di Stefano Cambi
Abstract
L’età contemporanea è stata caratterizzata da un aumento senza precedenti della produzione di rifiuti. Da qualche anno, del resto, tale tematica ha cominciato a trovare spazio anche all’interno della storiografia italiana. Con riferimento a quest’ultima e, in particolare, agli studi (opere monografiche, articoli, saggi brevi) che trattano di rifiuti solidi, il presente lavoro intende mettere in luce impostazioni, interpretazioni e aspetti da approfondire o rimasti del tutto inesplorati, riservando particolare attenzione, per quanto riguarda l’impianto cronologico, al periodo che va dalla metà del Novecento in avanti. In generale, si recepisce l’esigenza di fornire un quadro di massima e una chiave di lettura della “storia dei rifiuti” in Italia attraverso la selezione di una bibliografia che si è distinta per il suo valore innovativo; ulteriori riferimenti possono essere ivi rintracciati.
Abstract
Contemporary age has been characterized by a waste production never experienced before. For some years waste has been considered a relevant topic in Italian historiography as well. With reference to the researches covering a period from the second half of the last century up to today, the present work aims to provide a critical account of the “history of waste” in Italy. More precisely, it intends to highlight new approaches, interpretations as well as aspects of the solid waste issues which are still to be fully analysed.
Introduzione
Secondo alcuni (Armiero-Barca 2004, 91-92, 150; Neri Serneri 2005, 38-44, spec. 43-44) lo sviluppo di nuove tecnologie e l’uso prevalente di combustibili fossili e risorse minerali, alla base della crescita di produttività e disponibilità di beni nei sistemi urbano-industriali, sono stati la causa principale dell’aumento senza precedenti della quantità di rifiuti che ha contraddistinto l’età contemporanea. Questo fenomeno, qualsiasi siano le sue origini, sembra effettivamente “di portata storica” se guardiamo al nostro tempo; del resto, altri (Sansa 2006, 11) hanno evidenziato come nella storia ambientale urbana dedicata al tema della gestione dei rifiuti vi sia, a livello italiano come internazionale, una “prevalenza della contemporaneità”. Per quel che concerne specificamente l’Italia, se da una parte il problema dello smaltimento degli scarti delle società odierne è stato oggetto di riflessione da parte di alcuni studiosi, i quali hanno visto in esso la conferma del “definitivo abbandono”, nell’ultimo mezzo secolo, di qualsivoglia principio di “riproduzione delle fonti materiali della ricchezza” (Bevilacqua 2009, 31), dall’altra i rifiuti rappresentano ancora un aspetto della modernità poco indagato, soprattutto per quel che riguarda gli ultimi decenni: basti considerare che solo in anni recenti tale tematica ha cominciato a trovare una qualche collocazione all’interno di opere storico-ambientali di carattere generale (Bevilacqua 2006; Corona 2015). Il presente lavoro intende pertanto mettere in luce impostazioni, interpretazioni e aspetti da approfondire o rimasti del tutto inesplorati nel contesto della storiografia italiana (non solo ambientale) concernente i rifiuti in età contemporanea, riservando particolare attenzione, per quanto riguarda l’impianto cronologico, alle ricerche relative al periodo che va dalla metà del Novecento in avanti. Precisiamo altresì che la seguente rassegna sarà circoscritta agli studi che trattano di rifiuti solidi e non comprenderà quel consolidato filone d’indagine che riguarda casi d’inquinamento dovuto a emissioni liquide e gassose provenienti da agglomerati abitativi e produttivi. In generale, si recepisce l’esigenza di fornire un quadro di massima delle pubblicazioni esistenti e una relativa chiave di lettura, dando conto sia di opere monografiche sia di articoli e saggi brevi che si sono contraddistinti per il loro valore innovativo.
I rifiuti in età contemporanea e la storiografia italiana: un bilancio
I volumi di Ercole Sori (1999; 2001) rappresentano tutt’oggi un riferimento storiografico unico per chi intenda studiare i rifiuti in un’ottica d’insieme e di lungo periodo. Rielaborando informazioni estrapolate da vari studi in lingua italiana, francese e inglese dove la tematica è presente in modo trasversale, lo storico dell’economia fornisce infatti una ricostruzione organica delle tipologie di rifiuti prodotte da diversi processi di produzione e consumo spaziando da un capo all’altro del globo (privilegiando comunque il panorama europeo) lungo un arco temporale che va dal tardo Medioevo all’inizio del Novecento. Le esperienze considerate mostrano come il problema dell’accumulazione di crescenti volumi di materiali residuali abbia un chiaro connotato urbano e, in tale prospettiva, la ricerca di Sori si configura come una “ricognizione sul nesso storico tra città e rifiuti”. In relazione al periodo di cui ci occupiamo, del resto, l’Autore sottolinea come a partire dal secolo XIX gli amministratori abbiano basato le politiche in materia di rifiuti sui principi di “allontanamento” e “diluizione” e come la fiducia incondizionata nell’avvento salvifico di nuove tecnologie, ritenute in grado di risolvere definitivamente e stabilmente il problema dello smaltimento, abbia dovuto spesso fare i conti con effetti difficili da prevedere, rispetto ai quali sono stati adottati “correttivi” rivelatisi non risolutivi.
Gli studi di Sori segnano un’evoluzione della tematica rifiuti, inquadrata da alcuni storici dell’ambiente urbano (Furlan 1988; Giovannini 1996; Salvadori 1999, 141-185; Dalmonte 2000; Zocchi 2006, 157-159, 164-170) all’interno della più ampia tematica igienico-sanitaria, verso una dimensione di ricerca autonoma; d’altro lato, essi manifestano un approccio diffuso, che ha ritenuto naturale leggere la storia dei rifiuti come indissolubilmente legata a quella dello sviluppo delle città. Quest’ottica emerge fin dai primi studi di caso, relativi all’organizzazione del servizio di pulizia e smaltimento di territori comunali, dove la storia locale si fonde con la storia d’impresa formando un ambito disciplinare “di confine”. Del resto, tali ricerche sono state concepite agli inizi dell’ultimo decennio del secolo scorso, quando il problema dei rifiuti cominciò a trovare riconoscimento nelle pubblicazioni di diversi studiosi italiani (Nebbia 1990; Viale 1994), e si sono concentrate su aree metropolitane che in quello stesso periodo stavano attraversando gravi emergenze (Corona op. cit., 105-106).
Firenze fa da sfondo alla monografia dell’ex assessore comunale all’ambiente (dal 1975 al 1980) Davis Ottati (1990), il quale racconta gli adeguamenti tecnico-impiantistici che l’Azienda servizi nettezza urbana (Asnu) ha dovuto sostenere dalla sua fondazione, nell’ottobre 1955, per rispondere al crescente problema dello smaltimento. Infatti, a dispetto della scansione temporale enunciata nel titolo, più della metà del volume è dedicata al Secondo dopoguerra e, all’interno di questa sezione, largo spazio è riservato alla travagliata esperienza dell’inceneritore avviato a San Donnino nel 1973, che in molti tra decisori politici e addetti ai lavori, alle cui relazioni il libro dedica una costante attenzione, ritenevano potesse finalmente liberare il capoluogo toscano dall’assillo dei rifiuti. Malgrado l’assenza di esplicite chiavi di lettura periodizzanti, il testo sembra allusivo rispetto alla causa del “problema” citato nel sottotitolo, che viene sostanzialmente ricondotto, almeno per ciò che riguarda i tempi recenti, alla chiusura (impropria?) dell’unico impianto d’incenerimento presente sul territorio; le stesse presentazioni, redatte dall’ex sindaco Giorgio Morales e dall’ex presidente di Asnu Franco Niccolucci, assecondano questa lettura attraverso passaggi in cui si fa esplicito riferimento alla sopraindicata vicenda. Nonostante il libro risulti in generale sconnesso a livello tematico, esso rappresenta certamente un’utile cronistoria suffragata da un puntuale ricorso a fonti di prima mano e, dal punto di vista della storia della storiografia sui rifiuti, il primo di una serie di volumi che intendono celebrare l’importanza cruciale di un servizio la cui quotidiana gestione era caratterizzata da una crescente complessità.
Nel contesto di questa nascente storiografia divulgativo-celebrativa può essere annoverata la rassegna illustrata commissionata dall’Azienda municipale servizi ambientali (Amsa) di Milano a Giorgio Berti e Giorgio Baroni (1993), il cui intento, come sottolinea il titolo stesso, era diffondere una “nuova immagine” dei responsabili della nettezza pubblica attraverso il racconto dell’evoluzione del servizio di gestione dei rifiuti dall’antichità fino agli anni Novanta del XX secolo: all’ultimo quarto di secolo è dedicata circa la metà delle pagine, all’interno delle quali la realtà di Milano riceve ampia attenzione.
Simili propositi favorirono la ricerca sulla “storia maleodorante” di Taranto patrocinata dalla locale Azienda municipalizzata di igiene urbana (Amiu) nell’anno del suo ventennale: fu del resto la reperibilità dei documenti a imporre all’affidatario Arturo Tuzzi (1994), impiegato presso l’Archivio di stato e già autore di pubblicazioni di storia locale, di considerare prevalentemente il periodo compreso tra il secondo quarto e la fine dell’Ottocento.
A sua volta l’Azienda municipale ambiente (Ama) in collaborazione con l’Archivio storico capitolino promosse la pubblicazione dei volumi dedicati alla gestione dei rifiuti a Roma. Il primo di essi, affidato a Isabella Caterina, Giuseppe Rubrichi e Franco Sensi (1997), intende documentare, in particolare, l’evoluzione tecnica, organizzativa ed economica del servizio di igiene della città alla luce delle vicende politiche e sociali che l’hanno attraversata dalla metà del Settecento (con accenni introduttivi risalenti fino al secolo XVI) al 1960; una scelta determinata, anche in questo caso, dalla disponibilità delle fonti d’archivio. Il libro, che dedica diverse pagine al periodo contemporaneo e, all’interno di questo, al Novecento, è diviso in tre capitoli: quello d’apertura si chiude con l’avvento del governatorato nel 1925 ed è centrato sulla prima, difficoltosa, organizzazione di un servizio per la nettezza pubblica; il secondo termina alle soglie del conflitto mondiale e verte sul progetto di ristrutturazione, avviato sotto il fascismo, basato sul passaggio da una gestione in economia a una privata (o in appalto), il tutto mentre si cominciava ad avvertire come sempre più impellente il problema dello smaltimento; l’ultima parte racconta invece il percorso istituzionale che, nel secondo dopoguerra, vede gli amministratori pubblici orientati verso la riappropriazione della gestione diretta, a cominciare dalla fase di raccolta. L’opera è completata da un secondo volume (Gori 1997) rivolto prevalentemente agli studiosi dove sono catalogati i documenti relativi al sevizio nettezza pubblica del periodo 1871-1919, conservati presso l’Archivio storico del comune di Roma. Successivamente altri inventari sono stati pubblicati (Bettini Prosperi-Bonincontro-Lisi 2003) relativi al periodo 1950-1985.
La “guerra perenne” di Genova contro i rifiuti è invece al centro del volume di Aldo Padovano (2009) sponsorizzato dall’Azienda multiservizi d’igiene urbana Spa (Amiu) della città in partnership col Comune. La gran parte delle due sezioni, una narrativa, l’altra fotografica, è dedicata al XX secolo, durante il quale, si dice, l’evoluzione tecnologica ha reso disponibili nuovi strumenti per affrontare un “nemico” reso nel frattempo più forte dalla società industriale e dei consumi. La ricostruzione procede in ordine cronologico, ma per compartimenti stagni: a ciascun aspetto o avvenimento trattato viene dedicato un breve capitolo con autonomia di contenuto.
Nel solco di questo filone di ricerche “su commissione” sono state altresì prodotte indagini che meritano di essere analizzate più dettagliatamente in virtù del loro spessore scientifico; si tratta di opere di approfondimento (dati i precedenti storiografici di cui si è dato conto) che hanno riguardato i casi di Roma e Firenze e, specificamente, i relativi enti di gestione dei rifiuti. La prima in ordine cronologico è stata redatta da Leonardo Rigon (2005) e ricostruisce la metamorfosi istituzionale, gestionale e tecnica del servizio dell’Azienda municipale ambiente Spa (Ama) di Roma, che ha favorito la pubblicazione in occasione del ventennale della sua fondazione, alla luce della parallela “trasformazione storica del problema dei rifiuti urbani”. Il volume, che ben evidenzia il nesso tra cultura ambientalista, istituzioni internazionali e comunitarie e legislazione italiana, poggia su tre sezioni, ciascuna delle quali racconta e spiega, grazie a un’efficace analisi dei rapporti tra attori politici e istituzionali e addetti ai lavori, gli sforzi di adattamento operati da questi ultimi per rispondere alle continue istanze imposte dal sempre più pressante bisogno di gestire il ciclo dei rifiuti nel suo complesso (dalla pulizia allo smaltimento) e dalla normativa, in continua evoluzione; inserito nella collana Ciriec di storie d’impresa fondata da Alberto Mortara, il lavoro di Rigon rappresenta la prima bibliografia storica “ufficiale” di un’azienda per la nettezza urbana.
L’anno successivo fu lo storico contemporaneo dell’economia Andrea Giuntini (2006) a pubblicare, nell’ambito delle iniziative promosse dall’allora Quadrifoglio Spa in occasione del cinquantennale della fondazione dell’azienda, la biografia di quest’ultima. La prima parte, di carattere introduttivo, termina con la creazione della municipalizzata Azienda servizi nettezza urbana (Asnu) nel 1955, indicato come evento spartiacque rispetto a un periodo in cui “la raccolta era tutto”; la parte successiva prende invece in esame la fase della “modernizzazione del servizio”, ossia le innovazioni che furono introdotte a livello tecnico-impiantistico per rispondere, principalmente, al progressivo imporsi del problema dello smaltimento in seguito all’avvento di nuovi stili di vita; l’ultima parte guarda invece “all’epoca dell’economia globale” e prende le mosse dalle norme introdotte a livello europeo, e quindi italiano, a cavallo degli anni Novanta, base dello sviluppo delle forme di organizzazione che contraddistinguono il servizio d’igiene urbana degli anni Duemila.
A questo punto si impone una riflessione sulle ragioni che, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, hanno indotto le aziende del settore, spesso in collaborazione con i comuni di appartenenza, a sponsorizzare la ricerca storica sul servizio di igiene urbana della propria città. A tale riguardo è opportuno considerare che grazie alle nuove possibilità di configurazione giuridico-amministrativa agevolate dalla normativa introdotta a partire dalla legge 142/1990 sull’ordinamento delle autonomie locali per la gestione di servizi pubblici in Italia, “la municipalizzata cambia pelle” e “diventa impresa a tutti gli effetti”; in altri termini, da quel momento in avanti “finalità sociali si coniugano con logiche di profitto” (Giuntini op. cit., 227-236). In un’ottica di tale tipo la comunicazione “aziendale” diveniva quanto mai “strategica”. Da una parte, infatti, cresce la volontà di rivendicare la centralità di un servizio tanto importante per la città quanto altri tradizionalmente considerati più “nobili”; nei confronti degli attori istituzionali, che rimangono comunque dei referenti e ai quali, non ultimo, spetta sempre il compito di appaltare il servizio; nei confronti dei propri dipendenti, che è necessario motivare; nei confronti dei cittadini-utenti, dei quali è quanto mai necessario ottenere la collaborazione per centrare gli obiettivi di raccolta differenziata, come sostengono vari studi (Osti 2002; Cassinelli-Del Duro 2007). Dall’altra, appare quanto mai necessario trasmettere all’esterno un’immagine dell’amministratore del servizio quale soggetto capace di impiegare i soldi dei contribuenti in progetti e soluzioni sostenibili da un punto di vista sia ambientale sia economico: anche alla luce del fatto che le aziende del settore si trovano spesso alla prese con opposizioni di comunità locali, recalcitranti verso la realizzazione di particolari impianti di trattamento sul proprio territorio; situazioni definite da alcuni sociologi (Bortoletti 2004) con l’espressione “sindrome Nimby”, dove il credito pubblico di cui il gestore beneficia in virtù della sua lunga esperienza può agevolare la conquista di consenso nella restante parte della cittadinanza e favorire, in questo modo, il superamento di empasse nella realizzazione di progetti d’impresa considerati strategici. In definitiva, le pubblicazioni che gli addetti ai lavori hanno promosso possono essere lette come iniziative di “diplomazia pubblica”, vale a dire finalizzate alla costruzione di una riserva di prestigio che tornerà particolarmente utile nei momenti politicamente più “turbolenti”.
Diffuse frizioni crea, ad esempio, la costruzione di impianti d’incenerimento (Morisi-Paci 2009), questione annosa che ha avuto riverberi nella storiografia sui rifiuti, come accennato sopra, fin dai primi studi. A livello teorico, le opinioni di fautori e contrari si collocano entro un campo delimitato dai seguenti estremi: i primi sostengono, nell’ambito di una gestione “integrata” del ciclo dei rifiuti, che il residuo non differenziabile dovrebbe essere incenerito con recupero di energia; gli altri ritengono invece che permettere la realizzazione di inceneritori significa, di fatto, rinviare indefinitamente la soluzione definitiva e sostenibile del problema rifiuti, che dovrebbero temporaneamente essere inviati a discarica, possibilmente dopo averli resi inerti, in attesa di una eliminazione alla fonte delle fabbricazioni non riciclabili. Sullo sfondo del dibattito inerente l’opportunità di ricorrere a tale tipo di tecnologia sono state edificate anche recenti letture storiche della tematica in oggetto, costruite spesso col contributo “tecnico” di figure coinvolte in prima persona nelle dinamiche che andavano a considerare.
Ne sono un esempio i lavori che hanno riguardato Napoli e la Campania dopo il collasso del sistema di gestione dei rifiuti avvenuto a cavallo tra il 2007 e il 2008. Un primo volume, con un approccio multidisciplinare, è stato elaborato con il contributo di vari studiosi all’interno di un fascicolo (64/2009) della rivista “Meridiana”. Gli aspetti di fondo emersi dalla suddetta ricostruzione, ritenuti rappresentativi di un fenomeno che riguarda l’Italia intera, sono stati poco dopo ripresi e approfonditi in un volume di Gabriella Corona, storica dell’ambiente, e Daniele Fortini (2010), ex amministratore delegato dell’Azienda servizi d’igiene ambientale (Asia) di Napoli ed ex presidente nazionale di Federambiente: il “dialogo tra saperi umanistici e saperi scientifici” si configura di fatto come una perorazione del “sistema integrato” di gestione (basato cioè sul ricorso simultaneo a raccolta differenziata, incenerimento e discariche) quale unica soluzione praticabile al problema dei rifiuti, rispetto al quale, d’altro canto, si offre regolarmente una spiegazione: in ultima analisi, esso è imputabile all’insufficienza sul territorio italiano di impianti d’incenerimento, ritenuti del tutto sicuri malgrado le opposizioni che incontrano tra le comunità locali; l’esperienza di anni di gestione dimostrerebbe che le tesi di coloro i quali vedono nella raccolta differenziata “spinta” un’alternativa (unita al riciclaggio) agli inceneritori, piuttosto che una pratica complementare rispetto a questi ultimi, sono da considerare quantomeno irrealistiche nell’ottica della chiusura del ciclo dei rifiuti, sia a causa degli intrinseci limiti a livello di applicabilità territoriale e di costi del “porta a porta” sia a causa della presenza di uno scarto ineliminabile alla fine del processo di riciclo. Una posizione, questa, condivisa anche da alcuni economisti (Massarutto 2009; 2019).
Una visione diametralmente opposta sottende invece il lavoro “militante” di Marino Ruzzenenti (2004), che affronta i principali nodi tecnici e politici attorno ai quali ruota l’annoso dibattito sul “sistema integrato” alla luce dei risultati che questo ha effettivamente prodotto a Brescia, il cui sistema di gestione dei rifiuti è considerato dagli “inceneritoristi” un modello di successo. Dopo aver sostenuto, col contributo di Luigi Mara di Medicina democratica, che bruciare rifiuti produce sull’ambiente circostante un carico inquinante affatto trascurabile, l’Autore spiega come l’avvio dell’impianto avrebbe di fatto indotto nel Bresciano un generale aumento dei rifiuti e una limitazione della raccolta differenziata; in aggiunta a ciò, il “termovalorizzatore” si sarebbe rivelato, a dispetto del suo sovradimensionamento in relazione alle effettive esigenze del territorio, portatore di un risparmio energetico “irrisorio” rispetto al fabbisogno degli utenti, nonché un investimento dalla dubbia convenienza economica tenuto in piedi da sovvenzioni e protezionismo statali, senza i quali lavorerebbe “in perdita”. L’esperienza di alcuni comuni del Veneto farebbe invece ritenere che la “terza via”, rappresentata dalla raccolta differenziata “spinta” quale presupposto del riciclaggio di tutti i materiali, agendo sulla responsabilizzazione dei cittadini innescherebbe un circolo virtuoso di progressiva riduzione sia del quantitativo di rifiuti totali prodotto sia della frazione indifferenziata, compresa quella costituita da materiali, cellulosici e plastici, con più alto potere calorifero; ciò renderebbe “inutile” il ricorso agli inceneritori, privati del loro principale combustibile, e sempre più contenuto quello alle discariche, cui sarebbero destinati solo i materiali effettivamente non riciclabili.
Relativamente alla tematica del riciclaggio dei materiali, è opportuno segnalare il volume pubblicato col finanziamento del Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica (Comieco) e curato da Ercole Sori (del quale si è detto sopra) e da Carlo Montalbetti (2011), presidente del suddetto ente, sulla storia della raccolta differenziata e del riciclaggio della carta e del cartone. Sori, riprendendo parte delle considerazioni dei suoi scritti precedenti, ha redatto il capitolo introduttivo sulle pratiche di riuso, riciclo e recupero tra tardo XVIII e prima metà del XX secolo e un inedito excursus sull’avvento della grande distribuzione e del consumo di massa in Italia durante il secondo dopoguerra, con cui si apre la seconda sezione. Quest’ultima, scritta per la restante parte dal coautore, è dedicata agli aspetti connessi allo sviluppo della raccolta differenziata della carta e del cartone in Italia, avviata in via sperimentale dagli anni Settanta e decollata nell’ultimo decennio del XX secolo, dopo il quale il nostro paese, alle prese con l’inedita esigenza di trovare un mercato di sbocco per la carta riciclata, si è trasformato da importatore in esportatore di carte da macero. Claudio Busca, dell’ufficio legale di Comieco, traccia infine un resoconto della normativa europea e nazionale volta a disciplinare e favorire il recupero e il riciclo dei rifiuti da imballaggio, dal 1994, quando venne emanata una specifica direttiva comunitaria in materia, al 2008; l’analisi mostra il modo in cui le disposizioni europee sono state recepite a livello italiano ponendo grande attenzione sulla funzione svolta da soggetti giuridici quali il Consorzio nazionale imballaggi (Conai) e il consorzio di filiera Comieco.
Conclusioni
La storiografia italiana ha cominciato a occuparsi di rifiuti (come del resto atri settori disciplinari) dopo le gravi emergenze che hanno investito alcune importanti città del Centro-nord tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Lo stretto legame tra città e rifiuti potrebbe del resto ragionevolmente spiegare la causa dell’adozione da parte degli “storici dei rifiuti” di una prospettiva principalmente “metropolitana”, che d’altro lato è stata incentivata dalle sponsorizzazioni degli addetti ai lavori, i quali, in un contesto di evoluzione verso nuovi modelli societari, hanno ritenuto la narrazione della propria mission, anche attraverso iniziative editoriali di taglio storico, un aspetto dall’importanza crescente; alla luce di quest’ultima premessa, se da una parte si ritiene utile accettare e valorizzare il contributo alla ricerca delle aziende del settore, dall’altra si dovrebbe impedire che una eccessiva dipendenza da tale contributo possa confinare la “storia dei rifiuti” in una sorta di “municipalismo” permanente. Si presta a una duplice lettura la stessa opinione di coloro (Giuntini op. cit., 29) i quali sostengono che l’iniziativa delle imprese locali per la gestione dei rifiuti possa fornire un valido contributo all’“irrobustimento” degli studi sui servizi d’igiene urbana in età contemporanea: l’affermazione risulta condivisibile qualora si guardi alla riorganizzazione e alla conseguente fruibilità dei patrimoni archivistici aziendali; meno convincente risulta invece la prospettiva di significative forme di sovvenzionamento alla ricerca da parte di soggetti il cui operato viene giocoforza a essere oggetto di valutazione da parte dello storico. D’altro canto, commentando il lavoro di colleghi impegnati in comitati civici anti-inceneritori, eminenti studiosi (Corona-Fortini, op. cit., 86) hanno a buon diritto sottolineato la necessità di “tenere presente e decifrare le istanze ambientaliste alle quali l’autore fa riferimento […] e valutare il senso critico con il quale […] si avvicina e mutua le istanze che pone a fondamento della sua analisi”. In definitiva, l’estrema attualità della tematica rende alquanto difficile trattarla con il distacco proprio del lavoro dello storico: a maggior ragione se non si mettono in campo gli opportuni “anticorpi”.
Premesso ciò, i nodi fondamentali debbono essere affrontati attraverso ricerche capaci di fornire un contributo di conoscenze all’odierno dibattito sulle politiche di gestione dei rifiuti, in modo da estenderlo dal campo puramente teorico a quello delle esperienze, ossia dei risultati che determinate strategie hanno effettivamente prodotto. Alcuni possibili campi d’indagine riguardano il ricorso alla pratica dell’incenerimento e il suo impatto sullo sviluppo della raccolta differenziata (e del riciclo) di determinati materiali, l’evoluzione delle posizioni dei partiti nei confronti della gestione del ciclo dei rifiuti, nonché dei gruppi di pressione che compongono il variegato mondo dell’ambientalismo italiano e di attori sociali come le istituzioni religiose, nonostante queste ultime siano state già al centro di alcune prime considerazioni (Marchetti 2012). Del tutto trascurati sono stati altresì gli aspetti legati alla cultura: se e come è cambiata nel tempo la percezione che l’opinione pubblica ha avuto del problema rifiuti e quali eventualmente sono state le cause. Rimane infine da approfondire il ruolo svolto dai consorzi di filiera (già oggetto di alcune riflessioni in Montalbetti-Nervi 2006) e dalle realtà industriali nel contesto delle politiche ambientali a vari livelli di governo.
D’altro canto, le opere passate in rassegna hanno l’indubbio merito di aver aperto una strada e di aver fornito le indicazioni per percorrerla; oltre che una solida base per sviluppare ulteriori analisi, esse forniscono infatti preziosi riferimenti circa le fonti attualmente disponibili. Queste ultime sono state essenzialmente prodotte a quattro livelli: quello dei tecnici, che comprende sia le società deputate alla gestione del servizio d’igiene urbana, di cui si spesso si possono consultare verbali di riunioni, memoriali, bilanci e relazioni presso i rispettivi archivi storici, sia i vari consorzi di filiera facenti capo al Conai, che conservano banche dati e studi specifici; quello delle istituzioni, ossia degli organi politici di rappresentanza locali, a cominciare da quelli comunali, emanatori di una molteplicità di atti e documenti in genere reperibili presso gli archivi civici; quello degli enti di ricerca e tutela del territorio, produttori di indagini e relazioni soprattutto a partire degli anni Novanta, fra i quali ci limitiamo a segnalare l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e le agenzie regionali per la protezione ambientale (es. Arpat in Toscana); quello dei media, soprattutto organi di stampa locale, che periodicamente si sono occupati in cronaca dei problemi inerenti la gestione della nettezza pubblica.
Negli ultimi decenni sono state prodotte diverse fonti utilizzabili per studiare la tematica rifiuti; considerata la generale reperibilità delle stesse, il compito più importante che attende lo storico risiede nel saper trovare modi nuovi di utilizzarle e di metterle in relazione, proponendo prospettive e chiavi di lettura in grado di spiegare le cause di un problema di cui in Italia si parla spesso, nel dibattito storiografico come in quello pubblico, soltanto quando diventa “emergenza”.
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