Giuseppe Rosaroll eroe del Risorgimento. Note per una biografia

di Dino Mengozzi

Abstract

Giuseppe Rosaroll (1775 – 1825) ha figurato fin da subito nei martirologi del Risorgimento, per la sua tragica fine, che ha coinvolto la sua famiglia (cinque figli orfani) e la rovina di un cospicuo patrimonio economico. Di gente svizzera italianizzata, Rosaroll è stato un uomo d’armi salito ai vertici dell’esercito borbonico, passato poi fra i maggiori collaboratori di Gioacchino Murat e quindi alla causa nazionale italiana. Barone declassato per vendetta politica, governatore di Messina, esule in Spagna e in Grecia a difesa della libertà, la sua vicenda è qui rivista alla luce delle carte d’archivio, per una moderna biografia.

Abstract english

Giuseppe Rosaroll, hero of the Italian Risorgimento. Notes for a biography

Giuseppe Rosaroll (1775-1825) already appeared in the martyrologies of the Italian Risorgimento for his tragic end, which involved his family (five orphaned children) and the loss of a considerable fortune. Born from a family of Swiss origin, later Italianized, Rosaroll was a military man who rose to the rank of General in the Bourbon army, then he became one of the major collaborators of Gioacchino Murat offering his support to the Italian national cause. With the return of the Bourbons to power, Rosaroll was deprived of the title of Baron for political vengeance. He was governor of Messina and some Aegean islands, but also exile in Spain and Greece in defense of freedom: his story has been here revised in the light of new archive documents to produce a modern biography.

Pietro Colletta definiva Giuseppe Rosaroll «vago di libertà e per natura immaginoso ed estremo» e ne faceva uno degli esempi di martiri ed eroi nella cui vicenda racchiudere la tesi che muoveva la sua ricostruzione storica del Regno di Napoli e cioè che la ribellione nell’esercito era una delle principali testimonianza dell’interiore disfacimento del potere borbonico. Colletta testimoniava anche per sé parlando delle molte simpatie che ancora riscuoteva fra i militari la memoria di Gioacchino Murat. Secondo Colletta, però, la tragica fine di Rosaroll andava oltre il destino del singolo. Egli sottolineava, infatti, che nella tragica fine di Rosaroll era da iscrivere anche la sua famiglia, i «tre figliuoli, poveri, e, per tenera età, non atti agli stipendii della milizia» e rimasti soli (Colletta 1834, 242). In verità, la costruzione retorica di Colletta peccav sia per sottovalutazione del ruolo di Rosaroll, come generale dell’esercito, sia per attenuazione (tre figli orfani invece di cinque), sia per non aver ricordato la rovina di un intero patrimonio economico accumulato dal barone Rosaroll. Tanto basti per giustificare un ritorno sulla biografia del personaggio a partire dal lascito costituito dalle sue carte di famiglia (Fondo Rosaroll, Merigliano 2007, 209-213).

Giuseppe Rosaroll (Napoli, 16 settembre 1775 – Nauplia, 2 dicembre 1825) era figlio del capitano delle guardie svizzere Sebastiano e di Maria Maddalena Scorza dei conti Fieschi di Lavagna. La famiglia, di origini svizzere, era al servizio dei Borboni, in Spagna. Il ramo italiano aveva inizio nel 1734, con la conquista borbonica del Regno di Napoli, quando Andrea, colonnello di fanteria e nonno di Giuseppe, partecipava alla cacciata degli Asburgo. Sorta di vocazione patriottica italiana, secondo la futura saggistica risorgimentale, che vedrà un altro segno del destino nel fatto che la famiglia Rosaroll, in antico, proveniva dallo stesso cantone svizzero di Guglielmo Tell.

Seguendo le orme di famiglia, Giuseppe riceveva un’educazione militare entrando dodicenne nel Collegio reale del Salvatore di Napoli, dove otteneva anche un’istruzione letteraria e specie storica, cui affiancava la matematica, da lui applicata al maneggio della spada, guidato dal maestro Tommaso Bosco. La predisposizione alle armi, oltre che nella tradizione famigliare, era addirittura iscritta, secondo il suo maggiore biografo risorgimentale, nella sua stessa costituzione fisica: «il giovine Rosaroll, discendente da gente svizzera, vera gente di guerra, cui natura era stata pur larga di maschia bellezza, di atletiche forme, sentì essergli assai confacente il mestiere delle armi» (D’Ayala, 1851, 146-147). Lo troviamo, infatti, fin dal 7 maggio 1795 fra i cadetti nella compagnia dei granatieri del reggimento Estero, un corpo formato da figli nati nei territori napoletani da padri stranieri.

All’arrivo delle armate napoleoniche nel 1798, Giuseppe prendeva parte alla difesa del Regno napoletano e otteneva la prima promozione a sottotenente, per le dimostrazioni di valore nei fatti di Civitacastellana, nell’assedio della fortezza di Capua e nell’assalto della metropoli, dove riportava nel campo romano una ferita da arma da fuoco alla coscia sinistra.

Con l’avvento della Repubblica napoletana, Rosaroll aderiva alle nuove idee partecipando alla difesa delle istituzioni repubblicane sotto il generale Agamennone Spanò (1756- 1799). Da capitano delle artiglierie il 23 maggio 1799 si batteva contro le squadriglie del cardinal Ruffo, restando più volte ferito, ad Avellino e a Casanova. Era infine costretto a capitolare nella difesa di Castelnuovo. Preso dai sanfedisti e condotto su una delle navi destinate ai patrioti esiliati, evitava l’infausto destino di gran parte di costoro nascondendosi sotto il nome materno di Giuseppe Scorza. Riusciva così a fuggire e a raggiungere Marsiglia via mare. Fra gli esuli, Rosaroll si distingueva grazie alla sua perizia nel maneggio della spada. Vincente in un duello, infatti, era accolto come capitano nelle artiglierie francesi. Tornava così in Italia, inquadrato nell’armata napoleonica, e partecipava alla giornata di San Lorenzo sul Varo e soprattutto alla battaglia di Marengo.

Con la costituzione della Repubblica italiana, nel 1802, Rosaroll entrava a far parte dello Stato maggiore dell’esercito. Da capitano dei minatori e zappatori, si occupava delle campagne militari in Lombardia e in Toscana, distinguendosi nella presa di Arezzo e poi sui campi di Siena. Combatteva poi sulle terre svizzere e quindi sui campi veneti. A lui toccava l’incarico di demolire la cittadella di Ferrara e il forte Urbano. Era attivo anche nell’assedio di Venezia e nella battaglia di Bassano.

Intanto, a Milano, nel 1803, egli aveva dato alle stampe il primo dei suoi trattati, dedicato a La scienza della scherma. Al quale aveva affiancato le annotazioni della Gerusalemme liberata, date alle stampe dalla Società de’ classici italiani. Secondo Rosaroll, infatti, Tasso era «peritissmo in questa scienza», come rilevava dalla lettura del poema, di cui aveva preso in prestito vari passi per rendere più piacevole ai lettori il trattato sulla scherma.

Approntato da Napoleone un esercito per la conquista del Regno di Napoli, Rosaroll era promosso capitano dal generale Massena e aggregato allo stato maggiore. Si occupava dell’addestramento delle truppe, prima di svolgere un nuovo tipo d’incarico militare e civile. Infatti, approdato a Napoli, e divenuto uno dei più stretti collaboratori del re Gioacchino Murat, dal 3 febbraio 1808 era inviato a presidiare le Isole Ionie, appena entrate nell’orbita dell’Impero francese. Lo seguivano Guglielmo Pepe, capo di squadrone, e altri ufficiali. A Rosaroll toccava il comando dell’isola di Zante, che riuscì a pacificare, riportando sotto controllo l’ordine pubblico, e occupandosi poi – dopo quattro mesi – delle isole di Fanò e di Merlera. Tornava a Napoli l’anno dopo chiamatovi come luogotenente colonnello del suo reggimento, ma per poco, perché dal 13 settembre, con la promozione a colonnello, era destinato a Roma.

In questi anni si sposava con Antonietta Hilaria. Si sa poco del suo matrimonio e della moglie, se non che la donna moriva nel dare alla luce il sesto figlio il 26 aprile 1816. Il marito le dava una sepoltura di riguardo nel tempio dedicato a San Tommaso a Napoli. La donna lo aveva seguito a Roma, se la nascita del secondo figlio Cesare, il 28 novembre 1809, era occasione di uno scontro con il clero romano, che rifiutava di battezzare il bambino, in obbedienza alla scomunica contro l’esercito napoleonico. Il padre però, accompagnato da suoi militari, si recava a San Pietro facendo l’atto di forzare la porta della basilica, per ottenere il sacramento (Fondo Rosaroll, b. 206, fasc. 15, doc. 2).

Nel 1810, come comandante del primo reggimento scelto dei granatieri e cacciatori, Rosaroll era destinato a fare d’avanguardia nella presa della Sicilia, dove sbarcava la notte del 17-18 settembre, a Santo Stefano, fra Taormina e Messina. L’impresa gli valeva il titolo di barone, conferitogli il 1° gennaio 1811 dallo stesso Murat, che accompagnava il dono con un cospicuo fondo di terreni, valutati in capitale per 25 mila ducati ed ereditabili per linea maschile, il cui atto catastale è conservato fra le carte di famiglia (Fondo Rosaroll, b. 204, fasc. 4, doc. 3. Un ducato vale circa 22 euro del 2010).

Da questo momento, lo stemma di famiglia illustrava simbolicamente la genealogia dei Rosaroll: in campo azzurro, un bue d’argento, simbolo di forza, aveva in bocca un ramo di rose, in segno di gloria. Lo stesso Rosaroll celebrava il proprio successo, secondo l’ideologia del grand’uomo di epoca napoleonica, annotando in una memoria-testamento destinata ai figli, del 21 febbraio 1821: «Il mio stemma non ha corona, n’è circondato da geroglifico per dimostrare che non l’aristocrazia altrui, ma il proprio personale merito l’ha formato» (Fondo Rosaroll, b. 206, fasc. 18, doc. 1). E sotto gli stilemi dell’iconografia murattiano-napoleonica sarebbe egualmente da mettere quel suo ritratto in alta uniforme, dai lunghi baffi sotto la ricca capigliatura a boccoli, che ritroveremo sulle stampe diffuse in epoca risorgimentale. Nel ritratto l’idealizzazione della bellezza virile forzava un po’ la verità, se è vero quanto racconta il suo biografo a proposito «di sguardo modestissimo, di capo grosso e calvo», pur se «di complessione molto robusta, e di alta e bella statura» (D’Ayala, 1851, 165).

Il massimo splendore della famiglia Rosaroll coincide con l’epoca murattiana. Giuseppe gode della stima di Murat, come si è visto, cura l’addestramento alle armi dei figli del re e si occupa del governo dei territori calabresi. Insieme al sovrano partecipava nel 1812 alla campagna di Russia, guidando la brigata napoletana. Al ritorno si occupava dell’addestramento dei soldati e infine, dal 10 marzo 1815, del governo della piazza di Napoli. Al re dedicava il suo trattato La scienza della tattica, Napoli, Stamperia reale, 1814, con una prefazione che richiamava allo slancio patriottico la gioventù italiana.

La caduta di Murat segnava una svolta nel destino dell’intera famiglia. Nonostante le rassicurazioni austriache sull’intangibilità dei provvedimenti, confermati da un manifesto emanato da Ferdinando IV di Borbone il 20 maggio 1815 al ritorno sul trono napoletano, a Rosaroll era tolto il feudo, con tutti i suoi beni. Gli era invece lasciato il titolo di barone e il posto ai vertici delle forze armate, come comandante di brigata a Napoli, poi a Messina e infine a Gaeta, nel 1820, e come istruttore militare, cui egli dedicava un paio di trattati entrambi pubblicati a Napoli nel 1818, La scherma della baionetta astata, ossia armata in cima del fucile, che forma la forza dell’infanteria, e Il maneggio della spada larga, e della sciabola, che formano la forza della cavalleria.

I moti del 1820 lo trovano inizialmente piuttosto scettico. Secondo una memoria conservata fra le carte di famiglia, «al primo udire de’ mutamenti politici, manifestò contraria opinione, non per sentimenti avversi alla libertà, a cui consacrò intera la sua vita, ma perché stimava non poter durare in quel tempo simili istituzioni per lo assetto politico d’Europa» (Fondo Rosaroll, b. 206, fasc. 17, doc. 1). Aderiva, tuttavia, alla nuova costituzione e sarà probabilmente uno dei pochi, fra i più alti in grado nell’esercito, a restarvi fedele e a difenderla fino alla fine, anche quando il re Ferdinando la ritirava tornando all’assolutismo.

Rosaroll viveva questo passaggio da governatore di Messina, dov’era giunto da Gaeta il 9 dicembre del 1820. Già dal 20 settembre aveva aderito alle idee costituzionali, come attesta la sua traduzione in «bella lingua», al modo di Tasso, Alfieri e altri scrittori italiani, dell’ordinanza delle manovre francesi, già pubblicata a Milano, ma piena di errori: La traduzione dell’ordinanza delle manovre francesi in italiano fatta per ordine del Governo costituzionale di Napoli, con varie di lui manovre aggiunte, Napoli, 1820, allo scopo di dare coscienza alle milizie italiane. Quando diversi alti ufficiali disertavano dichiarando Rosaroll decaduto dal comando, lui cercava di avvicinare direttamente la truppa contando sul proprio ascendente. Nell’occasione emanava un manifesto indirizzato all’Armata di Sicilia e Calabria, per chiamare militari e civili alla resistenza contro gli austriaci ormai prossimi a Napoli.

«Soldati cittadini – vi si legge -, onore, immortalità, splendore della Patria non si barattano col disonore, col nullo nome, coll’obbrobrio. In noi è ancor fresco il giuramento che demmo alla Costituzione […]. Il Re giurò con coi nel tempio di Dio il 31 ottobre del passato anno, in presenza del popolo». Rosaroll ribadiva che era dovere difendere dal nemico il «sacro suolo di libertà» dagli Austriaci che sono stati introdotti a Napoli e si appellava all’Armata di Calabria. «Essa ripristinerà – concludeva – il patrio onore ed i Piemontesi, già per la Santa Costituzione alle prese con la rapace aquila austriaca, non isdegneranno aver per compagni i Calabresi. Alle armi, dunque, o cittadini, o soldati» (doc. in D’Ayala, 1851, 167-168).

In verità, vista l’armata allo sbando, il tricolore ammainato, fra gli alti comandi chi accoglieva la restaurazione e chi se ne tornava a casa, alla notizia del disastro di Novara, Rosaroll – sul quale pendeva ormai una condanna a morte – cercava scampo su una corvetta inglese, all’alba del 4 aprile 1821. Di qui passava sul brigantino la Concezione, toccando prima Cagliari, nel tentativo di mettersi al servizio dei piemontesi, e approdando infine in Spagna. A Barcellona otteneva il comando d’una legione, composta dei reggimenti di fanteria di Cantabria e Galizia e di altri battaglioni, con i quali partecipava alle guerre del 1822 e 1823, sotto il comando del generale Mina, capo dell’esercito di Catalogna. Rosaroll si batteva in difesa del regime costituzionale contro le armate francesi, guidate dal duca d’Angoulême, incaricato di ristabilire l’assolutismo.

Con la caduta di Cadice e la decisione di Mina di capitolare, Rosaroll non fidandosi delle rassicurazioni del generale francese Mejean, a lui noto dai fatti di Castel Nuovo di Napoli, fuggiva verso la Grecia. Approdava dapprima a Minorca, in novembre, poi a Malta e infine a Zante. Pare che il piano di Rosaroll fosse di scambiare la sua collaborazione con le autorità greche, nella guerra contro i turchi, in cambio di un bastimento con il quale recarsi negli Stati uniti allo scopo di raccogliere volontari per una spedizione in Calabria, «idea radicata in lui» e già tentata – senza successo – con il governo costituzionale spagnolo. All’arrivo a Zante, Rosaroll aveva inviato carte al ministro inglese Canning, cercando appoggi allo stesso scopo. Sarebbero state queste mosse, intercettate dallo spionaggio napoletano, a provocare la reazione del Governo napoletano, che costringeva le autorità inglesi a bandiere Rosaroll dalle isole ioniche e da qualsiasi altro approdo, da Malta a Gibilterra (Fondo Rosaroll, b. 206, fasc. 18, doc. 1).

Costretto a Lasciare Zante entro la prima quindicina di settembre 1825, Rosaroll si recava a Napoli di Romania, sede provvisoria del governo greco, rifiutando al contempo la proposta che gli veniva per lettera dal tenente colonnello del genio Giovanni Romeo, già suo collega a Messina, e ora emigrato e al soldo del vicerè d’Egitto, Mehemet Ali, che lo invitava a unirsi come istruttore militare al Governo egiziano. Rosaroll rifiutava per fedeltà ai greci. Non facevano altrettanto due generali francesi, Boyer e Livron, quest’ultimo già collega di Rosaroll alla corte di Murat, sedotti probabilmente dal cospicuo assegno di 12 mila ducati l’anno offerto dal sovrano d’Egitto.

Rosaroll giungeva a Napoli di Romania, dopo una lunga marcia a piedi da Gastuni, con al seguito i cinque figli, trovando una città sovraffollata, per via dell’assedio turco, e in condizioni igieniche e sanitarie disastrose. Rosaroll e i figli cadevano ammalati. Privi di tutto, di alimenti, di biancheria e di denari, giacevano sul pavimento vestiti. In pochi giorni, le condizioni di salute del cinquantenne Rosaroll peggioravano e nella notte fra il 2 e il 3 dicembre cessava di vivere, fra gli spasimi della febbre. Alcune carte di famiglia accennano al sospetto che egli fosse stato, per la verità, avvelenato da un sicario, tale Iodoropulo, greco di nascita e da molti anni al servizio dei Governo di Napoli, e già capitano aiutante maggiore del Forte il Salvatore in Messina.

Nel settembre 1860, nella Napoli liberata dai Borboni, gli unici due figli superstiti di Rosaroll, Mario e Marcello, inoltravano un memoriale alle nuove autorità italiane, per chiedere un risarcimento «per motivi di sofferenze politiche». Raccontavano dell’affronto patito con la distruzione della tomba della madre, durante la reazione del 1821, e la dispersione dello stesso cadavere. Poi del fratello Cesare, uscito di prigione con l’indulto del 1848, dopo quattordici anni di carcere, e caduto nella difesa di Venezia. Confidavano perciò nei «rappresentanti il principio, per lo quale la loro famiglia è stata distrutta» e ne fa «una delle prime nel martirologio Italiano» (Fondo Rosaroll, b. 206, fasc. 16, doc. 4, Napoli, settembre 1860, al Ministro delle Finanze)

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Fondo Rosaroll

Il Fondo Giuseppe Rosaroll, conservato nel Museo centrale del Risorgimento di Roma, è costituito da una ricca messe di documenti (di 718 unità archivistiche) riguardanti la famiglia Rosaroll nel periodo 1758 – 1873 e, in particolare, la carriera militare di Giuseppe e di suo figlio Cesare, nelle buste 203-207.

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Biografia

Dino Mengozzi è docente di Storia contemporanea e Storia sociale nell’Università di Urbino. Ha studiato con Michel Vovelle e si occupa di sensibilità collettive, cui ha dedicato numerosi saggi. Ha pubblicato La morte e l’immortale. La morte laica da Garibaldi a Costa, prefazione di Michel Vovelle, Lacaita 2000; Garibaldi taumaturgo, Reliquie laiche e politica nell’Italia dell’Ottocento, Lacaita 2008 e 2010. Il suo ultimo volume, Corpi posseduti. Martiri ed eroi dal Risorgimento a Pinocchio, Lacaita 2012, è dedicato alle rappresentazioni del corpo dei patrioti durante il Risorgimento e i primi decenni dell’Italia unita.

Biography

Dino Mengozzi is Professor of Contemporary and Social history in the Department of Formation Science at the University of Urbino (Italy). He has studied with Michel Vovelle. He deals with collective sensitivity, on which he wrote several essays. He published La morte e l’immortale. La morte laica da Garibaldi a Costa, prefazione di Michel Vovelle, Lacaita 2000 (The Death and the Undying. The Secular Death from Garibaldi to Costa, foreword by Michel Vovelle, Lacaita 2000); Garibaldi taumaturgo, Reliquie laiche e politica nell’Italia dell’Ottocento (Garibaldi, Miracle Worker. Lay Relics and Politics in XIX Century Italy), Lacaita 2010. His last book, Corpi posseduti. Martiri ed eroi dal Risorgimento a Pinocchio (Body Possession. Martyrs and heros from the Italian Risorgimento to Pinocchio), is dedicated to the meaning of “human body possession” and how it’s represented during the course of the 18th century Italian Risorgimento.