Michelangela Di Giacomo
La storia del Partito Comunista Italiano è stata negli anni oggetto di interesse da parte di studiosi di differente formazione culturale e scientifica. Il volume di Gregorio Sorgonà si inserisce in un filone già florido, andando però a riempire in parte in esso una lacuna. L’attenzione è stata infatti spesso focalizzata alle discussioni in seno al Pci dopo i fatti di Ungheria del 1956, e, parimenti, c’è una ripresa di interesse a partire dalla Segreteria di Berlinguer. Il periodo preso in considerazione in questo studio è stato invece spesso lasciato nell’ombra, pur essendo un decennio cruciale per la modernizzazione dell’Italia. Il volume si interroga sull’approccio che i dirigenti di un grande partito di massa, protagonista del secondo dopoguerra, hanno avuto a fronte di tale processo, descrivendone dettagliatamente l’evoluzione analitica e rendendo conto delle difficoltà e delle intuizioni che ebbero nella lettura di quel fenomeno. Opportunamente, l’autore allarga lo sguardo alle vicende precedenti alla data d’inizio del suo studio, dedicando i primi due capitoli al Pci togliattiano tra Resistenza e Guerra Fredda. La costruzione del “partito nuovo” e la visione della situazione italiana nel contesto internazionale elaborata da Togliatti sono trattate con una sostanziale linearità ma solo sulla base di una pur vasta letteratura e delle riviste teoriche del partito. Una letteratura della quale manca peraltro una ragionata ricognizione, che avrebbe potuto essere un utile strumento introduttivo. Il reale oggetto d’interesse dell’autore è negli ultimi due capitoli, in cui si sviluppa una trattazione densa e ben radicata in un materiale archivistico ricco e ben utilizzato. La scelta di descrivere quasi quotidianamente il dibattito interno al gruppo dirigente costituisce uno dei punti di maggior interesse del libro. In primo luogo perché integra, raro esempio, con il ricorso alle fonti primarie una letteratura spesso costituita da memorialistica o da ricostruzioni ex post di esponenti stessi del partito. In secondo luogo, perché contribuisce a ridimensionare l’immagine della monoliticità del Pci. Viceversa, rendere conto del dibattito corposo e acceso che era alla base di ogni scelta risulta un’operazione feconda, anche al fine di comprendere perché il Pci riuscisse ad esercitare un’influenza culturale e di massa. L’analisi dell’autore si concentra sui due punti chiave dell’esperienza italiana di quegli anni: la modernizzazione economica, con il radicarsi del neo-capitalismo e di forme di consumo diffuso, e la modernizzazione politica, con il tentativo riformista del centro-sinistra. In entrambi i casi, Sorgonà ricostruisce nel dettaglio le posizioni assunte dai dirigenti del partito, tracciando un quadro ricco di sfumature oltre la schematica divisione tra destra amendoliana, sinistra, ingraiani e un centro in equilibrio queste anime. Attraverso questa ricostruzione, senza scivolare nella tentazione teleologica, l’autore accompagna il lettore, con un commento a volte troppo discreto, attraverso l’evoluzione di un partito da parte integrante di un movimento internazionale verso l’adeguamento al proprio contesto. Egli sottolinea la nascita e la cristallizzazione di due modelli per l’integrazione del partito nel sistema democratico italiano che, a partire da 1960-62, vede il confronto tra un indirizzo acquisitivo semplice – sostegno alle istituzioni rappresentative classiche e promozione di un incentivo ala domanda tale da superare il contenimento di consumi e salari – e uno più complesso – radicale rivendicazione democratica da estendersi all’organizzazione di impresa e fondata su una distribuzione dell’accumulazione più selettiva. Definisce poi nel quarto capitolo la costituzione di un reale polo intermedio, incarnato dai Segretari, che – tra le due ali che su versanti opposti indicavano la possibilità del superamento del partito nella sua forma classica – tentava la mediazione per consolidare il ruolo di quel partito nelle istituzioni italiane. Questo rapporto tripartito nella dirigenza del Pci è descritto sino al dibattito pre-congressuale del 1965, ossia nel passaggio tra la Segreteria di Togliatti e quella di Longo. La scelta dell’XI Congresso come data finale è significativa, nell’economia della ricerca, perché Sorgonà ha ritenuto tale assise la conclusione di una fase ventennale della vita del partito, con la prima espressione formale di un dissenso organizzato nel gruppo dirigente e con la definizione, garantita dal ruolo di mediatore della Segreteria, dei confini oltre cui tale dissenso sarebbe significato porsi fuori dal partito. Frutto dell’edizione di una tesi di Dottorato, il volume risulta a tratti fin troppo denso, calandosi nel resoconto minuzioso dei verbali degli organismi dirigenti, ma quasi mai di faticosa lettura, costituendosi dunque come un’utile strumento per gli studiosi che vorranno in futuro avvicinarsi alle carte del Pci di quegli anni.