di Giacomo Parrinello
Tra le pagine di storia dell’Italia repubblicana, il disastro di Seveso del 1976 ha un posto particolare. La vicenda di Seveso, infatti, risulta poco conosciuta e poco considerata nelle grandi ricostruzioni storiche, le quali per gli anni Settanta sono già fin troppo fitte di eventi d’altra natura e finiscono quasi sempre per dedicare a Seveso un ruolo decisamente marginale. Eppure, se riletto alla luce del complesso rapporto tra attività antropiche ed ecosistemi che sta al cuore dei nuovi interrogativi della storia ambientale, quel disastro assume una notevole rilevanza, ponendosi allo snodo di cambiamenti decisivi per la storia di lungo periodo del nostro Paese. Si trattò, infatti, del più grave disastro industriale della storia d’Italia, segno rivelatore di un’inedita condizione di rischio ambientale che interessava grandi parti del Paese e, dunque, indicatore inequivocabile di un’avvenuta trasformazione materiale di portata epocale.
Il volume di Bruno Ziglioli, La mina vagante: il disastro di Seveso e la solidarietà nazionale, edito da Franco Angeli nel 2010, ha il merito di restituire a questo evento la rilevanza che merita nella storia dell’Italia repubblicana, ponendolo al centro di una rigorosa indagine storica. Come rivela il sottotitolo del volume, quest’operazione storiografica è condotta da un preciso punto prospettico: Ziglioli concentra i suoi sforzi nel tentativo di connettere quell’evento con le vicende e le dinamiche politiche sulle quali più si è soffermata l’attenzione degli storici dell’Italia degli anni Settanta. La vicenda della nube tossica sprigionatasi dalla fabbrica chimica Icmesa il 10 luglio del 1976, infatti, è in gran parte ricondotta ai suoi legami e ai suoi effetti sul quadro politico segnato dall’esperimento della “solidarietà nazionale”.
Ciò diviene possibile attraverso la lente di un corpus di fonti molto specifico: la documentazione prodotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta, costituita a più di un anno dal disastro con lo scopo di far luce sulle responsabilità e proporre indicazioni per il futuro. Tali carte, conservate presso l’Archivio storico della Camera dei deputati, sono state esaminate da Ziglioli con encomiabile acribia, alla ricerca di un quadro quanto più possibile chiaro ed esaustivo del funzionamento di tale organo istituzionale, del percorso da esso compiuto e dei risultati ottenuti. Attraverso audizioni di pubblici amministratori, funzionari, tecnici, sindacalisti, relazioni e verbali, l’autore ci introduce all’interno della Commissione, svelandone i meccanismi interni, le contraddizioni e i conflitti, così come la razionalità politica che ne guidò il lavoro. Questo corpus di fonti inedite è certamente il più grande punto di forza del libro, che con coerenza persegue il proprio obiettivo argomentativo senza prodursi in riproposizioni di elementi già noti grazie a studi precedenti.
Le fonti prodotte e raccolte dalla Commissione parlamentare sono la chiave di volta di un’efficace strategia storiografica: la focalizzazione sull’evento storico puntuale come chiave metodologica per accedere al quadro ampio della congiuntura nazionale. In un contesto segnato da una generale “frammentazione” – categoria che Ziglioli propone come “parola chiave del decennio” 1970 – il disastro di Seveso diventa un importante terreno di verifica. Quell’evento, infatti, vide intrecciarsi alcune delle questioni più importanti sulle quali forze politiche e sociali si misuravano in quegli anni: il terrorismo diffuso, l’aborto, i problemi ambientali, i complicati rapporti tra organi centrali e periferici dell’amministrazione pubblica, i movimenti sociali. Nella Commissione, le forze politiche parlamentari dovettero confrontarsi con tali questioni in un momento cruciale della definizione della “solidarietà nazionale”, ragion per la quale la Commissione stessa finisce per essere una vera e propria cartina di tornasole di tale esperimento politico.
La gestione dei lavori della Commissione parlamentare e dei suoi risultati, così, permette di verificare i margini di convergenza tra le due principali forze animatrici della “solidarietà nazionale”, la Dc e il Pci, ma anche e soprattutto i limiti di quel tentativo. In nome della composizione delle differenze, la Commissione scelse di non pronunciarsi sui più spinosi nodi proposti dal disastro, come l’aborto terapeutico e le tecniche di bonifica, finendo inoltre per marginalizzare forze, voci e posizioni pure importanti e attive nello scenario politico e sociale di quegli anni. Il risultato fu una relazione votata all’unanimità, che però sembra non essere riuscita a cogliere appieno l’occasione offerta dal drammatico evento per una ridefinizione delle politiche pubbliche in materia di inquinamento industriale e di gestione delle emergenze.
Nonostante il chiaro indirizzo argomentativo del testo, focalizzato sul rapporto tra evento e congiuntura nazionale, attraverso la lente peculiare della Commissione parlamentare emergono con altrettanta forza temi di diverso momento. Grazie anche alla natura della documentazione riportata da Ziglioli, l’intera vicenda diviene specchio non solo dei limiti della solidarietà nazionale, ma anche di una sostanziale impreparazione dell’intero sistema politico e dei suoi esponenti di fronte alla nuova realtà industriale del Paese. La grande trasformazione che attraverso il “miracolo economico” spinse l’Italia al vertice del mondo industriale, ne modificò anche il volto in profondità, consegnando un paesaggio industriale senza precedenti. Un paesaggio carico di rischi nuovi, di cui Seveso fu forse la più eclatante e drammatica manifestazione. La risposta del sistema politico al disastro di Seveso rivelò una sostanziale impreparazione, quando non una vera e propria inconsapevolezza, di fronte ai rischi e alle responsabilità che questa mutazione portava con sé: l’amministrazione pubblica, a ogni livello, non aveva le conoscenze necessarie ad affrontare il fenomeno, mancavano efficaci sistemi di controllo, e le convenienze economiche spesso erano l’unico criterio di normazione pubblica della materia, specie al livello delle amministrazioni locali.
Ciò che autorevoli studiosi come Simone Neri Serneri e Salvatore Adorno (Il Mulino, 2009) hanno solidamente inquadrato sul piano nazionale e per l’intera seconda metà del secolo, insomma, sembra emergere in questa vicenda con i più nitidi tratti del caso di studio. Per quanto un impetuoso sviluppo avesse già mutato gli assetti ambientali del Paese, il sistema politico era ancora lontano dall’averne assunte le conseguenze, ripensando il quadro legislativo e la struttura amministrativa alla luce del nuovo scenario. Da questo punto di vista, è assai impressionante misurare il contrasto tra la celere recezione legislativa del disastro di Seveso sul piano europeo, e il ben più lungo periodo impiegato dall’Italia per accogliere quella stessa direttiva comunitaria.
Il lavoro di Ziglioli, così, pur leggendo la vicenda di Seveso sotto la chiave della congiuntura politica, s’inserisce in un contesto storiografico dinamico e in evoluzione, al quale apporta un importante contributo di conoscenza, fondato su una solida e inedita base documentale e un accurato esame delle fonti. Resta forse l’impressione che su alcuni dei nodi problematici sollevati nel corso della narrazione, così rilevanti per l’intera vicenda esaminata, le conclusioni di Ziglioli non siano così approfondite come si poteva sperare, limitandosi, di fatto, a una pur articolata disamina dei risultati della Commissione. Ad ogni modo, il lettore è messo al corrente d’informazioni e documenti in modo da non depotenziarne l’autonoma capacità di giudizio, e si tratta un merito storiografico indiscutibile.
Di sicuro, questo studio conferma le potenzialità della ricerca storica dei disastri, siano essi di origine naturale o tecnologica. Proprio perché precisamente localizzati nel tempo e nello spazio, questi eventi possono essere rivelatori altrettanto precisi di dinamiche profonde, crocevia di problemi storici di grande momento. Inoltre, proprio la natura ‘eccezionale’ di questo tipo di eventi fa sì che siano riccamente documentati. Per una disciplina come la storia, che nel rapporto strettissimo con le fonti ha uno dei suoi cardini, si tratta di una condizione favorevole da non sottovalutare. Insomma, come ben dimostrato da questo volume di Bruno Ziglioli, la ricerca storica sui disastri si conferma un terreno di ricerca assai promettente, sul quale sicuramente sarà utile continuare a lavorare nei prossimi anni.