di Oscar Gaspari
Il volume, alla cui pubblicazione ha partecipato Clionet-Associazione di ricerca storica e promozione culturale (www.clionet.it), raccoglie la rielaborazione degli interventi svolti nel convegno Bologna Futuro: socialità, sviluppo uguaglianza. Il “modello emiliano” alla sfida del XXI secolo, tenutosi il 4 dicembre 2010 nella Sala Farnese di Palazzo d’Accursio a Bologna.
Genesi e obiettivo dell’iniziativa sono descritti brevemente nella Presentazione di Andrea Marchi, presidente dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna (Isrebo) che ha promosso il convegno con la rivista “Una città”, mensile di interviste” (www.unacitta.it), in collaborazione con la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna e il patrocinio del Comune di Bologna. Marchi, in sintesi, propone di partire dalla ricerca storica per capire come si è formato, cosa è stato e – se esiste ancora – cos’è il “modello emiliano”, allo scopo di definirne una possibile eredità, da utilizzare per contribuire a superare quella crisi dei partiti e della politica che da anni scuote l’Emilia e l’Italia stessa.
A porre i primi paletti è uno storico e, politico, come Renato Zangheri che scrive senza mezzi termini: “l’assunzione di un ‘modello emiliano’ è, a mio parere, intellettualmente e politicamente discutibile”, ma conclude definendo egli stesso un elemento caratteristico del “modello” del quale è sicuramente stato un protagonista: “quello della partecipazione come paradigma dell’opera politica e amministrativa […] che in parte è ancora oggi da riscoprire”.
Nel suo ampio saggio introduttivo, Il “modello emiliano”: una prospettiva storica, Carlo De Maria definisce, ampliandoli, confini e obiettivi della ricerca storica. Innanzitutto i confini temporali, dal Risorgimento a oggi; quelli geografici, tutta la regione Emilia-Romagna, e le prospettive di ricerca, politico-amministrativa e socio-economica. In sintesi, tutta la regione andrebbe intesa come un laboratorio affermatosi alla fine dell’800 e sviluppatosi fino agli anni ’70 del ’900, un laboratorio nel quale il Pci, pur protagonista del governo locale, era in grado di far propri principi e idee di partiti e personalità diversi come, ad esempio, del democristiano Giuseppe Dossetti. De Maria conclude sostenendo che il successo delle amministrazioni locali, basato in particolare sulla partecipazione popolare e la promozione del welfare, ha iniziato a venir meno nel corso degli anni ’80, insieme al declinare della funzione di programmazione, che aveva assunto in regione alcune importanti peculiarità all’insegna del decentramento. È di un “nuovo inizio” quello di cui avrebbe bisogno il “modello emiliano” e la ricerca storica, conclude De Maria, è pronta a dare il suo contributo.
Nel breve saggio, Alleanze sociali e rapporti politici nel “modello emiliano” storico. I mutamenti dell’ultimo quarto di secolo, Fausto Anderlini identifica gli elementi costitutivi del modello classico, quello compreso tra la fine degli anni ’50 e la fine degli anni ’70 del ’900: il sistema delle piccole imprese, il capitalismo popolare cooperativo, il welfare locale, la concertazione tra le parti sociali e, infine, il partito politico. Anderlini individua quindi l’elemento decisivo della “dissolvenza” del modello nella fine della “funzione integrativa del partito politico” esercitata in particolare dal Pci, insieme alla mutazione socio-demografica della regione.
Nell’articolo Sviluppo locale e meccanismi di rigenerazione delle competenze, Margherita Russo, dopo un accenno alla genesi della scoperta del “modello emiliano” da parte degli studiosi, segnala alcuni elementi peculiari della crisi regionale attuale, quali sono la rete di relazione nelle imprese e l’istruzione.
Il volume prosegue con due interventi relativi al sistema industriale regionale. Vera Zamagni, ne Il movimento cooperativo emiliano-romagnolo: ruolo e identità, identifica nel doppio significato socio-politico ed economico della cooperazione – di cui è la prima e principale studiosa – un elemento fondamentale e specifico dell’attuale realtà regionale. Tito Menzani nel saggio Progetti e ingranaggi. Il packaging e la meccanica strumentale nella storia di Bologna e dell’Emilia-Romagna, approfondisce uno specifico aspetto della capacità imprenditoriale propria del “modello emiliano” di cui sintetizza la storia e, anche con alcune tabelle, analizza i recenti successi del settore: “uno dei più dinamici, in grado di confrontarsi con la competizione internazionale”.
Seguono, quindi, altri due saggi dedicati al welfare regionale. Matteo Troilo, ne La regione Emilia-Romagna e il welfare state dagli anni 70 a oggi, evidenzia l’importanza del welfare locale nella storia regionale, iniziata con l’intervento dei comuni e riaffermata, oggi, anche dall’alto livello di spesa della Regione Emilia-Romagna, il maggiore tra le regioni a statuto ordinario. Luca Lambertini, ne I servizi socio-sanitari ed educativi. Storie da ricostruire per cercare risposte alla crisi di oggi, narra delle origini del welfare sviluppato dal “modello Bologna” negli anni ’60 e ’70.
Il testo continua con due riflessioni politico-istituzionali. Nella prima, Tra “modello emiliano” e regione Emilia-Romagna, Walter Vitali, ex sindaco di Bologna dal 1993 al 1999, attualmente senatore del PD, alla luce della recente crisi economica propone una più forte e decisa politica regionale nell’ambito dell’istruzione, specie universitaria. Lo stimolo a questa scelta verrebbe, in particolare, dall’analisi dei risultati delle ultimi elezioni, politiche e locali, che hanno visto la diminuzione dei voti dei partiti del centro-sinistra – storici protagonisti del “modello emiliano” – la crescita di quelli della Lega Nord e l’ascesa del movimento di Grillo. La seconda è di Duccio Campagnoli, Problemi strutturali e rappresentazioni culturali. “Modello emiliano” e modernizzazioni, che descrive il timore di un’involuzione localistica del modello.
Mirco Carrattieri, presidente dell’Istoreco di Reggio Emilia, nel suo saggio Le rappresentazioni culturali del “modello emiliano” riassume brevemente la storia del termine, nato e sviluppato nell’ambito delle scienze sociali, diffuso da politica e pubblicistica, ma studiato solo di recente dagli storici, salvo quelli dell’economia. Carrattieri sollecita per questo l’impegno delle discipline storiche, come fa anche Marzia Maccaferri, nel saggio Ma è esistito davvero un “modello emiliano”? Cenni di un dibattito, dove, l’autrice dopo un breve panorama storico sulla regione e sulla fortuna del termine propone “di mettersi a ‘fare storia’”.
Valerio Romitelli, in Ieri e oggi: ceto medio produttivo e povertà, fa risalire il successo del “modello emiliano” a una congiuntura irripetibile che ha fatto delle città emiliane una sorta di vetrina-laboratorio della capacità dei comunisti di amministrare bene, a partire dal sistema di welfare. Dopo un intervento di Antonio Mugolo intitolato Avvocato di strada. I diritti degli esclusi, sulla storia e le prospettive del progetto omonimo, il libro si conclude con il testo di Thomas Casadei, Trasformazioni sociali, istituzioni e forme di civismo: il “modello emiliano” tra XX e XXI secolo, dove viene analizzato il modello facendo riferimento alla teoria sociale e delle istituzioni. Per gli anni più recenti, quelli della crisi, l’autore esamina l’evoluzione del sistema di welfare e di quello economico, le questioni ambientali e il sistema delle autonomie istituzionali.
Il volume deve essere inteso come il primo passo di un’ambiziosa iniziativa che ha l’obiettivo di definire un approccio storico al “modello emiliano” in vista di una sua ripresa, in particolare, da parte dei protagonisti della scena politico-istituzionale, sia regionale, sia nazionale. Tutto questo rende comprensibili ripetizioni e sensibili disparità tra i testi. L’interesse dell’argomento meriterebbe in primo luogo un ampliamento della partecipazione di studiosi e personalità oltre i confini regionali sulla base però di un progetto meglio definito, in modo da evitare sovrapposizioni, e per evitare approfondimenti di temi specifici interessanti ma isolati dal corpo della ricerca si potrebbe pensare a distinti filoni. Sarebbe poi utile l’esame della possibilità di un confronto internazionale anche per misurarsi con il tema della globalizzazione, se è vero, come recita lo slogan di una grande banca dei Paesi Bassi che “Global growth starts with local expertise”1.
Tutto questo, però, presuppone uno sforzo progettuale e finanziario non limitato al territorio regionale che, forse, in questo momento, sarebbe troppo chiedere a una Regione e una Nazione, la prima colpita dal terremoto, la seconda da una pesante crisi politico-istituzionale ed economica. Va comunque reso merito ai promotori del progetto per aver lanciato la sfida.
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- Dalla pubblicità 2012 di Rabobank. [↩]