Jennie Street, Amanuel Ghebreselassia Red Sea Railway The History of the railways in Eritrea, 1867-2009 Sheffield, Silver Service Consultancy, 2010

David Walthall

Scaffale WalthallIl libro Red Sea Railways unisce un attento lavoro di ricerca e documentazione a una scrittura disinvolta e scorrevole che rende avvincente la narrazione. Se la costruzione delle ferrovie in Eritrea fu impresa ardua, non tanto più semplice è stato il processo di raccolta delle testimonianze scritte, orali, e visive su una storia che dura quasi un secolo e mezzo, con tanti colpi di scena.

Il libro abbina interessanti ricordi di passeggeri, interviste con il personale, e un bel corredo fotografico che documenta nascita, declino, e risorgere di questa linea, in un angolo dell’Africa molto strategico ma poco conosciuto.

Il libro sorge dalla penna di Amanuel Ghebreselassie, nativo di Eritrea, in passato protagonista della lotta armata contro l’Etiopia per l’indipendenza, ora direttore della ferrovia, e Jennie Street, giornalista inglese, che iniziò a scrivere della ricostruzione della ferrovia nel 1995 e si appassionò sempre di più alla storia della linea e del personale che ci lavora. Questo insieme di voci locali ed esterne funziona bene, creando un libro capace di commentare obiettivamente i dati tecnici e le sorti della ferrovia ma anche capace di coinvolgere il lettore con scorci intimi di vita lungo la linea vissuta in prima persona.

Il libro si presenta in forma cronologica, partendo dai primi interventi britannici di metà ottocento, quando nel 1867-1868 fu costruita una prima ferrovia per sostenere la guerra coeva fra l’Inghilterra e Teodoro, imperatore dell’Abissinia. La linea partiva da Zula, importante scalo sulla costa, e arrivava nei pressi di Kumayli, a una distanza di circa 16 km. Da Kumayli, sarebbe poi partita la carovana di soldati, carri, e animali per coprire a piedi la lunga marcia fino a Magdala, dove si trovava Teodoro. Alcuni disegni e stampe forniscono un’immagine visiva della costruzione, mentre alcune lettere di ufficiali e ingegneri raccontano lo sviluppo della linea, un processo complicato dato il terreno variegato del tracciato e l’impiego di manodopera dell’esercito, non specializzata nella costruzione di ferrovie. Le difficoltà erano tali che la linea non era del tutto terminata quando finì la spedizione inglese e le truppe furono in gran parte evacuate. La ferrovia fu in sostanza abbandonata; piani per recuperare il materiale non furono mai avviati, e così, con il passare del tempo, la gente locale si serviva del prezioso ferro e legno per fare costruzioni private. Tuttavia, il capitolo chiude con alcune testimonianze degli anni Sessanta e Settanta del novecento, quando alcuni appassionati e storici andarono a scoprire le ultime tracce del percorso.

Dopo la stagione inglese, la storia delle ferrovie in Eritrea passa all’Italia, protagonista sul territorio dal 1887 al 1941. Questo capitolo, frutto di una collaborazione con il prof. Stefano Maggi, esperto di trasporti e storia contemporanea dell’Università di Siena, è particolarmente significativo per gli studi sul colonialismo italiano. In un linguaggio chiaro e oggettivo si narrano i fatti che portano l’Italia in Africa, senza politicizzare la questione.

Così si narra della costruzione di una nuova linea che avrebbe unito la costa all’entroterra, da Massaua all’altopiano, per meglio consolidare le prime conquiste italiane in zona e fornire un efficiente sostegno alle prossime incursioni. Il libro coglie le difficoltà notevoli affrontate nella costruzione, a partire dallo stato pietoso del molo a Massaua dove si scaricavano le navi di rifornimento del materiale. La morfologia variegata del territorio necessitò un tracciato con diversi ponti e gallerie che rallentò i tempi di realizzazione. Comunque, dopo due anni di costruzione, nel 1889 la linea fu completata fino a Saati, sito di un avamposto importante. In questi primi anni, la ferrovia aveva soltanto funzione bellica, e non portava passeggeri. A partire dal 1894, con la fondazione della colonia di Eritrea e lo spostamento della capitale ad Asmara, si cominciò a studiare un possibile prolungamento della ferrovia, per sostenere l’esercito e per sfruttare alcune miniere e zone agricole dell’entroterra. Tale progetto fu promosso dal governatore civile della colonia, Ferdinando Martini, che rimase in Eritrea dal 1897 al 1906.

La linea continuava a crescere verso ovest, arrivando nel 1927 ad Agordat, che diventò il terminus per il traffico commerciale. Da Agordat la ferrovia raggiunse Biscia nel 1932, ma quest’ultimo tratto fu superato nell’utilizzo dalla vicina rete stradale, e serviva quindi solo all’esercito. Del periodo di espansione della linea, il libro è ricco di immagini e foto, spesso confrontate con altre foto recenti delle stesse zone, dove la ferrovia era scomparsa prima del nuovo progetto di ripristino.

Nel 1935, con l’invasione italiana della vicina Etiopia, l’Eritrea assunse un ruolo ancora più strategico nella scacchiera africana. Fu probabilmente questa la stagione più importante della ferrovia, con numerosi convogli quotidiani per collegare mare ed entroterra. Il nesso fra colonialismo e ferrovia fu forte, come descrive il capitolo in conclusione. La ferrovia portò coloni europei in Africa, insieme alle loro usanze e stile di vita. Rappresentò una forma di mobilità e collegamenti frequenti mai vista prima in queste zone, cui la popolazione non rimase estranea.

La Ferrovia passò all’Inghilterra nel 1941, in seguito alla campagna britannica realizzata dal gennaio all’aprile 1941 con l’invasione dal Sudan verso l’Eritrea. Dopo un’importante vittoria a Keren il 27 marzo e la conquista di Massaua l’8 aprile, l’Eritrea passò all’Inghilterra. Per fortuna, la ferrovia non subì grossi danni durante la guerra; le difficoltà erano piuttosto di natura logistica; il personale parlava per lo più italiano, e quindi una gestione bilingue regnò negli anni successivi. Altre difficoltà derivarono dallo stato delle infrastrutture, dai binari ai ponti ai macchinari stessi; il governo fascista infatti aveva investito principalmente nelle strade, a danno della ferrovia. Così, erano frequenti i deragliamenti.

Una citazione particolarmente toccante è il racconto di Angela Ledda, una dei più di 7.000 italiani rimpatriati dall’Africa nel 1943, la quale iniziò il viaggio verso l’Italia a bordo della ferrovia, diretta a Massaua. Intervistata nel 2003, a 93 anni, poteva chiaramente descrivere le difficoltà dello spostamento di massa verso Massaua.

Il libro dedica anche ampio spazio al banditismo e alla guerriglia, che diventarono problemi seri nel dopoguerra. Vari gruppi politici prendevano di mira la ferrovia, per richiamare l’attenzione sulle loro posizioni, o per ricavarne soldi dagli attentati ai convogli che trasportavano i salari degli impiegati. Tali operazioni diventarono sempre più frequenti quando l’Eritrea passò all’Etiopia nel 1952, una sottomissione del territorio che il popolo locale in gran parte rifiutò. Nacque l’Eritrean Liberation Front, che iniziò una lotta armata di guerriglia, spesso contro la ferrovia. Il libro narra i vari sabotaggi subiti dalla linea, con particolare spazio dedicato all’attentato ad Ashedira nell’ottobre 1970, quando due locomotive furono fatte saltare da un viadotto, un attentato spettacolare che attirò l’attenzione della stampa internazionale. Significativo è il fatto che l’operazione non avrebbe potuto avere una tale riuscita senza la collaborazione fra l’Elf e alcuni operai della ferrovia, i quali erano disposti a danneggiare il proprio datore di lavoro pur di sostenere la causa. Un tema che percorre le parti del libro che trattano gli attentati è quello della reazione degli operai stessi davanti alla situazione politica. Spesso fra operai e guerriglia nascevano dibattiti accesi sull’utilità o meno delle distruzioni della linea. Da una parte, richiamavano l’attenzione internazionale sul territorio nella lotta di indipendenza, ma, allo stesso tempo, distruggevano un sistema economico importante per il popolo stesso. Infatti, l’attentato di Ashedira portò alla sospensione del servizio sulla ferrovia e l’arrivo della legge marziale. Queste difficoltà, insieme alla concorrenza sempre più pressante dall’aereo e la macchina, portarono alla chiusura della linea nel 1976. Ci fu attività sporadica in alcuni tratti, ma in sostanza la ferrovia fu abbandonata mentre il paese avviava una guerra di liberazione dal regime Dergue dell’Etiopia.

I primi anni Novanta videro importanti novità in Eritrea. Nel 1991, l’esercito etiopico fu cacciato dal territorio, e nel 1993 in seguito a un referendum, l’Eritrea dichiarò la sua indipendenza. Già nel 1994 si parla di una ricostruzione della linea, come collegamento fondamentale fra costa ed entroterra, nonché gesto di autodeterminazione della giovane nazione. Il progetto iniziò nel 1995 da Massaua, con lavori che proseguirono fino al 2003, quando fu completato il tratto fino ad Asmara, per un totale di 117 km. Al giorno di oggi, la Direzione prevede altri ampliamenti, quando saranno fondi sufficienti. Nel frattempo, la ferrovia ha ritrovato un ruolo importante nel paese, per le merci, per i passeggeri locali, e per le comitive turistiche, che vengono da più parti del mondo.

Il libro dedica altri capitoli interessanti alla teleferica Massaua-Asmara, alle locomotive (fra cui la famosa littorina), infrastrutture, e stazioni. Poi segue un ampio racconto del personale odierno della linea, offrendo così un approfondimento sia della tecnologia sia dell’umanità che mandano avanti la ferrovia.

La storia delle ferrovie in Eritrea diventa insieme una storia tecnologica/proto industriale e sociale. Il libro diventa una specie di storia del paese stesso, in cui diversi membri della comunità, locali e stranieri insieme, condividono i loro ricordi non solo dei binari ma anche del periodo storico. La sorte travagliata della linea rispecchia per molti aspetti il paese stesso, con una nota positiva finale sulla relativa stabilità che regna ora in Eritrea e la decisione di ricostruire, almeno in parte, la linea. Se all’inizio la ferrovia era simbolo di un intervento esterno, colonialista, di sfruttamento, si percepisce come ora è il popolo locale a sentire la ferrovia “sua” e a volerla ripristinare. Particolarmente preziose sono le foto e interviste con i meccanici, per di più ottantenni, che nei primi anni del 2000 si sono dedicati a riparare, faticosamente, locomotive e carrozze per renderle fruibili.

Infine, possiamo dire che l’ampio corredo di informazioni tecniche sarà utile a chi si occupa di storia industriale, mentre le testimonianze dei tanti protagonisti della ferrovia troveranno un pubblico per chi si occupa di storia coloniale, storia africana, e antropologia. Nell’insieme, il libro dimostra l’importanza della storia delle comunicazioni, una disciplina che unisce meccanica, innovazione, e storia sociale.