Davide Bagnaresi
Abstract
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La statua di Dante in Trento e il suo valore simbolico
Nel panorama della nostra scultura monumentale e di destinazione pubblica il monumento a Dante di Trento costituisce una delle espressioni sicuramente più significative sia per le dimensioni e la complessità figurativa sia per il modo con il quale il programma simbolico ha trovato felice traduzione nei valori formali. (Passamani 1998, 63).
Le parole di Bruno Passamani introducono il complesso intreccio storico-allegorico di cui è protagonista il simbolo per eccellenza dell’italianità trentina in terra d’Austria. Inaugurata nel 1896, per le aspirazioni che ha rappresentato agli occhi dell’élite patriottica locale, la statua di Dante ricade a pieno titolo all’interno di quella consuetudine, tipica di fine Ottocento, volta a creare simboli d’appartenenza politico-identitari attraverso la consacrazione di monumenti a illustri personaggi storici. A caratterizzare il monumento non è tanto il suo valore artistico ma, principalmente, il contesto politico e storico nel quale si colloca (Benvenuti, Lorenzi 1992).
Il tributo trentino offerto a Dante va inserito, infatti, all’interno di un “reticolo di strumenti di propagazione e tutela di memorie” (Isnenghi 1996, IX)1 costituito da statue, lapidi e toponomastica, inteso a dare forma al passato e tramandare un racconto pubblico da condividere. Mentre in Italia, a seguito dell’unità, si assiste ad una “diarchia scultorea” (Isnenghi 2004, 42), i cui protagonisti sono Vittorio Emanuele e Giuseppe Garibaldi (massime personificazioni rappresentative di due tradizioni politiche e modi di intendere il Risorgimento), nel caso trentino si assiste a quello che da più parti (Hobsbawm, Ranger 1987, 15; Isnenghi 2004, 120) è stato definito uno “scontro di monumenti” dettato non da egemonie e dinamiche di partito, bensì da rivalità etniche. Più articolato, in quanto condizionato dalla sua complessa situazione geopolitica, appare il vasto apparato simbolico promosso, tra Ottocento e Novecento, in territorio austriaco e in particolar modo in quelle regioni che, al suo interno, reclamano indipendenza o autonomia riallacciandosi a principi etnico-linguistici. Partendo da questo presupposto, Bruno Passamani ha promosso una “mappa” geografica di quella che ha definito l’“epidemia monumentale austriaca” (Passamani 1998, 65), dalla quale emerge che, mentre stati centrali dedicano busti e statue a eroici condottieri, vincitori di battaglie campali, dal canto loro le province orientali premiano personaggi politici e italiane a simboli di una rivalsa identitario-linguistica.È alla luce di queste chiavi di lettura che vanno intesi i sette anni di lotte e vicissitudini che hanno portato all’inaugurazione del monumento trentino, eretto – come nel caso del monumento a Verdi innalzato a Trieste – a simbolo delle lotte per la libertà e per l’indipendenza nazionale.
Essendo inammissibile celebrare, come nel resto della Penisola, Vittorio Emanuele II o Garibaldi (formalmente un monarca straniero e un condottiero nemico), la decisione di dedicare una statua al Padre della lingua italiana nasce come risposta alla precedente inaugurazione a Bolzano del monumento a Walther von der Vogelweide, trovatore del XII secolo, eretto come “simbolo a difesa della cultura tedesca dal progredire verso nord della cultura italiana” (Benvenuti, Lorenzi 1992, 67). Evidente dunque, come ha sottolineato Christoph von Hartungen (1998, 237), l’intento trentino di contrapporre Dante a un personaggio che, per essersi schierato con veemenza ghibellina contro le ingerenze della curia romana e per le interpretazioni a cui era soggetto nell’Ottocento, è stato paragonato proprio al poeta fiorentino. Se si considerano inoltre gli artefici politici dei rispettivi monumenti, la rivalità di questi ultimi appare in tutta la sua evidenza. In entrambi i casi, promotori e principali finanziatori sono associazioni nazionali: pangermaniste (come la Deutscher Schulverein e l’Alpenverein) e cittadini tirolesi, tedeschi e austriaci, per il monumento eretto a Bolzano e la Lega Nazionale, la Società Dante Alighieri e il contributo italiano per quello a Trento. Italiano è anche lo scultore, il fiorentino Cesare Zocchi, vincitore di un concorso internazionale bandito dal Presidente del Comitato per l’erezione del monumento, Guglielmo Ranzi, irredentista, deputato del partito liberale trentino e fiduciario per la regione della Dante Alighieri dal 1895 al 19032.
Per il gesto del poeta fiorentino, rivolto verso Walther von der Vogelweide e intento a fermare con la mano destra l’avanzata di una cultura straniera, e per l’ambiguità delle rappresentazioni sottostanti l’immagine del poeta – richieste implicitamente nel bando del concorso (Benvenuti, Lorenzi 1992) –, la statua di Dante è considerata dalla stampa tedesca come un’azione irredentista mascherata da operazione culturale. Dello stesso parere è oggi Mario Isnenghi che sostiene come, sebbene la festa-inaugurazione del monumento sia avvenuta in sordina, evitando di offrire all’autorità austriaca pretesti per intervenire e bloccare l’iniziativa, “rimane nei fatti la più convincente manifestazione di irredentismo diffuso del Trentino ottocentesco”3.
Lo stesso mancato clamore che ha caratterizzato il rituale della presentazione del monumento alla cittadinanza sembra proiettarsi, a una prima lettura, nell’editoria turistica promossa in Trentino. In guide e riviste locali emerge (a differenza di similari produzioni italiane) un’analoga prudenza dovuta, con tutta probabilità, alla consapevolezza che lo stretto controllo austriaco attuato nei confronti del monumento avrebbe potuto trovare argomentazioni per censurare le opere o, addirittura, per mettere a repentaglio la permanenza stessa della statua.
A questo proposito, prima di commentare le diverse descrizioni e interpretazioni di cui è protagonista il monumento a Dante nell’editoria turistica, può essere utile tracciare un quadro sintetico di come luoghi analoghi compaiano nei manuali di viaggio italiani.
La rappresentazione iconografica del monumento a Dante in guide e riviste trentine
I siti artistici presenti nella Penisola hanno indubbiamente rappresentato il nodo contenutistico centrale della letteratura turistica. Da una generica lettura dei manuali di viaggio italiani, pubblicati tra la fine dell’Ottocento e la Grande guerra, appare tuttavia evidente come riguardo al complesso monumentale nazionale non vi sia un’uniformità descrittiva. Essendo proprio quello artistico, assieme a quello termale, il principale richiamo turistico4, già nella seconda metà del XIX secolo cominciano a essere dedicate singole pubblicazioni alle più importanti cattedrali e a celebri monumenti architettonici nazionali5.
Chiese, castelli e resti romani monopolizzano l’attenzione tanto delle più celebri guide straniere (Koshar 1998), quanto dei manuali locali italiani. A questo proposito Leonardo Di Mauro (1982) ha evidenziato come a dare al lettore, lungo l’itinerario, il senso di una “gerarchia monumentale”, siano nelle prime l’accostamento di uno o due asterischi alla descrizione del monumento e nelle seconde le riproduzioni fotografiche. La riproposizione delle stesse immagini, ribadite in guide, ristampe e cartoline-rèclame, ha contribuito in modo incisivo alla creazione di numerosi stereotipi locali. In gran parte “Proprietà Riservata” dell’Azienda Fratelli Alinari di Firenze, la fotografia compare nell’editoria turistica locale con sempre maggior frequenza a partire dagli anni Novanta del XIX secolo quando, sostituendo le precedenti rappresentazioni grafiche (disegni o riproduzioni litografiche), l’utilizzo di questa innovazione tecnica impone un nuovo modello di cliché non più letterario ma visivo. Acquistabili nella maggior parte dei casi anche come cartoline-souvenir6, tali illustrazioni identificano agli occhi del turista la località visitata, contribuendo in una certa misura alla fine dell’ottocentesca descrizione romantica caratteristica delle guide7.
Se da una generica lettura delle opere italiane emerge una forte presenza di immagini dedicate a monumenti artistici, simbolici, chiese, passeggiate e vedute, a partire da queste premesse può essere intesa l’ennesima particolarità trentina. L’impianto iconografico di vademecum e riviste turistiche della provincia non assume a simbolo territoriale il classico paesaggio alpino costituito da valli e montagne innevate, oppure l’amena veduta (più rappresentativa della Belle èpoque) del lago di Garda, ma un monumento, quello di Dante, peraltro recente e non riconosciuto nella sua pregnanza artistica a livello internazionale. Sebbene, infatti, anche le bellezze naturali siano comprese all’interno di un vasto quadro di immagini che complessivamente ricopre l’intero territorio regionale, non c’è dubbio che la rèclame promozionale – specie quella esplicitamente rivolta agli italiani – ruoti attorno alla figura della statua del poeta fiorentino.
L’immagine di Dante (la cui scelta a simbolo del territorio appare dettata non da una politica di promozione turistica, ma da un ideale) si inserisce in un contesto nel quale, sino ad allora, la campagna promozionale trentina non era stata sufficientemente incisiva e capace, come sottolineato anche dalla “Rivista Mensile”del Touring Club Italiano (Fritz 1907), di valorizzare un luogo d’impatto attrattivo in grado di identificare agli occhi dell’opinione pubblica l’intera regione. Le pubblicazioni trentine stampate sino alla fine del XIX secolo non contengono particolari richiami figurativi, bensì si rifanno a un vecchio concetto editoriale che prevedeva nelle opere il solo testo scritto. Particolari immagini non compaiono neppure, a cavallo tra Ottocento e Novecento, nelle opere di Ottone Brentari (1890, 1891, 1895, 1900, 1902a), Karl Julg (1896) e Giuseppe Oberosler (1901, 1903a, 1903b), autori, gli ultimi due che, a differenza del primo, si limitano a riproporre “bucoliche” vedute di paesaggi, riconducibili alla tradizione dei manuali di viaggio di metà Ottocento (Ricci 1977). In attesa della nascita di riviste turistiche che sfruttino appieno questa nuova tecnica, le prime guide della regione a fare un largo utilizzo dell’apparato iconografico sono quelle compilate da Cesare Battisti tra il 1904 e il 1912.
Un discorso diverso riguarda invece le riviste turistiche trentine e italiane che, sin dalla loro comparsa, utilizzando ripetutamente lo strumento fotografico, elevano la statua di Dante a simbolo dell’intero territorio. In entrambi i casi l’immagine del monumento viene a colmare il vuoto creato dalla mancanza di uno stereotipo visivo che, ripetutamente proposto come rèclame, possa essere associato al nome della regione. L’“utilizzo politico” del monumento risalta infatti in tutte le guide dedicate al capoluogo e, più in generale, all’intera Regione. La sua immagine fotografica è impressa sulla copertina della Guida di Trento compilata da Cesare Battisti nel 1905, e dall’anno successivo diviene simbolo della campagna turistica dai contenuti “nazionali”, dall’eloquente titolo Italiani visitate il Trentino! lanciata in occasione dell’Esposizione Universale del Sempione, tenutasi a Milano nel 19068.
La statua compare nella prima pagina della brochure dal titolo omonimo (distribuita gratuitamente durante la fiera) accanto a una lunga rivendicazione dell’italianità del territorio e dei suoi abitanti, come a rafforzare il contenuto del testo. È inoltre associata all’appello rivolto agli abitanti del Regno presente nelle guide-orario pubblicate dalle locali società per l’incremento forestieri (Battisti 1907) e periodico, dallo stesso titolo, pubblicato nel 1909. La statua diviene protagonista di un numero imprecisato di cartoline prodotte tra la fine dell’Ottocento e gli anni Quaranta del Novecento e rappresenta l’immagine della provincia anche nelle riviste italiane che anticiparono o risposero all’appello degli irredentisti trentini. “Italia Bella”, periodico turistico-patriottico fondato a Milano nel 1908 e diretto dal trentino Ottone Brentari,apre più di un numero monografico sulla regione con una foto a piena pagina di un monumento che sembra essere associato alle istanze irredentiste. Un analogo “utilizzo” politico, sebbene con alcuni importanti distinguo, è presente nella “Rivista Mensile” del Touring Club Italiano.
Se, dunque, a livello iconografico il monumento a Dante viene eletto quale simbolo dell’italianità trentina, un analogo valore rivendicativo non sembra riscontrabile – almeno in guide e riviste locali – in modo altrettanto manifesto in quello contenutistico. Benché il monumento sia di fatto illustrato in modo più o meno esaustivo, accanto alla sua descrizione non compaiono né richiami “nazionali”, né allusioni all’atteggiamento difensivo del poeta.
La rappresentazione del monumento nelle guide e riviste trentine sino al 1914
Sempre affiancate da una riproduzione fotografica, tra le interpretazioni del monumento dei diversi manuali di viaggio si possono riscontrare numerose analogie. In brochure e guide dedicate sia a Trento sia all’intera provincia, Dante è segnalato quale punto di partenza dell’itinerario predisposto per il viaggiatore. Trovandosi all’ingresso della città, all’uscita della stazione ferroviaria, per la sua posizione strategica oltre a rappresentare il segno del gemellaggio con l’Italia, la statua porge un simbolico benvenuto ai turisti provenienti dal Regno. A questo proposito non va dimenticato che il turista dei primi anni del Novecento per i suoi spostamenti utilizza in grande maggioranza il treno o, comunque, la corriera che, per favorire ulteriori spostamenti, conclude la propria corsa nei pressi delle stazioni locali. Per questo motivo le guide d’inizio Novecento – a differenza di quelle che le hanno precedute – non cominciano più i loro percorsi dalla porta cittadina o dalla piazza centrale (luoghi allora punto di arrivo, in quel tempo, delle carrozze), ma nel luogo di massimo flusso turistico. A conferma di come anche le guide di Trento si siano adeguate nell’arco di pochi decenni a questa pratica, mutando i percorsi sin dal loro punto di partenza, può essere utile il confronto fra gli itinerari formulati da Brentari (1890, 1891, 1911) e da Battisti (1905, 1906, 1909a, 1910) e quelli compilati, anni prima, da Carlo Perini (1859) e da Francesco Ambrosi (1881).
Analizzata la posizione della statua nell’iter predisposto per il turista, rimane da capire quale rappresentazione sia stata data di un luogo molto caro agli irredentisti, principali fautori della promozione turistica locale. Le attese e le aspettative suscitate nei patrioti locali non tardano a tradursi sui vademecum dal momento che citazioni del luogo vengono inserite – fatto probabilmente inedito per il panorama editoriale – cinque anni prima che questo sia eretto. Nella Guida di Trento (1891) Brentari, dopo aver fornito informazioni utili, nozioni storiche e linguistiche, apre la descrizione della città comunicando al lettore che nella piazza antistante la stazione sarebbe sorto “probabilmente” (Brentari 1891, 13) un monumento dedicato a Dante. Come s’è accennato, l’opera è datata 1891, anno in cui, a febbraio, l’adunanza plenaria del Comitato esecutivo permanente per il monumento a Dante Alighieri a Trento approvava il programma di concorso per il progetto e, poco dopo, indiceva una selezione per la quale vennero presentati 42 bozzetti. Al momento della pubblicazione dell’opera l’autore non è dunque a conoscenza né della realizzazione effettiva della statua, né tantomeno – in caso affermativo – del suo autore: eventualità che si concretizza solo nell’aprile dell’anno seguente con il conferimento dell’incarico allo scultore fiorentino Cesare Zocchi. A darne notizia è ancora lo stesso Brentari che, nella Guida alle stazioni balneari e climatiche del Trentino (pubblicata nella seconda metà del 1892), aggiunge al riferimento comparso l’anno precedente i dettagli più recenti:
Uscendo dalla stazione ferroviaria, ci troviamo davanti alla vasta piazza della stazione (sulla quale sorgerà probabilmente nel 1895 il monumento che i trentini decisero d’innalzare a Dante, padre della nostra lingua, ed il cui lavoro è stato affidato nel 1892 a Cesare Zocchi). (Brentari 1892, 101).
La prima descrizione “ufficiale” del monumento non appartiene tuttavia a un autore trentino. L’inaugurazione della statua coincide infatti con la pubblicazione della Guida illustrata per la ferrovia della Valsugana (1896), dove Karl Julg, una volta giunti nei pressi di Trento, propone una descrizione poetica della statua lasciando intendere l’importanza simbolica che questa ricopre per il paese:
A chi scende dalla stazione di Trento si presenta subito in mezzo al verde dei giardini in una bella e larga piazza, il monumento a Dante, il Divino Poeta. La statua in bronzo del Poeta, di cui la fisionomia è improntata a serena ed austera dolcezza. […] Questo monumento recentemente inaugurato in mezzo all’entusiasmo della popolazione, forma un ornamento di cui la città a ragione va fiera. (Julg 1896, 34-35).
Un analogo trasporto emotivo, sebbene in termini differenti da quelli dell’autore tedesco, compare in alcune guide e riviste che soffermano la loro attenzione sul monumento. Sebbene questi testi non rimandino alla storia o al significato simbolico della statua e non propongano – come lecito attendersi – una sua descrizione, è comunque interessante notare che ciascun richiamo sottolinea due questioni ben distinte: il valore artistico e l’entusiasmo che ha visto uniti la popolazione trentina e italiana nella raccolta fondi per la sua erezione. In più occasioni (Brentari 1902; Brentari 1911; S. Vigilio 1905, 9) è definito “Il più bello dei monumenti dedicati al sommo poeta italiano”, convinzione diffusa negli ambienti culturali locali dal momento che, nei numerosi testi usciti per celebrare l’inaugurazione della statua, non è difficile imbattersi in un giudizio simile.
Altrettanto interessante, in quanto espressione di un sotteso richiamo alla fratellanza tra italiani e trentini, è quanto segue al citato apprezzamento artistico. Nelle stesse occasioni gli autori non mancano infatti di sottolineare come la statua sia sorta “col contributo di tutto il popolo del Trentino, e col plauso e l’aiuto della Nazione” (Brentari 1902; Brentari 1911; Luoghi di cura 1905; S. Vigilio 1905, 9). L’invio di denaro dal Regno (61 consigli comunali finanziarono l’iniziativa9) e la partecipazione di associazioni patriottiche italiane alla sua inaugurazione, sono di fatto intesi dagli autori come il primo passo verso la redenzione nazionale del Trentino. La diversa rappresentazione del monumento data da Cesare Battisti in tutte le sue guide (il quale, in ognuna delle descrizioni si limita, pur concedendole ampio spazio, alla sola precisa illustrazione del monumento e delle iscrizioni presenti lungo le tre fasce di cui è composto10), confermerebbe come l’editoria promossa in Trentino sino al primo conflitto mondiale, rimanga prudente e non intenda caricare di significati politici un luogo già fortemente avversato da autorità austriache e tirolesi per il suo forte impatto simbolico.
La statua di Dante nelle riviste Italiane. Descrizione e simbologie patriottici in “Italia Bella”
Non essendo soggette a rigidi controlli in merito, è nei periodici turistici italiani che la raffigurazione del monumento a Dante trova la sua massima rappresentazione simbolica. Rispetto a quelli sinora citati, tutt’altro genere di contenuti caratterizza i richiami presenti in “Italia Bella” e nella “Rivista Mensile” del Tci, entrambe curate personalmente da Ottone Brentari (1902; 1911) il quale ha finalmente l’occasione, a opera definitivamente conclusa, di poterla illustrare svelandone al lettore italiano il suo significato intrinseco. È il caso delle tre colonne che compongono l’articolo scritto per “Italia Bella”, nelle quali vengono intrecciati significati allegorici e rivendicazioni identitarie non comparse nelle stampe trentine.
A esclusione di un solo giudizio sul valore artistico (peraltro identico a quello già espresso in precedenza), nello scritto del Brentari compaiono richiami del tutto inediti alla storia e alla descrizione fisica. Nel più emblematico richiamo che la riguarda, la statua non è più costruita con il “plauso e il concorso della Nazione”, ma con quello del “resto d’Italia” (Brentari 1911): una differenza lessicale che può apparire minima ma che in realtà elimina l’ambiguità dei precedenti richiami.
Nelle righe seguenti, illustrando le caratteristiche del monumento, il Brentari (1911) svela quelle tacite, benché tutt’altro che ignote, allegorie:
Come il poeta dantesco, anche questo monumento si compone di tre parti distinte. Sulla base, a rappresentare l’“Inferno”, si volle Minosse, che orribilmente ringhia e manda… tutti i nemici d’Italia che gli passano davanti; più in su si vollero a rappresentare il “Purgatorio” Sordello mantovano, il simbolo dell’amor patrio nella “serva Italia di dolore ostello”, ed esso è fiancheggiato dagli avari, dai superbi, dai neghittosi, dagli invisiosi, disposti attorno al piedistallo: e con Sordello sono Dante e la sua guida Virgilio; di sopra le figure rappresentano il “Paradiso”, e fra esse spicca Beatrice, l’amata donna ispiratrice delle opere di Dante. Sopra il capitello s’erge gigantesca la statua di Dante, colla destra protesa in atto di protezione.
Particolarmente interessante è inoltre il prosieguo dell’articolo nel quale, per la prima volta, si rivelano le motivazioni che hanno spinto i patrioti trentini a concepire la statua in aperto contrasto con la provocazione pangermanista di erigere un tributo a un “menestrello” denigrato dallo stesso Brentari (1911):
Ciò premesso ricorderemo che quando a Bolzano, come segno e prova dell’avanzarsi del pangermanismo, fu innalzato un monumento fontana ad un menestrello tedesco di cui nessuno conosce la pareia e di cui pochissimi hanno letto qualche barbaro verso, i Trentini, a dare una novella prova dei loro indomabili sentimenti, innalzarono questo monumento, che come affermazione e dimostrazione, servì più di cento comizi e mille conferenze.
Nello stesso anno dell’articolo, il 1911, la fotografia del monumento trentino inizia a essere conosciuta dagli abitanti del Regno in quanto associata a quello che gli studiosi del cinema muto italiano (Bernardini 1985, 1996; Gherardi, Lasi 2007; Brunetta 2008) hanno definito uno dei più celebri kolossal realizzati prima della Grande guerra: l’Inferno. Prodotto dalla “Milano Films”, la pellicola era “in piena sintonia con le pretese rivendicazioni irredentiste” (Gherardi, Lasi 2007, 323) auspicate dalla Società Dante Alighieri, associazioneche ne finanziò in parte il progetto e si impegnò affinché l’opera cinematografica fosse diffusa nei teatri e nelle filodrammatiche italiane.
L’effigie della statua trentina compare in apertura dell’opuscolo, stampato a cura della sezione locale della Dante Alighieri di Bergamo e distribuito in occasione della proiezione (Milano Films, 1911), a fianco della scritta “Onorate l’altissimo poeta”: frase utilizzata – proseguono gli autori – come “monito all’Austria rea di non dimostrare il dovuto rispetto per la storia (e i confini) d’Italia” (Gherardi, Lasi 2007, 323). Ma è soprattutto a conclusione del film che il monumento ottiene il suo massimo tributo apparendo come fotogramma nel quadro conclusivo de l’Inferno. Gli studi di Michele Canosa e Gian Piero Brunetta hanno evidenziato che gli esordi del cinema muto italiano sono contraddistinti proprio dal loro significato pedagogico-patriottico, e a dimostrarlo è la pratica ricorrente di inserire al termine di alcune pellicole dei primi anni del Novecento11, immagini che rievochino il Risorgimento. Questa formula è presente anche nell’Inferno, la cui immagine della statua di Dante a Trento diviene in un primo tempo oggetto di apprezzamento e di dibattito nella stampa del Regno ma che, con lo scoppio della Grande guerra, causò imbarazzi di carattere politico che ne imposero prima la soppressione del film (Gherardi, Lasi 2007, 324) e, in seguito, il nulla osta per la sua diffusione alla sola condizione che fosse tolto proprio il quadro finale dedicato alla scultura (Raffaelli 1999, 62).
La celebrità raggiunta dal monumento trentino negli ambienti “nazionali” italiani e le motivazioni che hanno portato a intrecciare film e rappresentazione scultorea, sono spiegate ancora dal Brentari nella seconda parte del suo articolo con queste parole:
Finito lo svolgimento della lunga pellicola cinematografica che ci conduce traverso l’Inferno dantesco, apparve in tutte le scorse sere al Teatro dei Filodrammatici sullo schermo bianco il monumento di Dante a Trento; ed alle note degli inni patriottici che lo salutavano, si univa sempre l’applauso del pubblico. Qualcuno domandava: “E come l’entra qui quel monumento?” […] Dante è il padre della lingua, anzi ne è il simbolo e la personificazione; il patriottico e valoroso sodalizio che si assume l’arduo ed alto compito di difendere, fuori dai confini del Regno, la lingua e la coltura italiana, si fregiò appunto del nome di Dante; il Comitato di Milano della “Dante” prese sotto i suoi auspici e tutela questa produzione cinematografica la cui impresa cede alla “Dante” una parte degli introiti; e perciò quel monumento qui è proprio al suo posto (Brentari 1911).
Non deve stupire, nel richiamo, la celebrazione del contributo dell’associazione (di cui l’autore è membro) alla distribuzione del film. L’intero numero di Italia Bella del 15 aprile 1911 è infatti interamente dedicato alla propaganda dell’attività patriottica del Sodalizio. Ma l’“utilizzo” politico del monumento trova un’ultima allusione al termine dell’articolo, quando Brentari ripropone il celebre verso composto dal Carducci in onore dell’inaugurazione del monumento nel 1896: “Ed or s’è fermo, e par che aspetti, a Trento”12.
Augusto Sandonà in un suo testo (1935), riportando alla luce un carteggio tra Guglielmo Ranzi e lo stesso Carducci, ha evidenziato il coinvolgimento emotivo del poeta bolognese nella costruzione della statua trentina, tanto che il primo fu costretto a limitare i fervori del secondo per il rischio di una censura austriaca (Sandonà 1935). Del resto, gli ideali irredentisti del Carducci non sono mai stati un mistero. Monografie dell’epoca e saggi storiografici più recenti (Giuseppe Ranzi 1906; Lo Parco 1915; Vinciguerra 1957; Andreoli 2007) hanno contribuito, alcuni dei quali parafrasandone i versi, a delinearne l’ideale politico-risorgimentale.
Appare dunque evidente, da parte del Brentari e del suo periodico, che la descrizione del monumento sia stata principalmente un pretesto per invitare i “fratelli del Regno” non solamente a visitare il Trentino, ma a fare anche proprie le battaglie per quella che loro considerano la madre patria.
La statua di Dante in Trento e il ciclismo patriottico: il Trentino visto dalla Rivista Mensile del Touring Club Italiano
Per opposte vie – le une da oriente ad occidente e da nord a sud, le altre pur da oriente ad occidente, ma da sud a nord – forti schiere di ciclisti italiani si recarono in Agosto a visitare il Trentino, e fissarono quale loro meta il monumento di Dante a Trento. (Brentari 1901).
Queste parole, apparse nel 1901 nella Rivista Mensile del Touring Club Italiano, appaiono come la più significativa conferma di un turismo e di un luogo che, sebbene alternativi alle più celebri località termali o alpine, hanno suscitato nell’élite patriottica italiana. Questo è ciò che emerge dai resoconti delle gite organizzate in prevalenza dal Tci e che hanno visto come protagonista il Trentino e la statua del Sommo poeta.
Accertato il significato intrinseco all’associazionismo ciclistico giuliano (Pivato 1992, 181 ss.), nonché il simbolismo patriottico della pratica agonistica trentina interna alla regione (Antonelli, Tonezzer 2001; Tonezzer 2006), rimane da affrontare il valore allegorico delle tappe promosse da clubs del Regno verso Trento e dintorni, di cui l’editoria turistica è indiretta testimone.
Quanto evidenziato da Nicola Porro (1995) – per il quale il valore insito nella pratica atletica diffusa nel XIX secolo sia sostituito, nell’epoca dei nazionalismi, da quella alpina e ciclistica – appare evidente nel bollettino mensile del sodalizio ciclistico milanese che concede ampio spazio ai resoconti delle numerose gite promosse nella regione alpina.
In realtà queste tappe appartengono a un più vasto quadro cerimoniale di eventi, commemorazioni di battaglie, inaugurazioni di monumenti e lapidi, intitolazioni di strade a personaggi e luoghi che rievocano i fasti del Risorgimento e che, toccando l’intera Penisola, fanno da sfondo a quelle pratiche che studi di carattere sociologico (Dumazedier 1978; Hoberman 1988) hanno considerato rispondenti a un rituale di massa.
In merito alle gite non si parla ancora né di quell’utilizzo politico dello sport tracciato da Johan Huizinga (1946), in cui il ludus è un intreccio di cultura e complesse regole formali da rispettare, né di concetto di sfida tipico di una gara dal carattere competitivo. Le escursioni del Touring sono organizzate spontaneamente e si differenziano per lo spirito che in questi anni contraddistingue le prime edizioni del Giro d’Italia, nato nel 1909 in emulazione al Tour francese e per iniziativa non di un club o federazione ciclistica, ma della già celebre testata giornalistica “Gazzetta dello Sport”. Quel richiamo agli ideali patriottico-risorgimentali, ripetutamente evidenziato da Giuseppe Vota (1954) nella sua relazione sull’attività dei primi cinquant’anni del Touring, sembra trovare nelle entusiastiche relazioni delle gite promosse su scala nazionale la sua massima espressione.
Basti pensare a due tra le tappe più pubblicizzate nella Rivista Mensile, quella che nell’agosto del 1902, per iniziativa della sede locale bolognese, toccò le località di Curtatone e Montanara, Custoza, Solferino e San Martino13, e quella che in occasione dell’anniversario della Spedizione dei Mille, partita da Genova per Palermo il 23 maggio 1910, ebbe largo successo di partecipanti, stimato dagli organizzatori in oltre 600 presenze di cui almeno 100 erano costituite da reduci14.
Rispetto all’ideale che muove i tour appena citati, il “cicloturismo patriottico” nelle terre irredente sembra acquisire un significato aggiuntivo. Superare il confine non deve infatti intendersi come gesto di solo richiamo alla memoria risorgimentale, ma come pratica alla pari delle conquiste simboliche di fine Ottocento delle grandi vette. È in questa chiave di lettura che vanno interpretate le gite, le adunanze e i convegni che hanno per protagoniste Trento e le città della sua provincia: manifestazioni tutte ampiamente relazionate all’interno della “Rivista Mensile”. Non è un caso, dunque, se una delle prime gite nazionali promosse dal Tci sia avvenuta, nel 1901, a Trento e se questa abbia previsto come meta finale proprio il monumento a Dante, oppure se la città sia stata ripetutamente protagonista di lunghi percorsi a tappe nei mesi di settembre del 190315 e 190416 e nell’agosto del 190717, nonché un tour nel luglio dell’anno precedente (nel quale compare assieme alla città di Trieste) con simbolica partenza da Roma e arrivo a Milano: l’unico esempio quest’ultimo dove, nel descrivere la relazione, si parla apertamente di “pellegrinaggio patriottico nel Trentino” (Trasatti 1906)18. Nelle loro relazioni è possibile intravedere un canovaccio uniforme, denso di retorica patriottica, nel quale pratiche rituali, scandite con precisione, hanno come protagonista proprio il monumento a Dante. A seguito di un appello del cronista a visitare un territorio ancora troppo poco conosciuto dagli italiani e di un richiamo “appassionato” al superamento del confine politico inteso come gesto di sfida (Gita 1903; Trasatti 1906), giunti in Trentino gli autori (sempre partecipanti alle “spedizioni”) non si soffermano – come spesso accade in altre relazioni di tour ciclistici – sulle descrizioni delle bellezze territoriali, ma concentrano il loro interesse nel rappresentare l’accoglienza manifestata dalla popolazione nei confronti dei gitanti provenienti dal Regno19. Dopo aver riportato in modo encomiastico messaggi di fratellanza e di gemellaggio tra le due popolazioni, a emergere nei testi è l’emozione dei partecipanti italiani di fronte a un luogo che diviene, nelle colonne della Rivista, “ideale” e “reale” allo stesso tempo: “ideale” nei richiami alla fratellanza che la vedono protagonista di brindisi e discorsi patriottici pronunciati durante banchetti organizzati dalle rappresentanze ciclistiche o dalle istituzioni locali trentine in onore degli ospiti italiani20, “reale” in quanto luogo fisico, meta da conquistare.
La statua rappresenta l’animo della città irredenta, il punto di ritrovo delle diverse comitive davanti cui farsi fotografare e, al contempo, luogo di ripartenza per il ritorno in Italia. Oggetto di “gentile e commovente tributo di venerazione” (Convegno1908; Festa 1908), rendere onore all’effige del poeta assume talvolta pratiche ai limiti delle censure imperiali. Sfilate e lanci di fiori ai piedi del basamento fanno da sfondo allo sventolamento di un tricolore in atto – parafrasandone il significato dato da Gianni Oliva (1996, 9) – di “compiacimento della conquista”, come in occasione dell’arrivo dei membri del Tci nel 1902:
Compiuto il secondo giro i ciclisti da piazza del Duomo, percorrendo via Larga, si recarono in piazza Dante e sfilarono intorno al monumento di Dante. Le biciclette, furono, in un attimo, sguarnite di fiori, che i ciclisti gettarono – omaggio delicato – sui gradini del monumento. L’alfiere della squadra di Ficarolo abbassò per tre volte la bandiera tricolore, salutando, fra scoppi di vero entusiasmo. La bandiera dell’Italia nuova, s’inchinava reverente a chi l’Italia l’aveva in anni tristissimi tanto amata e per essa sognato e sofferto. Una corona venne appesa alla testa di Minosse. Uno dei ciclisti pronunziò un breve discorso che fu ascoltato attentamente e più volte interrotto da applausi. Indi i ciclisti sfilarono ancora due volte intorno al monumento e si recarono poscia alla pista Galvan, dove si sciolsero (Trento 1902).
Pratiche analoghe si rinnovano anche quando a promuovere tappe in Trentino non è il Tci ma associazioni ciclistiche locali del nord Italia (Trento 1904; Ciclisti torinesi 1905), quando sono ciclisti trentini a scendere nel Regno (Ciclisti trentini 1903; Mantova 1903) o in occasione di semplici gite organizzate, con evidente successo, da tour operator o associazioni italiane. È il caso di un gruppo di trevigiani accorsi in gran numero per visitare il capoluogo trentino, ai quali vengono concesse le stesse cerimonie e i medesimi onori istituzionali attribuiti ai ciclisti del sodalizio milanese (Trevisani 1910).
Non abbandonare i “fratelli” trentini e ricordare attraverso plateali manifestazioni i loro diritti di appartenere al Regno è il messaggio che emerge da una rivista, quella del Tci, che non rappresenta la provincia nelle sue bellezze naturali ma piuttosto cerca di mettere a propria disposizione la sua larga diffusione lungo la Penisola, per contribuire alla causa irredentista.Di questa partecipazione emotiva non va sottovalutata l’eco. Il periodico è distribuito gratuitamente a tutti i soci, passando dalle 29.000 copie del 1901 alle 150.000 del 1914: una diffusione di gran lunga maggiore rispetto a quella auspicata dai promotori dell’editoria turistica trentina.
Dallo scoppio del conflitto alla redenzione: apogeo e declino di un simbolo
Il turista che acquisti oggi una guida di Trento o del Trentino difficilmente troverebbe accanto alla descrizione del monumento a Dante un qualche accenno alla storia e al contenuto simbolico del luogo. L’ultima edizione della stessa Guida d’Italia del Tci dedicata alla regione nel 2007, benché come suo solito particolarmente attenta a descrivere i dettagli artistici, tralascia quelli storici. L’anonimato nel quale è caduto il monumento non è tuttavia recente. Nell’editoria turistica prodotta da diversi decenni, la statua non compare più come primo luogo illustrato ma come semplice tappa lungo un più vasto itinerario. La diffusione dell’automobile e il corrispettivo declino del treno come principale mezzo di locomozione turistica sembrano avere – in linea di massima – riportato le partenze dei percorsi al loro ottocentesco punto d’origine: la piazza del Duomo o del Municipio.
Nelle guide e riviste turistiche trentine, dallo scoppio del primo conflitto mondiale sino agli anni Trenta, le sorti del monumento hanno corrisposto alle tappe storiche che hanno visto il Trentino come interprete. Di fatto la statua è soggetta (o vittima), al pari di altri simboli e miti al centro di recenti studi storiografici (Isnenghi 1996-1998; Tobia 1998; Ridolfi 2003), a profonde mutazioni causate dall’avvicendarsi degli eventi storici. A seguito della rottura diplomatica fra Italia e Austria si istaura un nuovo linguaggio nel quale la retorica in funzione interventista prima e antitedesca poi sostituisce la descrizione del paesaggio e, più nello specifico, del monumento.
Rafforzato il suo significo allegorico e la sua presenza iconografica, per tutta la durata del conflitto Dante incarna l’angoscia e la possibilità di riscatto della popolazione, divenendo emblema e baluardo d’italianità nelle terre assoggettate all’Austria e martoriate dagli scontri. È solo, dunque, con l’entrata dell’Italia in guerra, come annotato da Benvenuti e Lorenzi (1992), che il monumento assume il significato irredentista in tutta la sua evidenza. A questo proposito basti confrontare i due vademecum pubblicati nel 1915, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, dal titolo Guida di Trento e Nuova guida illustrata di Trento e Trieste: opere che, collocandosi in un quadro storico venuto nel frattempo a modificarsi, appaiono stampate con finalità molto differenti tra loro. La prima, patrocinata dalla Società per il Concorso Forestieri per il Trentino e messa in commercio poco prima dell’entrata in guerra italiana, mantiene le classiche caratteristiche descrittive che appartengono al concetto di guida turistica. Confidando sul fatto che i fronti bellici rimangano collocati nell’Europa del nord e sull’atteggiamento neutrale del Regno, essa non contiene alcun riferimento al conflitto in atto21, limitandosi a descrivere il monumento con le esatte parole del Battisti, già comparse nelle edizioni precedenti.
Tutt’altro genere d’impostazione contraddistingue la Nuova guida illustrata di Trento e Trieste, prima opera stampata in Italia dedicata ad entrambe le città irrendente. Anonima, pubblicata dalla casa editrice Torellini di Torino, l’opera appare come un chiaro esempio di conversione di uno strumento dalle caratteristiche neutrali a fini propagandistici risultando, al fine, una guida interamente incentrata a giustificare le ragioni della recente entrata italiana nel conflitto mondiale. A fornirne una prima conferma è la stessa premessa dell’autore che, confidando in una “guerra lampo”, propone al lettore un pellegrinaggio espiativo in terre presto di ritorno alla Madre patria:
Domani, quando il sogno delle popolazioni sorelle, il sogno dei poeti e degli eroi, sarà gloriosa realtà, tutti gli italiani sentiranno un bisogno di un pellegrinaggio pio verso le plaghe redente a cercare i vestigi del dolore di ieri e della gloria di oggi. […] e come sono, si chiedono intanto, codeste città? nostro proposito, con questo opuscolo, è di dare uno schizzo della plaga che sarà tra poco redenta; rapido e breve, perché non è questa l’ora, per il popolo, di studi e di considerazioni, ma più quella di rapide notizie e di visioni. […] sarà questa la prima guida popolare, per chi primo si recherà alle due città che saranno presto liberate. (Trento e Trieste 1915, VI).
La guida si contraddistingue per un linguaggio discorsivo, indirizzato ad accentuare in ogni luogo il carattere italiano della regione e il difficile rapporto delle popolazioni con gli austriaci. In questo contesto si collocano al suo interno i richiami al monumento dell’Alighieri, la cui fotografia appare a simbolo delle due città irredente già nella stessa copertina dell’opera. All’interno la statua non è descritta per le sue caratteristiche estetiche o per il significato che assume agli occhi della popolazione. La retorica che fa da sfondo al primo richiamo del monumento nella guida è contestualizzata in funzione dell’attualità del conflitto e, nello specifico, nel timore dello sfregio e dell’incolumità del simbolo “nazionale”:
Ivi sorge il Monumento che i trentini vollero innalzato a Dante, baluardo ideale della nostra italianità contro l’eterno barbaro. È opera di Cesare Locchi22, scultore fiorentino, ed è considerata una delle più grandiose e geniali concezione dell’arte moderna. […] Pare che in questi giorni la tedesca rabbia abbia deturpato qua e là il monumento: altri dice che è minato e sarà distrutto prima che il tricolore splenda su la città. Che importa? I monumenti si possono rifare: ciò che non può essere né deturpata né minata è la grande idea di Dante, che ora si compie. (Trento e Trieste 1915, 11-12).
Il timore di una deturpazione e la paura che il simbolo cada in mano al nemico appaiono con una certa ricorrenza anche nei periodici turistici italiani per i quali attaccare il monumento equivale a colpire l’Italia.
L’anno precedente, durante la neutralità del Regno, su “Italia Bella” era comparso un articolo dal titolo Dante tenuto sott’occhio (Brentari 1914), nel quale si parla del sospetto di cannoni austriaci puntati verso la statua. Tale denuncia, mossa per fomentare l’opinione pubblica e criminalizzare la crudeltà del nemico tedesco, è presente anche nella “Rivista Mensile” del Tci e, in particolar modo, in un articolo del 1917, interamente dedicato al monumento, in cui i timori del Brentari appaiono esasperati sino a far prevedere un abbattimento del monumento volto alla trasformazione per fini bellici (Rosa 1917).
Allo stesso modo le notizie circa la rimozione delle iscrizioni dal basamento della statua, la destituzione dei busti di Giovanni Prati e di Giosuè Carducci che la circondano o la sostituzione delle denominazioni toponomastiche che rimandano all’elemento italiano, sono oggetto di strumentalizzazione da parte delle riviste italiane che identificano il Trentino con il suo monumento più “sacro”, e le violenze da esso subite con quelle perpetrate ai danni della sua popolazione23.
Ma nella guida e negli articoli citati appare una seconda interessante interpretazione. Nella Nuova guida di Trento e Trieste la statua di Dante, pronta ad accogliere l’esercito italiano liberatore, è contrapposta proprio a quel Castello del Buonconsiglio che, a redenzione avvenuta, lo sostituirà nei manuali turistici e nel pellegrinaggio patriottico nel suo significato simbolico:
Ed eccoci a parlare, brevemente, di due costruzioni, che a chi visita Trento rimangono impresse nella memoria, perché ne esprimono quasi la caratteristica storica. In ogni città – come questa – non grande, c’è qualche monumento, all’apparenza non notevole, ma che ne conserva, nella sua linea antiquata o bizzarra, la caratteristica fondamentale. Dante è l’ansia moderna dell’aspettazione e ti accoglie all’entrata additando il confine alpino; il Castello del Buon Consiglio ti parla della Signoria dei Vescovi, cavalcanti i muletti della grassa contea. (Trento e Trieste 1915, 16).
La fortezza, luogo appartenente al “nemico” e perciò sottratto alla popolazione, è identificata come la dimora di vescovi arricchitisi grazie all’alleanza con le autorità asburgiche. Le accuse che socialisti e irredentisti italiani da tempo muovono al clero trentino appaiono manifeste in una guida turistica (o pubblicazione che si dichiara tale) solo in periodo bellico. In realtà (Benvenuti 1996a; Benvenuti 1996b) da quasi un secolo il Castello non apparteneva più alle “Signorie dei Vescovi”, essendo da diverso tempo adibito a caserma e, con lo scoppio del conflitto mondiale, a carcere e tribunale militare.
E proprio con la funzione di luogo storico, che la vede patibolo di patrioti quali Damiano Chiesa, Fabio Filzi e Cesare Battisti, la roccaforte assume, a redenzione avvenuta, un profondo significato espiativo che offuscherà, in parte, il monumento a Dante.
Nel primo dopoguerra il Trentino – come evidenziato da Patrizia Battilani (2001, 295) – non solo non perse, come temeva, la tradizionale clientela turistica proveniente dalle regioni tedesche e austriache, ma recuperò nuovi fruitori, in prevalenza di origine italiana, ai quali si propose “un turismo patriottico che sceglieva la montagna per ripercorrere i sentieri dei soldati, visitare i luoghi di battaglia e i musei di guerra” (Battilani 2001, 295). Protagonista di questo nuovo itinerario non è più la statua di Dante, ma il Castello intorno al quale si crea quella “costruzione del mito” di Cesare Battisti recentemente oggetto d’analisi da parte di Massimo Tiezzi (2007) che, a modo loro, anche le guide turistiche contribuiscono a forgiare.
Da una lettura delle tre guide più rappresentative del decennio successivo al conflitto (Brentari 1921; Battisti 1922; Ferrari 1927), emerge come l’attenzione degli autori si sposti su località colpite maggiormente dalla guerra e, in particolare, sul martirio di Battisti. Intesa come luogo di espiazione, la fortezza sostituisce sin dalle primi manuali un monumento la cui descrizione ritorna, come prima del conflitto, priva di ogni richiamo simbolico-identitario. Se infatti nelle guide degli anni Venti dedicate alla Trento italiana la statua del poeta fiorentino continua a essere simbolo iconografico della città, è altrettanto vero che nella sua rappresentazione non si trovano i veementi toni politici del decennio precedente. Nel momento in cui le pubblicazioni, non più soggette alla censura preventiva austriaca, possono finalmente narrare la storia, la posa simbolica, la contrapposizione al “nemico” Walther von der Vogelweide o il recente barbaro sfregio di cui fu protagonista, le opere si limitano – a fronte dell’ormai classica descrizione artistica tracciata decenni prima dal Battisti – a dare il solo annuncio del ripristino delle scritte del basamento da parte della Società Dante Alighieri di Milano. Altri sono i luoghi che suscitano negli autori una reazione emotiva: non più quelli della memoria risorgimentale. È una Trento “nuova” quella che esce dalle guide successive la Grande guerra, una Trento nella quale – sottolinea Brentari nell’ultima ristampa della sua Guida di Trento – “è sparita persino l’Austria!” (Brentari 1921, Introduzione).
Tutto in essa, a partire dalle stesse dediche, testimonia il passaggio del drammatico conflitto e il martirio di coloro che vengono innalzati a eroi. La toponomastica, le targhe commemorative i patrioti caduti, sino alla casa Battisti24, sono solo alcuni dei luoghi che spiccano in un percorso rinnovato e che simbolicamente termina con una lunga rappresentazione del Castello del Buonconsiglio. Restituita alla cittadinanza e tramutata, proprio negli anni in cui il Brentari scrive la sua guida, in Museo del Risorgimento25, la fortezza, in precedenza sinteticamente illustrata per i suoi soli interni artistici emerge ora come simbolo del “martirio” trentino. Meta obbligata di un percorso “espiativo” appositamente compilato per il turista italiano sono ora le celle che funsero da prigione prima della condanna a morte26 e la Fossa dove avvennero le esecuzioni di Damiano Chiesa, Fabio Filzi e Cesare Battisti27.
Le parole del Brentari divengono così un’indiretta conferma di quanto sostenuto da Benvenuti (1996b, 92), secondo cui nella Fossa del Castello si susseguirono in quel tempo con frequenza “pellegrinaggi con riti patriottici, da parte di associazioni combattentistiche, delegazioni comunali, scolaresche e personalità provenienti da tutta Italia”. In attesa del primo manuale interamente dedicato al Museo del Risorgimento (de Manincor 1927) e ai luoghi più simbolici della fortezza sono proprio le guide di Trento a riservare un percorso all’interno del Castello. Significativo e analogo a quello del Brentari è l’itinerario che Oreste Ferrari, nella sua esaustiva descrizione (venti pagine su ottanta complessive dedicate al capoluogo), propone di un luogo che definisce “sacro anche per le memorie degli ultimi martiri trentini, […] sacrario delle più fulgide memorie e glorie di questa terra italiana” (Ferrari 1927, 54). L’autore, anch’esso celebre per le sue idee irredentiste e membro della Legione Trentina28, dopo aver descritto la cinta muraria e l’ingresso, si sofferma lungamente nell’illustrazione della prima tappa del supplizio, le Celle dei Martiri29, proseguendo poi con la seconda e terza sosta della simbolica Via crucis: l’Aula del Tribunale Austriaco30 e la Fossa dei Martiri, meta finale di un itinerario lungo il calvario dei martiri31.
L’analogo percorso, presente nell’unica ristampa postuma del Battisti e in una guida minore pubblicata dopo il 1925 dal titolo Trento, confermerebbe il definitivo “passaggio di consegne” simbolico da un monumento che, identificato con l’ideale irredentista viene oramai sostituito da un luogo emblema della tragedia della popolazione, tanto da perdere nel tempo il suo significato identitario, come dimostrato dalla più recente pubblicazione del Tci.
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Contenuti correlati
- Nello specifico caso di Roma nell’Italia di fine Ottocento il richiamo è a Tobia 1991. [↩]
- In merito ai rapporti tra Guglielmo Ranzi e la Società Dante Alighieri si consiglia la lettura di Monteleone 1963. Sulla Dante Alighieri e il suo “intervento oltre confine” vedasi inoltre Pisa 1995, 111-145. Il saggio ripropone l’attività dell’associazione dalla sua nascita sino agli anni Trenta del Novecento. Interessante, a questo proposito, notare come l’ideale irredentista sia il principio costitutivo di un sodalizio che tuttavia vide divenire al suo interno, sino allo scoppio della guerra, questa componente minoritaria o comunque celata per non incorrere in censure o problemi con le rappresentanze governative italiane. [↩]
- Isnenghi 2004, 122. In merito anche Benvenuti 1992, 12. [↩]
- Per il caso internazionale vedasi Towner 1996; Walton 2005. Per quello italiano Battilani 2001. [↩]
- Il riferimento è a brochure, vademecum più o meno sintetici o collane monografiche – come ad esempio l’Italia Artistica, pubblicata dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo – utilizzabili anche in chiave turistica. [↩]
- Sull’evoluzione e il simbolismo del souvenir: Canestrini 2001. [↩]
- Un esempio, in questo caso, può essere dato dal panorama che perde, nel passaggio dai diari di viaggio alle guide pratiche, buona parte del suo significato poetico (Brilli 2006; Bagnaresi 2009). [↩]
- In merito all’Esposizione vedasi: Audenino, Betri, Gigli Marchetti, Lacaita 2008. [↩]
- Cfr. Dante Alighieri 1896. [↩]
- La descrizione di Battisti, sempre attento nelle sue guide a giudicare e criticare l’Impero, non incontra nella statua di Dante un analogo attacco. Un esempio significativo può essere quello inserito nella Guida turistica del Trentino e del Lago di Garda, dove il luogo è descritto con le seguenti parole peraltro molto simili alle altre opere: “A chi scende alla stazione di Trento si presenta nella piazza in mezzo ai bei giardini il monumento a Dante Alighieri, opera dello scultore Cesare Zocchi di Firenze (1896). Sotto la statua del poeta s’aggruppano tre fasce o ripiani delle bellissime figure di bronzo, rappresentanti scene della divina commedia. Nel primo piano l’Inferno è rappresentato da Minosse, il giudice delle anime dei dannati. Nel secondo piano, raffigurante Il Purgatorio campeggia fra molte figure un gruppo che rappresenta Sordello, simbolo dell’amor di patria. nella terza fascia la figura eterea di Beatrice, circondata da angeli, rappresenta Il Paradiso” (Battisti 1909b, 58-59). [↩]
- Tra questi Il tamburino Sardo (1911), La presa di Roma (1905) e Il piccolo garibaldino (1909). In merito all’analisi dei simboli e dei contenuti delle ultime due pellicole citate il rimando è a Musumeci, Tuffetti, 2007. Il saggio contiene il dvd dei film. [↩]
- L’intero testo della poesia è presente in Dante Alighieri 1896. [↩]
- L’intero programma, composto di orari, tappe e processioni è presente in: Gita 1902; Campi 1902. In merito anche: Sangiorgi 1992. [↩]
- Anche in questo caso gli articoli dedicati all’evento sono due e corrispondono, il primo, al programma e alle condizioni per iscriversi, il secondo al racconto delle fasi più rappresentative dell’avvenimento. Vedasi rispettivamente: Bertarelli 1910a; 1910b. [↩]
- Il tour fu composto dalle seguenti tappe: Milano-Lecco-Sondrio-Tresenda-Aprica-Edolo-Tonale-Malè-Trento-Arco-Riva-Salò-Brescia-Bergamo-Milano. [↩]
- Il raduno si tenne il 18, 19 e 20 settembre 1904. I ciclisti, provenienti da Milano si recarono a Desenzano e, in seguito, da Riva procedettero per Bezzecca. Ritornarti a Riva, passarono per Mori e proseguirono per il Monte Baldo, ritornando in Veneto. [↩]
- Il tour, partito da Tortona il 15 agosto toccò le città di Verona, Trento, Pergine, Levico, Belluno passando poi per località del Cadore, della Carnia, della Carinzia e della Stiria per poi terminare nella capitale austriaca. [↩]
- Allo stesso tempo Bezzecca e ancora Trento sono rispettivamente sedi di due importanti convegni organizzati dal Sodalizio (rispettivamente il 7 settembre 1903 e il 23 agosto 1908) e soci di quest’ultimo partecipano con lo stesso entusiasmo a quelli organizzati da federazioni ciclistiche trentine. Tra questi vanno annoverati quelli che si tennero in occasione delle feste patronali nel giugno del 1902 a Cavalese e nell’agosto del 1905 a Predazzo, di cui la “Rivista Mensile” non manca di dare ampi resoconti. In merito Convegno 1905. [↩]
- In merito: Gita 1901. Convegno 1903; 1905; 1908. Trasatti 1906. [↩]
- Emerge, su tutti, il caso del banchetto tenutosi nel 1901 in onore di Federico Johnson (tra i più celebri fondatori dell’associazione milanese) che vide fra i suoi oratori, in successione, Luigi Vittorio Bertarelli (anima e ispiratore di tutte le iniziative del Tci sino alla sua morte, avvenuta nel 1926), il Podestà di Trento Luigi Brugnaga, il Capo Console del Tci di Trento Guido Larcher e, infine, Ottone Brentari. In ciascun intervento appaiono evidenti i richiami patriottici alla fratellanza identitaria. Simili fra loro sono, ad esempio, gli appelli del Brentari e del Larcher a visitare il Trentino tanto da apparire di fatto analoghi a quelli che qualche anno più tardi contraddistingueranno la campagna turistica locale esclusivamente dedicata agli abitanti del Regno dal citato titolo Italiani visitate il Trentino!. Il riferimento al monumento di Dante e la speranza che visitatori italiani, giungendo numerosi in regione, aiutino con la loro presenza la battaglia locale contro il tentativo di germanizzazione del territorio sono i motivi conduttori di cerimoniali che non si limitano alla formale ospitalità (il consueto benvenuto che un’associazione locale porge ad analoghe società in visita ufficiale) ma che divengono veri e propri comizi di carattere politico. In merito Gita 1901. [↩]
- La guida appare totalmente estranea al contesto storico che vede la nazione cui appartiene scontrarsi militarmente con Inghilterra, Francia e Russia. Un richiamo alla “normalità” è dato dalla stessa attività del Concorso Forestieri per il Trentino, una delle rare associazioni non epurate dal Tribunale austriaco, ancora efficiente nell’accogliere e dare informazioni ai turisti: “L’Ufficio informazioni del Concorso Forestieri per il Trentino è aperto tutti i giorni, eccettuate le domeniche, dalle 9 alle 12 ant. e dalle 2 alle 6 pom. Informazioni e brochure del Trentino e dei principali luoghi di cura e climatici internazionali sono gratuite”. Trento 1915, 6. [↩]
- Da notare l’errore commesso dall’autore confusosi, con ogni probabilità, con un geografo di nome Locchi che partecipò per il Trentino all’Esposizione Universale di Milano del 1906. [↩]
- “Fra i molti atti sistematicamente compiuti e perfidamente voluti dall’Austria – né il sacro, né l’artistico trattiene la furia bestiale – attestanti, a tutto il mondo civile, l’insita barbarie di un popolo ch’è sempre, come ai tempi di Dante, duemila anni indietro a noi sulla via della civiltà, e che non smentisce e non smentirà mai sé stesso, ci pare uno dei più singolari quello della manomissione e deturpazione al simulacro di Dante a Trento, di cui lo scorso ottobre ricorse l’anniversario dell’inaugurazione. Ne diedero l’annuncio con poche parole brevi e ignude: rotte, dalla soldataglia austriaca impotente ad arrivare fino alla statua del Sommo Poeta, le incrostazioni di bronzo e alcuni altorilievi; imbrattate, con strisce gialle e nere, le belle figure; rovesciate sulla base immondezze; appiccate scritte ingiuriose per gli italiani”. Rosa 1917. [↩]
- “A destra la casa che fu l’ultima dimora di Cesare Battisti, prima che egli lasciasse Trento per tornarvi come martire della patria” (Brentari 1921, 64). [↩]
- In merito alla nascita del Museo del Risorgimento di Trento e alle controversie, durante il periodo fascista, tra il Comitato locale e l’Ufficio Belle arti della Soprintendenza il rimando è a Baioni 2006, 69-77. [↩]
- “Si possono ora visitare le Celle nelle quali furono chiusi i processati e martiri politici durante l’ultima guerra. Da sinistra a destra esse sono quelle della signorina Gottardi, Cesare Battisti, avv. Valentino Peratoner, Fabio Filzi, Vittorio Zippel. Nel corridoio al quale s’apersero le porte delle celle, ed in queste son corone, targhe, poesie. Battisti e Filzi furono appiccati nella fossa della Cervara il 16 luglio 1916; l’avv. Peratoner fu trovato morto nella cella il 3 ottobre 1916. Si ignora in quale cella sia stato chiuso Damiano Chiesa” (Brentari 1921, 29). [↩]
- “Per visitare la Fossa dei martiri, che si avvalla dietro il Castello, a mattina, se non si può scendere ad essa dal corridoio che si stacca dalla Loggia nel Cortile dei Leoni, giù per la scala esterna di pietra, di 35 gradini a tre ripiani (che è la stessa per la quale discese Cesare Battisti per andare al patibolo), si esca da Porta Aquila, si svolti a sinistra, si giri il Castello, e si scenda la Fossa. Due pilastri segnano la località ove furono fucilati i 21 volontari italiani nel 1848, e pietre poste sul suolo indicano i punti ove furono impiccati Filzi e Battisti e fucilato Damiano Chiesa. La sacra località è meta continua di patriottici pellegrinaggi” (Brentari 1921, 34). [↩]
- Istituita a Firenze nel 1917 la Legione Trentina era formata dai volontari trentini con l’intento di unire idealmente tutti i volontari che si sono arruolati nell’esercito italiano. Sergio Benvenuti (1976, 3-10) ha stimato il numero dei volontari in 859 unità, tra i quali furono in 132 a perdere la vita. Rifacendosi a queste cifre Michael Wedekind ha evidenziato come circa i 2/3 della Legione provenissero dalla Società Alpinisti Tridentini (Sat). Cfr. Wedekind 2000, 52. [↩]
- “Piegando a destra si trova la Loggia del Giardino, nell’interno della quale era una grotta di tufo con cascatelle: le arcate dei loggiati sono state murate dagli austriaci e trasformate in prigioni. Durante la guerra mondiale in queste celle alte, ma strettissime, furono imprigionati numerosi processati politici e condannati a morte. Il 18 maggio 1916, nella prima cella a destra di chi entra, veniva rinchiuso il roveretano Damiano Chiesa, caduto prigioniero a Monte Corno con Fabio Filzi la mattina del giorno innanzi: qui il martire dettò la sua ultima lettera per la famiglia. A destra di chi entra, dopo il “palo di punizione” ancora infisso al muro, si apre la cella che ospitò Fabio Filzi, impiccato insieme con Cesare Battisti nella Fossa del Buonconsiglio la sera del 12 luglio 1916. Nelle altre due celle sono ricordati altri condannati o condannate politiche: Silvia Gottardi, condannata a morte e poi graziata con sette anni di ergastolo: l’avvocato Valentino Peratoner, che dopo cinque mesi di prigionia si uccise; il senatore Vittorio Zippel e Antonio Girelli, che riuscì a sfuggire il capestro” (Ferrari 1927, 56). [↩]
- “Qui il 12 luglio 1916 Cesare Battisti e Fabio Filzi furono processati e condannati a morte: l’aula fredda e nuda del tribunale di guerra austriaco è stata lasciata intatta, con le sue panche gialle, col suo rozzo mobilio, con le sue pareti nude, da una delle quali pende ancora la cornice che rinchiudeva il ritratto di Francesco Giuseppe. Da camera di consiglio della corte seguì l’attigua camera del Camin nero”. Sulla panca davanti alla pedana Cesare Battisti e Fabio Filzi sedettero durante il sommario processo e qui fecero la coraggiosa confessione della loro fede italiana. La corte marziale era presieduta dal colonnello Carlo nob. Von Gratzy, sotto la direzione del primotenente dott. Carlo Issleib; l’accusa era sostenuta dal primotenente dott. Hans Bitschnau; incaricato della difesa dei due accusati fu l’auditore dott. Herbert Fischer. Non avendo essi voluto deporre in tedesco fu chiamato a fungere da interprete il trentino Giuseppe Rossi. I due volontari trentini furono ricondotti in quest’aula nel pomeriggio per assistere alla lettura della sentenza di morte. Quindi furono ricondotti sulle celle dove dettarono le ultime volontà e si prepararono alla morte” (Ferrari 1927, 63). [↩]
- “Ritornati sotto la loggia del Cortile dei Leoni scenderemo, per la scala aperta a mattina, nella Fossa del Buonconsiglio ormai sacra al cuore degli italiani per il martirio ivi subito dai ventuno lombardi caduti in mano degli austriaci nel 1848, da Damiano Chiesa, Fabio Filzi e Cesare Battisti. In fondo alla prima rampa della scala una fotografia, appesa al muro, ci mostra Cesare Battisti, che la sera del 12 luglio 1916 scende scortato nella fossa. Presso la parete di mezzogiorno, quasi dirimpetto alla scala, due lapidi ricordano i ventuno fucilati del 1848. In fondo alla fossa, sono i cippi che ricordano il punto preciso dove Damiano Chiesa venne fucilato, dove Battisti e Filzi furono impiccati. Nella parete rocciosa, volta a sera, altre due fotografie rappresentano la tragica scena” (Ferrari 1927, 72). Recentemente il Museo storico in Trento ha curato una pubblicazione, in gran parte fotografica, che documenta, in sequenza, la cattura e l’esecuzione di Cesare Battisti. Il rimando è a Leoni 2007. [↩]