di Michele Strazza
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Il 10 giugno del 1924, alle ore 16,30, il deputato socialista Giacomo Matteotti viene rapito in prossimità della propria abitazione romana da uomini della banda Dumini (la cosiddetta “ceka fascista”). Il 16 agosto ne verrà trovato il cadavere, nella macchia della Quartarella, a 23 chilometri da Roma.
L’uomo politico aveva pagato con la vita la denuncia sollevata il 30 maggio alla Camera dei brogli e delle violenze fasciste nelle elezioni politiche di quell’anno.
Il rapimento suscita un forte sdegno in tutt’Italia e l’opposizione antifascista abbandona il parlamento, dando vita all’Aventino.
Tra le voci che si elevarono contro il tragico episodio vi fu quella del giornalista lucano Giuseppe Chiummiento che, senza timori di sorta, volle indirizzare “al Duce Magnifico” 15 lettere pubblicate puntualmente sul proprio giornale, “La Basilicata”, organo antifascista vicino a Francesco Saverio Nitti.
Ma chi era Giuseppe Chiummiento? Nato ad Acerenza, in Basilicata, il 2 luglio 1888, all’età di appena 2 anni rimase orfano venendo allevato dai nonni. Iscrittosi ai corsi di Giurisprudenza dell’Ateneo napoletano, tralasciò gli studi per dedicarsi al giornalismo ed alla politica, diventando presidente di un singolare partito politico meridionale, il Partito lucano d’azione, fondato sul modello del Partito sardo d’azione con il cui leader, Emilio Lussu, mantenne importanti contatti.
Tale formazione politica, espressamente antifascista e con un programma ispirato alla valorizzazione delle autonomie locali, ebbe vita breve, svolgendo la propria attività tra il 1924 e il 1925 quando la scure del regime si abbatté sulle libertà politiche costringendo il Partito lucano d’azione a chiudere i battenti prima dell’irreparabile (Settembrino, Strazza 2006b).
Perseguitato dalla polizia fascista e vistosi nell’impossibilità di esprimere il proprio pensiero sul suo giornale, continuamente sequestrato, Chiummiento lasciò l’Italia il 23 settembre 1927, imbarcandosi sul piroscafo “Saturnia” alla volta dell’Argentina, dove continuò a svolgere attività antifascista scrivendo su diversi giornali, tra cui “La Razòn”, “La Prensa”, “L’Italia del Popolo” e “La Patria degli Italiani”. Alla chiusura di quest’ultima testata fondò “La Nuova Patria” diventandone direttore (Sergi 2007). Morì a Buenos Aires il 16 ottobre 1941 (Zitarosa 1964).
Verso Mussolini e il fascismo Chiummiento non era mai stato molto tenero. Su “La Basilicata” del 30 gennaio 1924, in vista dello scontro elettorale che avrebbe consegnato definitivamente il potere al Duce, ironizzava sul discorso mussoliniano innanzi alla grande “assemblea fascista”, commentandone gli ammonimenti riservati agli oppositori. In quell’articolo egli sottolineava la mancata manifestazione di chiarezza poiché “da oltre un anno a questa parte, per quel che riguarda la politica nazionale, ci siamo chiusi deliberatamente nel ristretto compito informativo, limitando la nostra opera fino al punto di confonderla con quella meccanica degli stenografi”.
E durante le elezioni di quell’anno, irrimediabilmente compromesse dalla cosiddetta “legge Acerbo”, non mancò di documentare e denunciare, attraverso le pagine del proprio giornale, i brogli e le violenze perpetrate dai fascisti in Basilicata, dove si era svolta quella che definì la “calma elezione truffaldina”(“La Basilicata”, 9 aprile 1924).
In quella lontana provincia meridionale, diventata la provincia “più fascista d’Italia”, era accaduto di tutto: presidenti di seggio “ammaestrati” che avevano consentito alle stesse persone di votare anche 10 volte, i voti degli analfabeti falsificati, quelli dei “morti resuscitati” e degli emigrati che, pur essendo all’estero, risultavano aver votato, il voto dei bambini in alcuni centri, lo strano risultato di altri Comuni dove poche centinaia di elettori avevano partorito migliaia di schede.
Tutto questo era avvenuto anche nel resto d’Italia e Matteotti lo denunciò alla Camera, chiedendo l’annullamento dei risultati elettorali e citando espressamente il caso di Melfi, in Basilicata, già segnalato da “Il Mondo”, dove alcuni elettori erano stati percossi perché volevano esercitare il proprio diritto di voto.
Il 30 maggio, quando Matteotti parlava in parlamento, il giornalista di Acerenza stava per diventare presidente del Partito lucano d’azione. Il giorno dopo, infatti, a Napoli si tenne il primo congresso della nuova formazione politica e il giornale “La Basilicata” ne sarebbe stato l’organo di stampa.
Molte delle cose dette da Matteotti erano pienamente condivise da Chiummiento. Ai primi di giugno il deputato socialista aveva scritto un articolo nel quale denunciava la pretesa del governo di ritenere una “concessione graziosa e condizionata” l’esistenza delle assemblee elettive, incitando le forze politiche alla difesa del parlamento e sottolineando che “organi estranei all’Assemblea” minacciavano le opposizioni.
Sulla scia di tali considerazioni il giornalista lucano, in un suo editoriale dell’8 giugno, si interrogava proprio sul ruolo delle opposizioni in una Legislatura, la XXVII, che si preannunciava come “la succursale del Gran Consiglio Fascista”. Era inutile appellarsi alla legalità, meglio sarebbe stato “lasciare soli gli eletti della pentarchia”, in modo da riparare l’errore di essersi prestati “al giuoco e al giogo delle elezioni”. Illudersi di avere ancora un ruolo avrebbe significato perseverare in un errore di valutazione sulla “rivoluzione fascista” ancora in atto (“La Basilicata”, 8 giugno 1924).
Dopo il rapimento di Matteotti e la scelta dell’Aventino Chiummiento fu in prima fila negli attacchi a Mussolini e “La Basilicata” ospitò commenti al vetriolo nei confronti del fascismo firmati dal suo coraggioso direttore.
La polizia fascista, naturalmente, seguì attentamente gli sviluppi di tale campagna di stampa, intervenendo con sequestri e minacce, specialmente quando sul giornale comparirono le famose lettere “al Duce Magnifico”.
Pochi giorni dopo il rapimento, quando ancora il corpo non era stato trovato e quando ormai nessuna speranza era più nell’aria, Chiummiento si chiedeva se anche il caso Matteotti potesse rientrare “tra i diritti della rivoluzione”, una rivoluzione “soffusa di viltà” perché messa in atto “con agguati e sorprese di polizia e aggressioni punitive di cento contro uno”(“La Basilicata”, 14 giugno 1924).
Il deputato socialista – osò scrivere Chiummiento – non avrebbe più messo piede “nell’aula sorda e grigia” perché un manipolo aveva ormai “bivaccato attorno alla sua spoglia esanime”. Ed a Camera chiusa il suo cadavere “insanguinato ed invendicato” si trovava proprio nell’emiciclo della Camera ancora: “È inutile cercarlo altrove! La Camera s’è chiusa per questo, per non vederlo”(“La Basilicata”, 15 giugno 1924).
La tragedia di Matteotti per il giornalista di Acerenza rappresentava “un po’la tragedia della Nazione, tutto un mondo di delinquenza, di intrighi, di ruberie” messi in atto da “una fitta rete di personaggi senza scrupoli, di guazzanti nel più delittuoso putridume ammantato di tricolore e di superpatriottismo”. Ecco perché le responsabilità non erano solo di “pochi membri o amici del governo” ma doveva essere l’intero governo a rispondere di fronte alla Nazione (“La Basilicata”, 17 giugno 1924).
In quegli stessi giorni in cui attaccava il governo Mussolini, dalle pagine del suo giornale Chiummiento ebbe un importante colloquio con Emilio Lussu dal quale apprese la volontà di investire il re su questioni politiche e giuridiche al tempo stesso, onde mettere il governo con le spalle al muro.
Dopo alcuni arresti eseguiti per la vicenda Matteotti, il giornalista lucano chiedeva che non venisse intralciata l’autorità giudiziaria, indicando “tre generi di responsabilità”: quella degli “esecutori materiali dell’assassinio”, “quella dei mandanti, assassini veri e maggiormente esecrabili perché più vili” e quella “di tutto il regime fascista, di tutta la mentalità sgorgata dall’era nuova” (“La Basilicata”, 20-21 giugno 1924).
Ma Chiummiento era già pronto per un salto di qualità nella lotta. Tra il luglio e il dicembre del 1924 su “La Basilicata” apparvero, infatti, le “Lettere aperte a Benito”.
Le missive, spedite direttamente al capo del governo, allarmarono molto le autorità fasciste che più volte cercarono di impedirne la pubblicazione e la diffusione (Settembrino, Strazza 2006a).
Esse, costruite in maniera piuttosto complessa, tanto da essere in alcune parti comprese solo dagli addetti ai lavori, ma piene di ironia e sarcasmo, non lesinarono espliciti riferimenti ed aperte accuse nella consapevolezza – scrisse Chiummiento a Mussolini – che “certe cose bisogna pure dirvele e che voi abbiate pur piacere di ascoltarle, anche perché deve capitarvi molto raramente il caso di un uomo che ardisca parlare a voi, senza preoccupazioni, così come si può parlare ad un proprio simile, fatto di carne ed ossa e di natura mortale e fallibile”(Chiummiento 1924).
Senza alcuna paura il giornalista lancia i propri strali contro il governo fascista pieno di “rammolliti Ministri ed imberbi sottosegretari”, e rivolgendosi al Duce gli ricorda che i peggiori “ruffiani” sono ormai “passati dai corridoi di Montecitorio e dai salotti dei grandi alberghi nelle camere attigue ai vostri uffici del Viminale”. Ed in tono sprezzante:
Dobbiamo continuare a ringraziarvi perché ci risparmiate, e perché ci lasciate ancora vivere e circolare? Dobbiamo ancora considerare che questa inutile nostra vita, oltre che un dono di Dio è anche un dono vostro e di vostro fratello e dei vostri, o Magnifico Duce? A Roma, vi sono ancora dei Dumini a piede libero che minacciano per telefono e per iscritto […] e se vi sono ancora Dumini, non possono non esservi ancora dei Cesare Rossi. Vi rendete conto di questo? E se vi rendete conto, è bene che vi decidiate fin da ora, è bene che regoliate la vostra linea di condotta, prima che un secondo caso Matteotti si ripeta (Chiummiento 1924).
In quel momento il fascismo attraversa veramente una grande crisi e Chiummiento ne addita le crepe, sollecitando in maniera irriverente il suo interlocutore a prendere qualche decisione:
Voi forse l’ignorate – perché la carica vi tiene lontano dal vero contatto col popolo – ma io posso giurare, e non sarei solo, che uno sbandamento addirittura spettacoloso s’era prodotto tra i vostri uomini in quei giorni, ed il 99% delle fedi politiche attaccate agli occhielli era sparito nelle tasche. Grave sintomo questo, Duce Magnifico, sintomo che non avete potuto rilevare con i vostri occhi, perché, per farlo, avreste dovuto poter confondervi nella folla come, per esempio, ad un quidem de populo par mio è concesso. E le camicie nere? Ma erano in parte passate al bucato anche quelle, e solo l’ordine delle grandi adunate e gli editti coi quali in molte provincie è stato imposto di riattaccare l’idea all’occhiello han salvato le apparenze per lo meno (Chiummiento 1924).
E, in un tono confidenziale e divertito, ammonisce:
Avete fatto e rifatto, senza ostacoli, avete frantumato, creato e tornato ad infrangere quello che v’è parso, siete diventato il cittadino onorario di tutte le città d’Italia, vi hanno proclamato l’erede universale, e senza legati, della Roma Imperiale, vi hanno effigiato in bronzo, in marmo, in gesso, in creta, in stagno, in cera, in cioccolato e perfino in sapone. Vi hanno paragonato a Napoleone ed a Cesare, senza alcuna protesta da parte di costoro, qualcuno vi ha paragonato perfino a Dio. Ma questo popolo italiano voi lo conoscete, o Duce, esagera sempre. È questo il popolo di Masaniello che esalta in vampate di entusiasmo, ma che condanna poi spietatamente per esaltare magari di nuovo. Meditatelo questo, Duce Magnifico, e pensate che siete effigiato e riprodotto in ogni genere di busti […] dal bronzo al […] sapone. Questo popolo generalmente sporco potrebbe un giorno avvertire il bisogno di pulizia.
Il delitto Matteotti non era un semplice fatto, seppur grave, di cronaca nera. Esso coinvolgeva la stessa ragion d’essere del fascismo il quale aveva mostrato il vero volto di una dittatura che non ammetteva alcuna voce di dissenso e che era pronto a sopprimere ogni opposizione.
Nella sua “quinta” lettera Chiummiento, dunque, allarga la scena del delitto, mettendovi in essa le grandi questioni della politica fascista, con i suoi dubbi e le sue contraddizioni. Ricorda a Mussolini che egli può anche ben sperare sullo sgretolamento delle opposizioni, contare sulla chiusura della Camera fino a novembre, aspettare anche che il tempo “eserciti la sua influenza di calmante sovrano”, a patto però che il popolo non veda, nel tempo, l’alleato dei criminali. E quando si parla di criminali – egli sottolinea – non s’intende alludere soltanto ai pochi arrestati, “a quei disgraziati che soffocano per il caldo e fors’anche per il rimorso e per la rabbia di non poter parlare”.
In realtà “molti criminali, i più furbi o i più potenti”, sono rimasti a piede libero, “a irridere, se non a preparare altri crimini”. E tutto questo non è riferito solo al delitto Matteotti
Perché ormai non v’è in Italia chi non abbia compreso che il delitto Matteotti ha caratteri di episodio, è la scena più tragica; ma è una scena soltanto di tutto un vasto dramma che deve avere avuto un prologo e parecchi atti, che è culminato in quella scena, ma che non è arrivato all’epilogo e non ha portato alla ribalta tutti gli attori, tutte le comparse, tutti i cori e suggeritori e servi di scena e direttori di scena ed operatori e mimi e scenografi. È vano parlare soltanto di sequestro di persona, di omicidio barbaro, di occultazione di cadavere. Il dramma ha una trama molto più complessa, ha uno sfondo scenico molto più complicato che il pubblico intravede. Ed il guaio è appunto in questo: nel fatto di dover intravedere o di non poter vedere chiaro (Chiummiento 1924).
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Nel giorno della pubblicazione di questa “quinta” lettera al Duce, l’8 luglio, il governo delibera l’immediata esecuzione dell’editto sulla stampa. Il 13 luglio l’Unione giornalisti napoletani, per protesta, si rifiuta di nominare un proprio rappresentante nella Commissione di garanzia e vigilanza sui giornali e sui periodici. A firmare la comunicazione, trasmessa al prefetto di Napoli D’Adamo, è il consigliere segretario Giuseppe Chiummiento che in Basilicata si è fatto promotore della costituzione di un “Comitato lucano delle opposizioni per la libertà di stampa”.
Da quel momento la prefettura partenopea inaugura la lunga serie dei sequestri de “La Basilicata”. Il primo, per “notizie tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”, viene eseguito la sera del 17 luglio quando il giornale si trova già in partenza dalla stazione ferroviaria di Napoli (“La Basilicata”, 19 luglio 1924).
Ma il giornalista lucano non demorde e, dopo aver sporto formale querela per il reato di sequestro arbitrario (art. 175 c.p.), continua a vergare le sue missive di accusa al nuovo padrone d’Italia, sottolineando “la impotenza di tutti gli editti soffocatori quando si tratti di soffocare il pensiero” (“La Basilicata”, 23 luglio 1924).
Il 15 luglio, nella sua “ottava” lettera, facendo riferimento ad una presunta insonnia del Duce, lo invita a fare in modo che il corpo di Matteotti venga ritrovato “ad ogni costo” perché gli “spiriti degli assassinati vagano da quando i cadaveri non riposano in pace ed in tranquillità. Voi avete bisogno che gli spiriti si plachino. Le adunate non giovano”:
Pregate Farinacci di tacere. Non è il più adatto ad invocare la forca. Potete appendere mai gli spiriti alle forche…Le forche servono per appendere i corpi così come i decreti capestro servono per stroncare le parole. Gli spiriti sfuggono a forche e capestri. Gli spiriti penetrano a notte alta nelle camere da letto e producono gli incubi. Magnifico Duce, curatevi e accettate l’augurio che possiate dormire tranquillamente anche per una notte soltanto, come dorme il sottoscritto (Chiummiento 1924).
Il 23 luglio, dopo una serie di riunioni presso l’Associazione della stampa romana promosse da “Il Mondo” di Amendola, si costituisce il “Comitato per la difesa della libertà di stampa”cui aderiscono, oltre a “La Basilicata” di Chiummiento, “il Popolo”, “l’Avanti”, “La Giustizia”, il “Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Il Lavoratore”, il “Roma” (Sarubbi 1986).
Subito dopo il quotidiano di Potenza subisce altri due sequestri, quelli dei numeri 177 e 178 del 26 e del 27 luglio. Il direttore sporge nuovamente querela contro prefetto e questore di Napoli.
Riferendosi al primo, dopo essersi chiesto come si possa sequestrare un giornale ancora in stampa senza conoscerne il contenuto, egli ipotizza che la vera ragione del provvedimento sia da ricercare proprio nei riferimenti a Matteotti, in particolare ai “cordiali rapporti tra Cesare Rossi e Benito Mussolini” ed alle possibili allusioni al capo del governo come mandante del rapimento (“La Basilicata”, 1 agosto 1924).
Il 6 e 7 agosto Chiummiento è, intanto, a Roma, per partecipare, quale presidente del Partito lucano d’azione, alla riunione del Comitato delle opposizioni che segue “vigile e ansioso” la vicenda Matteotti, rendendosi “interprete della coscienza morale del paese”.
Nella sua “decima” lettera al Duce il giornalista lucano, a meno di una settimana dal ritrovamento del corpo di Matteotti, ritorna sul “Mistero del cadavere”, sottolineando come, nonostante tutti i tentativi di distrarla, la gente continua ad essere “tenacemente attratta” da questo mistero:
Oh! Se i mandanti e gli esecutori di questo secondo misfatto, l’occultamento del cadavere, avessero potuto soltanto immaginare l’esasperazione che avrebbe creato nello spirito pubblico questa quotidiana ansia di penetrare un mistero, ma avrebbe certamente rinunziato alla perpetuazione di questo secondo crimine ancora più ‘nefando ed idiota’ del primo. Se domani si venissero a scoprire gli ideatori ed i mandanti, i complici ed i favoreggiatori dell’occultamento del cadavere, bisognerebbe veramente trasformare il codice penale per sancire una pena degna di tanta nefandezza ed idiozia. Perché, pensate, senza dubbio la scoperta del povero corpo seviziato, appena conosciuto il feroce delitto, avrebbe eccitato maggiormente gli animi sì, ma si sarebbe evitata quella diffusa sensazione di diffidenza e di scetticismo verso le autorità che avrebbero dovuto intervenire immediatamente con enorme, maggiore sveltezza a compiere il loro dovere, sensazione di diffidenza che, col passare del tempo investe lo Stato e quindi il regime dello Stato (Chiummiento 1924).
Sistemata la “faccenda del cadavere”, ben avrebbe potuto il Magnifico Duce – scrive ironicamente ma anche profeticamente Chiummiento – “liberamente por mano a quella legislazione rivoluzionaria fascista” per ottenere “la fascistizzazione dello Stato”, con buona pace di molti “oppositori addomesticati”. Così si chiude la missiva, dopo aver “tranquillizzato” Mussolini sul futuro percorso parlamentare della crisi:
Una cosa soltanto è indispensabile che teniate presente ed è che stiate attento alle voltate. Se per caso doveste imbattervi proprio in quel cadavere introvabile, quando meno ve l’aspettate, dovreste sterzare con mossa rapida o ricorrere a tutti i freni contemporaneamente […] cosa questa che presenta sempre qualche rischio, specie quando si marcia in quarta velocità. E siamo sempre lì – sembra perfino incredibile – ritorniamo al cadavere introvabile di Matteotti, il cadavere che appunto perché introvabile è ormai onnipresente. Lo hanno visto a Fiume, ad Assisi, nell’aula del Gran Consiglio e perfino a Londra al Foreign Office […]. Voi non lo avete mai visto a via Rasella?1.
Dopo aver subito ben cinque sequestri Chiummiento, il 18 settembre, pubblica la sua “dodicesima” lettera, anch’essa piena di sarcasmo, specialmente sulla recente visita di Mussolini a Napoli nel quale il Duce non è apparso lo stesso di sempre, ma “fisicamente sciupato e forse anche moralmente”(Chiummiento 1924).
La “quattordicesima” lettera è del 22 ottobre, mentre la successiva, l’ultima, del 5 dicembre. I toni sono gli stessi ma ormai Mussolini sta uscendo dalla crisi ed il 3 gennaio dell’anno successivo avrebbe tenuto alla Camera uno dei suoi discorsi più famosi, assumendosi tutta la responsabilità politica e morale di quanto era avvenuto.
Quella sera stessa dal ministero dell’Interno partirono le istruzioni ai prefetti per esercitare i propri poteri nelle opportune misure repressive. Nei giorni successivi avrebbero coinvolto anche le sedi del Partito lucano d’azione, a cominciare da quella napoletana (“La Basilicata”, 5 febbraio 1925).
Il 4 febbraio la direzione del partito, al fine di prevenire ulteriori azioni, deliberò lo scioglimento di nuclei e sezioni senza esimere, però, i suoi aderenti “dal giuramento”, nella convinzione della loro fedeltà al programma e agli ideali: “L’idea non si scioglie e non si sopprime. La persecuzione, anzi, rafforza le idee e ritempra le coscienze”.
L’Aventino non era servito a niente, anzi era stato dannoso, e, in una lettera aperta ad Emilio Lussu, pubblicata sempre su “La Basilicata” che tentava di sopravvivere ai continui sequestri, Chiummiento lo disse chiaramente:
io penso che l’Aventino abbia compiuto da tempo la sua funzione e che sia giunta l’ora di ritornare semplici cittadini, riparando così un altro vecchio errore: quello di aver voluto partecipare, sia pure da oppositore, ad una lotta elettorale che fu e che Giacomo Matteotti fotografò nel suo ultimo discorso alla Camera. Giacomo Matteotti rinunziò alla vita. È mai possibile che un centinaio di deputati non sappiano rinunziare alla medaglietta? Mi dirai che così facendo non si muta la situazione…benissimo, ma non se ne resta schiavi però (“La Basilicata”, 7-8 febbraio 1925).
Fra breve il giornalista avrebbe preso la via dell’esilio.
Biografia
Biography
Bibliografia
Aa.Vv.
1997 Storia del giornalismo italiano, Torino, UTET.
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1982 Il Giornalismo. Dalle origini ai giorni nostri, Roma, CDG.
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1984 Il fascismo e la stampa. L’ultima battaglia della Federazione nazionale della stampa italiana contro il regime, Milano, Guanda.
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1991 La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Roma-Bari, Laterza.
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1986 La stampa del regime fascista, Roma-Bari, Laterza.
Sarubbi A.
1986 Il Mondo di Amendola e Cianca, Milano, Angeli.
Sergi P.
2002 Quotidiani lucani dall’Unità al fascismo, in “Rassegna Storica Lucana”, n. 35-36.
2007 Fascismo e antifascismo nella stampa italiana in Argentina: così fu spenta “La Patria degli Italiani”, in “Altreitalie”, n. 35.
2009 Storia del giornalismo in Basilicata, Roma-Bari, Laterza.
Settembrino F., Strazza M.
2006a “La Basilicata” di Chiummiento e il delitto Matteotti, Venosa (Pz), Appia 2 ed.
2006b Il Partito Lucano d’Azione (1924-1925), Potenza, Edizioni Sud altro.
Zitarosa G.R.
1964 Giuseppe Chiummiento ovvero il perseguitato politico, in “Aspetti Letterari”.
Documenti
Archivio centrale di Stato, Ministero Interno, Dir. Gen. P.S., AA.GG.RR. (1914-1926), fasc. Potenza 71, Partito Lucano d’Azione.
Le citazioni di Chiummiento sono tratte dalle seguenti lettere pubblicate nel 1924:
- Seconda lettera aperta a Benito, in “La Basilicata”, VI, 4 luglio;
- Quarta lettera aperta a Benito, in “La Basilicata”, VI, 6 luglio;
- Quinta lettera aperta a Benito, in “La Basilicata”, VI, 8 luglio;
- Ottava lettera aperta a Benito, in “La Basilicata”, VI, 15 luglio;
- Decima lettera aperta a Benito, in “La Basilicata”, VI, 8 agosto;
Dodicesima lettera aperta a Benito, in “La Basilicata”, VI, 18 settembre.
Sono state inoltre consultate le edizioni de “La Basilicata” del 30 gennaio 1924; 9 aprile 1924; 8 giugno 1924; 14 giugno 1924; 15 giugno 1924; 17 giugno 1924; 20 giugno 1924; 21 giugno 1924; 19 luglio 1924; 23 luglio 1924; 1 agosto 1924; 5 febbraio 1925; 7 e 8 febbraio 1925.
Contenuti correlati
- A via Rasella vi era l’abitazione privata di Mussolini. [↩]