di Andrea Ragusa
All’insegna dello slogan “La cultura si mangia!…ed ha anche un buon sapore”, Valdo Spini ha aperto, in veste di Presidente, i lavori della IIa Conferenza dell’Associazione degli Istituti e delle Fondazioni Culturali Italiane, svoltasi quest’anno, dall’8 al 10 ottobre, nella suggestiva cornice di Conversano, in Terra di Bari, dopo la prima esperienza torinese del 2014 ed in previsione di approdare – il prossimo anno – a Firenze. Fatto significativo, questo, come non ha mancato di sottolineare lo stesso Spini e come hanno ribadito tutti gli intervenuti – a partire dallo stesso Sindaco di Conversano, Giuseppe Lovascio, e da quello della Città Metropolitana di Bari, Antonio Decaro, oltre ai rappresentanti della Regione Puglia – proprio in quanto ha voluto testimoniare la vocazione nazionale della politica culturale che l’AICI sta meritoriamente attuando da anni, e l’estensione e la consistenza ormai raggiunta dal numero e dal livello degli istituti culturali che vi aderiscono, partecipando o promuovendo le iniziative. La scelta di un centro che, pur nelle piccole dimensioni territoriali, emerge per dinamismo e vivacità, anche grazie alla costante opera di valorizzazione della tradizione democratica ed antifascista cui si dedica la Fondazione “Giuseppe Di Vagno”, che sotto la presidenza di Gianvito Mastroleo ha organizzato e sostenuto con impegno e passione i tre giorni di lavori; e la bellezza delle strutture architettoniche e monumentali che vi lasciano testimonianza del glorioso passato, hanno confermato in questo senso le grandi possibilità di sviluppo che al Sud sono offerte sul terreno dell’investimento turistico e turistico-culturale, e di cui la Puglia appare del resto tra le regioni che meglio hanno saputo interpretare possibilità e ricadute.
Il tema del rapporto Nord-(Centro)-Sud è stato del resto al centro della lezione del Presidente Emerito della Corte Costituzionale Franco Gallo intorno al tema del federalismo fiscale, che a partire dalla riconsiderazione dell’insegnamento di Massimo Severo Giannini ha disegnato lo scenario, non privo di elementi di criticità, delle riforme che stanno profondamente trasformando l’assetto istituzionale del nostro Stato, e più in generale al centro dei tanti interventi che si sono succeduti nella tavola rotonda conclusiva, quando proprio intorno al problema del rapporto Nord-Sud la conferenza ha chiuso il percorso aperto dalle riflessioni della prima giornata, nelle quali il tema è stato declinato intorno al nodo del rapporto tra Europa e Mediterraneo.
Europa, Sud, Mediterraneo, come ha ricordato lo stesso Spini, sono state infatti le tre parole al centro degli incontri e dei dibattiti che per tre giorni hanno animato le diverse sedi culturali della cittadina pugliese, opportunamente recuperando molte delle questioni di un dibattito risalente ma che – dopo l’impegno dei decenni passati – sembra oggi appannarsi nella confusione e nella fretta del “presentismo” costante da cui la società e la nostra epoca appaiono caratterizzate. Si prenda, ad esempio, il problema del ruolo dell’Italia nell’area euro-mediterranea, sviluppato nella bella sessione presieduta da Giuseppe Vacca, cui hanno partecipato Nicola Antonetti, Presidente dell’Istituto “Luigi Sturzo”, Simone Bozzato, Segretario Generale della Società Geografica Italiana, ed Ennio Triggiani, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari. In un momento nel quale la centralità del Mediterraneo torna prepotente negli equilibri geo-politici europei e mondiali, e vi torna con le sembianze drammatiche dell’esodo di intere popolazioni dall’Oriente e dal Sud del mondo, il rapporto con l’Europa acquisisce rilievo sotto due punti di vista: da un lato per il rischio di riprodurre – come ha sottolineato Vacca – una “questione meridionale” su scala europea nello squilibrio e nel divario che segna i livelli di sviluppo e di avanzamento sociale ed economico dei paesi del Sud Europa rispetto a quelli del Nord; dall’altro proprio perché l’Europa si offre come un ponte ed un laboratorio di implementazione, sedimentazione e sviluppo, per le relazioni molteplici che si sviluppano tra etnie, e radici linguistiche e culturali diverse. Per questo da tutti gli interlocutori è stata invocata l’urgenza di una “politica culturale” per l’Europa che avvicini e strutturi rapporti tra Stati nel senso della costruzione identitaria, in grado di superare lo stato di “molecolarizzazione” in cui la società è precipitata. L’Italia, da questo punto di vista, può certamente offrirsi come laboratorio privilegiato di scambio e di costruzione politica e culturale: tanto per la sua posizione, quanto per la sua tradizione culturale sedimentata nell’immenso patrimonio che conserva.
Il Sud, altro terreno su cui si è collocato a lungo il dibattito di Conversano, si trova d’altra parte nella condizione complessa di un territorio che gli ultimi dati dello Svimez segnalano come a rischio di “desertificazione culturale”, per effetto dello spopolamento e del massiccio fenomeno di ritorno dell’emigrazione soprattutto giovanile; ma allo stesso tempo dotato di potenzialità davvero notevoli proprio in ragione del fatto che una parte importante e consistente di quel patrimonio storico, monumentale, artistico, e paesaggistico, appartenga alle regioni del nostro meridione, e che quindi l’investimento in cultura, ed in turismo culturale soprattutto – come proprio il caso della Puglia, assurto quasi ad una sorta di “modello”, dimostra – può rappresentare uno dei settori di sviluppo anche percentualmente più incisivi nella costruzione del prodotto lordo regionale. Lo ha sottolineato il Capo di Gabinetto del Ministero dei Beni Culturali GianPaolo D’Andrea come il VicePresidente di Confindustria Alessandro Laterza, responsabile per le politiche regionali e del Mezzogiorno, che ha molto insistito, nella sessione di apertura, su di un tema che è emerso come centrale nella visione che è venuta maturando nel corso del dibattito: ovvero l’idea che sia impossibile pensare ad uno sviluppo della cultura che si inquadri in una politica di sviluppo economico divenendone settore decisivo, senza delineare un rapporto organico e proficuo tra settore pubblico e settore privato, tra Stato, Regioni ed enti locali, da un lato, attori della conservazione e della promozione del patrimonio a livello istituzionale, e soggetti privati che abbiano interesse, e soprattutto capiscano il rilievo dell’investire nel settore culturale. In questo senso, tra le proposte concrete emerse, merita di essere certamente segnalata non solo l’esperienza importante dei finanziamenti a sostegno di progetti culturali svolta ormai da tempo dalla Fondazione Banca Monte di Lucca, presentata dal Presidente Alberto Del Carlo; ma anche la sottolineatura – venuta dalla Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati Flavia Nardelli – del rilievo di una misura molto accentuata di defiscalizzazione, nella misura del 65%, delle erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico come quella dell’Art Bonus.
Quale ruolo possono rivestire, in questo quadro, gli istituti e le Fondazioni culturali? Il quadro emerso dalla Conferenza AICI è stato su questo punto particolarmente positivo e confortante: sia per il numero ed il rilievo degli istituti partecipanti, sia per la capacità degli stessi di accostarsi – autonomamente o sotto il coordinamento della stessa associazione – a percorsi di ricerca, e soprattutto di finanziamento, nuovi ma già divenuti centrali nel dibattito culturale ed anche politico del nostro paese e dell’Europa. Basti in questo senso segnalare la centralità del progetto Staying behind the trenches, presentato da 17 istituti aderenti all’AICI, di cui Andrea Ciampani, Romano Ugolini e Marco Zaganella hanno evidenziato gli elementi di merito salienti: un progetto lanciato sulle calls del programma europeo “Horizon 2020” proprio nell’anno in cui si sono avviate le celebrazioni del centenario della Prima Guerra Mondiale, e che – attraverso gli otto workprograms nei quali è suddiviso – intenderebbe proporre una ricostruzione capace di abbinare al rigore scientifico la freschezza divulgativa esaminando tutti i singoli aspetti rilevanti di questo drammatico fenomeno di trasformazione sociale: da quelli economico-politici, a quelli militari, fino agli aspetti più legati a settori d’interesse nuovi per la storiografia come il problema dell’elaborazione della memoria e dell’immaginario collettivo, anche attraverso la considerazione ed il censimento di fonti che soltanto di recente sono venute affermandosi nella ricerca anche accademica, ma che offrono grandi possibilità di comprensione ed interpretazione nuova: tra queste la fotografia ed il cinema innanzitutto. O basti pensare al vasto fenomeno di digitalizzazione delle fonti biblioteconomiche o archivistiche su cui molti degli istituti presenti a Conversano sono impegnati e che hanno già prodotto – come è apparso evidente dalla presentazione che il Direttore del Museo Galileo per la Storia della Scienza di Firenze Paolo Galluzzi ha fatto del progetto di digitalizzazione dell’archivio e della biblioteca del grande scienziato toscano – risultati di straordinario rilievo.
La cultura italiana, insomma, è apparsa davvero immersa nei profondi cambiamenti che stanno attraversando il presente, e che ne segnano in misura profonda le traiettorie di riflessione e di sedimentazione relazionale, umana, sociale. In una società liquida, ha detto Spini, gli istituti coordinati dall’AICI vogliono essere il punto di riferimento solido; e mentre è ancora in corso Expo a Milano, l’affermazione “la cultura si mangia!…ed ha anche un buon sapore” ha assunto il tono e l’importanza di un messaggio estremamente positivo e di sprone ad un lavoro ancor più incisivo e costante. Cogliere le opportunità che il presente sta offrendo, nel collegamento con i nuovi percorsi di formazione delle strutture relazionali, individuali e di gruppo, e persino mentali, delle nuove generazioni, è compito cui gli istituti di cultura italiani non possono sottrarsi.