I musei del patrimonio industriale in Emilia-Romagna Bologna, 14 ottobre 2011

di Matteo Troilo

Il 18 gennaio 2012 l’Archivio storico e il Museo della Ducati, la celebre azienda motoristica bolognese, sono stati dichiarati beni di interesse storico e culturale. Il ministero per i Beni e le Attività culturali ha deciso di concedere questo importante riconoscimento all’azienda Ducati per il lavoro fatto nella conservazione dell’ampio archivio, costituito da documenti e progetti dell’ufficio tecnico, e della collezione di moto e motori che testimoniano l’attività aziendale dal 1946 ad oggi. È senz’altro il segno di come i musei d’impresa costituiscano nel panorama attuale un elemento culturale importante in grado di testimoniare, anche in tempi di crisi, la forza di alcuni comparti dell’industria italiana. Non sono infatti poche le aziende italiane che hanno dedicato negli ultimi anni spazio e attenzione al proprio patrimonio storico-culturale, sia con l’obiettivo di testimoniare il valore aggiunto del made in Italy, e quindi anche di accrescere la fama dei propri prodotti, sia di mostrare al pubblico anche parte dei complessi processi produttivi. In tal senso l’Emilia-Romagna, regione tra le più sviluppate in ambito industriale, costituisce un caso di eccellenza dal punto di vista della memoria industriale ospitando musei di notevole importanza sia dal punto di vista culturale che più prosaicamente visivo.

Il seminario I musei del patrimonio industriale in Emilia-Romagna, organizzato ed ospitato dal Dipartimento di Discipline storiche geografiche e antropologiche dell’Università di Bologna, svoltosi il 14 ottobre 2011, ha posto l’attenzione proprio su questo variegato insieme di musei e collezioni industriali con l’obiettivo anche di fornire a livello scientifico delle importanti chiavi interpretative. I lavori si sono svolti sotto la direzione del professor Giorgio Pedrocco, coadiuvato nel dibattito dai professori Giancarlo Calcagno e Ivo Mattozzi, il quale ha saputo tracciare le linee guida per la comprensione di un fenomeno complesso e variegato e proprio per questo a rischio dispersività.

Si deve senz’altro iniziare con una considerazione e cioè che i musei negli ultimi decenni hanno vissuto cambiamenti importanti sia nelle strutture che nelle modalità di fruizione. I cambiamenti nell’economia, nella società e nel modo di fare turismo hanno modificato il concetto e la fisionomia delle istituzioni museali. Il museo non è più perciò un luogo “statico” in cui l’esposizione classica viene fruita in maniera passiva dallo spettatore, ma è un luogo sempre più dinamico in cui il visitatore è molto spesso spinto verso un’esperienza, come può essere quella di vedere direttamente i processi di produzione industriale. Da un lato i grandi complessi espositivi stanno acquisendo sempre più un modo di operare impostato su una maggiore efficienza e funzionalità, dall’altro i musei sono diventati degli strumenti per modificare, in maniera anche importante, l’offerta di una località, trasformandone anche le possibilità turistiche. L’esempio più lampante è il Museo Guggenheim di Bilbao, progettato dal grande architetto canadese Frank Gerhy e inaugurato negli anni Novanta, diventato punto di riferimento di tutta una regione e la principale attrazione turistica di una città che sino ad allora era stata considerata sempre come una città industriale. Oltre ai musei completamente nuovi, anche molte vecchie istituzioni museali come il Louvre e il British Museum hanno modificato il loro orientamento nel mercato, dando maggiore importanza ad attività come il marketing e la gestione degli eventi. Si pensi al fatto che, nell’attuale contesto, le mostre evento attirano più visitatori di un normale museo. Proprio per questo molte istituzioni, oltre all’allestimento classico, lavorano molto sulle esposizioni temporanee. Ciò interessa anche il campo dei musei storici, si pensi ad esempio alla recente riapertura del vecchio Museo militare di Dresda riconvertito dall’architetto Daniel Libeskind in Museo della pace con percorsi tematici che ricordano gli orrori della guerra in una delle città che più ha pagato gli alti costi della Seconda guerra mondiale. Oppure, per restare a casa nostra, si pensi al proliferare negli ultimi decenni di musei dell’area etno-antropologica, legati ad aspetti sociali e produttivi dei territori locali e capaci soprattutto di mettere in relazione tra loro aspetti e reperti diversi anche di vita quotidiana.

In un panorama in così rapida evoluzione lo stesso concetto di bene culturale è mutato e quello che prima veniva considerato far parte solo del mondo della produzione oggi è considerato parte integrante del mondo della cultura e dell’intrattenimento. A questo si unisce il fatto che l’Italia è probabilmente il paese nel quale l’industria ha raggiunto livelli artistici di notevole livello, nel quale spesso il grande design è andato a braccetto con i manufatti industriali.

Tornando al convegno, questo ha visto la partecipazione diretta di molte istituzioni museali dell’Emilia-Romagna grazie alla presenza dei direttori o di membri del personale, che hanno spiegato anche con l’ausilio di supporti multimediali le funzioni e la struttura dei loro musei. Alle relazioni relative ai singoli musei si sono aggiunti interventi che hanno spiegato aspetti più generali delle collezioni, dei sistemi di valorizzazione e dei network associativi che legano molte di queste istituzioni.

Marilisa Mainardi ha cominciato illustrando il sistema dei musei del patrimonio industriale in Emilia-Romagna. Questa è una regione centrale nel panorama industriale italiano, in particolare nelle provincie di Bologna e Modena nelle quali i distretti motoristici hanno creato marchi di fama internazionale. La conservazione del patrimonio industriale tramite i musei è perciò un fenomeno rilevante che ha permesso anche di recuperare in alcuni casi gli edifici industriali, collocando così i manufatti in un contesto simile e quindi più suggestivo. Mainardi nella sua analisi ha inoltre individuato nei musei emiliano-romagnoli due categorie: quelli che fanno capo ad aziende private e quindi fanno più attenzione alla valorizzazione del marchio, e quelli legati ad enti pubblici che mirano maggiormente alla divulgazione.

Un’altra analisi puntuale del sistema industriale locale, ed in particolare di quello bolognese, è stata fatta da Maura Grandi, direttrice del Museo del patrimonio industriale di Bologna, un’istituzione che da anni è nota a livello nazionale per l’opera di conservazione degli strumenti industriali e dei manufatti bolognesi. La caratteristica che rende ancor più particolare questo museo è che esso copre un periodo di tempo che va persino oltre la Rivoluzione industriale. Nel museo infatti non si trovano soltanto manufatti industriali più recenti, dalle moto alle macchine del packaging, ma anche ricostruzioni delle macchine che in piena età pre-industriale avevano permesso a Bologna una fioritura economica notevole. La famosa riproduzione del mulino da seta mostra infatti i processi di produzione che resero la manifattura della seta bolognese per secoli tra le prime in Europa.

Rodrigo Filippani ha esposto le caratteristiche del Museo Lamborghini di Sant’Agata Bolognese, situato nella sede istituzionale della famosa fabbrica di automobili sportive. Nato nel 2001, il museo è costituito da una collezione di automobili Lamborghini del passato e del presente così come capita di vedere in molti altri musei d’impresa. Ciò che però caratterizza maggiormente il Museo Lamborghini dagli altri è la possibilità per i visitatori di entrare nella fabbrica e vedere parte della produzione industriale. I visitatori, in gruppi organizzati, possono così vedere le linee di montaggio e comprendere come vengono assemblati i pezzi che diventeranno poi un’auto sportiva Lamborghini.

Un altro Museo, a Dosso (Fe), è invece dedicato alla figura dell’imprenditore Ferruccio Lamborghini, che oltre ad avere lanciato le famose auto sportive, è stato a capo del gruppo industriale di trattori che ancora oggi è operante ed è uno dei più importanti d’Italia. In mostra in questo caso sono sia le automobili che le macchine per l’agricoltura.

Un’altra collezione emiliana che può sfruttare la fama internazionale del proprio marchio è il Museo Ferrari di Maranello. La Ferrari è probabilmente il prodotto “made in Italy” più famoso al mondo e lo testimonia il fatto che il suo museo sia visitato da decine di migliaia di visitatori all’anno provenienti da tutto il mondo. Mariella Mengozzi ha raccontato la sua genesi un po’ accidentata, il museo è infatti nato dopo la morte del fondatore, Enzo Ferrari, il quale in realtà era contrario alla creazione di una collezione di auto del suo marchio. Per tale motivo molti modelli non erano più a Maranello e lo scopo del museo è stato anche quello di riportarli in sede, acquistandoli presso collezioni private. Oggi il museo presenta auto Ferrari sia da corsa che da strada e ha ovviamente un forte legame con il mondo della Formula 1 che fa sì che la Ferrari sia così famosa in tutto il mondo.

Altro notevole aspetto industriale della zona Bologna-Modena è costituito dalle moto. Intorno a Bologna in particolare sono nati parecchi marchi motoristici, la maggior parte dei quali ha terminato le produzioni, e la cui tradizione è portata avanti dalla Ducati di Casteldebole (Bo). Il Museo Ducati, di cui si parlava anche all’inizio, racconta la storia dei suoi prodotti dal 1926 fino ad oggi. Un po’ come la Ferrari anche la Ducati gode di grande visibilità in Italia e all’estero grazie al settore delle corse nelle quali è da molto impegnata. Le vittorie mondiali degli ultimi anni hanno sicuramente permesso al marchio Ducati di aumentare la propria fama, le vendite e anche i visitatori che tutto l’anno si recano al museo di Casteldebole, che al seminario è stato presentato dal direttore Livio Lodi. Il quadro motoristico del distretto modenese-bolognese è stato infine riassunto da Augusto Farneti, che ha parlato anche di importanti collezioni sparse in Emilia-Romagna, degne di grande valore storico, ma che non sono sempre visitabili.

I grandi numeri di visitatori dei musei motoristici non sminuiscono però l’importanza di altri musei che testimoniano altri settori manifatturieri, come il Museo dell’arredo contemporaneo di Russi (Ra) costituito da una collezione di oggetti di design dall’Art Noveau agli anni ottanta, descritta al seminario dalla direttrice Anna Biagetti. Lo stesso discorso si può fare per il Museo della bilancia di Campogalliano (Mo), raccontato da Maurizio Salvarani, che mette in mostra più di 800 strumenti per pesare dall’epoca romana ai nostri giorni.

Di notevole interesse è il Museo Sulphur di Perticara (Novafeltria – Pu), che racconta non solo la storia di un prodotto industriale fondamentale per la storia economica italiana, lo zolfo, ma fornisce uno spaccato della vita operaia di alcuni decenni fa. Nato negli anni Settanta, ma rifatto completamente nel 2002, il Museo Sulphur è particolarmente suggestivo e di grande impatto comunicativo, costituendo uno strumento didattico molto efficace. Le sale sono organizzate in un percorso che riproduce tutto il lavoro industriale dello zolfo, dall’estrazione alla fusione. La visita culmina nella miniera didattica, una fedele ricostruzione dei sotterranei di una miniera in grado di riprodurre nel visitatore l’esperienza di vita e di lavoro di un minatore.

Le altre relazioni del convegno hanno spaziato su vari prodotti industriali e su musei e fondazioni che comunque hanno un legame con l’industria. Liliana Davì ha mostrato come i vari musei del distretto di Sassuolo abbiano elaborato modelli di comunicazione efficaci che contribuiscono ad avere un buon numero di visitatori. Maria Giovanni Battistini ha illustrato il Museo della figurina di Modena, la cui collaborazione con il comune ha consentito il salvataggio dell’immensa collezione dell’azienda Panini, a cui si aggiunge una notevole collezione di figurine pubblicitarie precedenti al periodo della figurina autoadesiva. Raffaella Bassi Neri ha parlato dell’opera della fondazione Neri nel Museo italiano della ghisa di Longiano dove si conservano oggetti in ghisa degli ultimi due secoli, alcuni dei quali costituiscono notevoli opere d’arte. Un Museo tutto particolare è Mateureka – Museo del calcolo di Pennabilli (Rn), che pur nella varietà della collezione presenta anche oggetti industriali del passato, come le calcolatrici meccaniche e elettroniche, antenate dei nostri personal computer. Carolina Lussana ha portato il convegno a sconfinare in Lombardia parlando della Fondazione Dalmine, che con il suo archivio fa un’opera di grande valore nella conservazione e nella valorizzazione del patrimonio industriale italiano. Marco Montemaggi ha presentato il network Museimpresa nato nel 2001 in collaborazione con Confindustria e Assolombarda per associare i vari musei d’impresa italiani. Museimpresa organizza corsi sui modelli di comunicazione e di valorizzazione pubblicitaria e più in generale offre consulenza alle industrie che vogliono aprire un loro museo.

L’intervento di Laura Carlini dell’Istituto Beni Culturali dell’Emilia-Romagna ha illustrato quanto importante sia il ruolo delle istituzioni pubbliche nella valorizzazione dei musei industriali. Spesso infatti il Servizio musei e beni culturali dell’Ibc è dovuto giungere in soccorso di importanti collezioni che non potevano più essere mantenute solo da mani private. A fare considerazioni simili, legate anche alle battute conclusive del professor Pedrocco, è stato l’intervento fuori programma del professor Renato Covino dell’Università di Perugia e presidente dell’Aipai (Associazione Italiana per il Patrimonio archeologico industriale). Covino ha sostenuto infatti la necessità di una collaborazione stretta tra gli enti pubblici e quelli privati per evitare, come purtroppo è accaduto in passato, che collezioni di manufatti industriali e archivi d’impresa vadano persi per incuria e mancanza di sensibilità.