Il Palasport di San Siro e la grandeur sportiva di Milano dalla Liberazione al crollo del 1985

di Enrico Landoni

Abstract

Risale al 1967 la decisione assunta dalla Giunta esecutiva del Coni di procedere alla “costruzione a Milano di un palazzo per lo sport comprendente una pista ciclistica”, che fu il prodotto di una grandiosa politica di investimenti, resa possibile da una straordinaria disponibilità di risorse garantite dal Totocalcio.

A metterle bene a frutto fu un virtuoso interscambio Foro Italico-rappresentanza sportiva milanese-Palazzo Marino. Ricostruirne genesi e sviluppo è utile per comprendere che quella del Palazzo dello Sport di via Tesio non fu affatto una realizzazione fine a se stessa, esito di un progetto faraonico, obsoleto e dissennato sul piano finanziario, come raccontato dalla grande stampa, bensì il coronamento di una lungimirante politica di promozione e valorizzazione dello sport inaugurata negli anni Cinquanta dalle istituzioni comunali di Milano, che seppero perfettamente dialogare con il Coni.

Questa fattiva collaborazione, basata sulla condivisione di una politica di ampio respiro, si interruppe nel 1987, due anni dopo il crollo della copertura del Palasport, quando sia il Foro Italico sia Palazzo Marino decisero di anteporre alle alte ragioni della loro lungimirante cooperazione gli interessi di parte più immediati e diretti.

A pagarne il conto è stato naturalmente il capoluogo lombardo, che, rimasto orfano di una visione politica autenticamente grande, non solo non è riuscito a riavere il suo Palasport, ma è stato cancellato dalla lista di quelle grandi città europee dove è possibile e vantaggioso organizzare grandi eventi sportivi indoor.

Abstract english

Much more than a pharaonic sports hall. San Siro Palasport as the most successful achievement of a far-sighted strategy and the symbol of a sports grandeur brought down with the collapse in 1985

 

The decision to build in Milan a new sports hall was taken by the Executive Committee of Coni in 1967. This was the final product of a great investment policy, made possible by an extraordinary resource availability, which Totocalcio had been providing since its institution and the partnership between Coni and the municipal government of Milan was able to invest very profitably.

Analyzing the genesis and the development of this particular relationship, it is possible to understand that the building of San Siro Palasport was not at all an achievement for its own sake, or the outcome of an enormous, obsolete and economically foolish project, as the mainstream press put it, but the fulfillment of a far-sighted strategy, useful to promote the sport and enhance its value, developed since the 50’s by the municipal institutions, which succeeded in their thriving cooperation with Coni. This active collaboration, based on the sharing of a comprehensive policy, was interrupted in 1987, two years after the collapse of the roof of the indoor stadium, when both Foro Italico and Palazzo Marino decided that the high reasons for their farsighted cooperation would have to take second place to their immediate and direct interests. So Milan became the principal victim of this new situation, because it lost the contribution of a responsible and farsighted politics, was not able to get its Palasport back and was erased from the list of those cities in which organizing important sport events is actually possible and profitable.

  1. Il problema dello sport indoor a Milano e lo sviluppo dell’impiantistica

Nel trentesimo anniversario ormai del crollo della spettacolare copertura del Palasport di San Siro sotto il peso di una storica nevicata, che ha da allora reso orfana Milano di una struttura polifunzionale davvero degna del ruolo, delle tradizioni  e delle ambizioni sportive dell’intero Paese, si pone l’esigenza di ricostruire finalmente con rigore scientifico tutte le complesse vicende relative a questo impianto, andando al di là delle polemiche, delle mistificazioni e dei pregiudizi che, complice la colpevole superficialità della grande stampa, ne hanno accompagnato la genesi, la realizzazione e persino il collasso strutturale.1

L’occasione è utile in particolare per dimostrare che quella del Palazzo dello Sport di via Tesio non fu affatto una realizzazione fine a se stessa, frutto di un progetto tanto faraonico quanto obsoleto e di una scelta dissennata sul piano finanziario,2 bensì il coronamento di una lungimirante politica di promozione e valorizzazione dello sport avviata dalle istituzioni comunali di Milano a partire dagli anni Cinquanta (Landoni 2008 a, 11-26), uno dei fiori all’occhiello dello straordinario piano di sviluppo lanciato dal Coni sul fronte dell’impiantistica nazionale (Coni 1966, 25-31) e soprattutto il momento culminante di una felice stagione di continuo interscambio e proficua cooperazione tra Foro Italico e Palazzo Marino. A darle per così dire l’abbrivio, esortando la Giunta comunale a lavorare in sinergia con le istituzioni nazionali per rendere Milano una città davvero competitiva e all’altezza delle sue ambizioni sportive, in grado cioè di ospitare importanti eventi anche d’inverno e quindi all’interno di strutture coperte, sul modello del Madison Square Garden di New York, fu nell’autunno del 1950 Gianni Brera, che, con il suo inconfondibile stile diretto e caustico, in un lungo editoriale apparso sull’edizione del 15 novembre de “La Gazzetta dello Sport”, da lui diretta insieme a Giuseppe Ambrosini, ebbe ad esprimersi in questi termini: “Lo sport indoor è quasi nullo in Italia […]. A Milano il pubblico sportivo non può accontentarsi di grandi avvenimenti soltanto in primavera e in autunno. E vive e si sviluppa in virtù dei suoi rapporti agonistici con l’Europa, che è il continente più sportivo del mondo, talché d’inverno può sospendere i campionati di calcio e interessarsi ugualmente a molte discipline indoor. Ma noi? Milano ha quattro milioni di abitanti per quanto concerne la possibilità di alimentare spettacoli sportivi […]. Il Madison a Milano è un affare […]. Un palazzo dello sport, un tetto al Vigorelli (visto che c’è pure il progetto bello e fatto) assicurerebbero allo sport milanese e italiano la attività invernale che oggi manca e se non manca non è continua e quindi non adeguata alle nostre esigenze”.3

Fu insomma l’indimenticato Brera a porre per primo a Milano la questione palasport all’interno di quel complessivo piano di promozione, sviluppo e valorizzazione dello sport in città, che le istituzioni municipali, partendo proprio dall’interessante articolo apparso sulla rosea, avrebbero iniziato ad elaborare, inserendovi come caposaldo, oltre al delicato progetto dell’ampliamento dello stadio di San Siro, portato a termine poi tra il 1954 ed il 1956 (Landoni 2008 a, 85-121), lo sviluppo dello sport indoor.

Proprio in questo quadro la Giunta Ferrari decise allora di procedere alla realizzazione di un nuovo parquet all’interno del vecchio palazzo di piazza VI Febbraio, alla Fiera, che diventò finalmente un impianto in grado di ospitare eventi sportivi di assoluto rilievo internazionale (Landoni 2008 a, 124), grazie al contributo di 160 milioni di lire stanziati in occasione della sua settantatreesima riunione, svoltasi a Roma il 20 e 21 febbraio 1954, dalla Giunta esecutiva del Coni,4 convinta, come sostenuto da Brera, della necessità di un energico intervento a supporto dello sport indoor e dell’utilità, al contempo, di una diretta cooperazione con gli enti locali e l’amministrazione comunale del capoluogo lombardo in particolare.

A rappresentare d’altra parte il perfetto trait d’union tra il Comitato Olimpico Nazionale e il mondo sportivo milanese, che in lui ha avuto la fortuna di trovare un ineguagliabile ambasciatore ed un appassionato difensore, essendone diretta espressione, era allora Adriano Rodoni, presidentissimo della Federciclismo (Unione Velocipedistica Italiana fino al 1964) e principale collaboratore di Giulio Onesti, di cui fu infatti pressoché ininterrottamente vice per il lungo ventennio 1952-1972.5 Tutt’altro che per caso, proprio in questo torno di tempo, il complessivo rafforzamento dell’impiantistica milanese e il puntuale ascolto delle rivendicazioni e delle ambizioni sportive del capoluogo lombardo divennero dunque due degli obiettivi strategici e prioritari del Coni, che, supportato nella sua azione dall’importante ruolo svolto sul piano economico-finanziario dall’Istituto per il Credito Sportivo costituito nel 1957 (Istituto per il Credito Sportivo 1959, 1960, 1974),6 avrebbe altresì contribuito alla realizzazione di un bocciodromo coperto,7 all’attivazione del primo centro di addestramento al nuoto su scala nazionale, presso la piscina Cozzi di viale Tunisia (Landoni 2008 a, 129), e alla costruzione del Palalido, piccolo impianto polifunzionale recentemente abbattuto, dopo cinquant’anni di onorato servizio, e destinato a diventare, con nuove vesti, il quartier generale della Pallacanestro Olimpia.8

L’organizzazione dei Giochi Olimpici del 1960 poi, se a livello nazionale contribuì finalmente alla definitiva affermazione dello sport quale fondamentale strumento di aggregazione e integrazione sociale e alla generale presa di coscienza del suo intrinseco valore culturale, dando peraltro la stura a interessanti proposte di complessiva riforma del suo ordinamento,9 sul fronte dei rapporti Foro Italico-Palazzo Marino agevolò invece la trasformazione della già proficua e feconda collaborazione da poco avviatasi in una vera e propria “cooperazione rafforzata”.

  1. Milano capitale dello sport e faro nazionale: la relazione speciale Crespi-Onesti

Il principale artefice di questa svolta a Milano fu senza dubbio il democristiano Gian Franco Crespi, giovane e dinamico assessore allo Sport, che, in undici anni d’indefessa attività, fino all’estate del 1970, avrebbe notevolmente contribuito allo sviluppo del movimento sportivo ambrosiano, iniziando con l’ascoltarne le istanze e chiamandolo a collaborare direttamente con l’amministrazione, di cui le associazioni di base e gli enti di promozione, con particolare riferimento al Centro Sportivo Italiano (Csi), divennero dunque interlocutori ufficiali e accreditati (Landoni 2008, 147-149).

Il loro esordio ufficiale in questo ruolo avvenne in occasione della “Prima assemblea dello Sport milanese”, che, organizzata dallo stesso Crespi con il supporto del Csi, si svolse presso la sala delle Colonne del museo della Scienza e della tecnica nelle giornate del 13, 14 e 20 febbraio 1960, alla presenza, tra gli altri, del direttore de “La Gazzetta dello Sport”, Giuseppe Ambrosini, e del responsabile sport della Dc, Vittorio Cervone (Comune di Milano, Ripartizione Sport-Turismo-Giardini 1960).

Nell’affrontare i problemi, le urgenze e le istanze degli sportivi milanesi, l’assessore Crespi non mancò allora di fare riferimento ai gravi limiti imposti a tutti gli enti locali dall’assetto normativo in vigore sul fronte dello sport, denunciando in particolare l’assoluta inadeguatezza della legge comunale e provinciale, che obbligava ancora tutte le amministrazioni municipali del Paese a  considerare facoltative le spese attinenti allo sport. Consapevole della leadership sportiva vantata dal capoluogo lombardo, Crespi si fece dunque portavoce di tutti i Comuni italiani, presentando l’esperienza milanese nei termini di un positivo modello di riferimento, da riprodurre su scala nazionale, proprio alla luce degli ottimi risultati ottenuti dalla ripartizione Sport, Turismo e Giardini, all’interno della quale, a seguito del suo ripristino, avvenuto nell’autunno del 1956, era stato sperimentato con successo il decentramento delle competenze relative ai centri sportivi diffusi sul territorio urbano.

Per Crespi in realtà quella della “Prima assemblea dello sport milanese” fu l’occasione utile soprattutto per annunciare il rafforzamento del ruolo svolto dal Comune sullo specifico fronte della ricreazione e dello sport per tutti.

Il primo provvedimento assunto al riguardo dalla nuova Giunta di centro-sinistra, guidata da Gino Cassinis (Landoni 2007), fu l’avvio di un’articolata e complessa indagine conoscitiva sull’attività sportiva svolta in città dai residenti, accompagnata dallo stanziamento di ingenti fondi a favore delle società impegnate nell’attività amatoriale e dilettantistica.10 Si trattava di un’iniziativa davvero importante ed ambiziosa, di cui Crespi si assunse la piena responsabilità, nell’ambito di quella relazione speciale venutasi a creare con il Coni, che, pur dovendosi occupare principalmente dei problemi dello sport agonistico, sia in Italia sia a livello internazionale, non avrebbe potuto certo far mancare il proprio appoggio ad un’operazione come quella, finalizzata alla promozione e allo sviluppo delle attività di base e soprattutto alla diffusione di una nuova coscienza sportiva.

E non solo, come scontato, del resto, Onesti ne approvò spirito e obiettivi, ma volle che il suo ideatore diventasse il più autorevole consulente del Coni in materia di promozione, valorizzazione e comunicazione dei valori dello sport. Proprio per questo Crespi venne invitato ad intervenire come relatore all’importante convegno dal titolo “Per una nuova coscienza sportiva in Italia”, che si svolse il 24 gennaio 1963 a Roma, presso il centro tecnico Coni dell’Acqua Acetosa,  ((Cfr. Nando Ceccarini, Un piano per lo sport, in “l’Unità”, 25 gennaio 1963. )) a poche settimane peraltro dalla conclusione dei lavori di una commissione tecnica incaricata dal Panathlon Club e dall’Associazione Vecchi Universitari Sportivi del capoluogo lombardo di elaborare soluzioni e proposte funzionali allo sviluppo e alla diffusione della pratica sportiva, oltre che al generale riassetto dell’ordinamento federale.11

La prima ad essere attuata a Milano, che si confermava a maggior ragione così capitale italiana dello sport, oltre che faro e motore della promozione sportiva nel Paese, come riconosciuto, tra gli altri, da Luigi Chierici, direttore del quotidiano bolognese “Stadio”,12 fu la costituzione, per opera dell’assessore Crespi, alla vigilia della “Terza assemblea dello sport milanese”, della Fondazione Leva dei Giovani, trasformata poi nel 1964 in Centro Milanese per lo Sport e la Ricreazione (Landoni 2008 b; Giuntini 1991). Questa nuova istituzione avrebbe svolto un’efficace attività di sostegno e di diffusione delle diverse discipline ludico-sportive, facendo ricorso anche ad alcune iniziative pubblicitarie, e si sarebbe occupata della gestione dei nascenti impianti comunali e soprattutto dell’organizzazione di corsi di addestramento e di istruzione tecnico-sportiva, a partire dall’anno scolastico 1963-64.13

Nacque così un vero e proprio progetto-pilota, destinato a diventare oggetto di imitazioni e soprattutto di interesse e studio per la classe politica nazionale, ovvero per i componenti della Consulta Parlamentare per lo Sport (De Juliis 2001), che, insediatasi nel maggio del 1963 sotto gli auspici dello stesso presidente del Coni, elaborò nel breve volgere di poche settimane alcune proposte attinenti alla promozione dell’attività sportiva e soprattutto allo sviluppo dell’impiantistica, purtroppo però destinate a non essere mai approvate dalle Camere.14

Ciò non significa però che quello dello sport non fosse ormai assurto a problema di interesse e  rilievo nazionale, con riferimento soprattutto al delicatissimo nodo dei suoi canali di finanziamento. E fu proprio a questo riguardo che l’iniziativa parlamentare si rivelò in grado di produrre effetti straordinariamente benefici per le casse del Coni e quindi anche per l’impiantistica sportiva nazionale, con il varo della legge n. 1117 del 29 settembre 1965, meglio nota del “fifty-fifty”,15 poiché garantiva alla massima istituzione sportiva del Paese un’entrata netta pari appunto a quella ricavata dall’erario mediante l’imposta unica sul movimento complessivo generato dal Totocalcio, ovvero il 26,5%. Ciò avrebbe naturalmente comportato un sensibile aumento degli oneri e delle competenze per il Coni, a cui il legislatore aveva infatti appena deciso di appaltare nuovi impegnativi lavori all’interno di quel grande cantiere aperto rappresentato dallo sport italiano, con molte speranze e ambizioni, mettendolo nelle condizioni economiche — così come si legge nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge d’iniziativa, tra gli altri, dei deputati Brodolini, Evangelisti e Matteotti, per i gruppi socialista, democristiano e socialdemocratico, presentata a Montecitorio il 27 maggio 1964 —  “di fronteggiare le crescenti necessità di erogazioni per lo sport”.16

Di queste nuove responsabilità Onesti, consapevole peraltro dei drammatici bisogni di un movimento complessivamente ancora gracile, si mostrò subito disposto ad accettare il carico, chiedendo come contropartita il pieno sostegno della politica. Quello apertamente invocato, insieme alla richiesta di un più puntuale intervento a livello scolastico-educativo, all’interno del famoso Libro Bianco dello Sport, dato alle stampe dal Coni nel 1966 e contenente i lineamenti di un imponente piano di investimenti a sostegno dell’impiantistica (Coni 1966, 27), da realizzare naturalmente con i proventi della legge del “fifty-fifty”, con il concorso dell’Istituto per il credito sportivo e nel rispetto delle previsioni di spesa inserite all’interno del capito XIV del Piano quinquennale del programma di sviluppo economico 1966-1970 varato dal Governo (Saraceno 1962; 1964; Fuà-Sylos Labini 1963; Lombardini 1967; Indovina 1968, Ruffolo 1973; Carabba 1977, Lavista 2010).

  1. La genesi del progetto Palasport

Proprio in questo quadro maturò allora, durante la riunione del 13 dicembre 1967, la decisione della Giunta esecutiva del Coni di dare inizio al complesso iter burocratico che sarebbe dovuto culminare nella “costruzione a Milano di un palazzo per lo sport comprendente una pista ciclistica”.17 A darne notizia al Consiglio nazionale, nell’ambito della consueta relazione introduttiva del presidente, fu all’indomani lo stesso Onesti, sottolineando l’unicità e l’importanza del progetto, alla luce della mancanza in Italia di una pista di eccellenza per la preparazione invernale dei ciclisti.18

Entrando quindi nel merito dei profili tecnico-procedurali ed economico-finanziari inerenti a questa iniziativa, va sottolineato che, ben diversamente da quanto riportato dalla grande stampa in occasione della sua inaugurazione e poi anche del crollo, la costruzione del Palasport di Milano venne decisa dal Coni sulla scorta delle poste attive del suo bilancio e che essa in ogni modo, anche a seguito dell’innegabile lievitazione dei costi che si registrò nell’arco dei sei anni di lavori necessari per il suo completamento, non gravò direttamente sulle casse dello Stato, di cui non contribuì quindi ad appesantire il disavanzo. Fu cioè il prodotto —  senza dubbio costoso — di una grandiosa politica di investimenti, resa possibile da una straordinaria disponibilità di risorse garantite dal Totocalcio e messe bene a frutto da un virtuoso interscambio centro-periferia, nella fattispecie Foro Italico-rappresentanza sportiva milanese-Palazzo Marino.

Che nella vicenda del Palasport l’ambiente sportivo del capoluogo lombardo abbia giocato un ruolo diretto e decisivo è confermato anzitutto dalla scelta di inserire nel progetto la pista ciclistica, cioè una precisa richiesta del milanesissimo Adriano Rodoni, presidente della Fci, che, giovandosi naturalmente del ruolo di vicepresidente del Coni, poté garantire alla sua base di riferimento un risultato senza dubbio importante sul piano del prestigio e dell’immagine ed utilissimo nondimeno in chiave tecnico-agonistica e in prospettiva vivaio.19 Al di là delle ingenerose critiche che piovvero sul “palazzone”, considerato poco fruibile se non del tutto inutile al movimento di base, all’ombra dello stadio, tra le vie Tesio, San Giusto e Patroclo, va infatti ricordato che il Palasport di San Siro è stato per nove anni sede non solo degli uffici regionali della Federciclismo ma anche di una delle prime e più importanti scuole nazionali di avviamento al ciclismo come la mitica “Fausto Coppi”, la cui chiusura, in seguito al crollo della struttura, è di fatto coincisa con la lenta ed inesorabile scomparsa del ciclismo giovanile dal territorio comunale di Milano.

Quanto invece all’influenza esercitata dalle istituzioni municipali, va ricordato che, subito dopo la decisione di procedere alla costruzione dell’impianto e l’approvazione da parte della Giunta esecutiva del Coni del bando del concorso-appalto per la sua realizzazione,20 il sindaco Aniasi si attivò prontamente per concordare direttamente con Onesti l’inserimento del progetto Palasport in un più ampio ed articolato piano di sviluppo dell’impiantistica sportiva, che, se nell’avveniristico impianto in fase di progettazione avrebbe potuto trovare il suo fiore all’occhiello spettacolare, finalmente in grado di trasformare Milano in una grande capitale europea dello sport, non avrebbe certo potuto prescindere dalla costruzione di nuove strutture di minore impatto e funzionali soprattutto alle esigenze delle società di base, di un’utenza per lo più amatoriale e delle periferie in espansione.21

Sul piano più squisitamente politico insomma, in una Milano alle prese con una difficilissima congiuntura economica, l’emergere della prima forte ondata movimentista e la comparsa di nuove istanze sociali (Landoni 2008 b), Aniasi non si sarebbe potuto permettere certo di avallare la costruzione in città di un gigantesco impianto riservato quasi esclusivamente allo sport professionistico e spettacolare e ai legittimi interessi economici ad esso legati, in mancanza di adeguate contropartite di pubblica utilità. Quelle che Aniasi, con grande abilità, fu in grado di ottenere dal Coni, in occasione di un importantissimo incontro svoltosi a Roma il 9 gennaio 1969 con Onesti e il segretario generale del Foro Italico, Mario Saini. In quella sede fu infatti deciso che, oltre al Palasport, a Milano sarebbero stati costruiti sei impianti balneari nei quartieri periferici di Gallaratese, Niguarda e Gratosoglio in particolare e, all’interno del Parco Forlanini, un grande centro polisportivo,22 che nel giorno stesso dell’inaugurazione del Palasport di San Siro sarebbe stato ufficialmente intitolato a Mario Saini, uno dei principali artefici della sua realizzazione23 e soprattutto un grande estimatore di Aniasi e della politica sportiva attuata dalla sua Giunta, sensibile sia alle istanze dello sport spettacolare sia ai bisogni dell’associazionismo di base.

A dimostrarlo sono queste dichiarazioni da lui rilasciate a margine dell’importante riunione svoltasi all’Acqua Acetosa: “Aniasi si è interessato moltissimo allo scopo di poter moltiplicare a Milano le iniziative per una efficace propaganda dello sport tra i ragazzi. Naturalmente ci siamo anche preoccupati del settore dello sport-spettacolo. Milano con l’inverno 1970 o con i primi mesi del 1971 dovrebbe poter contare su modernissime attrezzature per importanti manifestazioni indoor di ciclismo, atletica leggera e pugilato. Questo complesso verrà innalzato nei pressi dello stadio di San Siro, quindi in una posizione favorevole, anche per quel che concerne parcheggi e mezzi di trasporto. Milano, così, sarà la prima città italiana in grado di allestire un grosso avvenimento di atletica indoor e non soltanto di pugilato e di ciclismo, come nelle sue tradizioni”.24

Giungevano così dalla viva voce del segretario generale del Coni l’ufficiale designazione di Milano a capitale italiana dello sport e a teatro quindi di importanti appuntamenti sportivi di rilievo internazionale, al pari delle più importanti città del mondo, la rivelazione dell’ubicazione finale del Palasport, scelta non a caso da Aniasi all’interno della storica cittadella dello sport ambrosiano, così da impreziosirne ulteriormente l’offerta di grande livello fino a quel momento garantita da calcio e ippica, e il pieno sostegno nei confronti di quella visione alta, ambiziosa e di ampio respiro mostrata dal Sindaco e dalla sua amministrazione.

Proprio per questo vi erano tutte le condizioni per procedere all’ulteriore rafforzamento della proficua collaborazione già in atto, garantendo il massimo sostegno possibile alle iniziative assunte dal dinamico assessore allo Sport, Crespi, ora impegnato in particolare sul fronte della valorizzazione e della riconversione ovunque possibile del verde urbano ad uso sportivo25 e chiamato poi a fine maggio del 1969 insieme all’ingegnere capo, Antonio Colombo, a rappresentare il Comune di Milano all’interno della commissione incaricata di selezionare l’azienda che, per conto del Coni, avrebbe dovuto costruire il Palasport, progettato dallo studio Valle di Roma.26

Cinque mesi dopo, il 13 novembre 1969, la Giunta esecutiva del Coni, sentita la relazione conclusiva redatta dal presidente di questa commissione, Antonio Franco, presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, ai sensi della legge n. 526 del 2 aprile 1968, la nuova norma riguardante la costruzione, l’acquisto, l’ampliamento e le modifiche dei campi sportivi, proposta nel 1966 dal deputato democristiano Natalino Di Giannantonio,27 deliberava quindi “di aggiudicare l’appalto concorso per la costruzione del Palazzo per lo sport di Milano all’impresa Condotte d’Acqua di Roma, per il prezzo offerto di lire 2.704.747.613”.28

  1. L’apertura del cantiere, le caratteristiche e l’attività dell’impianto fino al crollo

Per rendere possibile l’effettivo inizio dei lavori fu allora necessario da parte del Comune di Milano e del Comitato olimpico nazionale procedere alla stipula di una specifica convenzione, che venne perfezionata il 3 febbraio 1970 dal notaio Domenico Moretti. Essa prevedeva la concessione in uso al Coni di “un’area comunale ad ovest dello stadio di S. Siro tra le vie Federico Tesio e S. Giusto, di circa mq. 45.510, individuata nel nuovo catasto terreni di Milano al foglio 294 e foglio 295”,29 sulla quale il Coni avrebbe dovuto provvedere “alla costruzione di un Palazzo dello Sport e dei relativi servizi ed accessori”,30 fruendo di un diritto di superficie su tale area per l’intera durata della convenzione, ovvero per “anni ventinove a far data dalla consegna dell’area, con rinnovo per altri ventinove anni qualora il Coni ne avesse fatto richiesta. Alla scadenza della concessione, l’impianto sportivo sarebbe divenuto di proprietà comunale, previo pagamento al Coni, da parte del Comune di Milano, di un’indennità pari al 50% del prezzo di mercato degli impianti al momento della stima, nel caso di cessazione dopo ventinove anni, e senza alcun esborso, nel caso di scadenza della concessione dopo cinquantotto anni”.31

Tre settimane dopo la firma di quest’atto fondamentale per le sorti del Palasport, alla presenza, tra gli altri, del ministro della Marina Mercantile del secondo gabinetto Rumor, Vittorino Colombo, di Giulio Onesti, di Aldo Aniasi e del celebre ciclista degli anni Venti, Gaetano Belloni, ebbe quindi luogo la cerimonia della posa della prima pietra, preceduta in mattinata da un’attesa ed affollata conferenza stampa di presentazione del progetto e della annesse contropartite Coni, vale a dire il centro polifunzionale previsto al Forlanini e le sei piscine da realizzare nei quartieri Gorla, Bruzzano, Sant’Ambrogio, Gallaratese, Lorenteggio e Gratosoglio.32 A destare, nell’occasione, le maggiori impressioni furono in ogni modo le caratteristiche tecniche e strutturali di questo grandioso Palasport, destinato a diventare, in virtù della sua pianta ellittica con assi rispettivamente di 144 e 146 metri, una delle dieci sale senza colonne intermedie più grandi e spettacolari al mondo, grazie ad una luce complessiva di 140 metri, addirittura superiore, sia pure di poco, al Madison Square Garden di New York, ad una capienza massima compresa tra le 12 e le 15.000 persone e ad un’avveniristica copertura in tensostruttura a forma di sella sviluppata secondo una superficie anticlastica a paraboloide iperbolico in tensostruttura di 128 metri e assicurata all’invaso da una complessa rete di funi, travi, mensole ed anelli progettata, per conto della Condotte d’Acqua e secondo le condizioni di progetto imposte dall’impresa capitolina, dall’ingegner Giorgio Romaro (Romaro 1988).

Quanto invece al valore simbolico e politico dell’importante appuntamento del 24 febbraio 1970, sono le stesse parole pronunciate da Onesti in quest’occasione ad offrire un’interessante chiave di lettura del progetto Palasport, laddove in particolare, nel suo discorso, il presidente del Coni accennò al fatto di “essere venuto a Milano per pagare un debito”,33 o meglio per estinguerlo, versando l’ultima rata di un impegnativo piano di rientro concordato in realtà già ai tempi di Ferrari e con i buoni uffici di Rodoni, e ultimamente perfezionato con Aniasi, che, parlando su questa stessa falsa riga, giunse ad affermare che le iniziative messe ufficialmente in cantiere avrebbero finalmente contribuito a far cadere gli ultimi mattoni di un’invisibile barriera esistente tra Milano e Roma. Quella storicamente costituitasi subito dopo la Liberazione e rappresentata dallo scontro personale oltre che politico-programmatico tra lo stesso Onesti, nel ruolo di commissario liquidatore del Coni, ed Alessandro Frigerio, commissario del Coni Alta Italia ed aperto sostenitore del nenniano vento del nord in ambito sportivo (Nenni 1978), spazzato via dalla “Realpolitik” degasperiana e dalla sostanziale restaurazione dell’ordinamento sportivo fascista, attuata da Onesti con la benedizione del sottosegretario Andreotti, ma contro il parere di molte società sportive milanesi e lombarde (Landoni 2008 a, 41-51).

Di questo conflitto per la verità nel corso degli anni, come ampiamente documentato dalle iniziative assunte in perfetta armonia tra Comune e Coni, erano andate perdendosi le tracce. Ne era però rimasta quella originaria, di carattere ormai meramente storico e simbolico, che Aniasi contribuì quindi a cancellare definitivamente, a coronamento di una strategia politico-diplomatica iniziata dal suo predecessore, condivisa dallo stesso movimento sportivo milanese, pur umiliato anni prima da alcune scelte romane, ed impreziosita dal dinamismo e dall’intraprendenza di Gian Franco Crespi, il vero deus ex machina di quella “intesa ideale Stato C.O.N.I. e Comune”, così come molto opportunamente recitava l’occhiello nell’apertura della rosea del 25 febbraio 1970, dedicata da Gualtiero Zanetti proprio al nascente Palasport.

L’importanza del ruolo svolto dall’assessore allo Sport sul fronte delle relazioni Palazzo Marino-Foro Italico, la consuetudine di rapporti e contatti tra lui ed Onesti e la grande stima nutrita proprio dal presidente del Coni nei confronti della sua persona e del suo operato a Milano, dove il numero degli impianti sportivi sotto la sua gestione era passato da 65 a 151, tra il 1960 ed il 1968,34 trovano poi ulteriore conferma nell’interessante scambio epistolare tra i due risalente all’agosto del 1970. Allora Crespi, in seguito alla crisi della Giunta di centro-sinistra ed alla sua ricostituzione, al termine di lunghe e defatiganti trattative tra partiti, volle personalmente informare Onesti della sua ricollocazione dall’assessorato allo Sport, finalmente unificato come da lui stesso proposto con quello all’Educazione, sotto la nuova gestione del collega democristiano Luigi Bellini, alla guida della ripartizione Tributi. Il deferente saluto rivolto alla massima carica dello sport italiano, con cui aveva a lungo collaborato, si concludeva quindi con questa promessa di rinnovato impegno a sostegno del movimento sportivo milanese, unita ad una cortese richiesta di coinvolgimento in nuove iniziative: “Desidero confermare anche a Lei che, sia pure da un diverso posto di responsabilità, darò sempre una mano per i problemi dello sport in città. Se anzi vi fosse […] qualche possibilità di rimanere nell’ambiente, lo vedrei con piacere anche per non disperdere una esperienza che ritengo preziosa e che potrebbe essere di un certo interesse per gli ambienti sportivi cittadini. Alla ripresa di settembre mi permetterò farmi vivo per concordare una visita a Roma nel corso della quale presenterò il neo Assessore. Riceva con l’occasione, caro Avvocato, i più cordiali saluti”.35

Se possibile ancora più carica di stima, vicinanza e riconoscenza giunse quindi tre settimane dopo la risposta di Onesti, che nei confronti di Crespi scelse di rivolgersi in questi termini: “Ho letto con rammarico la Sua lettera […] dalla quale apprendo che, dopo una permanenza di oltre undici anni alla guida dell’assessorato allo Sport del Comune di Milano, è stato nominato assessore ai Tributi. La lunga consuetudine di lavoro svolto sempre nella massima comprensione dei rispettivi compiti ed esigenze ha alimentato una stima veramente sentita per la Sua competente opera che resta legata ad importantissime realizzazioni sportive nella città di Milano. È giusto che questa competenza appassionata non vada perduta e perciò mi riservo di esaminare volentieri la possibilità di un Suo aggancio con l’ambiente sportivo cittadino. Sarò lieto di salutarLa in settembre a Roma assieme al nuovo assessore ed in quella occasione riprenderemo il discorso accennato e mi auguro in termini più concreti”.36

Non sarebbe più stato in ogni modo Gian Franco Crespi a seguire direttamente i lavori di costruzione dello spettacolare Palasport, che, iniziati a pieno regime solo con la fine del 1971, proseguirono non senza interruzioni e modifiche in itinere al progetto iniziale fino a tutto il 1975, con inevitabile aumento dei costi di realizzazione, passati infatti dal preventivo di tre alla cifra finale di nove miliardi di lire.

Verificate quindi informalmente le condizioni dell’impianto e della pista di atletica in particolare, in occasione di un meeting che si svolse a porte chiuse, con la partecipazione, tra gli altri, del compianto Pietro Mennea il 10 gennaio 1976, il Palasport poté allora ufficialmente spalancare le proprie porte, per accogliere il grande pubblico di curiosi e appassionati, desiderosi di ammirarne dotazioni e finiture. Per l’attesissima cerimonia d’inaugurazione, fissata per sabato 31 gennaio in diretta tv con uno speciale di “Dribbling”, sotto la regia organizzativa di Bruno Beneck, che ne affidò la conduzione a Mike Bongiorno, venne scelta una grande kermesse all’americana, a base di musica, con il jazz di Carlo Loffredo e il liscio di Raoul Casadei, risate, garantite da Walter Chiari, e tanto amarcord sportivo, con le sfilate, tra gli altri, di Alfredo Binda, Vittorio Adorni, Dario ed Edo Mangiarotti e Duilio Loi.37

Si trattò di uno straordinario successo di pubblico, ma non di critica, alla luce della freddezza e dello scetticismo con cui la gran parte dei giornali seguì e commentò la genesi del progetto Palasport e naturalmente il suo battesimo “nazionalpopolare”, giudicato da Remo Grigliè in particolare sulle pagine de La Gazzetta dello Sport “una specie di carnevale dei bambini, ma piuttosto triste e noioso”.38 Molto più serio, per il direttore della rosea, sarebbe stato piuttosto rimandare di qualche giorno l’inaugurazione e “farla coincidere con uno degli avvenimenti sportivi già in cartellone oppure con una riunione ciclistica”.39

Tutt’altro che entusiastica fu insomma l’accoglienza riservata al Palasport dalla stampa e anche da alcuni settori dell’intellighenzia.40 Emblematico, a riguardo, fu il giudizio espresso nei suoi confronti dal grande designer ed urbanista Marco Zanuso, che giunse infatti a definirlo “una presenza notevolmente aggressiva in un ambiente già disturbato da uno sviluppo urbanistico non programmato”.41

Agli scaramantici poi suoneranno senz’altro come particolarmente inquietanti e dannatamente profetiche le parole pronunciate nel corso della conferenza stampa di presentazione della kermesse inaugurale del Palasport da un giornalista, che, nel criticare complessivamente il progetto, osò obiettare al direttore responsabile dei lavori di costruzione, l’ingegner Renzo Rosi, che, dal suo modesto punto di vista, il tetto non sarebbe stato in grado di sostenere il peso di una forte nevicata.42

Pur non nascendo quindi sotto una buona stella, il Palasport di San Siro per i successivi nove anni sarebbe stato in grado di regalare emozioni uniche agli appassionati e soprattutto un ruolo di primissimo piano e di indiscusso prestigio al capoluogo lombardo, destinato infatti a diventare il teatro ideale di tanti importanti eventi di carattere e rilievo internazionale. A partire dalla famosa Sei Giorni Ciclistica, primo ufficiale evento inserito in cartellone dal neonato consorzio di gestione dell’impianto, che nel febbraio del 1976 fu preso letteralmente d’assalto da novantamila appassionati durante la settimana di gare, culminata nell’indimenticabile trionfo della coppia formata dal campione d’Italia in carica, Francesco Moser, e dal belga Patrick Sercu.43

Davvero storico fu quindi il match valido per il titolo europeo dei medi junior tra Vito Antuofermo e Claude Warusfel, che rappresentò l’ufficiale debutto del pugilato nel nuovo palazzo dello sport di Milano, cinquantatré anni dopo la grande prima del vecchio impianto di piazza VI Febbraio, inaugurato il 22 settembre 1923 proprio da un indimenticabile incontro di boxe tra Erminio Spalla e Jack Humbeck ed ufficialmente dismesso nel gennaio del 1972, in seguito alla sfida valida per il titolo continentale dei “leggeri” tra Antonio Puddu e Jean Pierre Le Jaouen.44

Nel ritrovare dunque i fasti di un tempo e il senso delle proprie tradizioni, Milano, grazie al Palasport, scoprì in realtà di poter rivendicare nuovi primati e puntare dritto ad ambiziosi obiettivi, tra i quali l’organizzazione per la prima volta in Italia degli Europei indoor di atletica leggera, la cui nona edizione si disputò l’11-12 marzo 1978 proprio nell’impianto di San Siro,45 teatro poi anche dell’edizione 1982, anno, tra l’altro, della seconda magica stella conquistata dalla Pallacanestro Olimpia (Lauro 1987; Pedrazzi 2013), che sul parquet di quell’astronave colorata di bianco e rosso, al termine di una stagione fantastica, vinse infatti lo scudetto numero venti della sua storia, primo ed unico dell’era “palazzone”.46 Quello che sarebbe riuscito a reggere all’entusiasmo di migliaia di fans scatenati e ai decibel della musica suonata dai Queen, in occasione delle loro due uniche date italiane nel settembre del 1984, ma non al peso della neve che, dopo quattro giorni di precipitazioni ininterrotte, tra il 14 ed il 17 gennaio 1985, avrebbe messo in ginocchio la città, ponendo irrimediabilmente fine soprattutto alla sua grandeur sportiva.47

  1. Il crollo e le conseguenti polemiche inter-istituzionali

Inesorabile, dopo il collasso della copertura dell’impianto, giunse quindi l’ora delle polemiche, delle vendette, dei regolamenti di conti e del più classico “ma noi l’avevamo detto”, così come sulle pagine de Il Giorno lasciò allora intendere Giorgio Reineri, accennando, non senza ingiustificato livore e spocchiosa superficialità, ai macroscopici errori compiuti sia dal Coni sia dall’impresa costruttrice nel realizzare un palazzo “nato vecchio, nato per uno sport che è più folklore che sport”,48 come se gli Europei di atletica, ad esempio, svoltisi nel 1978 e nel 1982 al suo interno fossero stati una sagra da pro loco. In ogni modo, per rendere ancora più chiaro il proprio punto di vista così Reineri concludeva il proprio articolo: “Bene detta neve, che ha finalmente fatto giustizia dell’inutile monumento”.49 Così inutile appunto che da allora Milano non sarebbe più riuscita né ad organizzare né ad ospitare eventi sportivi degni di quelli svoltisi al Palasport, nei nove anni di sua onorata attività.

Molto più cauto fu invece l’atteggiamento assunto da La Gazzetta dello Sport attraverso un bel fondo di Elio Trifari, che, pur dichiarando di non poter assolutamente credere alla tesi della tragica fatalità, con grande buonsenso scrisse che agli sportivi poco sarebbe importato impelagarsi nella triste quanto necessaria procedura di accertamento delle responsabilità, poiché l’obiettivo principale da raggiungere nel più breve tempo possibile e con il maggior numero di risorse da investire sarebbe stato quello della ricostruzione.50

Tale priorità era naturalmente condivisa anche dal Coni presieduto da Franco Carraro, la cui prima mossa fu ricorrere al pretore di Milano, per sollecitare la nomina di una commissione di tecnici, che, in vista anche di una pressoché inevitabile controversia con l’impresa costruttrice dell’impianto, la Condotte d’Acqua di Roma, potesse anzitutto spiegare l’eziologia del collasso strutturale della copertura, far quindi luce sulle responsabilità e fornire, da ultimo, suggerimenti utili alla ricostruzione più rapida possibile del palazzo.51

Avrebbe così avuto inizio una lunga e defatigante battaglia legale ed assicurativa, che alla fine drenò forze, lucidità ed energie al Coni, tuttavia capace, per lo meno fino all’estate del 1986, di dettare tempi, ritmi e condizioni per il possibile ripristino dell’impianto. Importante fu ad esempio nell’agosto del 1985 il raggiungimento di un’intesa, in base alla quale la Condotte d’Acqua si sarebbe impegnata a farsi carico direttamente dei costi di smontaggio della copertura e del suo smaltimento, mentre il Coni, in attesa dei primi ufficiali esiti di carattere legale ed assicurativo, avrebbe provveduto a finanziare parte dei costi di progettazione e miglioramento strutturale della nuova volta del palazzo.52

Proprio grazie a quest’accordo ebbero dunque inizio i lavori di rimozione del tetto collassato e di messa in sicurezza di quanto rimasto dell’impianto, che si conclusero di fatto nel settembre del 1986, quando però i rapporti tra Coni e Condotte d’Acqua erano ormai divenuti irrimediabilmente tesi. Alla base di questa rottura va essenzialmente considerata la bocciatura di un primo progetto di ricostruzione informalmente sottoposto dall’impresa romana all’attenzione del Coni nella primavera del 1986 e da questo ritenuto incompatibile con le linee guida fornite dalla stessa Giunta esecutiva nell’autunno precedente.53 Ad essa avrebbe quindi fatto seguito un fitto scambio di lettere, dai toni e dai contenuti via via sempre più tesi e polemici, culminato nella perentoria presa di posizione assunta dal Coni, che, nel dicembre del 1986, di fronte al mancato invio da parte della Condotte d’Acqua di una nuova bozza definitiva ed ufficiale del progetto di ripristino dell’impianto, addebitava interamente all’atteggiamento dilatorio dell’impresa romana la mancata definizione di un vero cronoprogramma concernente i lavori di ripristino del Palasport.54

La Condotte, a quel punto, provvedeva finalmente a consegnare al Coni il progetto richiesto, che il professor Leo Finzi, consulente tecnico del Foro Italico, bocciava nuovamente però, riscontrando al suo interno gravi e macroscopici errori di calcolo.55 Di qui dunque la definitiva rottura tra Coni e Condotte, l’assoluta paralisi dei lavori e lo sviluppo di una situazione di stallo, da cui il Comune di Milano, rimasto di fatto alla finestra fino a quel momento, provò ad uscire con un’iniziativa a dir poco azzardata e destinata soprattutto a porre fine ad una lunga stagione di costruttivo dialogo e di fattiva collaborazione con il Coni.

Accusando il Foro Italico di non essere in grado di garantire alla città di Milano la ricostruzione di un impianto considerato strategico ed indispensabile, l’assessore allo Sport, Antonio Intiglietta, in una lettera inviata a Carraro in data 20 febbraio 1987, giungeva a formulare questa proposta: “Mi permetto far presente che sarebbe possibile ipotizzare una nuova convenzione fatta con privati che, in tempo utile e nel rispetto dell’ospitalità di manifestazioni sportive, possano costruire un nuovo palazzetto. Ovviamente tale ipotesi lascerebbe il Coni assolutamente libero di verificare la responsabilità di terzi nel crollo del Palasport e quindi nel recupero dei propri investimenti […]”.56

Analizzata e discussa nel corso della riunione del 9 giugno 1987, la Giunta esecutiva autorizzava il presidente Carraro ad intavolare trattive ufficiali con il Comune di Milano per la definizione di un nuovo schema di convenzione, che, approvato dalla Giunta municipale il 17 giugno 1987, prevedeva l’immediata scadenza del diritto di superficie a favore del Coni sull’area di San Siro e il trasferimento della proprietà del Palasport al Comune di Milano, che si impegnava a ripristinarlo “direttamente o a mezzo di imprese private, secondo le migliori regole tecniche e assicurando una capienza non inferiore a quella precedentemente prevista, dotato di una funzionalità sportiva, per numero di discipline praticabili e per qualità di strutture, almeno pari a quella posseduta prima del sinistro del gennaio 1985”.57

Da parte sua il Coni si impegnava invece a realizzare all’interno di un’area messagli a disposizione dal Comune di Milano, entro due anni dalla consegna, un impianto riservato esclusivamente all’allenamento di podisti e ciclisti, comprensivo di piste regolamentari.58 Impegni, o meglio, promesse da marinai, visto che sia il Coni sia il Comune di Milano, che nell’autunno del 1988 avrebbe provveduto ad abbattere definitivamente il Palasport ora di sua proprietà, per ragioni, responsabilità e problemi differenti, non hanno voluto adempiere agli impegni assunti, relegando così quella città che era stata indiscussa capitale dello sport spettacolare e di base ad una situazione di intollerabile minorità, così grave ed imbarazzante, da aver provocato, tra le altre cose, la scomparsa del ciclismo giovanile dai confini comunali e la cancellazione del capoluogo lombardo dalla lista di quelle grandi città europee dove è davvero possibile e vantaggioso organizzare grandi eventi sportivi indoor. Il tutto per effetto di un corto circuito,59 quello determinato nel corso del 1987 dalla scelta compiuta sia dal Foro Italico sia da Palazzo Marino di anteporre alla visione prospettica, condivisa e di lungo periodo, che aveva per molto tempo costituito il tratto distintivo della loro relazione, gli interessi di parte più immediati e diretti.

Nel caso del Coni essi coincisero di fatto con lo sbarazzarsi di un immobile divenuto quanto mai ingombrante e costoso da ripristinare, per addivenire ad un’onorevole conclusione della vertenza legale aperta con Condotte e di quella assicurativa rimasta pendente con Toro, che propriamente tale peraltro non fu. Dalla compagnia assicuratrice il Coni riuscì infatti ad ottenere non più di 2,45 miliardi di lire,60 mentre nei confronti dell’impresa capitolina fu addirittura costretto a pagare un risarcimento di 7,54 miliardi, una volta appurato che il crollo della copertura del Palasport era avvenuto per effetto di un carico di neve di 135 chilogrammi per metro quadro, a fronte di un limite massimo di 90 richiesto in sede di progetto dal Coni e correttamente rispettato in fase di costruzione dalla Condotte.61

In quello del Comune di Milano coincisero invece con la presuntuosa ambizione di poter fare tutto da sé, con il magico contributo dei privati, con cui eventualmente fare affari sul fronte della valorizzazione e del reimpiego di aree di grande valore, molto interessanti ed appetite.

Ne uscirono perdenti entrambi e, con loro, una città rimasta orfana non solo di un impianto fondamentale, ma soprattutto di una visione politica, e quindi anche sportiva, autenticamente grande.

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Biografia

Ricercatore di storia contemporanea presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi eCampus, Enrico Landoni ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alla docenza di II fascia. I suoi studi principali riguardano il rapporto tra politica e amministrazione nella Milano del secondo dopoguerra e la storia del movimento sportivo italiano, con particolare riferimento alle sue relazioni con gli enti locali e le istituzioni politiche, militari ed educative. Vincitore del Premio ANCI-Storia 2008 e del CESH (European Committee for Sports History) Award 2009, tra i diversi lavori scientifici al suo attivo, ha pubblicato in particolare Il Comune riformista. Le Giunte di sinistra al governo di Milano 1975/1985, M&B Publishing 2005, Il laboratorio delle riforme. Milano dal centrismo al centro-sinistra (1956-1961), Lacaita 2007, Milano capitale dello sport. Dalla Liberazione al centro-sinistra, M&B Publishing 2008, La ginnastica sale in cattedra. L’educazione fisica nell’ordinamento scolastico nazionale dall’Unità ad oggi, l’Ornitorinco 2011 e Il contributo delle istituzioni militari allo sviluppo del movimento sportivo italiano, in “Sport e società nell’Italia del Novecento”, a cura di Saverio Battente, Esi 2012.

Biography

Assistant Professor of Contemporary History at the Faculty of Law of the University eCampus, Enrico Landoni’s main studies concern the relationship between politics and administration in Milan after World War II and the history of Italian sports movement, with particular reference to its relations with local authorities and political, military and educational institutions. Winner of the ANCI – History 2008 and CESH (European Committee for Sports History) Award 2009, Landoni has published in particular Il Comune riformista. Le Giunte di sinistra al governo di Milano 1975/1985, M&B Publishing 2005, Il laboratorio delle riforme. Milano dal centrismo al centro-sinistra (1956-1961), Lacaita 2007, Milano capitale dello sport. Dalla Liberazione al centro-sinistra, M&B Publishing 2008, La ginnastica sale in cattedra. L’educazione fisica nell’ordinamento scolastico nazionale dall’Unità ad oggi, l’Ornitorinco 2011 and Il contributo delle istituzioni militari allo sviluppo del movimento sportivo italiano, in “Sport e società nell’Italia del Novecento”, a cura di Saverio Battente, Esi 2012.

  1. Cfr. Giorgio Reineri, Evviva, finalmente è crollato anche il Palasport, in “Il Giorno”, 19 gennaio 1985. []
  2. Cfr. Giorgio Gandolfi, Un edificio faraonico è costato spese folli, in “La Stampa”, 9 gennaio 1976; Maurizio Caravella, Tanto bello e moderno ma a che cosa servirà?, ivi, 1° febbraio 1976; Mario Fossati, Domani il varo del Palasport gigantesca «nave-spettacolo», in “Il Giorno”, 30 gennaio 1976. []
  3. Gianni Brera, Lo sport indoor la scuola e i sogni, in “La Gazzetta dello Sport”, 15 novembre 1950. []
  4. Cfr. Archivio degli Organi Collegiali del Coni (AOCConi), Verbali della Giunta esecutiva, riunione del 20-21 febbraio 1954.  []
  5. Sulla figura del milanesissimo Rodoni, spentosi dopo lunga malattia il 30 gennaio 1985, si vedano i ritratti di Rino Negri e di Angelo Zomegnan e le testimonianze di amici, atleti e dirigenti, che Candido Cannavò volle pubblicare in una pagina speciale a lui interamente dedicata, la numero 15, dell’edizione de “La Gazzetta dello Sport” del 31 gennaio 1985. []
  6. L’ufficiale istituzione di questo strumento finanziario, di cui i Comuni, le società sportive e gli enti di promozione riconosciuti dal CONI avrebbero potuto giovarsi per la progettazione e la realizzazione di nuove strutture sportive, fu conseguente all’entrata in vigore della legge n. 1295 del 24 dicembre 1957. []
  7. Cfr. AOCConi, Verbali del Consiglio nazionale, undicesima riunione, Roma, 28 novembre 1953. []
  8. Cfr. Archivio Civico di Milano (ACM), Verbali della Giunta municipale, seduta del 3 giugno 1958, conferimento all’Ing. Pier Italo Trolli dell’incarico di direttore dei lavori per la costruzione del palazzetto dello sport in piazzale Stuparich. Si veda anche Maurizio Giannattasio, Dal basket alla moda il Palalido rinasce nel segno di Armani, in “Corriere della Sera”, 30 marzo 2012. []
  9. Si vedano al riguardo le proposte di legge concernenti il riordinamento del Coni presentate alla Camera da esponenti democristiani, socialisti e socialdemocratici, e missini,  nell’ordine, il 17 febbraio 1961, il 20 maggio 1961 e il 21 luglio 1961.http://legislature.camera.it/_dati/leg03/lavori/stampati/pdf/28380001.pdf;http://legislature.camera.it/_dati/leg03/lavori/stampati/pdf/30380001.pdf; http://legislature.camera.it/_dati/leg03/lavori/stampati/pdf/32340001.pdf. []
  10. Cfr. ACM, Atti del Consiglio comunale, seduta del 26 febbraio 1962, relazione della Commissione consultiva per lo Sport e la Ricreazione sulla pratica sportiva in città ed approvazione dei contributi predisposti dalla Giunta municipale a supporto dell’attività di base.  []
  11. http://www.panathlon.net/organizzazione_leggi.asp?lingua=italiano&tabellaMenuOrizzontale=storia&id_menuorizzontale=13&id_sottomenuorizzontale=0&id=16 []
  12. Cfr. Un piano per lo sport, in “l’Unità”, cit. []
  13. Cfr. Il Comune organizza lo sport giovanile, in “Il Giorno”, 4 maggio 1963. []
  14. Si vedano al riguardo Risolvere i problemi di fondo, in “l’Unità”, 30 maggio 1963; La Consulta prepara la legge sugli impianti, ivi, 19 luglio 1963; Varato il progetto di legge sugli impianti sportivi, ivi, 26 luglio 1963. []
  15. Cfr. La Consulta Parlamentare: approvare il fifty-fifty, in “l’Unità”, 29 gennaio 1965. []
  16. http://legislature.camera.it/_dati/leg04/lavori/stampati/pdf/14240001.pdf. []
  17. AOCConi, Verbali della Giunta esecutiva, riunione del 13 dicembre 1967. []
  18. Ivi, Verbali del Consiglio nazionale, Relazione generale del Coni al XXVII Consiglio nazionale. Roma, 14 dicembre 1967. []
  19. Cfr. Mario Fossati, art. cit. []
  20. Cfr. AOCConi, Verbali della Giunta esecutiva, riunione del 4 dicembre 1968.  []
  21. Cfr. Giuseppe Melillo, Pronto fra un anno il nuovo Palasport?, in “Il Giorno”, 10 gennaio 1969. []
  22. Cfr. Alberto Delfino, Parco dello sport per i giovani con impianti di 10 specialità, in “Il Giorno”, 28 gennaio 1969. []
  23. Cfr. Aronne Anghileri, Perché è dedicato a Mario Saini, in “La Gazzetta dello Sport”, 31 gennaio 1976. []
  24. Cfr. Giuseppe Melillo, art. cit.  []
  25. Cfr. Sport e verde nel quadro della metropoli, in “Il Giorno”, 8 maggio 1969; Per ognuno di noi 4 mq. di verde, ivi, 11 maggio 1969; Alberto Delfino, La capitale dello sport seduto, ivi, 26 agosto 1969.  []
  26. http://www.studiovalle.com/files/prog_velodromo.html. Cfr. AOCConi, Verbali della Giunta Esecutiva, riunione del 29 maggio 1969. []
  27. Cfr. http://legislature.camera.it/_dati/leg04/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=3684. []
  28. AOCConi, Verbali della Giunta esecutiva, riunione del 13 novembre 1969. []
  29. Ivi, Convenzione tra Comune di Milano e Comitato Olimpico Nazionale Italiano allegata al verbale della riunione della Giunta esecutiva del 9 aprile 1987. []
  30. Ibid. []
  31. Ibid.  []
  32. Cfr. Il Palazzo dello Sport pronto per il Natale 1971, in “Il Giorno”, 25 febbraio 1970. []
  33. Alfredo Berra, Milano, il Palazzo e altro. Mai si era parlato tanto di sport, in “La Gazzetta dello Sport”, 25 febbraio 1970. []
  34. Cfr. Alberto Delfino, La capitale dello sport seduto, in “Il Giorno”, 26 agosto 1969. []
  35. AOCConi, Segreteria di Presidenza, 1970, 1/1 Corrispondenza. []
  36. Ibid. []
  37. Cfr. Milanesi allegria!, in “La Gazzetta dello Sport”, 20 gennaio 1976; Aronne Anghileri, Oggi il Palasport apre i battenti, ivi, 31 gennaio 1976; Franco Bonera, Primo esaurito al Palasport, ivi, 1° febbraio 1976. Marco Pastonesi, Canestri, record e musica. Ricordi sepolti sotto la neve, ivi, 12 gennaio 2015. []
  38. Meglio lo sport, in “La Gazzetta dello Sport”, 1° febbraio 1976. []
  39. Ibid. []
  40. Cfr. È solo un monumento nato già vecchio il nuovo palazzo dello sport milanese?, in “l’Unità”, 1° febbraio 1976. []
  41. Mario Fossati, art. cit. []
  42. Cfr. Palasport: 8 miliardi e 200 milioni il vero costo, in “Il Giorno”, 31 gennaio 1976. []
  43. Cfr. Gino Sala, «Sei giorni» per novantamila e per il trionfo di Moser, in “l’Unità”, 21 febbraio 1976. []
  44. Cfr. Giuseppe Signori, La potenza di Vito Antuofermo oppure la tecnica di Warusfel?, in “l’Unità”, 26 marzo 1976. []
  45. Cfr. Remo Musumeci, L’atletica indoor rinasce a Milano, ivi, 4 marzo 1978. []
  46. Cfr. Dan Peterson, Era la nostra casa. Lì il Billy vinse lo scudetto 1982, in “La Gazzetta dello Sport”, 12 gennaio 2015. []
  47. Cfr. Piero Lotito, Arranchiamo anche con catene”, in “Il Giorno”, 17 gennaio 1985; Franco Presicci, Scricchiola il Palasport. I tetti delle case gemono, ivi, 18 gennaio 1985; Giovanni Laccabò, A Milano il Palasport in pericolo. La nevicata ha schiantato la volta, in “l’Unità”, 18 gennaio 1985; Sfondato il Palasport e Milano perde anche il Palasport, in “La Gazzetta dello Sport”, 18 gennaio 1985. []
  48. Giorgio Reineri, Evviva, finalmente è crollato anche il Palasport, art. cit. []
  49. Ibid. []
  50. Cfr. Elio Trifari, Non è solo fatalità, in “La Gazzetta dello Sport”, 18 gennaio 1985. []
  51. Cfr. AOCConi, Verbali della Giunta esecutiva, riunione del 25 gennaio 1985. []
  52. Ivi, riunione del 5 agosto 1985. []
  53. Ivi, documentazione allegata al verbale della riunione del 7 aprile 1986. []
  54. Ivi, riunione del 4 dicembre 1986. []
  55. Ivi, riunione del 10 marzo 1987 e relazione allegata del prof. Finzi. []
  56. Ivi, ibid. []
  57. Ivi, documentazione allegata al verbale della riunione del 9 giugno 1987. []
  58. Ivi, ibid.  []
  59. Remo Musumeci, Il Colosso, rudere della burocrazia, in “l’Unità”, 9 luglio 1987. []
  60. Cfr. AOCConi, Verbali della Giunta Esecutiva, riunioni del 13 gennaio e 19 aprile 1988. []
  61. Ivi, riunioni del 28 gennaio e del 4 marzo 1992. []