Il primo zuccherificio belgradese durante il Grande Sciopero del 1906

di Aleksandar Vuckovic

Abstract

Lo zuccherificio belgradese era una delle prime istallazioni produttivi di questo tipo in Serbia. La sua fondazione era strettamente collegata con la dipendenza economica dall’Impero Austro-Ungarico e con la Guerra di dogane appena iniziata. Fu resultato di uno scambio tecnologico con l’Impero germanico, da cui gli investitori portarono la tecnologia e lo stilo architettonico bavarese. Questo impianto occupò la parte centrale nel Grande sciopero, fallito per la inconsistenza e mancante organizzazione della classe operaia in creazione e una risposta decisiva del governo che voleva assicurare la permanenza degli investimenti stranieri e non dipendere dal suo vicino potente.

Abstract english

Title: The first sugar factory in Belgrade in the Great Strike of 1906 Abstract: The sugar factory in Belgrade was one the first industrial installations of this type in Serbia. Its foundation is closely related to the economical dependency from the AustrianHungarian Empire and with the War of Customs that had just initiated. It was a result of a technological transfer with the German Empire, from where investors brought the production technology and the typical Bavarian architecture style. This installation occupied the central part in the Grand Strike, failed because of the inconsistency and bad organisation of the working class and a decisive response from the government which wanted to assure the permanency of foreign investments and not to depend from the potent neighbour.

Lo zuccherificio tedesco 1898-1918

All’inizio del ‘900, il Regno di Serbia si trovava dipendente economicamente dal suo vicino, l’Impero Austro Ungarico, da dove importava quasi tutti i prodotti. La fondazione delle prime fabbriche significava un passo importante verso l’emancipazione del piccolo regno balcanico, in quanto, per i prodotti finali, come lo zucchero, la Serbia doveva rivolgersi sempre all’Impero e assicurare alle imprese austriache il monopolio assoluto nel suo mercato (J. Celebonovic, 1910).

Tenendo conto di questa situazione complessa, il Ministero dell’Economia ha dato alla Società Azionaria di Ratisbona una concessione per la costruzione di uno zuccherificio, nella quale i principali azionisti menzionati nei documentierano:

  • Alfred Hacke di Magdeburgo;

  • Julius Goldsmit di Ludwigshafen;

  • Max Vineshenk di Ratisbona.

Secondo l’opinione del Ministero dell’Economia, il re Aleksandar I Obrenovic ha firmato personalmente la concessione, concedendo il diritto ai suddetti azionisti. Loro, invece, hanno accettato di (N. Vuco, 1979:24):

  • Investire nella fabbrica una somma fra i 3.000.000 e 4.000.000 di dinari serbi;

  • Iniziare la produzione due anni dopo aver ricevuto la concessione;

  • Produrre lo zucchero dalla barbabietola locale dopo cinque anni di produzione: durante questo periodo era possibile importare lo zucchero greggio;

  • Formare dei giovani operai serbi;

  • Creare un fondo assicurativo per gli operai, in caso di morte sul lavoro o eventuali incidenti;

  • Dopo 5 anni di produzione, almeno il 50% degli operai avrebbe dovuto essere serbo.

L’implementazione della legge del 1873, che avrebbe dovuto regolare il ruolo dello Stato nello sviluppo dell’industria, ma anche delle obbligazioni che gli industriali avevano verso lo Stato, si è mostrata negativa. Questa volta e dopo l’approvazione della legge del 1898, lo Stato e i suoi organi, soprattutto il Ministero della Produzione, iniziarono a controllare il funzionamento della fabbrica. La commissione del Ministero aveva anche il mandato di sospendere l’uso dei privilegi. Nonostante alcune fonti riportino che l’amministrazione della fabbrica non rispettava le clausole della concessione, non vi sono prove certe che esse furono sospese.

Gli azionisti decisero in seguito di creare una nuova impresa per la gestione dell’attività, sotto il nome “Fabbrica reale privilegiata di zucchero Hacke, Goldsmit e Vineshenk”. Per la costruzione, i tedeschi ottennero un terreno di 10 ettari nel quartiere di Cukarica, vicino alla riva destra del Sava. Il nucleo della fabbrica comprendeva la sala dei macchinari, l’essiccatoio, l’ufficio dell’amministrazione e due edifici adibiti ad appartamenti riservati a operai e funzionari. La produzione iniziò nel 1900, con una capacità di 60 vagoni ogni 24 ore. Così si fecce il primo zuccherificio in Serbia (N. Vuco,1979:29).

L’aggettivo “reale” non si riferisce al coinvolgimento economico o amministrativo del Regno o del governo nell’attività dell’impresa. Esso stava a indicare l’utilizzo di privilegi erogati dall’autorità regia da parte degliazionisti.

Secondo l’autore Nikola Vuco, la posizione scelta per costruire gli impianti era strategica per la natura del processo tecnologico. La fabbrica necessitava di grandi quantità d’acqua, la quale veniva raccolta dal fiume limitrofo per poi essere utilizzata in sala macchine, ed infine tornare ad essere scaricata nel corsod’acqua.

Da questo specifico esempio, si nota come le esigenze del processo tecnologico influenzassero la composizione del tessuto urbano. All’arrivo dei tedeschi, il quartiere di Cukarica non era sviluppato: lo zuccherificio, assieme alle altre fabbriche vicine, funsero da nucleo per la nascita e la crescita del quartiere, poiché gli operai iniziarono a costruire le proprie abitazioni per essere in prossimità del posto dilavoro.

Una delle clausole di concessione che i proprietari dovevano rispettare era la modalità di produzione: era necessario che questa utilizzasse materie prime provenienti dal territorio serbo. In questo periodo, la fabbrica poteva importare dello zucchero greggio: questa strategia era molto utilizzata allo scopo di trarre il massimo profitto senza eccessive spese di produzione. Tuttavia l’amministrazione si rese presto conto che era meglio incoraggiare la produzione locale della barbabietola, essendo più conveniente produrre in loco, piuttosto che sostenere gli elevati costi di trasporto dello zucchero dall’Impero Austro Ungarico. Cosicché degli esperti vengono inviati verso i villaggi per istruire e formare i contadini: insegnarono loro a coltivare la barbabietola e prepararla per la lavorazione industriale. Oltre a ciò, l’azienda mise a disposizione i macchinari necessari alla coltivazione della pianta. Tuttavia, tali misure non consentirono l’emancipazione del mercato serbo da quello austriaco, che rimaneva in ogni caso attivo.

Le ragioni della mancata emancipazione possono essere considerate economiche e politiche. Essendo l’unico complesso di questo tipo, lo zuccherificio non poteva coprire i bisogni del mercato locale, che superavano le capacità produttive della fabbrica. Avendo vicino l’Impero Austro-Ungarico, i collegamenti con quell’economia erano d’obbligo per la Serbia. Tale dipendenza si evince dai contratti che il governo serbo stipula con Vienna: questi prevedevano che il governo assicurasse una posizione privilegiata dei prodotti austriaci, come ad esempio esentarli dalle tasse d’importazione.

Così, paradossalmente, lo zucchero austriaco era meno costoso di quello prodotto a Belgrado. La conseguenza diretta fu la chiusura della fabbrica e la dichiarazione dell’amministrazione di una perdita di 2.000.000 dinari (V. St. Marjan,1987).

Il 2 febbraio 1906 la situazione evolve e il governo emana una nuova legge che avrebbe aiutato la fabbrica a continuare la produzione. Non vi sono elementi di novità rispetto alla legge generale del 1898, ma è rafforzata la relazione fra lo zuccherificio e i coltivatori di barbabietola. Per quanto riguarda la protezione doganale, lo Stato si impegnò ad inserirla nel prossimo contratto mercantile con l’Impero, parzialmente realizzato nel 1911. Quindi, la produzione riprende il 30 settembre 1906, dopo rinnovamenti effettuati allemacchine.

Fu installata una macchina a vapore, della potenza di 750 cavalli; altri autori affermano che anche altre macchine sono spedite da Ratisbona per questa occasione, ma le fonti non indicano quali. In seguito si presenta un nuovo problema legato alla qualità della barbabietola, e ciò si riflette sulla quantità del prodotto finale. I numeri parlano chiaramente, confermando la situazione del mercato locale, i cui i bisogni annuali erano 6.000.000 kg, mentre la fabbrica ne copriva appena 1.433.597 kg, ossia il 24% (N. Vuco,1979:35).

Nel 1911 avviene il primo allargamento della fabbrica, quando l’amministrazione compra due appezzamenti nei villaggi di Veliko Orasje e Krnjevo, per la costruzione delle divisioni destinate al trattamento della barbabietola; tuttavia lo scoppio della Prima guerra mondiale ne impedisce l’espansione. In quell’anno siamo anche a conoscenza della prima esportazione: 1276 t di zucchero lasciano per la prima volta il territorioserbo.

Durante i primi mesi della guerra, la fabbrica fu bombardata dall’esercito austriaco, come anche l’edificio più vicino alla riva destra del Sava. È necessario precisare che la capitale serba si trovava in quel periodo sulla frontiera dell’Impero, quindi la riva opposta del fiume era il luogo perfetto da cui l’esercito bombardava la città. Nonostante fosse stata danneggiata, la fabbrica fu venduta a una compagnia austriaca. Mentre l’esercito serbo si avvicinava alla capitale verso la fine della guerra, l’amministrazione cercò di smantellare tutti i macchinari e portarli via. Nonostante tutto, il convoglio venne ripreso a nord della Voivodina e riportato nella capitale.

Lo zuccherificio sequestrato 1918-1925

Dopo la fine della guerra, la fabbrica produceva una quantità abbastanza limitata di zucchero. Il Ministero della Giustizia sequestrò il complesso, poiché era in possesso del nemico, e creò un consiglio d’amministrazione per fare funzionare la fabbrica. Il consiglio riuscì a raccogliere capitali provenienti dal Ministero della Finanza, dal Ministero della Giustizia e da banche belgradesi, per cominciare con la ricostruzione. Una parte dei macchinari venne dalle restituzioni che la Germania doveva pagare, rendendo così possibile la capacità di produrre sessantanove vagoni in 24 ore.

La crescita seguente al periodo della ricostruzione è facilmente spiegabile guardando alle condizioni economiche del dopoguerra. Le distruzioni provocarono un aumento della domanda di zucchero e poche erano le fabbriche sopravvissute alla guerra con capacità produttive intatte e in grado di rifornire il mercato. Tenendo conto di questa situazione, è facile capire perché il prezzo restò alto, e ciò si verificò fino al 1924. I redditi furono utilizzati per pagare i numerosi crediti ricevuti al fine di fare funzionare la fabbrica.

Già dopo il 1924, si nota una diminuzione del potere d’acquisto della popolazione, come conseguenza di una politica di deflazione condotta da alcuni paesi europei. Lo zuccherificio non riuscì a vendere lo zucchero e, di conseguenza, l’amministrazione introdusse delle misure d’austerità, quali la diminuzione della produzione e il licenziamento di funzionari e operai. Queste misure, nel 1925, hanno reso possibile il pagamento di una parte del debito (N. Vuco,1974:36).

Lo zuccherificio reale 1925-1941

La prima metà degli anni Venti è marcata da una discussione fra industriali e banchieri coinvolti nell’azienda riguardo al futuro dello zuccherificio. Il sequestro era una misura provvisoria che sarebbe prima o poi terminata. Si sa che tre furono le soluzioni proposte: che divenisse di proprietà dello Stato, che passasse a proprietà privata o sotto il controllo di una compagnia mista. Il Consiglio dei Ministri decise di farne una fabbrica dello Stato e il suo nome cambiò in Zuccherificio Reale di Cukarica. La fabbrica passò nelle mani del governo il 10 novembre 1925, e più precisamente sotto la direzione del Ministero delle Finanze, che formò un consiglio d’amministrazione (composto da 5 persone, poi da 8, nominate per un periodo di due anni) per assicurare un effettivo funzionamento del complesso industriale (S. Djurovic, 1985).

Per lo zuccherificio fu previsto un capitale iniziale di 50.000.000, con le seguenti deduzioni: 5% per gli stipendi del Consiglio d’amministrazione, 5% per gli stipendi dei funzionari, 10% per un fondo di manutenzione e tutti i redditi che ammontavano alla somma iniziale erano rivolti direttamente al Ministero. L’amministrazione doveva redigere ogni anno un bilancio all’Assemblea nazionale, che non faceva parte del bilanciostatale.

Gli obblighi dell’amministrazione erano di:

Stilare dei piani economiciannuali;

Specificare le regioni per la coltivazione dellabarbabietola;

Determinare i prezzi di riacquisto dellabarbabietola;

Rifornire i coltivatori con macchine, utensili e di tutto il materialenecessario;

Determinare il prezzo del prodottofinale;

Presentare il bilancio annuale;

Scegliere il direttoreprincipale;

Nominare, penalizzare e licenziare ifunzionari;

Determinare gli stipendi e premi per ilpersonale.

Lo zuccherificio era controllato dal Ministro tramite il suo commissionario, che frequentava le sessioni del consiglio e aveva diritto di far valere il suo nome nel caso di irregolarità.

Prendendosi lo Stato carico dell’azienda, si ebbe un primo vero piano di gestione. Nel 1926 iniziò la ricostruzione parziale con la modernizzazione di una parte dei macchinari. Fu aggiunto un essiccatoio e la capacità produttiva aumentò da 60 a 80 vagoni in 24 ore. Nel 1925, il debito era di 60.000.000 dinari, ma già nel 1927 diminuì di un terzo – 23.139.556 dinari (Arhiv Jugoslavije Ministarstvo finansija 70-220-380), grazie a uno sforzo enorme da parte dell’amministrazione. La rete distributiva copriva in questo periodo un terzo del regno di Jugoslavia. 
La minaccia principale per lo zuccherificio consisteva però nel cartello: lo zuccherificio disponeva di macchinari vecchi e non poteva produrre le quantità necessarie per concorrere (insieme con l’altro zuccherificio statale) all’Unione degli zuccherifici jugoslavi, che riuniva tutte le altre fabbriche private. Dopo la concessione del ministro del 28 settembre 1924, gli zuccherifici statali entrarono nel cartello, e ciò permise un ribasso delle spese di produzione e l’impedimento dell’accumulazione del prodotto finale non venduto. Il mercato dello zucchero fu monopolizzato e così rimase fino all’1 gennaio 1932, quando le fabbriche statali uscirono dal cartello.

Si è già menzionato che la fabbrica soffriva della mancanza di macchinari nuovi e, osservando il primo quarto di secolo, facilmente ne si comprendono le ragioni. Gli azionari importarono dall’Occidente macchine già obsolete: per loro, investire molto in un’operazione evidentemente speculativa non era logico; oltre a ciò, le distruzioni e la crisi impedirono un’effettiva modernizzazione. Tuttavia, in seguito, una situazione relativamente stabile nella seconda metà degli anni ’20 rese possibile un rinnovamento. Il Consiglio amministrativo prese contatti con esperti provenienti da fabbriche conosciute a livello europeo, come Skoda e Kolben, in Cecoslovacchia e Machinenfabrik Lang, a Budapest, i quali elaborarono piani di modernizzazione e rinnovamento del processo tecnologico per tre anni. La ricostruzione ha avuto luogo fra 1930 e 1932 e sono note le macchine che furono installate:

  • Turbogeneratore;

  • Caldaia a vapore;

  • Presse per fare cubi di zucchero;

  • Macchine per l’estrazione automatica dello zucchero dalle centrifughe;

  • Pompe centrifugali;

  • Elettromotori;

  • Tubi a vapore ad alta pressione;

  • Frigorifero per il vapore ecc.

Nel testo di Nikola Vuco possiamo trovare scarse testimonianze della composizione operaia. Il funzionamento della fabbrica era diviso in due stagioni: la “campagna”, ovvero la produzione durante l’inverno, ed un’altra stagione, che comprendeva la primavera e l’estate, in cui si procedeva con lavori di manutenzione e preparazione in vista della prossima stagione di alta produzione. Durante la “campagna” negli stabilimenti lavoravano circa un migliaio di operai, mentre durante l’estate erano presenti 24 funzionari permanenti, 8 funzionari temporanei, 30 operai permanenti e 110 tra operai qualificati e non qualificati.

Inoltre, Nikola Vuco afferma che, dopo la ricostruzione nel 1932, lo zuccherificio diventò il primo per capacità produttive (N. Vuco, 1974:47), mentre Dragan Petrovic aggiunge che lo zucchero prodotto a Cukarica copriva il 18% del mercato jugoslavo (D. Petrovic, 2006:124). Riferimenti all’azienda come “fabbrica più moderna” o “produttore più grande” (considerando il periodo successivo al 1932) devono essere letti con le dovute cautele e comparati ai dati economici provenienti dagli altrizuccherifici.

Vi sono forti dubbi su come lo zuccherificio statale potesse dominare sugli altri privati, i quali formavano un fronte, unificavano le risorse e disponevano di un ingente capitale. Ciò è giustificato dalle fonti: i documenti confermano che c’è stato un ribasso dei profitti nel 1933 e, dopo l’uscita dal cartello, la fabbrica fu obbligata a ribassare il prezzo dello zucchero per competere con esso. Non si deve dimenticare che siamo nel periodo della Grande depressione che, dalla prima metà degli anni ’30, condizionò anche lo zuccherificio.

La fabbrica, dopo la fine della crisi nel 1936, cominciò con una piccola ricostruzione per risolvere i problemi di sovraccarico di alcune macchine, principalmente i turbogeneratori, di cui ne venne installato uno nuovo nel 1937, appartenente al marchioBrown-Bovery.

Questo periodo di breve recupero termina già nel 1939, con l’inizio della Seconda guerra e una più generale crisi europea. Questa situazione colpisce tutti gli zuccherifici, insieme ai prezzi, altissimi, delle piante industriali. Nel mercato locale, ma anche in quello europeo, si sente la carenza di zucchero, perché i venditori accumulavano leriserve.

Il Grande sciopero del 1906. Il contesto sindacale epolitico

Uno degli eventi che marcarono la singolarità di questo complesso industriale fu il Grande sciopero del 1906. La grandezza di questo sciopero e le modalità con cui terminò ci aiutano a comprendere con chiarezza eventi storici riguardanti Belgrado e la Serbia in generale.

Uno dei primi studi dettagliati e scientificamente condotti, collegati a quest’evento, ma soprattutto liberi dalle influenze ideologiche che caratterizzarono le opere riguardanti il movimento operaio, ci svela i dettagli della vicenda, come i partecipanti (V.St. Marjan,1987):

    • Sig. Goldsmith, uno dei proprietari e rappresentante della Società azionaria di Ratisbona;

    • Consiglio generale degli operai (CGO);

    • Partito social-democratico serbo (PSDS) e il suo giornale “Radnicke novine”;

    • Sindacato rivierasco-monopolista-giornaliero (SRMG) e il suo giornale “Proleter”;

    • L’Assemblea nazionale e il primo ministro Nikola Pasic.

Quando Goldsmith riprese la gestione della fabbrica (chiusa per 5 anni dopo le perdite della produzione), stipulò una serie di contratti che avrebbero dovuto regolare le modalità di cooperazione fra la proprietà e gli operai. I contratti prevedevanoche:

    • Solamente i membri dei sindacati fossero impiegati;

    • Non si potessero licenziare i dipendenti senza una notifica ufficiale;

    • Il CGO è riconosciuto come rappresentante collettivo degli operai nello zuccherificio.

I primi problemi sorsero quando Goldsmith iniziò a sfruttare alcune mancanze nei contratti, poiché i documenti non definivano precisamente i salari minimi e gli orari di lavoro. Goldsmith pagava in maniera diseguale i suoi operai e riuscì a provocare un disaccordo fra tre sindacati dello zuccherificio e il CGO che, contro gli interessi dei sindacati, includeva degli operai non-membri.

Nel periodo fra l’ottobre 1906 e il febbraio 1907, il movimento operaio diventò estremamente radicale e lo scontro tra PSDS e SRMG prese forma negli articoli dei giornali. Non è necessario riportare ogni articolo pubblicato, basti dire che “Proleter” criticava i contratti e l’atteggiamento del proprietario e che “Radnicke novine” difendeva fortemente questi contratti e il CGO. Rapidamente, lo scambio di critiche si è trasformato in una battaglia puramente verbale per il migliore rappresentante degli interessi operai, non trattando dello sciopero (V.St. Marjan, 1987:177). Nel gennaio 1907 “Proleter” cessò di essere pubblicato, lasciando l’ultima parola al “Radnicke novine”. Da questo confronto si può dedurre che:

  • L’atteggiamento di CGO, PSDS e “Radnicke novine” dimostra chiaramente la volontà di consolidamento da parte del movimento operaio, anche se quest’ultimo si poneva contro gli interessi degli operai (la contrarietà di SRMG di fronte all’organizzazione centrale CGO non poteva essere tollerata);

  • Un certo separatismo fra SRMG e CGO e la mancanza d’unità fra gli operai sono abbastanza evidenti.

Per comprendere appieno la questione è necessario sottolineare il peso delle condizioni socio-politiche, che hanno influenzato l’inizio dello sciopero, scoppiato durante la celebre Guerra delle Dogane, un blocco imposto dall’Impero Austro-Ungarico. Durante il suo cammino verso l’industrializzazione, il regno serbo fu costretto a rivolgersi al suo potente vicino, il quale era l’unico paese sviluppato nelle vicinanze. L’Impero riforniva il paese di macchinari e prodotti finali, ma questi ultimi dovevano essere esentati dalle tasse d’importazione, avendo così un posto privilegiato nel mercato serbo. Quando la Serbia iniziò a cercare degli altri soci, l’Impero bloccò le esportazioni, provocando una grave crisi a Belgrado, poiché molti posti di lavoro dipendevano esattamente da esse. Inoltre, non si può dimenticare che la capitale serba era una città frontaliera, nonché centro di scambio economico serbo conl’Impero.

Alle conseguenze della guerra si aggiungono i problemi cronici degli operai, come i bassi stipendi, le condizioni di vita miserabili e gli orari di lavoro eccessivi. Non deve stupire che l’anno 1906 vide 26 scioperi solo a Belgrado (S. Kesic,1976).

In questa disperata situazione, il governo decise di preservare a tutti i costi le industrie che non erano collegate all’Impero, e quindi gli scioperi furono considerati una minaccia per lo Stato. Da qui ha origine l’ordinamento pubblicato il 27 agosto 1906 dal Ministro dell’Interno Stojan Protic che prevedeva misure contro l’organizzazione degli operai. Approfittando di questa situazione e sapendo perfettamente che il governo non avrebbe protetto gli operai disobbedienti, Goldsmith annullò i contratti il 15 gennaio 1907, perché aveva i magazzini pieni di zucchero e poteva trovare senza problemi dei nuovioperai.

La reazione del PSDS, in qualità di rappresentante ufficiale degli interessi operai nell’Assemblea, seguì con notevole ritardo. Solo il 13 febbraio 1907, quattro mesi dopo l’inizio dei confronti, lo sciopero fu proclamato ufficialmente nel giornale “Radnickenovine”.

Lo zuccherificio durante losciopero

Dopo un appuntamento fallito, il 26 febbraio 1907, gli operai inasprirono lo sciopero, a cui presero parte 500 operai dello zuccherificio seguiti da altri, provenienti da una fabbrica vicina. In totale vi erano un migliaio di scioperanti, muniti di bastoni, coltelli e rivoltelle e non è un caso che, nel pomeriggio dello stesso giorno, arrivasse una divisione della gendarmeria per sorvegliare la situazione.

Il mantenimento dei posti di lavoro colpiti prima dello sciopero era importante per i sindacati, che non osavano chiedere di più a causa della grave stagnazione economica. Era chiaro che questi non avrebbero effettuato una forte opposizione di fronte ai proprietari e al governo, e il governo seguiva la situazione con attenzione particolare, anche se le sessioni dell’Assemblea dimostravano il contrario. Il deputato del PSDS, Dragisa Lapcevic, denunciava quotidianamente l’atteggiamento della gendarmeria e l’opposizione l’appoggiava, ma la coalizione al governo non dava peso a ciò, perché aveva già deciso di dare una risposta repressiva, nel caso l’occasione lorichiedesse.

Parallelamente, lo sciopero continuava con le pattuglie di operai che circondavano la fabbrica e impedivano l’entrata del personale e dei materiali. Escludendo alcune agitazioni, la situazione era abbastanza tranquilla, fino a che il 4 marzo arrivò un treno da Krusevac, al cui interno viaggiavano dei crumiri. Una divisione della gendarmeria assicurò il passaggio dei crumiri dalla stazione ferroviaria di Cukarica alla fabbrica. Gli scioperanti tentarono di comunicare con questi ultimi, spiegando che il loro lavoro aggravava la situazione, tuttavia questi rifiutarono di collaborare.

Il giorno seguente, il 5 marzo, gli scioperanti attaccarono il cordone di crumiri accompagnato dai gendarmi. L’8 marzo Goldsmith si rivolse al vicepresidente dell’Assemblea chiedendo aiuto e il governo rispose con l’invio di 60 gendarmi che, il 12 marzo, avrebbero accompagnato i crumiri fino al cancello del complesso, non riuscendo tuttavia ad entrare di nuovo.

Quel giorno fu organizzato un incontro fra tutti i partecipanti, a cui prese parte anche il sindaco di Belgrado, tentando di calmare la situazione. Gli operai chiesero il prolungamento dell’ultimo contratto e di poter tornare al lavoro: cosa che Goldsmith rifiutava categoricamente, dicendo che da Ratisbona aveva ricevuto istruzioni di non accettare nessun operaio, e aggiungendo poi che avrebbe potuto ammettere solo 150 operai, mentre gli altri potevano considerarsi licenziati. Al termine della riunione, il sindaco minacciò l’uso della forza se lo sciopero non fosse terminato. Nel Consiglio dei Ministri, il primo ministro Nikola Pasic decise lo stesso insieme agli altri ministri, pensando di inviare l’esercito – azione che infine non risultò necessaria.

Tuttavia, la notizia del possibile invio dei soldati si diffuse ed il CGO reagì rapidamente: Dimitrije Tucovic e Dragisa Lapcevic dal PSDS fecero visita agli operai e Tucovic, per porre fine allo sciopero, chiese agli operai che tornassero a casa. Costoro rifiutarono e continuarono la lotta; ciononostante, la massa di scioperanti iniziò a disperdersi, coinvolgendo infine solo 300 operai. Il CGO e il PSDS decisero di abbandonare gli operai, come si può leggere nel “Radnicke novine” (Vlada St. Marjan, 1987:194):

“…qui finiscono l’influenza e la responsabilità dell’organizzazione operaia e dei suoi rappresentanti… il Consiglio generale degli operai e i rappresentanti delle sue organizzazioni hanno speso tutte le loro forze facendo il loro dovere socialista fino all’ultima ora…”

Il 14 febbraio ebbe fine il tragico sciopero. Un gruppo di gendarmi (cavalieri e fanti), 207 crumiri e dei guardiani notturni si avvicinarono al complesso. A 400 passi dall’entrata principaletrovaronogliscioperantiesiscontraronoconloro:quattrooperaiperserolavita.

La creazione della classe operaia e le sue debolezze

Le informazioni sulla manodopera serba nella prima metà del ‘900 sono pochissime e spesso si devono estrapolare da diversi dati e fonti. Mancano ancora studi approfonditi sulla posizione esatta degli operai belgradesi fra i due secoli, che finora sono stati studiati nel contesto della formazione dei primi partiti politici (come il Partito social-democratico, e più tardi, il Partitocomunista).

Il problema principale che spesso si incontra nello studio sociologico è il postulato secondo cui la Serbia, all’inizio del XX secolo, avesse un proletariato moderno e la classe operaia fosse una massa omogenea, cosciente della sua importanza e con una chiara missione storica. Si dimentica, però, che la transizione che ebbe luogo nell’‘800 (ma possiamo liberamente comprendere anche i primi decenni del ‘900), dal feudalesimo verso il capitalismo, e tutti i conflitti che da essa risultarono nel contesto serbo, resero impossibile questo “taglio netto” e la creazione di una classe ex nihilo. La composizione della classe operaia viene definita cosi (M. Blagojevic, 1989):

  • Operai qualificati dall’estero;

  • Operai qualificati locali;

  • Ex-artigiani indipendenti;

  • Operai non-qualificati;

  • Artigiani.

Si notava anche la differenza fra gli operai che lavoravano nelle fabbriche statali e quelle private, perché i primi guadagnavano di più e tentavano di organizzarsi e distinguersi dagli altri. Questa problematica non fu affrontata a dovere perché “rovinerebbe il mito della ‘purezza sociale’ e unità del movimento operaio in Serbia, che la storiografia serba coltiva scrupolosamente” (M. Blagojevic,1989:72).

La maggior parte degli operai, in virtù delle proprie origini, non partecipò alle organizzazioni sindacali. Questi proletari a metà erano contadini che, durante la stagione di riposo invernale dall’agricoltura, si trasferirono in città per incrementare i loro miseri redditi. Ciò dimostra come costoro non fossero pronti a lasciare i villaggi e considerassero i loro piccoli appezzamenti di terra delle certezze nei tempi difficili, luoghi dove sarebbero sempre potuti tornare. Quando la terra non forniva di che nutrirsi, questi si dirigevano verso la città, con il ruolo di crumiri, impedendo così agli operai regolari di far valere i propri diritti. Disposti a lavorare per salari più bassi rispetto agli operai regolari, aggravano solamente la situazione e vennero rapidamentelicenziati.

Una citazione di Milutin R. Zivkovic (Socijalist, 4:1908), ripresa da Mira Blagojevic, ci offre un riassunto perfetto:

Che il nostro elemento operaio non è un fattore così forte, né quantitativamente, né qualitativamente, e che in lui si rifletta in toto la nostra Serbia piccolo-borghese incolta e non educata, non dobbiamo né dubitare né dimostrare. Tranne Belgrado, dove davvero esiste una massa enorme di operai, possiamo dire che esistono anche a Kragujevac, Leskovac, Nis e Sabac. Non possiamo dire, per un altro posto, che c’è una classe operaia pura, che noi riteniamo idonea per ricevere delle idee socialiste, idonea secondo la sua posizione sociale. In tutti gli altri luoghi, a eccezione di qualche individuo, esiste solo una massa metà-operaia, metà-paesana, collegata con l’ombelico a un pezzo di terra o un mobile, di cui l’ideologia non si distingue da un’ideologia paesana”.

Il livello culturale degli operai

Per comprendere appieno perché il movimento operaio sopportasse continui lutti per ottenere i suoi diritti, si deve andare oltre l’analisi dei suoi componenti ed osservare anche altri elementi socio-economici. Il più importante è sicuramente l’educazione, quale strumento d’elevazione nella scala sociale. Il censimento del 1900 svela che il 76,97% della popolazione era analfabeta, ossia l’84,97% della popolazione paesana e il 45% della popolazione cittadina, il 66,16% degli uomini, fino al 92,64% delle donne (S. Dimitrijevic, 1947). Leggendo questi dati è legittimo chiedersi come un operaio, carente di un’istruzione elementare, potesse leggere un pamphlet di un partito, cogliere il significato della sua partecipazione e comprendere il proprio ruolo sociale.

Oltre a ciò, va analizzato l’ordinamento sociale, come ad esempio il ruolo rivestito dalle donne nell’industria dell’epoca, la quale era caratterizzata da un contesto patriarcale. La tradizione vedeva la donna come “cittadino di seconda classe”, senza molti diritti, relegata in casa ad occuparsi dellaprole.

Questa situazione comincia a cambiare solo dopo il 1908, durante la Crisi d’Annessione della Bosnia, quando si nota un aumento delle donne nelle fabbriche. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, la percentuale delle donne operaie raggiungerà la soglia del 20%, per arrivare fino all’incredibile 30% nel 1941. Sarebbe sbagliato pensare che questo incremento potesse essere attribuito esclusivamente all’introduzione di idee liberali; le ragioni sono più banali e pratiche. Durante la Prima guerra mondiale la Serbia perde la metà della popolazione maschile fra i 18 e i 55 anni, perdita che colpisce fortemente l’industria. Quindi, se la presenza femminile crebbe, questo derivò da una carenza di manodopera più che da una profonda trasformazione dellasocietà.

Queste affermazioni sono suffragate da dati statistici. Qui sono comparati il censimento del 1941 con i dati disponibili per lo zuccherificio del1934.

Il censimento interno dello zuccherificio del 1934

Qualificazione/Sesso

Uomini

Personale amministrativo

74%

Personale tecnico

100%

Operai qualificati

99%

Operai non qualificati

88%

Tabella 1. Composizione della manodopera nello zuccherificio. Fonte: Arhiv Jugoslavije, F 482, J 1200, 643-651, XIV/239-(XIV/1).

Il censimento della popolazione operaia belgradese del 1941

Qualificazione/Sesso

Uomini

Personale amministrativo

73%

Personale tecnico

99%

Operai qualificati

86%

Operai non qualificati

53%

Tabella 2. Composizione della manodopera belgradese Fonte: Dragan Petrovic, Istorija industrije Beograda I: Razvoj i razmestaj industrije Beograda u XIX i XX veku (Beograd : Srpsko geografsko drustvo, 2006), 257.

Nonostante il confronto avvenga tra due gruppi di grandezze diverse e un tipo d’industria (alimentare) rispetto a tutte le altre, certe tendenze sono evidenti. Solo due categorie sono accessibili alle donne: la categoria degli operai non qualificati e di personale amministrativo, quindi dei posti caratterizzati da responsabilità minime (nel caso dello zuccherificio, la bassa percentuale si deve alla natura delle condizioni di lavoro). Le donne sono più numerose nell’industria tessile e agroalimentare, produzioni che corrispondono alle responsabilità tradizionali nella società patriarcale serba (D. Petrovic, 2006). Quindi, queste industrie erano considerate come “socialmente accettabili” per una donna di quel tempo. Le percentuali piuttosto alte non devono ingannare i lettori, dal momento che le donne presenti in questo settore furono poche fortunate che, dopo aver finito con la formazione, trovavano un posto come segretarie e, spesso, non erano direttamente collegate all’organizzazione della produzione.

Alcune fonti indicano che i leader del Partito social-democratico si lamentavano spesso del fatto che gli operai non venissero alle riunioni perché preferivano bere o giocare a dadi (M. Blagojevic, 1989:100). La posizione socio-economica di questa classe spiega facilmente questo vizio: possiamo infatti affermare che l’ubriachezza fu l’elemento comune che si poteva trovare in qualsiasi società europea o mondiale industrializzata, o in corso d’industrializzazione.

Le debolezze dei sindacati

Il giornale operaio “Radnicke novine” lascia una buona descrizione delle caratteristiche dell’organizzazione (Radnicke novine, 4):

I nostri sindacati sembrano oggi delle stazioni ferroviarie, attraverso le quali passano in tanti, ma sono pochi quelli che si fermano”.

Numerosi teorici si sono impegnati per trovare le ragioni delle cambiamenti che erano diventate un fenomeno normale tra i sindacati serbi. La prima si trova nella mancanza di coscienza sociale, già elaborata nei paragrafi precedenti; la seconda fu la migrazione stagionale fra i villaggi e le città, ma tuttavia mancano ancora dati statistici utili ad avvallare questa ipotesi. Un operaio, infatti, non aveva interesse a pagare contributi ai sindacati perché, secondo la sua visione, il sindacato era utile solo una o due volte l’anno, quando si organizzavano gli scioperi. L’interesse personale giocava un ruolo importante – se non soddisfatto subito, un operaio usciva dal sindacato tanto rapidamente quanto era entrato: l’unità tra gli operai era ancora da realizzare.

La terza, e forse più importante ragione può essere trovata nella presenza delle associazioni artigianali che, nel periodo seguente alla Prima guerra mondiale, ritardarono il rafforzamento dei sindacati. Questa situazione non deve stupire, considerando che buona parte della manodopera proveniva esattamente dal mondo artigianale. I giovani artigiani, che spesso abbandonavano il loro lavoro per trovarne uno in campo industriale, venivano da ambienti a vocazione agricola: erano inviati dall’artigiano principale quando avevano 6 o 7 anni per imparare il mestiere ed erano trattati come servi (C. Kostic, 1955); il loro unico obiettivo era essere indipendenti e aprire uno studio. Concretamente, la competizione tra loro era tale che non furono in grado di svilupparsi sentimenti d’appartenenza a una organizzazione come il sindacato.

I sindacati si comportavano come le associazioni artigianali, poiché raggruppavano e proteggevano interessi particolari: essi si concentravano solo sulla tutela di una professione ed erano incapaci di collaborare. Accadeva, ad esempio, che degli operai che si trasferivano da una città all’altra, non potessero trovare lavoro perché i sindacati locali lo impedivano. Ciò è stato rilevato anche tra i giovani artigiani, fuggiti dai propri maestri e forzati a fare ritorno al loro precedente posto di lavoro.

Dimitrije Tucovic, principale ideatore del movimento operaio e partecipante al Grande sciopero del 1906, spiega le azioni dei sindacati per il movimento (M. Blagojevic,1989:134):

Possiamo risolutamente dire: niente, e ancora peggio, non pensano a niente. Hanno limitato le loro attività e l’agitazione agli interessi dei loro studi o alle loro professioni. Niente di più esiste per loro in questo mondo. Per usare un’espressione banale, non vedono più lontano del proprio naso”.

La posizione degli operai nello zuccherificioreale

Per quanto riguarda lo zuccherificio, le condizioni rimangono sconosciute durante “il periodo tedesco”, ma le varie fonti parlano chiaro relativamente al periodo successivo. Si indicano delle misure di disciplina severa, sistemazioni e igiene miserabili, orari eccessivi e stipendi minimi.

La documentazione ufficiale della fabbrica conferma la parte riguardante la disciplina.A partire dal 1927, e soprattutto dal 1934, i poteri del direttore aumentarono ed egli ebbe la facoltà di punire, licenziare o togliere una parte dello stipendio agli operai senza chiedere permesso a nessuno (Zapisnik sednice upravnog odbora za 1931, knjiga15).

La sistemazione si limitava ai due edifici che si trovano ancora sull’appezzamento della fabbrica, costruiti nel 1900 e mai ingranditi. Nel primo edificio si trovavano 12 appartamenti per i funzionari, nell’altro 15 appartamenti per gli operai permanenti, ed ogni unità era composta da due camere e un piccolo corridoio. Il bagno era comune e si trovava all’estremità di ogni piano. Durante la “campagna”, ossia, il tempo di produzione, gli operai temporanei (in totale 780) dovevano soggiornare all’interno di questo edificio, più precisamente in 11 stanze dalle condizioni deplorevoli. Dato che gli operai venivano da villaggi vicini e gli orari di lavoro erano eccessivi, questi non avevano nemmeno il tempo di tornare a casa la sera. Si lavorava tutti i giorni e le ore straordinarie, che ammontavano a 128 per ogni operaio, non erano retribuite. Al termine di ogni campagna ogni operaio otteneva 5 kg di zucchero per l’onesto lavoro (V.St. Marjan,1987).

Alcuni autori, tra i quali specialmente Nikola Vuco, menzionano un intervento dell’Ispettore del lavoro, il quale denunciò queste condizioni. Gli ispettori ordinarono che fosse distribuito l’equipaggiamento da lavoro e che fossero installati dei ventilatori per assicurare il cambio d’aria viziata che si accumulava durante la produzione nelle sale. Oltre a ciò, l’area principale dello zuccherificio disponeva di un solo piccolo bagno, aspetto gravissimo, tenendo conto della quantità di operai presenti nella fabbrica.

Conclusioni

La fine del Grande sciopero del 1906 s’impone come punto principale per lo studio del movimento operaio belgradese e serbo. La sua importanza fu anche ideologica, in quanto i partiti che non furono direttamente collegati a questo evento lo utilizzarono nella loro politica come riferimento per presentarsi quali eredi del PSDS, primo rappresentante politico degli operai.

La mancanza di successo si può percepire come una semplice convergenza di molte influenze negative. Vi erano molte particolarità inerenti alla classe operaia che la condannarono sin dall’inizio. Partendo dall’affermazione che l’educazione consentiva l’ascesa sociale, si deve tener conto che un operaio non aveva questa possibilità. I dati statistici lo confermano: gli operai qualificati erano solo una piccola parte della manodopera. Oltretutto si deve considerare il fatto che la transizione verso l’ordine capitalista non riuscì a rompere il forte legame con la tradizione patriarcale e feudale, il quale andava certamente scomparendo, ma non così rapidamente come vorremmo pensare. Tale situazione non stupisce, se si considera l’atteggiamento dei sindacati, i quali, come le associazioni artigianali, si concentravano solo su una professione ed erano discriminatori verso le altre.

La classe operaia si mostra come una classe eterogenea, composta da diverse figure; elemento di forte disaccordo furono gli operai d’origine contadina, che parteciparono alle migrazioni stagionali, spesso lavorando comecrumiri.

La posizione delicata dello Stato serbo nel primo decennio del ‘900 e le sue relazioni economiche con il principale partner commerciale, gravemente peggiorate, diedero alla produzione locale un ruolo di primaria importanza. Collegando il successo dell’industria al benessere nazionale, era chiaro che gli scioperi ed il movimento operaio erano visti come una minaccia. Ciò spiega il violento uso della forza che pose fine al tragico Grandesciopero.

Bibliografia

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Biografia

Nato il 14 ottobre 1986 a Nis, Serbia, Aleksandar Vuckovic finisce gli studi di triennale in architettura all’Università di Nis e inizia lo stesso anno gli studi di master, direzione “Progettazione di edifici pubblici”. Nel 2013 si laurea nel master Erasmus Mundus TPTI (Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, Universidade de Evora, Università degli Studi di Padova), unico master europeo in preservazione e valorizzazione del patrimonio industriale. Attualmente sta svolgendo gli studi di dottorato in Conservazione dei Beni Architettonici presso il Politecnico di Milano.

Biography

Born in Serbia on October 14th 1986 in Nis, Serbia, Aleksandar Vuckovic finished his bachelor studies at University of Nis and started the same years the Master in “Design of public buildings”. In 2013 he graduated from Master Erasmus Mundus TPTI (Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, Universidade de Evora, Università degli Studi di Padova), the only European master dedicated to the conservation and enhancement of the industrial heritage. He does his PhD in Conservation of Architectural Heritage at Politecnico di Milano.