di Tito Menzani
Il Novecento italiano è straordinariamente ricco di percorsi biografici e al contempo archivistico-documentari, saldamente connessi alla storia politica e sociale del nostro paese. Questi tragitti non sono ancora stati del tutto esplorati dalla storiografia, nonostante le recenti ricorrenze dell’Unità d’Italia e della prima guerra mondiale abbiano contribuito a più riprese a colmare questa lacuna. E in vari casi si sono avute pubblicazioni valide, spesso di grande interesse e scaturite non da meri intenti celebrativi.
Il volume di Daniele D’Alterio – alla sua seconda pubblicazione con la casa editrice Tangram Edizioni Scientifiche di Trento – è originato dalla volontà di valorizzare il Fondo Ugo Ojetti della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma (Gnamc), e si inserisce senz’altro in questo recente filone. L’autore incentra il suo corposo studio attorno ad alcuni profili d’intellettuali che possono essere considerati minori nel Pantheon novecentesco. Ciò nondimeno il libro di D’Alterio dimostra che non è affatto inutile un focus su queste figure, anche seguendole entro percorsi all’apparenza marginali, nell’intrecciarsi – a volte burrascoso – di rapporti umani e professionali mai disgiunti dalla progressiva e traumatica mutazione d’una determinata sensibilità politico-culturale. Quest’ultima appare un tutt’uno col mutare degli ambienti sociali e delle differenti aree geografiche del paese in cui queste stesse figure ebbero modo d’affermarsi durante la prima metà del Novecento.
La fitta schiera d’intellettuali, più o meno noti, è senz’altro ben rappresentata nel volume di D’Alterio e comprende non solo i nazionalisti di provenienza socialista e sindacalista rivoluzionaria Tomaso Monicelli e Roberto Forges Davanzati – la cui esemplare storia dagli esiti contrapposti, fa in certo modo da title track – bensì un’autentica miriade d’artisti e di letterati, fra cui Cipriano Efisio Oppo, Guelfo Civinini, Luigi Bottazzi, Silvio D’Amico, Umberto Fracchia e simili, i quali interagiscono sempre fra loro in questo libro, specie sul piano archivistico, componendo un mosaico e un reticolo di nessi documentari complessivamente di pregio.
Di tale milieu, l’autore analizza, attraverso una molteplicità d’esperienze particolari che si saldano le une alle altre, quella che a ben vedere è la storia collettiva d’un preciso segmento sociale del nostro paese: dalle origini, in cui si registra una mancata correlazione strategica, di longue durée, di questi ambienti col movimento operaio, fino alla rapida e poi completa erosione di quell’egemonia socialista e progressista che era apparsa una costante della prima età giolittiana. Infatti, il nazionalismo prima e il fascismo poi sarebbero stati capaci di cambiarle segno e colore politico, certo negandola, combattendola ma anche riassorbendola ambiguamente entro le proprie strutture ideologiche, culturali e artistiche.
Dialogando con la storiografia che a più riprese ha affrontato questi temi – per citarne solo alcuni, fra i molti ed illustri, oltre a Mario Isnenghi, i tanti lavori sul movimento nazionalista italiano – D’Alterio in ognuno di questi densi passaggi indica sia le comuni, paradigmatiche origini sindacal-rivoluzionarie di Monicelli e Forges Davanzati sia, su un piano più generale, il legame nient’affatto episodico d’una parte significativa della società italiana e dei ceti colti con l’azione diretta e con le lotte proletarie del primo Novecento. Sono approfonditi anche i momenti successivi – dalla “transizione” degli anni Dieci alla stagione interventista, fino al lungo “inverno” fascista – di opposta natura, in cui gli stessi protagonisti della sovversione sarebbero finiti per trasformarsi in quegli intellettuali funzionari che Mussolini avrebbe portato sugli scudi, ben rappresentati nel libro di D’Alterio dalla parabola del giornalista e burocrate di regime Forges Davanzati.
Una significativa biforcazione rispetto al tragitto di Forges Davanzati, apparentemente obbligato per quella generazione d’intellettuali, dalla “rivoluzione” alla “reazione”, o magari dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo, si riscontra tuttavia nel drammatico – seppur problematico, per certi versi incompiuto – iter esistenziale del nazionalista e poi fascista “imperfetto” Tomaso Monicelli. L’autore lo segue anche nelle vicende più minute, più intime, oltre che nella sua interessante produzione teatrale e letteraria, davvero poco nota. Il percorso monicelliano, infatti, per quanto tortuoso, a tratti patetico, nonché irrisolto proprio sul piano d’un antifascismo costantemente vagheggiato dallo scrittore ostigliese ma sostanzialmente “mancato” in ultima analisi, avrebbe contemplato, nel corso del ventennio, la sua brutale rimozione da direttore de Il Resto del Carlino, quindi un lungo isolamento umano e professionale inflittogli dalla dittatura e conclusosi col suicidio nell’immediato dopoguerra.
Robusto fil rouge capace di legare fra loro queste storie è la figura – prismatica nonché centrale, specie sul piano documentario – di Ugo Ojetti, intellettuale borghese e tradizionale, quasi senza tempo nel suo porsi quale imperturbabile, conformistica architrave dello status quo giornalistico e culturale nostrano. È a questo uomo di potere della cultura italiana – non solo in epoca fascista – che D’Alterio dedica il terzo, conclusivo capitolo del suo libro, che valorizza ulteriormente la folta, stimolante e inedita documentazione posseduta dalla Gnamc. La narrazione incrocia la più ampia vicenda del «Corriere della sera» degli Albertini, e infine l’opaco possibilismo e filofascismo ojettiano sconfina in quella che l’autore definisce la normalizzazione degli intellettuali durante la dittatura.
Una particolare menzione, peraltro, va proprio alla notevole mole documentaria di questo libro, quindi ai molti fondi ed archivi consultati dall’autore, che si è dimostrato piuttosto rigoroso in tal senso: oltre alla onnipresente Gnamc, ricordiamo, fra gli altri, gli archivi privati di Cipriano Efisio Oppo e Attilio Selva, il fondo Silvio D’Amico del Museo-biblioteca dell’attore di Genova e le carte Umberto Fracchia dell’Archivio del Novecento in Liguria; inoltre i molti, differenti segmenti archivistici della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice di Roma – in primis il fondo Attilio Tamaro – nonché quelli del Museo di Villa Torlonia-Archivio della scuola romana, della Fondazione il Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, della Biblioteca nazionale centrale di Roma, infine dell’Archivio storico della Camera dei Deputati, dell’Archivio storico della Siae e della Biblioteca-museo teatrale del Burcardo, sempre a Roma.