Fare e leggere la storia. La riviste di storia contemporanea in Italia. Cinque domande a: Raffaella Baritono – Guido Formigoni – Direttori di “Ricerche di storia politica”

Domande

Le domande

  1. Quando nasce la rivista? In quale clima politico e culturale si inserisce? Quali indirizzi storiografici intende accostare e con quali avere, invece, un rapporto più marcatamente dialettico?

  2. Che tipo di “gruppo” raccoglie nella redazione e tra i collaboratori? Quali ne sono le caratteristiche formative, generazionali, e come risponde agli interessi storiografici espressi dalla rivista?

  3. Se volessimo tratteggiare in uno spazio breve una sorta di “storia della rivista”, quali elementi indicherebbe per caratterizzarne l’evoluzione, quali i problemi affrontati, e quali gli esiti più rilevanti delle scelte editoriali fatte?

  4. Cosa significa fare oggi una “rivista di storia”? Quali problemi gli storici si trovano ad affrontare nel nuovo scenario disegnato dalla trasformazione non solo della scienza storica, ma più in generale dei mezzi e dei metodi attraverso i quali procede oggi la ricostruzione storica?

  5. Come Direttore di una rivista di storia ritiene che sia condivisibile il segnale d’allarme da più parti lanciato a proposito di una “crisi della scienza storica” ed addirittura di una “inutilità del mestiere di storico”? Quale rapporto ritiene che possa esistere oggi tra la storia concepita e fatta a livello scientifico e la divulgazione che ormai sempre più si affida a mezzi e soggetti che rischiano di eroderne la legittimazione?

«Ricerche di storia politica» nacque nel 1986, da un gruppo circoscritto di giovani studiosi, raccolti attorno a Paolo Pombeni, in quale ebbe un ruolo decisivo nell’avviare il percorso. Era inizialmente un «Annale», che dal terzo numero incontrò l’interesse della Società editrice il Mulino, tuttora editore della rivista. Esprimeva un’intenzione storiografica molto precisa: quella di contribuire a rilanciare una storia rinnovata della politica, nell’epoca in cui si stava assistendo alla forte crescita della «vague» culturale per la storia sociale, la storia del quotidiano, la storia «dal basso». Consapevole delle difficoltà di una storia politica élitaria e tradizionalista, il gruppo di lavoro che si addensò attorno alla rivista pensava a un rinnovamento in alcune specifiche direzioni. In primo luogo con l’assunzione di una prospettiva comparativa di taglio almeno europeo-occidentale: si trattava cioè di inserire la storia italiana, che si continuava a praticare, in un orizzonte più ampio e di stimolare gli interessi di giovani studiosi per l’approfondimento di altri contesti storico-politici, cosa allora non così consueta. In secondo luogo, c’era l’idea di una interlocuzione matura con le scienze sociali e politiche, senza complessi di inferiorità, ma anche con la chiara rivendicazione di un ruolo del sapere storico come fondamentale per evitare schematismi intellettuali e autoreferenzialità di molti contesti di ricerca orientati alla formalizzazione estrema degli assunti teorici. Infine, si faceva fin dall’inizio la scelta di essere molto attenti alla letteratura internazionale, con un’estesa sezione di recensioni e schede che intendevano coprire i maggiori fronti della ricerca in modo aggiornato e non provinciale (cosa che è rimasta nel tempo una sorta di peculiarità forte della rivista). Partendo da quell’approccio iniziale, tuttavia, la rivista negli ultimi anni ha conosciuto un confronto interno e un’evoluzione del gruppo redazionale, tale da condurla ad ampliare ulteriormente i suoi orizzonti, come preciseremo più avanti.

Il gruppo attuale è formato da ventiquattro redattori (che sono studiosi strutturati o almeno in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento): si tratta di un gruppo che si è progressivamente allargato nel corso degli anni. A un primo consistente ampliamento nel 1998 (coincidente con il passaggio impegnativo della rivista a trimestrale) ne sono succeduti un altro paio in anni recenti (quando è stato messo a punto un metodo di cooptazione strutturata di nuovi redattori). Ad essi fanno da essenziale completamento gruppi di giovani studiosi (attualmente sono una decina) che coprono la funzione di segreteria di redazione: impegno fondamentale per la gestione delle complesse operazioni editoriali, e al tempo stesso esperienza di introduzione progressiva nella costruzione di un prodotto scientifico e culturale. La segreteria è anche esperienza preliminare per l’ingresso in redazione di molti giovani studiosi: in qualche modo funziona da apprendistato in atto. L’intenzione del primo ampliamento era coprire nuovi ambiti disciplinari (storia delle Americhe, dell’Asia e del Medio Oriente, delle donne, delle relazioni internazionali), bilanciando una forte condivisione di un paradigma e di un metodo storiografico con una certo pluralismo di orientamenti ideali e culturali. Da questo punto di vista, non si è mai inteso fare della rivista una «scuola ideologica» identitaria. Piuttosto, vi è sempre stata l’ambizione di farne una palestra di ricerca, impegnata a un progressivo affinamento di una sensibilità comune sul piano della metodologia e delle modalità di intendere culturalmente il senso di un’impresa scientifica. Caratteristica del lavoro che la rivista ha voluto fin da subito intraprendere è un forte senso della condivisione del percorso e della divisione dei compiti: nessun redattore deve intendere la presenza come un semplice titolo di riconoscimento, quanto piuttosto come un impegno a contribuire in vari modi all’esito della pubblicazione della rivista.

Indubbiamente la rivista ha conosciuto alcune fasi di evoluzione interna: da un primo periodo caratterizzato da una certa convergenza attorno a tematiche comuni (la storia dei partiti, della leadership politica, le forme della rappresentanza e della legittimazione), si è passati a una stagione più articolata. Pur mantenendo il perno della storia politica come orizzonte forte, si è preso a dialogare più da vicino con dimensioni nuove della storiografia: si pensi alla storia culturale, alla dimensione di genere, alla storia delle donne, fino alla progressiva apertura verso una storia globale. L’attuale stagione è rappresentativa di una ricerca in corso attorno alla «contaminazione» virtuosa possibile delle metodologie e delle attenzioni tradizionali con nuovi approcci. La scelta di dedicare uno dei tre numeri della rivista a un tema monografico, come pure la rinnovata attenzione a rubriche che siano in grado di dare conto dei dibattiti storiografici a livello internazionale, testimoniano della volontà di inserirsi in un dibattito storiografico alla ricerca di categorie e paradigmi interpretativi in grado di fornire nuove chiavi di lettura per interpretare questioni e problemi che non possono essere più collocati esclusivamente dentro la cornice privilegiata dello Stato-nazione.

Fare una rivista di storia continua probabilmente a significare costruire una comunità di scambio e di approfondimento, caratterizzata dalla condivisione di alcune scelte di fondo e aperta all’evoluzione delle forme della ricerca. In questo senso il problema diventa quello di sorvegliare sempre l’equilibrio tra l’apertura a contributi e proposte esterne – provenienti spesso da giovani studiosi in formazione – e il rifiuto di diventare un mero contenitore delle più disparate tendenze in voga. Allo stesso tempo, le sfide poste dai cambiamenti strutturali che stanno riguardando l’intero mondo della ricerca a livello sia nazionale sia internazionale, dal punto di vista dei meccanismi di valutazione e di circolazione della conoscenza, se da un lato sembrano mettere in crisi le discipline umanistiche e storiche, dall’altro inducono a riflettere sulla necessità di affermare la centralità e l’importanza del sapere storico all’interno dei processi di formazione e produzione della conoscenza, permettendo per certi versi di arginare processi di frammentazione e di individualismo metodologico. Per una rivista di storia politica, oggi più che mai, vi è l’esigenza (e probabilmente il dovere) di ribadire che occorre collocare, prendendo a prestito un’espressione dello studioso americano Paul Pierson, ‘politics in time’, perché la ‘storia conta’ quando vogliamo avere una comprensione più complessa e ricca dei fenomeni politici e non, invece, un’analisi meramente epifenomenale.

Più che di una crisi della scienza storica, siamo da qualche decenni di fronte alla omologazione di una cultura diffusa che tende ad appiattirsi sul presente, nella più o meno irriflessa convinzione che non ci siano forti alternative all’esistente (dopo che il postmodernismo ha registrato l’esaurimento delle grandi narrazioni di di filosofia della storia). In questo senso la scarsezza di occasioni di apertura al futuro coincide con una svalutazione culturale del contributo della coscienza del passato (dell’elaborazione scientifica, ma anche etico-politica, della memoria) come componente essenziale del vivere civile. Di fronte a questo scenario problematico, il compito delle riviste può apparire arduo. Ma certamente si rivaluta il senso dell’impegno intellettuale di chi condivide il «mestiere di storico», nell’essere sempre vigili di fronte a queste tendenze della cultura ambiente. Il problema della divulgazione è invece un altro fronte critico, ma probabilmente meno complesso: certamente pesa l’assenza di sensibilità di molti storici di professione per l’assunzione di linguaggi aperti al grande pubblico, ma anche una chiusura speculare dei media a tutto quello che non è immediatamente spettacolarizzabile nella ricerca culturale. Certo le riviste non sono lo strumento più adatto per un’opera di divulgazione, ma in qualche caso – possiamo citare la nostra esperienza – l’introduzione di metodologie comunicative più articolate (tavole rotonde, numeri monografici, interviste) può aiutare ad allargare l’audience potenziale della propria produzione.