Fare e leggere la storia. La riviste di storia contemporanea in Italia. Cinque domande a: Francesco Barbagallo – Direttore di “Studi Storici”

Domande

Le domande

  1. Quando nasce la rivista? In quale clima politico e culturale si inserisce? Quali indirizzi storiografici intende accostare e con quali avere, invece, un rapporto più marcatamente dialettico?

  2. Che tipo di “gruppo” raccoglie nella redazione e tra i collaboratori? Quali ne sono le caratteristiche formative, generazionali, e come risponde agli interessi storiografici espressi dalla rivista?

  3. Se volessimo tratteggiare in uno spazio breve una sorta di “storia della rivista”, quali elementi indicherebbe per caratterizzarne l’evoluzione, quali i problemi affrontati, e quali gli esiti più rilevanti delle scelte editoriali fatte?

  4. Cosa significa fare oggi una “rivista di storia”? Quali problemi gli storici si trovano ad affrontare nel nuovo scenario disegnato dalla trasformazione non solo della scienza storica, ma più in generale dei mezzi e dei metodi attraverso i quali procede oggi la ricostruzione storica?

  5. Come Direttore di una rivista di storia ritiene che sia condivisibile il segnale d’allarme da più parti lanciato a proposito di una “crisi della scienza storica” ed addirittura di una “inutilità del mestiere di storico”? Quale rapporto ritiene che possa esistere oggi tra la storia concepita e fatta a livello scientifico e la divulgazione che ormai sempre più si affida a mezzi e soggetti che rischiano di eroderne la legittimazione?

Studi Storici nasce sul finire del 1959, a ridosso del centenario dell’Unità italiana. Il primo direttore, Gastone Manacorda, la definirà poi “una rivista di tendenza”. Infatti il sottotitolo, che permane tuttora, è “Rivista trimestrale dell’Istituto Gramsci”. E l’Istituto Gramsci, allora e fino al 1982, era una sezione di lavoro del Comitato centrale del Partito comunista italiano.

Nasce e resterà sempre una rivista di storia generale, dall’antichità all’età contemporanea. Una particolare attenzione sarà sempre dedicata alla formazione nazionale italiana. I fondamentali referenti teorici e metodologici saranno Gramsci e Marx, con una grande attenzione alla tradizione storiografica italiana e un forte legame iniziale con uno dei suoi alti rappresentanti, qual era Delio Cantimori.

Il primo numero della rivista non nasce per caso a cavallo del 1959-60. Il clima politico-culturale risente dell’approssimarsi del centenario unitario. I primi confronti polemici della rivista di tendenza gramsciana saranno con la tradizione storiografica liberale, rappresentata al più alto livello da Rosario Romeo, e verteranno sui caratteri del processo unitario e sugli sviluppi dello stato nazionale. Peraltro storici liberali e storici comunisti condividono il giudizio positivo sulla modernità della “rivoluzione” che è alla base della unificazione nazionale italiana.

I giovani storici di tendenza gramsciana e marxista, raccolti nella rivista <Studi Storici>, avranno confronti polemici, tra gli anni ’50 e ’60, anche con la tradizione storiografica rappresentata nell’innovativa rivista <Annales> di Fernand Braudel e Lucien Febvre.

Per un quarto di secolo la rivista si svilupperà lungo questa traiettoria, tra Gramsci e Marx, in connessione con la peculiare storia democratica del comunismo italiano, sotto la direzione successiva degli studiosi che l’avevano fondata: dopo Manacorda, Renato Zangheri, Giuliano Procacci, Ernesto Ragionieri, Rosario Villari.

Tra il 1982 e il 1983 si determinano due novità. E’ l’inizio di una nuova fase, che si svolgerà peraltro lungo una linea di continuità con la storia precedente della rivista e con la sua “tendenza” gramsciana. Innanzitutto viene scisso il legame organico tra l’Istituto Gramsci e il Pci. Nasce, nel dicembre 1982, la Fondazione Istituto Gramsci, che gode ora di una larga autonomia rispetto al socio fondatore, il Pci guidato da Berlinguer.

Nel 1983, in seguito alle dimissioni di Rosario Villari, su indicazione del direttore della Fondazione Gramsci Aldo Schiavone viene nominato direttore di <Studi Storici> Francesco Barbagallo, storico meridionalista di formazione salveminiana e dorsiana, molto sensibile alla lezione metodologica e politica di Antonio Labriola e di Gramsci.

La direzione e il comitato scientifico saranno rinnovati in pieno accordo con gli storici che avevano guidato la rivista nel periodo precedente. Sul terreno politico-culturale, alla precedente generazione, di formazione prevalentemente marxista, si affiancarono studiosi provenienti da correnti ideali e storiografiche di matrice radical-democratica. La nuova direzione sarà formata da giovani ed esperti esponenti di diversi settori storiografici e si svilupperà lungo due direttrici fondamentali.

Anzitutto verrà confermata il carattere di rivista generale, col rafforzamento dei quattro ambiti fondamentali: l’antichistica, la medievistica, la modernistica, la contemporaneistica. Contestualmente verrà strettamente connessa al carattere di rivista di storia generale la modalità di una direzione collegiale della rivista, con precise responsabilità di gestione delle quattro sezioni cronologiche.

Il carattere positivo di questa direzione collegiale sarà dimostrato dalla sua durata ultratrentennale, che supererà anche i contrasti legati alla scomparsa del Pci, sviluppatisi proprio quando gli studiosi della Fondazione Gramsci preparavano la Storia dell’Italia repubblicana, pubblicata poi da Giulio Einaudi.

La “storia della rivista” può facilmente ricostruirsi grazie ai due Indici (cronologici, tematici e per autore), pubblicati in occasione dei 25 e poi dei 50 anni di vita di <Studi Storici>: 1959-1984, 1985-2009.

La struttura interna dei fascicoli sarà semplificata dal 1983. Ai saggi di apertura seguiranno tre rubriche: Opinioni e dibattiti per i contributi di discussioni e le rassegne storiografiche; Ricerche per i contributi originali di studio; Note critiche per le recensioni, il cui numero specie per i lavori più importanti sarà sempre inferiore alle aspettative.

Altre due rubriche saranno legate a occasioni determinate: Il presente come storia, per una riflessione storica su aspetti dell’attualità, e Documenti, per la pubblicazione commentata di fonti. Il criterio fondamentale per la pubblicazione sulla rivista è la compresenza di rigore scientifico, rilievo tematico, qualità letteraria dei saggi.

Nell’ultimo trentennio della rivista saranno numerosi i numeri monografici e le sezioni tematiche, in un’ampiezza di interessi e di settori che corrisponde al consolidamento e all’espansione della struttura propria di una rivista di storia generale. Per la ricchezza dei temi e dei problemi storiografici affrontati non si può che rinviare ai ricordati Indici della rivista.

Il panorama culturale è profondamente cambiato nel XXI secolo, in connessione coi radicali cambiamenti del mondo, che la rivista ha cercato volta a volta di interpretare sulle sue pagine. Fare una “rivista di storia” oggi è più difficile di ieri. Rispetto a 30 anni fa si è molto ridotta la considerazione sociale del valore della riflessione storica per la comprensione dei processi di trasformazione.

In questo mondo globalizzato e a rete, che vive tutto nel fuggente presente dell’attimo, la storia come tensione tra passato e futuro ha una vita difficile e infelice. E’ troppo complessa per le correnti semplificazioni, dai twitter ai talk show, che infatti la ignorano. Quando poi i giornalisti sedicenti storici ne parlano in televisione è anche peggio. L’attuale processo di “presentificazione”, che tende a oscurare sia il passato che il futuro, cerca risposte, quando le cerca, rapide e nette, che la riflessione storica non può offrire.

La supposta “crisi della scienza storica” accoppiata alla “inutilità del mestiere di storico” sono affermazioni espresse dall’attuale ideologia diffusa dal dominante capitale finanziario, che vede l’unico valore nel denaro ed è impegnato nel tentativo di distruggere il pensiero critico, e quindi anche la riflessione storica. Sono affermazioni infondate, che riflettono anche le distorsioni prodotte da una impostazione tecnicistica, che pretende di risolvere ogni problema della vita associata in una spasmodica ricerca di innovazioni, recidendo ogni legame con l’esperienza umana precedente.

Ma la realtà è ben diversa. La riflessione storica, e in generale il pensiero critico si rifiutano ancora largamente di valutare positivamente un mondo in cui il capitale, dominante e diffuso in tutto il mondo, non si dedica più in prevalenza a produrre lavori e merci, ma soltanto molto altro denaro per una quota minima di speculatori sempre più ricchi in un mondo sempre più violento.

D’altra parte è il pensiero storico stesso che, potremmo dire quotidianamente, si prende le sue rivincite su chi incautamente ne proclama l’irrilevanza. E’ mai possibile orientarsi nel mondo d’oggi, pur incommensurabilmente diverso da quello soltanto di pochi decenni fa, senza la storia? Chi si prova a operare senza riguardo per la storia, immaginandosi come costruttore di un futuro senza passato, inevitabilmente resta vittima della sua improvvisazione.

Gli esempi che si potrebbero fare sono molti. La crisi dell’Ucraina non ci sbatte in faccia questioni come la problematica identità nazionale ucraina o il rapporto della Russia con l’Europa, che affondano le loro radici nella storia e che gli attori politici europei hanno pensato semplicisticamente di saltare a piè pari? E le convulsioni medio-orientali non ci obbligano a risalire indietro nei secoli alla radice dei conflitti interni all’Islam? E il populismo, di cui si ragiona tanto oggi, non è fenomeno di cui l’indagine storica aiuta a dipingere i contorni? E la lista degli esempi potrebbe allargarsi a dismisura.

L’indagine storica degli attuali processi di profonda trasformazione del mondo, dei rapporti sociali e della dislocazione del potere di decidere della sorte dei miliardi di viventi sulla terra risulta ancora necessaria per cercare di essere soggetti attivi e non passivi di queste vicende.