di Giuseppe Ferraro
Questo lavoro fa seguito a quello di Salvatore Mura Pianificare la modernizzazione. Istituzioni e classe politica in Sardegna. 1959-1969 (Franco Angeli, 2015). Gli autori in questo volume prendono in considerazione il periodo successivo, il decennio 1969-1979. Un periodo che viene letto e interpretato tenendo ben presente la dimensione territoriale-regionale, inserendola però all’interno delle trasformazioni che interessarono in quegli anni l’intera società occidentale: «cercando di interconnettere le vicende regionali nel quadro dei grandi rivolgimenti nazionali ed internazionali» (p. 13). Trasformazioni e cambiamenti che ebbero i loro effetti anche nello stimolare e influenzare «le scelte, le aspirazioni, le rivendicazioni dei sardi e della classe dirigente» dell’isola (p. 8). Processi di trasformazione e di modernizzazione che in Sardegna, ma anche in altre realtà territoriali italiane, si incontrarono e in alcuni casi scontrarono con un mondo arcaico ancora in quegli anni vivo.
Nonostante la congiuntura economica-finanziaria e petrolifera sfavorevole, per la Sardegna la stagione 1969-1979 significò un periodo di fermento che non riguardò solo gli assetti economico-industriali e agricoli, ma anche la comunità civile, come dimostrò il risultato del referendum sul divorzio. Questa consultazione referendaria evidenziava infatti come nell’isola «si era avviato un processo di cambiamento, in ultima analisi riconducibile all’ingresso di un cospicuo capitale finanziario in Sardegna, il quale, se da una parte aveva reso l’isola “dipendente” dai grandi monopoli internazionali, dal punto di vista sociale portava alla definitiva crisi dell’assetto tradizionale» (p. 27).
A livello di governo regionale in questo periodo si evidenziarono forti conflittualità e fratture interne nel gruppo della Democrazia cristiana, principalmente tra i due grandi orientamenti interni a questo partito, che avevano come riferimento rispettivamente Giagu-Cossiga e Soddu-Dettori. Tra i due poli non era facile però individuare marcate differenze di linguaggio e di prospettiva politica e di governo. In linea generale a livello di governo regionale il gruppo Giagu-Del Rio prevalse nel primo quinquennio, mentre nel secondo prevalse la linea di Soddu-Rojch-Serra, cioè degli esponenti di punta dei morotei sassaresi e cagliaritani, dei forzanovisti di Nuoro (Carta-Rojch-Ligios). Dissidi e contrapposizioni locali che riproducevano, in parte, dinamiche riscontrabili all’interno della DC a livello nazionale.
Gli autori riescono a mettere bene in luce che i primi anni Settanta, nonostante fossero stati influenzati da instabilità e contrasti, furono un periodo di proposte, lotte per cambiare la società e le sue istituzioni politiche. «Si può dire che quello stato di confusione e di instabilità non si tradusse in immobilismo, ma anzi produsse un effetto contrario. Fu un periodo, produttivo, spesso innovativo» (p. 10). Tutto questo venne anche favorito dalla stabilità che la classe dirigente e i partiti regionali seppero dare alla Sardegna, con il concorso anche del PCI, chiamato a partecipare a questa stagione di concertazione politica per raggiungere obiettivi comuni. Questo tipo di convergenza con l’opposizione diede i suoi risultati più maturi nel triennio 1976-1979. Un triennio «caratterizzato dal percorso di collaborazione tra le due più grandi forze politiche sarde, quella democristiana e quella comunista, all’interno di quel progetto denominato “Intesa autonomista” che riguardò comunque anche i partiti minori. Fu un tentativo inedito e proprio per questo carico di incognite, ma destinato a segnare uno snodo nel tentativo storico di governare la modernità da parte delle classi dirigenti isolane secondo una prospettiva condivisa» (p. 18).
Il lavoro in questione permette, in maniera chiara e ben strutturata dal punto di vista della ricerca, di comprendere bene quali furono i cambiamenti istituzionali, connessi ai loro limiti e ritardi, che si svilupparono nella Sardegna degli anni Settanta. Una ricerca di ampio respiro che ha tenuto conto di come «le modificazioni del sistema internazionale abbiano finito per condizionare le spinte nazionali e quelle territoriali isolane, ad iniziare dalle scelte di politica economica» (p. 188). Proprio questo ha permesso attraverso il “laboratorio Sardegna” di comprendere meglio alcune scelte da parte del governo centrale e gli effetti suscitati sul territorio in questione; ha consentito inoltre di evidenziare i percorsi indipendenti e originali che le forze politiche sarde riuscirono in quegli anni a mettere in campo spesso richiamando il contesto nazionale o addirittura anticipandolo.