Gianluigi Digiangirolamo
L’attività della mafia in Sicilia negli anni Trenta e Quaranta e le sue relazioni con la politica fascista sono due aspetti fino ad ora poco trattati, se non sconosciuti alla storiografia nazionale. Giustina Manica con un approfondito studio ricostruisce i rapporti tra il regime e l’organizzazione mafiosa presente sul territorio siciliano, sia sotto forma d’intese, sia nella presenza di esponenti mafiosi all’interno delle istituzioni locali. In aggiunta il volume definisce la struttura delle organizzazioni mafiose nelle proprie conformazioni e ordinamenti mettendoli poi a confronto con il fenomeno mafioso Cosa nostra negli Stati Uniti. Da evidenziare inoltre, la condotta della ricerca attraverso l’ausilio di documenti, spesso inediti, dell’Archivio di Stato di Palermo, dell’Archivio centrale dello Stato, di files desecretati del FBI e di interessanti fonti tratte dai materiali delle Commissioni antimafia.
In apertura, il primo capitolo affronta le difficoltose dinamiche di insediamento del fascismo che nei primi anni Venti si trova a dover fare i conti con due schieramenti mafiosi: la nuova mafia, definita più giovane e delinquenziale e la vecchia mafia, devota all’ordine e alla conservazione con una potente struttura, solida e gerarchica. L’intervento di repressione mafiosa viene gestito dal regime attraverso la figura del prefetto Mori, nominato da Mussolini nel 1925 con poteri straordinari su tutte le province dell’isola. Attraverso la sua ricerca la studiosa dimostra che l’opera del “prefettissimo” non porta ad una sconfitta della mafia, ma si limita ad una forte diminuzione dei reati.
Nel secondo capitolo è sviluppata un’analisi di cinque province siciliane, Siracusa, Ragusa, Trapani, Messina e Palermo evidenziandone la gestione clientelare e mafiosa diffusa nel territorio all’interno delle realtà locali e delineando così un sistema mafioso dominante.
Proseguendo nell’indagine dei rapporti tra fascismo, enti locali e organizzazione mafiosa negli anni Trenta, nel terzo capitolo l’autrice si sofferma su alcuni casi peculiari di persistenza mafiosa come ad esempio il caso di Gangi e Corleone dove dopo gli interventi antimafia da parte del regime, il potere mafioso si lega ai notabili riuscendo a gestire appalti e consorzi locali. In questo senso vengono delineate le principali tipologie di reati che consentono un fonte di finanziamento all’associazione mafiosa e la sua radicazione nel territorio. Sono principalmente reati legati alla realtà agricola del luogo e dell’epoca che svelano una determinata volontà di controllo e di gestione degli enti locali. Inoltre, quanto emerge è un’ulteriore riprova dell’inefficienza dell’intervento del prefetto Mori, che nonostante il suo tentativo di repressione, commette un errore di valutazione salvando i proprietari terrieri, che complici collocavano i gabellotti mafiosi nella gestione delle loro terre. Colpendo in questo modo l’aspetto delinquenziale e non il sistema radicato nella grande proprietà
Per comprendere la struttura mafiosa e lo stato della delinquenza in Sicilia negli anni Trenta, nel quarto capitolo Manica esamina lo stato dei reati che vengono commessi nell’isola, che oltre a quelli comuni, si caratterizzano per i reati di associazione a delinquere quali abigeati e omicidi. Si prosegue con la delineazione del sistema di relazioni tra famiglie mafiose, nei rapporti interprovinciali e con l’organizzazione Cosa nostra insediata negli Stati Uniti che si trova ad intervenire come nel caso di Palermo per placare le faide nella città. Dallo studio emerge in modo chiaro il sistema e l’articolazione del potere: i suoi regolamenti interni, la forte struttura gerarchica e il reclutamento di personaggi al di sopra di ogni sospetto come il medico palermitano Melchiorre Allegra che attraverso la sua confessione narra in modo dettagliato il sistema di organizzazione mafiosa che può essere comparato alla struttura che si darà la mafia successivamente nel secondo dopoguerra.
Di particolare rilevanza è il quinto capitolo con un’analisi sulla proiezione internazionale della mafia e sulle interdipendenze tra le cosche in siciliane e Cosa nostra, nonostante le due realtà si sviluppino in sistemi politici, economici e sociali differenti. L’autrice ricostruisce in questo senso, la genesi e la diffusione del sistema mafioso negli Usa, partendo dalla lunga tradizione di commercio agrumario, iniziata negli anni Trenta dell’Ottocento fino ad arrivare alle vicende connesse alla figura di Vito Genovese. Un personaggio quest’ultimo, legato in un primo tempo al fascismo e, dopo la caduta del regime, alle forze militari alleate. La sua condotta definisce in modo esemplare i sistemi di rapporti esistenti tra esponenti mafiosi e forze politiche.
Le vicende che si susseguono in Sicilia dallo sbarco alleato del 1943 vengono affrontate dall’autrice nell’ultimo capitolo, focalizzando l’attenzione nei rapporti tra mafia e nuove opzioni politiche. In particolare, partendo dalle relazioni tra la mafia e il fenomeno del separatismo e nei suoi rapporti con il banditismo. Lo studio prosegue con i legami tra il nuovo potere politico rappresentato dalla Democrazia Cristiana e l’organizzazione mafiosa che riesce ad inserire i suoi uomini nelle cariche politiche locali. Questo a dimostrazione del perpetuarsi nel tempo dei rapporti tra mafia e politica.