Luca Ceccobao
La storia del movimento sindacale ha rappresentato uno degli argomenti più percorsi dalla storiografia contemporanea. Si tratta di una storia molto complessa, come tutti gli aspetti della storia sociale, perché alle grandi tematiche interpretative comuni fa riscontro una notevole variabilità settoriale, non sempre considerata nel suo giusto peso.
A lungo è prevalsa una lettura che privilegiava le organizzazioni operaie territoriali rispetto a quelle di categoria. Si trattava di una lettura “evolutiva” con schemi fissi di passaggio: dalle società di mutuo soccorso alle leghe di resistenza, alle camere del lavoro, alla Confederazione generale del lavoro. Questo schema di interpretazione era sostenuto dall’idea di un crescendo continuo del movimento operaio ed era accolto come verità non soggetta a dubbi dai militanti, trasferendo così in sede storiografica il dualismo politico fra partito comunista e democrazia cristiana. Tutto ciò che usciva da questo schema è stato trascurato, comprese le origini del sindacato ferrovieri, perché non direttamente inquadrabile né in un modello di sindacato industriale, né nel modello opposto delle leghe bracciantili. Eppure le organizzazioni dei ferrovieri furono tra le più vitali nel periodo a cavallo fra Otto e Novecento.
Di grande interesse risultano allora gli studi locali che riportano alla luce, sulla base di un’ampia comparazione tra le fonti, le vicende territoriali del sindacalismo ferroviario, tenendo sempre presente che i ferrovieri erano i lavoratori più diffusi a livello nazionale, presenti dal nord al sud del paese, dalle città alle campagne. Il peso della categoria era così forte che dalla sua adesione derivavano spesso la riuscita e il fallimento degli scioperi generali.
Il volume di Edoardo Puglielli analizza il caso abruzzese, interpretandolo alla luce delle fonti giornalistiche locali, della memorialistica e dei documenti d’archivio della pubblica sicurezza, partendo dalla formazione delle prime organizzazioni e arrivando fino allo scioglimento del Sindacato ferrovieri italiani, decretato da Mussolini nel 1925.
Si tratta di una ricerca approfondita, articolata in 6 capitoli che – dopo avere inquadrato il tema delle ferrovie e dei ferrovieri in Abruzzo – trattano rispettivamente le questioni delle organizzazioni operaie delle origini; l’autonomia e unità del sindacato ferrovieri dopo la statizzazione della rete del 1905; i difficili problemi della “settimana rossa” del 1914 e delle vicende belliche; il “biennio rosso” 1919-20; l’unità sindacale antifascista.
Ne emerge un quadro complesso, sia all’interno della categoria con fusioni e scissioni di gruppi dalla forte matrice politica e territoriale, sia all’esterno con le tendenze autonomistiche e i difficili rapporti con la Confederazione generale del lavoro.
Il luogo fondamentale per le vicende sindacali dei ferrovieri abruzzesi era il nodo ferroviario di Sulmona, dove si concentrava una notevole quantità di impianti ferroviari e dove di conseguenza l’attivismo sindacale era molto acceso.
Dal punto di vista interno alle ferrovie, Sulmona rappresentava una sorta di luogo di esilio, dove venivano “traslocati” gli organizzatori sindacali, che davano fastidio alle autorità di pubblica sicurezza nelle grandi città.
Con i ferrovieri “esiliati” arrivarono a Sulmona le idee nuove, fu aperto un circolo dove tenere conferenze politiche che raccolsero un pubblico sempre più numeroso. Vennero inoltre formate una sezione del partito socialista e una sezione della Lega ferrovieri italiani. In seguito i ferrovieri aprirono una cooperativa di consumo, e lo stesso giornale socialista locale, “Il Germe”, fu promosso da cinque ferrovieri arrivati a Sulmona da fuori.
Dopo la repressione di fine secolo, nel gennaio 1900, per opera dei ferrovieri si inaugurò a Sulmona il circolo popolare educativo.
Secondo la testimonianza autobiografica di Carlo Tresca, nel 1902 risiedevano a Sulmona circa 200 ferrovieri della Rete Adriatica, in gran parte socialisti e sindacalisti dell’Italia settentrionale.
Edoardo Puglielli riporta pure l’interessante testimonianza di un altro attivista sindacale, Gino Morbiducci, che nelle sue memorie ricordava lo stacco tra i ferrovieri da una parte, contadini e operai agricoli dall’altra, dovuta agli albori del consumismo e di un’apertura al mercato nazionale portata dalla presenza dei binari.
quando anche i commercianti di Sulmona cominciano a provvedersi di caffè, di thé, della noce moscata, della pasta di Napoli, delle arance della Sicilia, della carne fresca da consumarsi anche nei giorni non di festa, quando agli inizi del 1901 le prime lampadine a filamento di carbone illuminano le case dei signori e quelle dei ferrovieri, il solco si fa ancora più profondo (p. 20).
Poco dopo la nazionalizzazione della rete ferroviaria, nell’ottobre 1905, uscì a Sulmona il primo numero del giornale del Sindacato conduttori locomotive “La Locomotiva”; nel 1909 fu costituita l’Unione nazionale del personale di mantenimento e sorveglianza, in contrapposizione al Sindacato ferrovieri italiani nato nel 1907. Questa organizzazione stampava a Sulmona il giornale “La Difesa”, testimonianza locale di una vivacità giornalistica dei ferrovieri presente un po’ in tutta Italia, con una pubblicistica ampia e variegata, che rappresenta oggi una fonte di valore per ricostruire la storia del lavoro.
I nodi ferroviari hanno avuto un ruolo di grande importanza per la nascita delle organizzazioni sindacali, poiché nelle relative città si concentravano in quantità i ferrovieri. Fra Otto e Novecento, si ebbe in Italia una consistente presenza di “città ferroviarie” – adottando una definizione della storiografia inglese – dove la ferrovia risultava il maggior datore di lavoro e dove di conseguenza i ferrovieri erano i principali protagonisti del sindacato e della politica. Novi Ligure, Chiusi, Orte, Foligno, Sulmona – per citare soltanto gli esempi emblematici – avevano queste caratteristiche.
In seguito all’espansione di personale seguita alla nazionalizzazione, nel 1910 le Ferrovie dello Stato impiegavano a Sulmona un migliaio di ferrovieri, mentre altre 600 erano in servizio a Castellamare Adriatico, l’odierna Pescara, cresciuta proprio attorno alla ferrovia.
Dopo la Grande guerra, l’Italia entrò nel caotico periodo del “biennio rosso”. Nel gennaio 1920 si tenne lo sciopero nazionale dei ferrovieri, che bloccò il paese e che in Abruzzo ha una forte presa a Sulmona. Con questo sciopero si ottennero in ferrovia le 8 ore di lavoro.
Il Tribunale di Sulmona condannò il capo stazione di Pratola Peligna a 1.000 lire di multa e a 6 mesi di sospensione dall’impiego, per aver abbandonato la propria stazione il 20 gennaio. Fu l’unico ferroviere italiano punito per aver partecipato al grande sciopero del gennaio 1920. La sua condanna determinò un’agitazione dei ferrovieri che ne fecero un caso nazionale fra il 17 maggio – quando fu emessa la sentenza di 1° grado – e il 28 luglio quando la Corte d’appello dell’Aquila lo assolse. Al presidente del Tribunale di Sulmona fu fatto sapere che non si sarebbe mosso dalla città perché nel caso avesse voluto prendere il treno i ferrovieri lo avrebbero bloccato.
L’attività sindacale, che era continuamente cresciuta da fine Ottocento, si infranse contro le violenze del fascismo e con l’epurazione dei ferrovieri che furono licenziati in massa per la loro appartenenza politica.
Nel 1923 fu licenziato l’ultimo segretario della sezione del Sindacato ferrovieri italiani di Sulmona, il macchinista Camillo Fiorentini, che aprì un negozio di materiali elettrici, con la collaborazione di altri ferrovieri licenziati, che continuavano a parlare anche di politica – secondo le carte della questura – dimostrando un grande attaccamento ai valori del socialismo, che da oltre un ventennio avevano contribuito a diffondere come poche altre categorie di lavoratori.