di Alfredo Mignini
W l’anarchia! non si limita a presentare il pensiero di un autore della lunga tradizione del movimento operaio, ma ci propone una rapida antologia di quattro “grandi” dell’anarchismo italiano: Cafiero, Malatesta, Gori e Fabbri. La scelta è felice non tanto perché rende finalmente disponibili opere di difficile reperimento – tale è infatti solo la prima, su cui bisognerà soffermarsi – quanto perché presenta riflessioni che abbracciano, su un arco cronologico in verità non molto esteso (appena un ventennio), due generazioni di militanti e due Internazionali, con tutto ciò che la cosa comporta in termini di elaborazione teorica, affinamento delle pratiche, nonché di accresciuta importanza del movimento libertario. L’idea di restituire in questa collana di Gwynplaine un quadro d’insieme di indubbia ricchezza attraverso opere il più delle volte secondarie, ma nondimeno preziose, si sposa qui col percorso di letture proposto dal curatore, che fornisce, nella pur troppo breve prefazione, un’indicazione interpretativa piuttosto precisa che rende da subito chiaro il nesso che lega i testi.
La dimensione processuale e cangiante del programma anarchico è quella che si vuole maggiormente valorizzare nel presentare testi con più di un secolo di vita. Contro le rigidità teoriche e il fatalismo che ha informato di sé tanta parte delle propagande e della retoriche rivoluzionarie del Novecento, Senta vuole sottolineare il «carattere potenzialmente infinito dell’azione anarchica e dei processi rivoluzionari» (p. 9) che emerge in maniere diverse nel dispiegarsi dei quattro ragionamenti, tutti comunque intenti ad esporre le ragioni dell’anarchismo ad un pubblico più vasto possibile. Se tuttavia è vero che talvolta essi lasciano intuire di avere in mente una «società conflittuale e suscettibile di ulteriori trasformazioni» (Ibid.), numerosi passaggi denunciano il più delle volte una concezione estremamente lineare dell’evoluzione storica delle società umane e si abbandonano a considerazioni eccessivamente avveniristiche degli esiti necessari di un momento di lotta specifico, che essi si trovano a vivere da militanti. Tutto ciò – di cui Senta è chiaramente consapevole – non può che approfondire la distanza percepita da chi legge queste pagine oggi, chiamandoci a una riflessione più profonda e – seguendo l’invito malatestiano di «considerare l’anarchia come un metodo» (p. 110) – a filtrare i contenuti proposti tramite una lente politicamente ben attrezzata. Ma in altre sedi, più adatte di questa, si deve raccogliere l’invito a una discussione di questo tipo e spero sinceramente ce ne siano di adeguate in abbondanza.
Più interessante è qui invece evidenziare alcuni limiti della pubblicazione, che lasceranno senz’altro chi s’intende di queste cose in parte con la sensazione di aver sciupato un’occasione. Analizzati da un punto di vista filologico – pur nell’unica maniera che era accessibile alle mie capacità di assoluto principiante – il volume presenta in più parti alcune debolezze. Il primo scritto è quello più raro e pertanto problematico. Lasciamolo dunque da parte ancora per un momento. I restanti sono facilmente recuperabili, anche online. L’Anarchia di Malatesta è senza dubbio il più noto, che ha avuto, dalla sua prima apparizione su «La Questione sociale» nel 1884, numerose riedizioni, ormai anche digitali. Le basi morali dell’anarchia di Gori e L’ideale anarchico di Fabbri, invece, sono già più problematici, in quanto non è stato possibile – almeno a me – ritrovare gli originali a stampa e verificare alcuni errori di digitalizzazione che sono passati anche nel volume di Senta.1 Lo scritto di Gori, ci informa il curatore, è stato pubblicato per la prima volta a Buenos Aires nel 1900, ma la versione che conosciamo2 è quella, più giovane di quattro anni, uscita per i tipi del teatino Camillo Di Sciullo, come estratto dal giornale anconetano «L’Agitazione». Per Fabbri, invece, le poche informazioni vengono dalle righe scritte dall’autore in prefazione all’edizione del 1911, quando “La Scuola Moderna” di Bologna ottiene da Fabbri il permesso di ridare alle stampe il suo intervento, nato per essere letto in «un’adunata clandestina tenuta la notte del 18 marzo 1896»3 (anniversario della Comune) a Fabriano, di fronte ad un salone gremito di operai. A incipit di queste poche righe – è importante notarlo per l’indicazione interpretativa fornita da Senta – lo stesso Fabbri ci tiene ad «avvertire che [lo scritto] risale a molti anni addietro […] quando in me c’era ancora la pura ed ingenua fede del neofita […] insieme ad una certa imprecisione di vedute».4
La più datata fra le opere proposte da Senta è forse anche la più interessante, e per quanto attiene al suo contenuto e per la sua storia editoriale. Secondo Pier Carlo Masini, uno dei più importanti studiosi della prima generazione di anarchici italiani,5 Rivoluzione di Cafiero è «il primo consistente e organico elaborato teorico dell’anarchismo italiano [e] il punto d’approdo di dieci anni di dibattiti politici».6 Sono gli anni in cui Cafiero divenne uno dei più noti militanti anarchici, una volta maturato il suo distacco da Engels (e Marx) e avvicinatosi alle posizioni di Bakunin insieme alla Federazione Italiana dell’Internazionale e quindi dell’Internazionale anti-autoritaria nata a Saint Imier nel ’72. La sua penna, negli anni Settanta, è prolifica e si moltiplicano a vista d’occhio articoli, interventi e discorsi, sempre apparentemente staccati l’uno dall’altro. Esattamente un secolo dopo Saint Imier, abbiamo avuto certezza documentaria7 che, al contrario, l’anarchico pugliese stava ultimando un’opera intitolata Rivoluzione, riorganizzata in quattro capitoli sulla base di materiale già parzialmente pubblicato. Allo scritto omonimo, apparso sul parigino «La Révolution sociale» (febbraio-luglio 1881),8 oltre ad una quarta parte da scrivere ex novo ma rimasta incompiuta,9 egli aveva aggiunto un suo noto discorso – intitolato Anarchie et communisme e tenuto al congresso della Federazione Giurassiana (Chaux-de-Fonds, autunno 1880) – e una rielaborazione dell’articolo L’action, tutti pezzi già pubblicati dal periodico di Ginevra «Le Révolté» (novembre-dicembre 1880).
Il pregio di questa nuova pubblicazione è senz’altro quello di mettere insieme i vari frammenti di questo importante scritto, per la prima volta. Ma due sono i limiti che essa sconta. Il primo è aver lasciato cadere quei «due lunghi passi di Bakunin e di Pisacane»10 che stavano ad introduzione del terzo capitolo e che Maffei nel 1972 ha ritenuto non «essenziale» rendere noto. Il secondo, infine, oltre a non aver dato nota di questa travagliata e interessante storia editoriale, che avrebbe spiegato l’anticipazione della quarta parte che Cafiero fa in chiusura della terza, è che le varie parti del testo proposto da Senta risentono di un ulteriore difetto, se pur minimo: il primo e parte del secondo capitolo vengono dalla versione francese tradotta da Bosio (1970), mentre la fine del secondo e il terzo (mutilato delle citazioni iniziali) sono nell’italiano di Cafiero, così come trovato da Maffei nel dossier a lui dedicato. Riprendendo quel fascicolo e trascrivendo anche la prima parte nella sua prosa, si sarebbe potuto rendere al sovversivo “figlio del sole” un ultimo rispettoso omaggio.
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- Mi sono dunque rifatto alle edizioni digitali distribuite nell’ambito del Progetto Manuzio a cura dell’associazione culturale Liber Liber, http://www.liberliber.it/progetti/manuzio/ (ultima consultazione: 10 gennaio 2013). [↩]
- Cfr. P. Gori, Le basi morale dell’anarchia, disponibile online su <http://www.liberliber.it/mediateca/libri/g/ gori/le_basi_morali_dell_anarchia/pdf/gori_le_basi_morali.pdf> (ultima consultazione: 10 gennaio 2013). [↩]
- L. Fabbri in prefazione al suo L’ideale anarchico, Bologna, Libreria Editrice La Scuola Moderna, 1911; disponibile online su <http://www.liberliber.it/mediateca/libri/f/fabbri/l_ideale_anarchico/pdf/fabbri_l_ideale_anarchico.pdf> (ultima consultazione: 10 gennaio 2013). [↩]
- Ibid. [↩]
- Sull’importanza del «metodo biografico» e delle generazioni portata avanti da Senta, insieme a Carlo De Maria, cfr. il resoconto del primo appuntamento del seminario di studi Metodi e temi della storiografia sull’anarchismo fatto da Elena Bignami in «E-Review», n. 1/2013, disponibile online su <http://e-review.it/bignami-metodi-e-temi-della-storiografia-sull-anarchismo> (ultima consultazione: 10 gennaio 2013). [↩]
- P. C. Masini in presentazione a G. C. Maffei (a cura di), Dossier Cafiero, Bergamo, Biblioteca “Max Nettlau”, 1972, p. 9. [↩]
- Grazie al lavoro citato di Maffei, da cui anche il testo usato da Senta, che ha ritrovato nel Bundesarchiv di Berna il “bottino” di una copiosa perquisizione del 1881 ad opera della polizia svizzera nella residenza luganese di Cafiero. [↩]
- Che noi conosciamo nelle versioni curate da Gianni Bosio fra il 1968 (in lingua originale; Milano, Edizioni del Gallo) e il 1970 (tradotto in italiano; Roma, Samonà e Savelli, a cui si rifà Senta), cfr. C. Cafiero, La rivoluzione per la rivoluzione. Raccolta di scritti a cura e con introduzione di Gianni Bosio (senza l’articolo nell’edizione 1970). [↩]
- È senz’altro frutto di un equivoco, dunque, quanto afferma Richard Drake in Apostles and Agitators. Italy’s Marxist Revolutionary Tradition, Cambridge-London, Harvard University Press, 2003, p. 49 (trad. it. Apostoli e agitatori. La tradizione rivoluzionaria marxista in Italia, Firenze, Le Lettere, 2008, p. 69), secondo cui Maffei avrebbe pubblicato «l’allora sconosciuta parte 4», così come è sbagliato il titolo attribuito (Sulla rivoluzione). Dopo la perquisizione, infatti, Cafiero – privato del suo materiale di lavoro – non sembra aver rimesso mano, per quel che se ne sa oggi, alla sistemazione di quest’opera. [↩]
- G. C. Maffei (a cura di), Dossier Cafiero, cit., p. 24. [↩]