di Luca Gorgolini
Pubblicato nella scorsa primavera, il testo di Fabiana Loparco è il primo volume della collana Nerbiniana, iniziativa editoriale diretta da Juri Meda e dedicata alla storia della stampa periodica per l’infanzia e la gioventù.
Un tema questo che è rimasto a lungo ai margini del perimetro d’azione entro cui si è mossa la ricerca storica nazionale, finendo – come spiega lo stesso direttore della collana nella sua prefazione al testo – per divenire “appannaggio più di collezionisti, esperti e appassionati cultori della materia che degli storici, nonostante incursioni più o meno episodiche siano state tentate da parte di studiosi provenienti da varie specialità, dalla storia della stampa a quella dell’editoria, dalla storia dell’illustrazione alla storia dei processi culturali e mediatici, dalla storia dell’educazione a quella della letteratura per l’infanzia”. Solo in anni recenti la diffidenza manifestata da larga parte della comunità scientifica verso questo tipo di fonte, è stata parzialmente superata, grazie, come avviene spesso, all’attività di ricerca condotta da giovani ricercatori che hanno deciso di percorrere sentieri fino a quel momento battuti da pochi pionieri, tenendo fede al principio metodologico caro agli storici sociali, secondo il quale non esistono fonti più o meno degne di rilievo storiografico rispetto alle altre e che occorre privilegiare il contenuto, il messaggio delle fonti storiche rispetto al “genere” di queste, partendo dal presupposto che tutte le fonti sono mute e possono “parlare” solamente se li sappia “interrogare”. A chi si è assunto la responsabilità di procedere nel difficile compito di dedicarsi all’opera di elaborazione di adeguate categorie interpretative in grado di consentire un corretto utilizzo di questo tipo di documenti, si sono così affiancati altri ricercatori che stanno fornendo un contributo essenziale nel far si che lo studio della letteratura per l’infanzia e la gioventù possa beneficiare della giusta attenzione tra le fila della comunità degli storici.
Privilegiando l’analisi della letteratura per l’infanzia, nella fattispecie il caso rappresentato dal “Corriere dei Piccoli” (il cui primo numero uscì il 27 dicembre 1908), supplemento domenicale del “Corriere della sera”, il testo della Loparco ferma l’attenzione sul ruolo che durante la prima guerra mondiale la macchina statale incaricata di promuovere la propaganda bellica affidò ai fanciulli appartenenti alle famiglie della borghesia. L’imponente e pervasiva mobilitazione messa in atto da parte degli Stati coinvolti nel conflitto, unitamente ai molteplici e pesanti sacrifici cui tutte le comunità nazionali furono costrette, obbligarono i singoli governi ad intervenire per spiegare e giustificare una guerra, le cui ragioni erano incomprensibili per la gran parte della popolazione, specie per quella fascia di cittadini, si pensi all’esteso e scarsamente alfabetizzato mondo rurale, del tutto estranei alle logiche politiche ed economiche che, nel caso italiano, avevano alimentato e reso politicamente prevalente la posizione di chi aveva spinto per un ingresso dell’Italia nella “fornace” della guerra. I più piccoli vennero in breve tempo investiti di un duplice ruolo, attivo e passivo al tempo stesso. Nel loro ruolo “attivo”, i bambini vennero trasformati in strumenti di propaganda che avevano il compito di diffondere presso il mondo adulto quei messaggi (amor di patria, spirito di sacrificio, desiderio di vittoria) di cui essi stessi erano stati a loro volta i destinatari; nel loro ruolo “passivo”, invece, i più piccoli furono eletti a simbolo, per il mondo adulto, di tutto ciò per cui si combatteva, “pegno e garanzia del futuro della patria” (p. 28).
Per meglio cogliere gli elementi peculiari dell’azione svolta dal “Corrierino” quale vettore dei messaggi propagandistici definiti da parte dell’anima interventista della classe dirigente nazionale, che proprio nel prestigioso quotidiano di via Solferino, diretto da Luigi Albertini, aveva trovato un efficace strumento di diffusione delle proprie idee, l’autrice, opportunamente, dedica alcune pagine del suo volume all’individuazione dei messaggi pedagogici a sfondo nazionalistico che il “Corriere dei piccoli” promuove precedentemente allo scoppio del primo conflitto mondiale, in occasione della guerra di Libia (1911) e delle immediatamente successive guerre balcaniche (1912-1913). Nel corso di questi due conflitti, il settimanale fondato e diretto da Silvio Spaventa Filippi, continuò a pubblicare tavole illustrate che vedevano protagonisti “bimbi desiderosi di pace, richiamati continuativamente all’obbedienza, a cui veniva chiesto di rimanere al di fuori degli scontri in corso”. Rappresentazioni in linea con i contenuti degli articoli pubblicati sulle colonne dello stesso “Corriere della Sera”, il cui appoggio al conflitto libico fu “prudente” e “privo di eccessi propagandistici”. Albertini, infatti, manifestò un’adesione forzata nei riguardi dell’impresa libica: ostile a Giolitti, il direttore del quotidiano milanese, decise comunque di sostenere lo sforzo bellico, non volendo correre il rischio di mettere in crisi il legame tra il suo giornale e quella parte della classe borghese che manifestava un favore crescente verso la spedizione militare in Africa.
A seguire, però, con lo scoppio della Grande guerra e l’ingresso dell’Italia tra le fila dei paesi belligeranti, si assistette all’affermazione di un processo di “militarizzazione dell’infanzia” che ebbe chiari riflessi anche sui contenuti pubblicati sulla stampa periodica che si rivolgeva ai giovanissimi: le tavole illustrate, le rubriche, le lettere e le storielle pubblicate sul “Corriere dei Piccoli” iniziarono a promuovere in modo esplicito l’immagine del “bambino-eroe”, obbediente, disciplinato, dedito al risparmio, pronto a qualunque sacrificio finalizzato alla vittoria finale dell’amata patria. La lotta contro gli sprechi, la corrispondenza con i soldati al fronte, l’invio dei pacchi-dono, la tenuta del salvadanaio di guerra, sono solo alcuni degli strumenti e dei comportamenti che egli doveva adottare per manifestare il suo concreto contributo allo sforzo bellico compiuto dalla nazione in armi. Generosità, intelligenza, capacità di adattamento, spirito di sacrificio sono invece gli elementi che caratterizzavano i protagonisti che animavano le storie pubblicate sul “Corrierino” negli anni di guerra. Personaggi quali il celebre Schizzo che nel corso delle guerre balcaniche veniva presentato come un bambino che sognava la pace, ora, nel pieno della guerra mondiale, si addormenta leggendo con partecipazione e devozione i resoconti di guerra, immaginandosi protagonista di avventure fantastiche e vittoriose. All’interno degli articoli, gli eserciti alleati dell’Intesa sono costantemente oggetto di considerazioni positive; al contrario, i tedeschi vengono rappresentati come un esercito di spie, di “violatori degli accordi internazionali”; il riscatto delle terre irredente e la sorte delle popolazioni che in esse abitano costituiscono la preoccupazione principale che anima i pensieri e le azioni dei piccoli eroi frutto della fantasia dei numerosi e importanti disegnatori del “Corrierino”, alcuni dei quali (Antonio Rubino e Umberto Brunelleschi) misero il loro talento, si scusi la ripetizione, al servizio del Servizio Propaganda, divenendo illustratori dei cosiddetti “giornali di trincea”.
Nella ricostruzione dell’autrice, il “Corriere dei Piccoli” non fu esclusivamente un mero strumento utilizzato all’interno di un’operazione pedagogica finalizzata ad incrementare lo spirito patriottico delle giovani generazioni, ma rappresentò anche “un esempio straordinario di «assistenza morale» all’infanzia”, e assunse il ruolo di “interlocutore attento e premuroso”, in grado di ascoltare “le paure e le preghiere” dei suoi piccoli lettori, accompagnandone i sogni e le speranze e offrendo loro risposte in grado di razionalizzare le drammatiche conseguenze del conflitto (la guerra rese orfani 346.000 bambini italiani). Rimane però l’impressione che la finalità propagandistica insita nelle narrazioni e nelle immagini pubblicate sul settimanale del “Corriere della Sera” sia chiaramente prevalente, e che costituisca un elemento rilevante di quell’ampio processo di nazionalizzazione dell’infanzia (alla vigilia della guerra, i bambini e gli adolescenti italiani al di sotto dei 14 ani erano 12 milioni, pari a un terzo della popolazione) che la classe dirigente dispiegò in modo deciso a partire dalle scuole. In quest’ottica va comunque valutato quale sia stato il grado di efficacia di questa azione propagandistica all’interno di un paese dove la parte prevalente della popolazione giovanile si teneva in quel frangente storico lontana dalle aule scolastiche ed era priva degli strumenti culturali ed economici per potersi accostare a prodotti editoriali quali i “giornaletti” dedicati all’infanzia.