Después de la guerra. Antifascisti italiani e toscani tra guerra di Spagna, Francia dei campi, Resistenze Grosseto, 19-20 gennaio 2011

Ilaria Cansella

Il convegno internazionale Después de la guerra. Antifascisti italiani e toscani tra guerra di Spagna, Francia dei campi, Resistenze, tenutosi a Grosseto il 19 e 20 gennaio 2011, è stato organizzato dall’Istituto storico grossetano per la Resistenza e l’Età Contemporanea (Isgrec) a conclusione di una lunga ricerca sulla guerra civile spagnola (1936-1939) e sugli avvenimenti europei immediatamente successivi. Il lavoro di ricerca pluriennale alla base del convegno consisteva nella ricostruzione delle biografie di grossetani e toscani, in tutto 395 volontari antifascisti, che condivisero con un gran numero di giovani europei prima la speranza della lotta nelle formazioni spagnole, poi la disillusione per la sconfitta e l’umiliazione dell’internamento nei campi della Francia, infine – non tutti, ma tanti – lo scatto di volontà, che li spinse a combattere nelle Resistenze italiana e francese (l’esito del lavoro concluso dall’Isgrec attraverso i primi due progetti è visibile nel sito web http://www.isgrec.it/sito_spagna/index.htm, così come la descrizione del nuovo progetto, avviato nel 2011). Le due giornate di studio grossetane, insomma, hanno presentato i risultati delle ricerche attuate dall’Isgrec, su finanziamento del Ministerio de la Presidencia spagnolo, nell’ambito dei bandi per le “Actividades relacionadas con las víctimas de la Guerra Civil y del franquismo”, ma hanno anche visto la partecipazione e i contributi di importanti studiosi italiani, francesi e spagnoli. Un incontro reso possibile proprio grazie alla rete di relazioni, nazionali e internazionali, che negli anni l’Isgrec ha edificato, lavorando su questi temi: hanno contribuito all’organizzazione, infatti, il Ministero della Presidenza spagnolo, Comune e Provincia di Grosseto, Istituto Salvemini di Torino, la rivista “Spagna contemporanea”, il Museo MUME di La Jonquera (Es), gli Istituti storici della Resistenza della Toscana, mentre hanno concesso il patrocinio la Regione Toscana e l’Ambasciata di Spagna a Roma.

La prima sessione del convegno, nella mattinata del 19 gennaio, è stata dedicata a un’introduzione generale sul tema dell’antifascismo europeo. Come ricordato dal presidente dell’Isgrec, Adolfo Turbanti, la prospettiva europea è, infatti, evidente nel caso del conflitto spagnolo, primo momento di scontro fra fascismi e democrazia, mentre, contemporaneamente, l’esperienza in terra spagnola dei singoli individui rende questo evento parte integrante della storia locale. Secondo Turbanti, la guerra di Spagna rappresenta nell’immaginario dei partiti di sinistra europei una sorta di mito fondativo e, di conseguenza, il proseguimento della ricerca sul periodo successivo alla guerra, tra internamento e impegno antifascista degli ex volontari, costituisce un frammento importante per una storia della “Guerra civile europea” attraverso il quale è possibile cogliere le tracce della continuità di un antifascismo, che va ben oltre le cronologie e le vicende delle storie nazionali. Alla particolarità del contesto spagnolo dopo la fine della guerra civile è stata dedicata la relazione di Alfonso Botti (Università degli Studi di Modena-Reggio Emilia), La prosecuzione della lotta antifranchista in Spagna e l’esilio spagnolo; Botti ha fatto nel suo denso intervento una lunga carrellata sulle dinamiche interne dell’opposizione al franchismo nella Spagna del dopoguerra, dall’“immensa prigione” degli anni Quaranta, con le fucilazioni e la repressione franchista contrapposte alla resistenza in esilio dei guerrilleros, all’abbandono della scelta della lotta armata da parte del Pci spagnolo in favore della sindacalizzazione, ovvero di quella politica di entrismo sviluppatasi a partire dagli scioperi di Barcellona del 1951; proprio l’antagonismo sociale degli anni Cinquanta genera un ricambio generazionale nell’opposizione al franchismo e, a sua volta, tale nuova generazione di oppositori determina quella movimentazione degli anni Sessanta e Settanta il cui punto di arrivo è rappresentato dalla Ley democratica di Suarez del 1976. Tali variazioni, secondo Botti, impongono alla storiografia contemporanea la necessità di ripensare alcune categorie interpretative del franchismo che permettano di distinguere tra un primo periodo totalitario e un momento successivo in cui il dissenso è tollerato; allo stesso modo, occorre tentare una scomposizione interna dell’opposizione, distinguendo fra la componente illegale dei comunisti e degli anarchici e le altre opposizioni democratiche tollerate dal regime, che parteciparono non nella definizione del percorso della transizione ma soltanto nella sua accelerazione; infine, secondo Botti, una ricostruzione completa dell’opposizione interna al franchismo non può tralasciare di considerare la componente centralista del regime e la conseguente contrapposizione netta con l’autonomia auspicata dalle identità basche e catalane.

La prima mattinata grossetana è stata conclusa dalla direttrice dell’Isgrec, Luciana Rocchi, che ha precisato come sia proprio la tematica dei campi francesi a rappresentare il trait d’union fra la guerra civile spagnola e la seconda guerra mondiale: è in questo difficile contesto, infatti, che per molti volontari si concretizza la successiva scelta partigiana, mentre la stratificazione funzionale stessa dei luoghi detentivi porta, ad esempio, alla convivenza fisica in questi luoghi degli ex volontari rossi e dei fascisti italiani arrestati in Francia dopo l’entrata in guerra del giugno del 1940. La seconda sessione della prima giornata del convegno, quindi, è stata specificatamente dedicata all’internamento degli ex volontari italiani nei campi della Francia del Sud: il regime democratico francese, nel febbraio 1939, aveva risolto l’emergenza della “marea umana” che si era riversata oltre il confine dei Pirenei, ammassando i reduci del conflitto, insieme ai civili sfuggiti alle persecuzioni franchiste, nei terribili Camps de la plage (Argelès sur Mer, Saint Cyprien, Barcarès, Collioure) e, in seguito, nei cosiddetti campi dell’interno (prevalentemente Gurs e Vernet). Per la ricostruzione e l’analisi della politica francese di fronte a tale massiccio esodo ha dato un apporto significativo Denis Peschanski (Université de Paris 1 – Sorbonne) con una relazione intitolata Les camps français d’internement, de la Retirada à Vichy. Un intervento che ha dato conto anche del complesso percorso compiuto da molti volontari italiani nel sistema dell’internamento francese: arrivata in Francia dai vari posti di frontiera e raccolta sulle spiagge del Roussillon, la maggior parte dei volontari italiani venne incorporata nel gruppo degli internazionali nei campi di Saint Cyprien e Argelès e, quindi, spostata a Gurs in seguito al trasferimento collettivo degli ex brigatisti della fine di aprile 1939 (in questo momento, nel campo erano presenti circa 900 italiani). Alcuni singoli volontari, invece, furono rinchiusi a Gurs in momenti diversi, perché sfuggiti al controllo alla frontiera e arrestati successivamente in località francesi vicine al confine con la Spagna; altri, forse confusi con gli spagnoli o ricoverati negli ospedali del dipartimento dei Pirenei orientali, rimasero nei campi della spiaggia fin dopo l’estate e vennero trasferiti a Gurs in momenti successivi. Anche per ciò che concerne le partenze dal campo di Gurs si ebbero percorsi estremamente diversificati: fra i primi a uscire dal campo, nel settembre 1939, furono coloro che si arruolarono nell’esercito francese allo scoppio delle ostilità; in seguito, la differente resistenza fisica e morale degli uomini influì sulla capacità di rifiutare le possibilità di uscita dal campo offerte dall’autorità francese, con la formula dell’arruolamento nelle Compagnies de Travailleurs étrangers o il rimpatrio in Italia. Per quanto riguarda il Vernet (che, a partire dal settembre 1939, divenne un campo disciplinare, definito a carattere “repressivo”, dove inviare gli stranieri sospetti, gli estremisti o gli individui pericolosi per l’ordine pubblico o per l’interesse nazionale), si possono individuare, invece, due consistenti trasferimenti di italiani da Gurs fra il maggio e il giugno del 1940. In seguito, i restanti arrivi si legarono ai fermi effettuati sul territorio francese: talvolta veri e propri rastrellamenti, in altri casi arresti sporadici, magari semplicemente determinati da un casuale controllo dei documenti, che portavano i sospetti, e fra questi gli ex volontari, nelle locali prigioni e da lì attraverso convogli programmati, direttamente al settore C del campo del Vernet, destinato a tutti coloro di cui non si conosceva bene il dossier personale, ma che erano sospettati di essere degli estremisti (e fra questi, ovviamente, in primo luogo gli ex volontari delle Brigate Internazionali); in particolare, l’arrivo degli italiani al campo si intensificò a partire dal giugno del 1940, quando i nostri connazionali vennero sistematicamente internati a seguito della dichiarazione di guerra di Mussolini.

La relazione di Peschanski si è incentrata, inoltre, sulle fratture ideologiche del fronte antifascista ereditate dalla guerra civile spagnola e su come queste si fossero modificate all’interno dei campi, in cui si era manifestata da subito una forte conflittualità politica interna: infatti, quando l’organizzazione uscì dallo stato embrionale e i francesi demandarono ai rifugiati parte dei servizi d’intendenza, di trasporto, d’infermeria, ecc., le diverse fazioni politiche tentarono di controllare gli incarichi più importanti e acquisire una posizione preminente nei confronti di tutti gli internati. La conflittualità e il livello di politicizzazione, però, variarono a seconda dei campi e dei momenti, influenzate anche dal rapido mutare del contesto internazionale: Peschanski lo ha esemplificato efficacemente, contrapponendo l’immagine delle sentite celebrazioni della rivoluzione francese tenutesi nel 1939 nel campo internazionale di Gurs a quella successiva del rifiuto del saluto alla bandiera dei prigionieri del Vernet. Peschanski ha ricordato infine che, per gli italiani, l’esperienza dei campi francesi si concluse quasi sempre con il campo di Vernet: in effetti, con la resa francese e la stipulazione della convenzione d’armistizio franco-italiana, venne stabilito che tutti i prigionieri di guerra e i civili italiani internati fossero immediatamente liberati e rimessi alle autorità militari italiane. Inizialmente gli internati potevano scegliere liberamente se essere consegnati alle autorità italiane e, quindi, i rimpatri rimanevano scarsi; così, nell’estate del 1940, una Commissione di Armistizio aveva visitato i campi al fine di individuare gli italiani e convincerli a firmare per il rientro in Italia, mentre, nel dicembre 1940, una seconda delegazione, guidata dal barone Confalonieri, era tornata al Vernet, dove si trovavano gli ultimi cinquecento italiani detenuti, al fine di sollecitare le procedure di rimpatrio volontario. Nonostante tutto, i rimpatri rimasero ancora episodici fino al febbraio 1941, quando la Francia si impegnò a consegnare tutti gli italiani e vennero stilate le liste di partenza, con i nomi degli internati da condurre sotto scorta alla frontiera per essere consegnati alle autorità italiane. In qualche raro caso, comunque, anche gli italiani finirono coinvolti nelle deportazioni verso i campi nazisti del 1943-44, come è ben dimostrato dalle biografie dei toscani ricostruite dall’Isgrec: è questo il caso, ad esempio, del pisano Anchise Carli e dell’aretino Gino Dei, fuggiti dal trasporto per Mentone del 18 luglio 1943, riarrestati nella zona del confine dopo pochi giorni, quindi nuovamente rinchiusi al Vernet e, da lì, deportati col “train fantôme” del 9 agosto 1944 a Dachau, insieme con il lucchese Vittorio Marcucci; ugualmente deportati dai campi francesi furono il carrarese Renato Bertolini e il pisano Elivio Prosperi, entrambi a Buchenwald, mentre più fortunati furono, ad esempio, il grossetano Siro Rosi e il pistoiese Egidio Seghi che, anch’essi evasi dal campo, riuscirono a raggiungere le formazioni della Resistenza francese. Sono alcuni esempi di come, nel quadro variegato e complesso descritto da Peschanski, si inserisca efficacemente la questione specifica affrontata dalla ricerca dell’Istituto grossetano a partire dal piano della storia locale; subito dopo l’intervento di Peschanski, quindi, la relazione di Ilaria Cansella, Derrière les barbelès: i volontari toscani nei campi, attraverso le fonti francesi, ha cercato di dar conto per l’Isgrec dei risultati raggiunti dalla ricerca in merito alle vicende degli italiani e dei toscani nei campi.

Questo secondo intervento del pomeriggio ha anche evidenziato i limiti della ricerca italiana di fronte a tale problematica storica e sottolineato che si tratta di un tema che ha stentato ad emergere nella coscienza collettiva e nella storiografia italiana. Lo dimostra lo stato dell’arte: infatti, fatta eccezione per la rara memorialistica, per quanto riguarda l’Italia ci si scontra con un vero e proprio vuoto storiografico sul tema e si è costretti a ricorrere costantemente a pubblicazioni di area francofona. Il confronto con questi studi, del resto, deve tener presente alcune problematicità: in primo luogo, un problema numerico perché a fronte della carenza di dati certi nel numero degli internati, nella storiografia francese si assiste in sostanza a elaborati balletti delle cifre (ogni autore tenta infatti di fornire il dato numerico definitivo per un singolo campo o nell’insieme, ma la difformità di impostazione delle differenti analisi rende molto difficili i confronti e suggerisce estrema cautela nelle stime quantitative); in secondo luogo, una questione legata alla terminologia: esiste un acceso dibattito sulla definizione corretta per i campi francesi che mette a diretto confronto la storiografia con la memoria, contrapponendo al termine scientifico “internamento” (utilizzato ad esempio da Peschanski), finalizzato a evitare la confusione terminologica con i campi nazisti e basato sulla categoria giuridica particolare dell’internamento amministrativo, il lemma “concentramento” che, nella memorialistica e nelle pubblicazioni curate dalle associazioni dei reduci (come, ad esempio, l’Amicale des Anciens Internés politiques et résistans du Camp du Vernet d’Ariège o l’Amicale des anciens guerrilleros espagnols en France – FFI), viene impiegato al fine di rispettare il ricordo che si è definitivamente depositato nella memoria collettiva; una controversia similare, infine, è legata anche all’impiego del termine catalano Retirada per designare il momento storico, e allo stesso tempo l’insieme dei luoghi fisici, dell’esodo dei repubblicani spagnoli attraverso la frontiera francese; il lemma, a torto o a ragione, ha comunque finito per imporsi sulla parola “esodo”, utilizzata da chi vuole correttamente rimarcare, oltre ai resti dell’armata repubblicana in fuga, la presenza di una maggioranza di civili (fra cui donne, bambini, feriti e anziani).

Quanto alle fonti archivistiche consultate per la ricerca dell’Isgrec, la relazione ha precisato che sono stati utilizzati documenti conservati negli archivi centrali francesi (ovvero gli Archives Nationales di Parigi – in particolare il fondo della Police Générale – e nell’archivio del Mémorial de la Shoàh) e negli archivi periferici, situati nei dipartimenti di appartenenza dei campi; in sostanza, si è fatto riferimento: 1) agli Archives Départementales des Pyrénées Orientales a Perpignan (ADPO) per la documentazione pertinente ai campi cosiddetti della spiaggia, dove i volontari sono radunati nei primi mesi del 1939, cioè Argelès, Saint Cyprien, Barcarès e 2) all’Archive Départementale de l’Ariège a Foix (ADEA) in cui è conservato l’archivio del campo del Vernet, campo disciplinare in cui sono imprigionati i sospetti e i cosiddetti estremisti politici nelle fasi successive. 3) sono stati esclusi per il momento gli Archives Départementales des Pyrénées Atlantiques a Pau (ADPA) relativi al campo di Gurs perché la documentazione antecedente al settembre 1940 è stata completamente distrutta nel giugno 1940 per sottrarla all’arrivo di una commissione d’ispezione tedesca. In base all’esperienza dei ricercatori dell’Isgrec, ciò che colpisce recandosi in questi archivi è la mole della documentazione presente e l’originalità del materiale che, per quanto riguarda i prigionieri italiani, sembra essere sfuggito completamente, finora, agli studiosi del nostro paese. Per comprendere le caratteristiche di queste fonti, inoltre, è necessario inserire la produzione degli archivi dei campi nel contesto storico: quello caotico dei primi mesi del 1939, con l’enorme afflusso iniziale dalla frontiera e i frequenti trasferimenti da un campo all’altro, spiega quindi l’assenza nei campi delle spiagge del Roussillon di una qualsiasi forma di schedatura degli effettivi dei singoli campi, mentre la diversa tipologia del campo di Vernet, considerato campo disciplinare, ha portato l’autorità francese a un controllo più stretto sui prigionieri e di conseguenza la gran parte del materiale visionato si raggruppa in dettagliati dossiers individuels, in cui è raccolta tutta la documentazione francese disponibile per ogni singolo internato, dall’ingresso nel campo al momento del rimpatrio o del trasferimento. È chiaro che la tipologia di questa documentazione ha necessitato delle stesse accortezze che si applicano agli archivi di polizia italiani: ad esempio, nel caso delle dichiarazioni rese dagli arrestati al momento dell’ingresso al Vernet, spesso la partecipazione alla guerra di Spagna viene omessa o negata nel tentativo di non compromettere la propria posizione; oppure, talvolta il volontario privo di documenti di riconoscimento decide di mantenere l’anonimato dichiarando un nome falso o mentendo sulla propria provenienza. A prescindere dall’intenzionalità, inoltre, sono numerosissime in queste schede le discrepanze rispetto ai dati raccolti in Italia: duplicazioni o grafia scorretta dei nomi, trascrizioni imprecise di date e luoghi di nascita o residenza sono errori all’ordine del giorno dato che, all’arrivo, l’interrogatorio si svolgeva in francese; alla scarsa comprensione reciproca si aggiunge quindi il fatto che le località italiane o i nomi propri sono trascritti a orecchio sulla base della pronuncia italiana.

Una difficoltà aggiuntiva per una ricerca composita, che ha dovuto assommare al reperimento del materiale d’archivio una fase di lavoro sul campo: dalla relazione emerge, infatti, tutta la complessità e la ricchezza dei contatti accumulati durante i due viaggi di studio realizzati sui Pirenei, nei luoghi fisici del passaggio dei volontari; lungo questi itinerari della Retirada, attraverso i valichi di frontiera pirenaici e fino ai campi delle spiagge del Roussillon, esistono o sono oggi in via di costruzione memoriali e musei, che hanno rappresentato tappe importanti nel percorso di conoscenza e comprensione degli snodi della memoria che Francia e Spagna hanno conservato di questo complesso momento storico. Luoghi suggestivi descritti alla fine della prima giornata dalla relazione Conocer la historia de la Retirada republicana y del exilio: centros de interpretación y lugares de memoria en la frontera franco catalana di Jordi Font, direttore del Museu Memorial de l’Exili (Mume) di La Jonquera, che ha ricordato come tali spazi transfrontalieri compongano un insieme variegato di luoghi di memoria della guerra civile spagnola, della Retirada e della seconda guerra mondiale di cui lo stesso Mume fa parte e a cui, nel 2008, si è aggiunta una targa collocata dall’Isgrec in memoria del passaggio dei volontari toscani e grossetani in fuga dalle truppe franchiste.

Proseguendo sul filo della memoria, e nel tentativo di ampliare le fonti utilizzate (e allargare così anche il bacino di diffusione dell’iniziativa), la sera del 19 gennaio, al Teatro degli Industri si è tenuto il concerto Pueblo que canta no morir dei Vincanto, gruppo folk pisano composto da Ilaria Savini (voce), Simone Faraoni (fisarmonica, voce, flauto dolce soprano) e Alessandro Cei (chitarra e voce). Il terzetto ha selezionato per l’Isgrec e per il numeroso pubblico grossetano alcune canzoni spagnole nate durante la guerra e raccolte da due ricercatori di musica popolare italiani, Michele Straniero e Sergio Liberovici, durante un memorabile viaggio in Spagna in piena dittatura franchista, nel 1961. Si tratta di pezzi che evocano armonie di brani e danze popolari preesistenti, o arie di inni di altre guerre e rivolte, straordinari documenti storici e, allo stesso tempo, melodie di grande fascino, musicale e poetico. Nella Spagna antifranchista si diceva che, se i fiori di Spagna erano morti in aprile con la nascita del regime, quei fiori sarebbero tornati, perché “al pueblo y a las flor no los mata el fusil”: in un mix ben calibrato di canzoni spagnole e italiane, i brani selezionati ripercorrono gli anni della guerra civile, il momento della Retirada e i lunghi anni di opposizione al regime, raccontando con l’immediatezza della musica e della voce popolare le tematiche che le due giornate di convegno grossetano hanno affrontato dal punto di vista dell’analisi storica.

La prima giornata del convegno grossetano, infatti, ha ricostruito e affrontato analiticamente il calvario della guerra civile spagnola e della sconfitta, che condusse anche molti italiani a lunghe permanenze nei campi francesi, nel tempo divenuti anche luoghi di segregazione per vittime di nuove persecuzioni politiche e razziali. Secondo Luciana Rocchi, le carte restituiscono spesso l’immagine di condizioni di vita estreme nei campi, ma allo stesso tempo questi luoghi segnano anche la graduale ripresa di energie e volontà politiche: Gurs, Vernet, come altri, lungo un tempo che va dalla Retirada agli anni di Vichy, furono anche luoghi di nuova aggregazione per gli ex-miliziani e i volontari delle Brigate internazionali e occasione di apprendistato politico per i più giovani; l’uscita dai campi fu in molti casi l’inizio di una nuova esperienza di lotta, nella Resistenza, in Francia o in Italia. Proprio il tema resistenziale, quindi, è stato l’oggetto della terza e della quarta sessione del convegno che ha visto la presidenza e il contributo introduttivo di Claudio Silingardi dell’Istituto storico della Resistenza di Modena; ancora una volta seguendo una logica che dal generale scende nel particolare, alla relazione I reduci italiani dalla Spagna nelle Resistenze italiana e francese di Gianni Perona (Università degli Studi di Torino) è seguito il contributo di Francesco Cecchetti per l’Isgrec, Forme e luoghi dell’impegno resistenziale degli antifascisti toscani, incentrato sui risultati della ricerca. Stéphanie Boissard della Maison d’Izieu, ha poi sviluppato il tema Risorse ed esperienze di rete per una cultura europea della memoria, sottolineando come le esperienze di questi uomini, fra guerra civile spagnola, campi d’internamento e resistenza in Francia e in Italia debbano rappresentare una comune cultura della memoria europea da valorizzare e conservare attraverso il lavoro di rete, attuato efficacemente dalla Maison d’Izieu attraverso partenariati con associazioni francesi, tedesche, italiane, polacche, spagnole e ceche. Proprio nell’ottica di rinforzare il lavoro di rete, la quarta sessione del convegno, cui è stato dedicato il pomeriggio del 20 gennaio, ha riunito i delegati degli Istituti storici della Resistenza toscani, associati o collegati all’Insmli: la tavola rotonda, condotta dai ricercatori Isgrec Ilaria Cansella e Francesco Cecchetti, ha permesso di approfondire il tema delle fonti locali per la ricostruzione della storia dei volontari antifascisti toscani e di porre le premesse per coordinare in futuro l’operato degli istituti presenti (Livorno, Pistoia, Siena, Firenze, Grosseto) su questa interessante prospettiva di ricerca storica.