, e necessariamente; gli sembra inevitabile partire da quei soggetti che hanno già raggiunto la consapevolezza; gli si apre dunque davanti un ampio terreno di ricerca da un lato per una pedagogia nel processo educativo del singolo fanciullo, dall’altro e più in generale per una concezione della politica strettamente legata proprio alla pedagogia, come “educazione affidata ai migliori” (Centi 1988, 65) sul piano sociale.

4 La letteratura ha già mostrato in modo decisamente convincente, infatti, come la “svolta” labrioliana verso posizioni radicaleggianti non possa essere collocata troppo presto, come volevano alcune delle prime interpretazioni del suo pensiero; essa va ora probabilmente collocata intorno al 1883-1884, come mostrano anche alcune importanti recensioni (Miccolis 1988, 1996; Labriola 2018).

5 Passaggio preparato nel 1889 con il travagliato e ancora confuso abbandono della prospettiva interclassista – nel Del socialismo (Labriola 1970, 170) si rivolge direttamente al proletariato e non auspica più un generico moto di opinione pubblica; distingue ormai tra rivoluzione socialista e rivoluzione borghese; non ha ancora sciolto, tuttavia, nodi teorici decisivi (cfr. Gerratana 1970).

6 Si tratta de In memoria del Manifesto dei comunisti (1895), Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare (1896), e Discorrendo di socialismo e filosofia (1897), inclusi in diverse raccolte tra cui Labriola (1965).

7 In uno studio importante ancorché in seguito scarsamente ripreso dagli studiosi di Labriola, G. Trebisacce (1979), senza esaminare per scelta consapevole il pensiero pre-marxista, ha teorizzato la concezione educativa del Labriola marxista nei termini di praxis rivoluzionaria, ciò che, a suo giudizio, pone il Cassinate in posizione di rottura rispetto al marxismo della Seconda Internazionale; giudizio ripreso da Marino (1990). All’opposto V. Orsomarso (2015), sviluppando una linea di pensiero proposta negli anni da Mastroianni e Siciliani de Cumis (ma anche apparentemente suffragata dal ben noto commento di Gramsci in merito alla “educazione del papuano” – 1975, 1366) ha evidenziato i limiti di fondo della concezione educativa di Labriola, accusata di fermarsi a un livello di pura “accomodazione sociale” che scarso o nessuno spazio concederebbe alle possibilità effettive di intervento nella realtà da parte dei soggetti sociali. Tale nodo, che parrebbe ancora tutto da sciogliere, risulta assolutamente centrale per comprendere il pensiero di Labriola, anche rispetto alle posizioni da lui assunte in merito alla questione del colonialismo e più in generale rispetto alle possibilità di sviluppo del socialismo e di azione della soggettività rivoluzionaria.

8 A titolo di esempio: cosa rimane dell’avversione al “mito” dello spontaneismo educativo che caratterizza la sua prima riflessione degli anni Settanta? Come si ridefinisce la questione della “autoeducazione” legata al decentramento e all’autogoverno propria della fase democratica? Cosa ne è della scuola popolare, tema cui Labriola dedica una conferenza nel 1888, che sarebbe impensabile – in quei termini – solo due anni più tardi? Si modifica suo atteggiamento verso l’università e la scienza? In che modo il rapporto tra educazione e politica viene ripensato alla luce degli slittamenti che, per toccare alcuni nodi problematici di fondo, conoscono le sue concezioni dello Stato, della storia, del socialismo? Non si tratta, come si vede, di occuparsi “semplicemente” di scuola o pedagogia, quanto di esaminare i modi in cui problemi in senso lato educativi vengono di volta in volta affrontati nel suo pensiero politico e filosofico, proprio prendendo le mosse dalla constatazione della loro apparente “sparizione” nel periodo marxista.

9 Le consultazioni delle carte fin qui eseguite confermano trattarsi di materiale importante, anche per esaminare le modifiche nell’impostazione e nei contenuti subite dai corsi di pedagogia tra gli anni Ottanta e Novanta. In particolare, alla ricerca di continuità e discontinuità parallele alla maturazione del suo pensiero, sono in fase di studio gli appunti per i corsi universitari di Filosofia morale e Pedagogia raccolti nei faldoni 13, 14, 15, 16, 16bis, 17; e alcuni fascicoli specifici nei faldoni 18, 21, 22, 24 e 29. Si ringrazia A. Savorelli per i preziosissimi consigli al riguardo. Per un regesto dettagliato delle Carte Labriola, si veda Aa.Vv. (2009).

10 Si fa riferimento in particolare agli atti di alcuni importanti convegni svoltisi a partire dagli anni Ottanta: Burgio (2005); Labica, Texier (1985); Punzo (1996, 2006); Sbarberi (1988); ma vedi anche gli importanti lavori di D. Bondì sulla storia, in particolare Bondì (2013).

11 Per quanto riguarda i criteri filologici e il piano dell’opera, si vedano le pagine curate da A. Savorelli e dal Comitato scientifico costituito per portare avanti il progetto, in Aa.Vv. 2009. Fino a questo momento sono stati pubblicati tre dei 13 volumi previsti (Labriola 2012, 2015, 2018). Del piano fanno parte anche i Quaderni (Aa.Vv. 2009; Savorelli, Miccolis 2010), nonché i cinque volumi del carteggio (Labriola 2000-2006).

12 Che in questi anni intrattiene con molte delle maggiori personalità del movimento socialista internazionale, tra cui Engels, Kautsky, Liebknecht, Babel, Ellenbogen, Lafargue, Guesde, Turati.

13 Se questo equilibrio è mantenuto, la necessità di un esame della totalità degli scritti labrioliani non sembra entrare in contraddizione con il monito di Gerratana (1973) a non sottovalutare la centralità dei Saggi.

14 Ringrazio Davide Bondì per avere gentilmente messo a mia disposizione il lavoro, che è in corso di pubblicazione (v. bibliografia finale).

15 Creando il cosiddetto “terreno artificiale”. Scrive:“L’uomo ha fatto la sua storia, non per metaforica evoluzione, né per correr su la linea di un presegnato progresso. L’ha fatta, creandone a se stesso le condizioni; cioè formando a sé stesso, mediante il lavoro, un ambiente artificiale, e sviluppando successivamente le attitudini tecniche, e accumulando e trasformando i prodotti della operosità sua, per entro a tale ambiente” (Labriola 1965, 47).

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Biografia

Massimo Gabella

Dottorando in Scienze Storiche presso la Scuola Superiore di Studi Storici dell’Università di San Marino, sta svolgendo una ricerca sul rapporto tra educazione e politica nel pensiero di Antonio Labriola, sotto la supervisione del prof. S. Cingari. Si interessa, più in generale, delle modalità con cui il marxismo e il movimento dei lavoratori hanno storicamente affrontato le questioni della formazione in una accezione larga, storico-politica. È stato borsista dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli in occasione di diversi cicli seminariali. Ha presentato interventi a convegni e scritto articoli e capitoli di libri su Labriola, Gramsci e Che Guevara.