La dittatura dei colonnelli: recezione e reazioni in Italia nei primi mesi dopo il golpe

di Cinzia Venturoli

Abstract

L’obiettivo di questo articolo è quello di analizzare in che modo gli italiani furono messi a conoscenza del golpe avvenuto in Grecia il 21 aprile 1967 e di mettere in luce quali furono reazioni nel nostro Paese durante i primi mesi successivi l’istaurarsi della dittatura. Gli italiani ebbero notizia del colpo di Stato avvenuto in un paese così vicino attraverso i quotidiani e la televisione; la maggioranza dei partiti, dei sindacati, dei movimenti mostrarono preoccupazioni per la perdita della democrazia in Grecia, mentre nella destra si faceva strada una sorta di ammirazione nei confronti dei Colonnelli. Di fronte al colpo di Stato, anche la politica europea non poté rimanere passiva, vista la presenza della Grecia negli organismi comunitari e qui ne vengono ricostruite le prime prese di posizione.

Abstract English

The dictatorship of Colonels: receptions and reactions in Italy during the months after the coup d’état

The aim of this article is to examine the way Italians were informed of the coup d’état that took place in Greece on April 21st, 1967, and to point out how our country reacted during the months that immediately followed the establishment of Greek dictatorship. Italians learned of the coup d’état happening in a neighbouring country from newspapers and television. Most of the parties, of the trade unions and of the movements were worried for the loss of democracy in Greece, while on the conservatory side they felt a sort of admiration for the Colonels.Because of the presence of Greece in the EC, in front of this coup d’état European politics could not remain passive; this essay retraces its official stance on it. 

Il racconto del golpe

“Apofasisomen kai diatasomen”, ovvero “abbiamo deciso ed ordiniamo”: con queste parole iniziavano molti dei comunicati emanati dalla giunta dei colonnelli che venerdì 21 aprile 1967 prese il potere in Grecia grazie ad un colpo di Stato. Già nella tarda serata precedente c’era la sensazione che qualcosa potesse accadere e chi nella notte era nelle strade di Atene vide quello che stava succedendo, come ricorda Giannis Kaounis (2006, 32):

la notte di giovedì 20 verso il venerdì 21 aprile i carri armati del colonnello Stilianos Pattakos si erano spostati da Goudì [alla periferia di Atene] e avevano occupato alcuni luoghi di Atene. Quella sera avevo accompagnato un mio amico, studente di matematica, fino alla piazza Omonia per l’ultima corsa del metrò per il Pireo. Dopo l’una all’angolo fra la via Pireos e Omonia un irrequieto trentenne portò la notizia: “Che diavolo vogliono i carri armati sulla via Patision?”. Quali carri armati? Dove si trovano ora? […]. L’ansia cresceva, anche perché il trentenne spiegava che i carri armati non possono uscire dalle caserme.

Qualcuno fu svegliato, come capitò a Giorgos Botsis (2006, 17):

erano le 2.15 quando arrivarono nel mio appartamentino concitati i miei amici Kostas e Maria e mi svegliarono : “Alzati ragazzo mio e preparati in fretta. Dittatura!”. All’inizio credevo fosse uno scherzo. Le lacrime di Maria mi convinsero. Misi in una busta di carta un cambio di biancheria, una radiolina a transistor e una piccola scacchiera, un taccuino e due o tre penne. Mi sono infilato una camicia, i pantaloni ed un paio di sandali. […] Ho visto i primi carri armati in via Alexandras. Con una macchina di un collega [giornalista] abbiamo girato per due ore ad Exarchia e siamo entrati in una decina di case di nostri amici di sinistra per avvisarli della situazione e dire loro di nascondersi. Poi mi è venuta l’idea di andare a stampare un giornale anche solo di quattro pagine.

 La popolazione greca venne ufficialmente informata dell’avvenuto golpe alle 6,25 da perentori annunci: “Qui stazione radio delle forze armate greche. A causa della drammatica situazione che si è creata, da mezzanotte l’esercito ha assunto il governo del paese. Seguirà un comunicato del comandante dell’esercito”. Poco tempo dopo si informavano i greci che: “secondo l’articolo 91 della Costituzione e dopo suggerimento del governo sospendiamo gli articoli 6, 8, 10, 12, 14, 18, 20, 95 e 98 della Costituzione a causa della minaccia alla sicurezza dei cittadini e della nazione che proviene dall’estero. Firmato Costantino re dei greci. Il presidente e i membri del Consiglio dei ministri” (Vlaxou  2008, 18-32).

Due giorni dopo Corrado Stajano, in una sua testimonianza pubblicata sulla seconda pagina del “Corriere della Sera” citava altri slogan trasmessi alla radio:

 Uno stato affettuoso per tutti ma forte verso i suoi nemici; eredi di una grande razza, dobbiamo essere degni di un grande passato; ordine pubblico, pace, giustizia sociale è un trittico della nostra bella lotta.

Gli italiani ebbero notizia del golpe avvenuto in un paese così vicino attraverso i quotidiani e la televisione. Fra le prime informazioni pubblicate vi furono quelle di “Stampa sera”, l’edizione pomeridiana de “La stampa” che il 21 aprile usciva in prima pagina con il titolo Colpo di Stato in Grecia ordinato dal re contro l’opposizione. Il fatto che il comunicato dei golpisti fosse stato annunciato come firmato dal re fece credere, in quei primi concitati momenti, che il protagonista del golpe fosse proprio Costantino, fatto che in seguito non ebbe conferma. La situazione si mostrò più complessa e il ruolo del re rimase non ben definito per alcuni giorni. La sera del 21 aprile al telegiornale italiano venne annunciato:

 La Grecia è da stamane sotto il controllo dei militari. L’esercito ha occupato i punti nevralgici della capitale Atene, ha esautorato il governo e i reparti dell’esercito sono autorizzati a sparare su chiunque circoli durante il coprifuoco. Fra gli articoli della Costituzione soppressi vi sono quelli che riguardano i diritti civili dei cittadini, le riunioni politiche e la libertà di comunicazione. I contatti con gli altri paesi sono interrotti e dall’aeroporto non può decollare nessun aereo.

L’eco del colpo di Stato si ebbe immediatamente anche in parlamento dove l’onorevole Renato Sandri, esponente del Pci, il 21 aprile presentò una interpellanza alla Camera dei deputati:

Signor Presidente, il mio gruppo ha presentato pochi minuti fa un’interrogazione concernente il colpo di Stato che all’alba di oggi la monarchia e l’esercito hanno realizzato in Grecia. Le notizie pervenute sono poche, ma tutte altamente drammatiche: stato d’assedio, coprifuoco, decadenza della Costituzione, occupazione delle centrali telefoniche con interruzione di tutte le comunicazioni. Radio Londra ha aggiunto poco fa che sono in corso i primi arresti di personalità politiche del partito di centro e del partito di sinistra. Su questi avvenimenti drammatici chiediamo che il Governo esprima, il più sollecitamente possibile, la propria opinione ed indichi quali passi intende compiere . […] L’Italia credo abbia e le possibilità e il dovere per farlo. Le possibilità le derivano dall’appartenere (così come vi appartiene la Grecia) al Patto atlantico, un vincolo politico – militare che impone determinati obblighi a tutte le parti contraenti.

 La notizia si era quindi diffusa, anche se, come già sottolineato, numerose erano le incertezze e il 22 aprile quasi tutti i quotidiani aprivano, con diversa enfasi, sui fatti greci. Governo militare e stato d’assedio in Grecia, Colpo di Stato in Grecia sono i titoli che si ripetevano ed i giornali cercavano di raccontare quello che era successo, anche se per alcuni giorni le incertezze e le inesattezze rimasero, comprensibilmente, tante. Fin dal 22 aprile, anche se a volte in situazioni complicate, i corrispondenti dei giornali italiani si recarono ad Atene: Aldo De Jaco, Igor Man, Mario Cervi, Luciana Castellina, il già citato Stajano furono alcune delle penne che raccontarono ai lettori italiani le vicende elleniche. Scriveva Igor Man sulla prima pagina del “La Stampa” il 22 aprile:

Li hanno arrestati tutti, è la dikatatoria, così ha detto sgomento l’autista di taxi su cui, all’alba di oggi, correvamo dall’aeroporto verso Atene. L’esercito ha messo in galera uomini di destra e di centro-sinistra, e della sinistra estrema, politici e intellettuali. […] Quando alle 5,30, ora locale, di stamane, l’aereo che avevamo noleggiato è giunto nel cielo corrusco di Atene, solo da pochi istanti l’aeroporto era stato riaperto al traffico internazionale. Il nostro Lear jet, minuscolo e ballerino, è stato il primo aereo ad atterrare dopo il putsch. […] La sala transito era un bivacco di passeggeri che dormivano sonni agitati sui divani e persino per terra. Correndo verso Atene abbiamo visto la città animarsi, i chioschi dei giornalai presi invano d’assalto: la pubblicazione di tutti i quotidiani è sospesa fino a nuovo ordine. Le sedi dei giornali di sinistra sono inutilizzabili, persino le loro insegne sono state abbattute. […] Sembra che ognuno si sforzi di mostrarsi indifferente, ma intorno circola un’aria strana, tormentosa.

I militari tengono saldamente in pugno la situazione. Il colpo è stato eseguito in modo perfetto secondo i collaudati moduli medio-orientali. Sono bastate poche ore per spazzar via i simboli e i rappresentanti, le garanzie del sistema democratico. […] Da ieri in Grecia, la pena di morte e la tortura, sono di nuovo in vigore per i reati politici.

Nella prima settimana dopo il golpe l’attenzione non scemò, i racconti si fecero sempre più precisi e pieni di dettagli, anche se, mano a mano che il tempo passava, le interpretazioni e le reazioni assunsero toni diversi, a seconda dei giornali sulle quali erano pubblicate. “L’Unità” il 23 e 24 aprile 1967 raccontava dei detenuti, della riapertura nelle isole dei campi di prigionia già utilizzati durante e dopo la guerra civile, dell’arresto di esponenti dei partiti:

Dietro l’apparenza della normalità si svolge una tragedia che non è difficile intravvedere. […] Ma se si vuole avere il più drammatico documento di ciò che sta avvenendo in queste ore, bisogna andare davanti a certi uffici di polizia, a Zitzifies per esempio, non molto lontano dall’ippodromo trasformato in uno dei campi di concentramento. Lì centinaia e centinaia di donne recano pacchi di tre chilogrammi: le poche cose che si è autorizzati a trasmettere ai parenti prigionieri, una coperta o un vestito e viveri per tre giorni.

 Sui quotidiani italiani venivano illustrate le prime leggi varate dalla Giunta. Scriveva Igor Man il 25 aprile su “La stampa”:

 il colonnello Giorgio Papadopoulos, il colonnello Nicola Makarezos, hanno cominciato a svolgere oggi il loro programma di governo. E lo hanno fatto con un provvedimento a dir poco singolare, che non trova riscontro in nessun altro paese del mondo: d’intesa col ministro dell’Educazione, quello dell’Interno ha prescritto che gli studenti debbano frequentare assiduamente le prossime cerimonie religiose della Pasqua. Non è tutto: i capelloni saranno banditi dalle scuole, è fatto obbligo ai ragazzi di portare i capelli corti e alle ragazze di smettere la minigonna, è fatto obbligo tassativo a tutti gli studenti di recarsi a Messa ogni domenica. Gli ispettori e i presidi saranno responsabili dell’osservanza di queste disposizioni, che prevedono anche la proibizione per gli studenti di giocare ai biliardini. Patria, chiesa, famiglia. Un altro provvedimento impone a tutti i capifamiglia di denunciare, entro 48 ore, le persone che eventualmente fossero loro ospiti. Non tutti i “sovversivi “sono stati arrestati, molti si sono nascosti presso amici essendo riusciti a sfuggire alla cattura, poiché la polizia pare abbia fornito ai militari solo una parte degli elenchi in suo possesso. Finora gli arresti sono stati effettuati seguendo vecchie liste che risalgono alla guerra civile e non perfettamente aggiornate dal servizio d’informazioni dell’esercito.

Il 27 aprile Papadopoulos tenne per i giornalisti stranieri una conferenza stampa, di cui i quotidiani italiani diedero notizia. In questa intervista lui stesso ammise gli arresti e usando per descrivere la situazione greca la metafora del malato affermò che “abbiamo un malato, disteso sul tavolo chirurgico e deve essere operato: per questo – è naturale – siamo costretti a tenergli ben fermi i piedi e le mani, se no si muove”. La malattia, a dire dei Colonnelli, era il pericolo comunista a cui i politici precedenti avevano aperto la strada.

Il lavoro svolto dai giornalisti italiani non raccoglieva l’approvazione dei Colonnelli tanto che il 25 aprile la censura intervenne e fece interrompere la telefonata in cui De Jaco dettava il suo articolo a “L’Unità”; il giorno dopo gli inviati di “Paese sera” Luciana Castellina1 e Aldo Nobile2 furono espulsi dal paese. L’articolo di De Jaco pubblicato il 27 aprile su “L’Unità” era disseminato di pezzi mancanti, sostituiti dalla parola censura. In questo articolo i lettori venivano informati dei provvedimenti presi dai colonnelli:

 sono proibite le riunioni all’aperto di più di cinque persone; sono proibite tutte le riunioni in luogo chiuso ad eccezione degli spettacoli cinematografici o teatrali; è proibita ogni forma di propaganda “antinazionale” sotto qualsiasi forma e così sono proibiti l’annuncio e la pubblicazione di notizie “atte a turbare l’ordine pubblico”; è proibito possedere o portare armi compresi i fucili da caccia; […] è proibito possedere, istallare e mettere in funzione apparecchi radio o qualunque altro mezzo di trasmissione; è proibito ammassare o nascondere viveri o aumentarne i prezzi; […] Violare questi ordini significa essere deferiti alle corti marziali militari ed essere condannati sulla base delle leggi di emergenza. […] CENSURA. Ma bisogna parlare della carota oltre che del bastone: il ministro dell’agricoltura ha promesso d’un colpo l’aumento del 70 per cento CENSURA.

 Aldo De Jaco, dopo aver subito la censura, scomparve nel pomeriggio di sabato 6 maggio: le autorità greche per un paio di giorni, pur ammettendo che il giornalista italiano era stato arrestato, impedirono al console di visitarlo in carcere. In parlamento il patito comunista fece una interpellanza in cui si chiedevano notizie sulla vicenda, sottolineando la gravità della situazione greca dove anche per i cittadini greci e stranieri erano sospesi diritti e garanzie3.

Dell’evoluzione della situazione greca si occupava sovente anche la Rai e il lavoro dei giornalisti italiano non solo aveva suscitato contrarietà nella Giunta greca, ma non soddisfaceva neppure alcuni politici italiani: pochi giorni dopo il golpe alla Camera dei deputati un gruppo di esponenti del Movimento sociale chiese al ministro degli Affari esteri di “conoscere quali siano le precise, ufficiali e responsabili informazioni in merito ai recenti avvenimenti svoltisi in Grecia e sui quali i vari organi di stampa ed anche i servizi della RAI-TV si sono abbandonati a libere e spesso contraddittorie versioni ed interpretazioni”4. Non soddisfatti delle assicurazioni date come risposta da Zagari, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, in una seduta successiva vennero ribadite le accuse di parzialità nel confronti dei giornalisti televisivi5. I colonnelli si lamentarono apertamente dei giornalisti italiani, come informava Igor Man il 6 maggio:

Proprio ieri sera il ministro responsabile delle informazioni ha attaccato con estrema violenza i corrispondenti italiani, in particolare quelli della tv, accusandoli di diffondere notizie false e tendenziose al solo scopo di sabotare il turismo greco, nell’intento — sono parole sue — di far incamerare all’Italia quei dollari che altrimenti i viaggiatori stranieri spenderebbero in Grecia. Accomunandoli alla “congiura anti-turistica dell’Internazionale comunista”, Papadopoulos ha promesso che convincerà e costringerà i giornalisti italiani a non formulare più con tanta leggerezza grossolane menzogne.

 Solo due giorni prima sul settimanale “Il Borghese” Luciano Cirri aveva espresso un parere fortemente negativo sull’operato dei giornalisti radio televisivi colpevoli, secondo il suo giudizio, di avere in odio l’esercito greco, dando al tempo stesso un giudizio più che positivo sul colpo di Stato, sposando le ragioni dei Colonnelli e le loro motivazioni al golpe:

gli ultimi cattivi in circolazione sono stati chiaramente identificati e additati al disprezzo del pubblico italiano: sono i soldati di Atene, quelli che in un paio d’ore riescono ad annullare gli intrighi dei politicanti e il pericolo di guerra civile. […] Questi soldati greci vengono descritti come altrettanti Cimino dal mitra facile, che ammazzano i buoni cittadini democratici, terrorizzano gli onesti elettori sorpresi a violare la legge del coprifuoco e distruggono in pochissimo tempo l’abile ragnatela di tradimenti intessuta in molti anni da quel vecchio ragno che si chiama Papandreu. Il telegiornale, i Servizi del Telegiornale e un gran numero di “servizi speciali”, hanno dedicato chilometri di pellicola al tentativo di convincere i telespettatori italiani, che pure vengono continuamente incoraggiati ad adorare le sottane clericali, a detestare i gonnellini dell’esercito greco (Cirri 1967, 53).

 Qualche giorno dopo, il 25 maggio, lo stesso periodico dava voce al generale Pattakos che si lamentava degli “sgarbi e dei commenti sleali della televisione e della stampa” italiana (Buscaroli 1967, 173).

Di fronte al Golpe: le prime reazioni

Sfogliando i giornali italiani dei giorni immediatamente successivi al colpo di Stato, la prima cosa che si può notare è l’accostamento, seppur a volte solo di impaginazione, dei titoli che riguardano la situazione greca con quelli che fanno riferimento allo scandalo dei fascicoli del Sifar e al “Piano Solo”, eventi del 1964 resi noti solo nel 1967 (Venturoli 2012). A questa vicinanza temporale e tipografica si affiancava una preoccupazione (della sinistra), o una speranza (dell’estrema destra), che anche in Italia potesse avvenire una brusca interruzione della democrazia. “Onorevoli colleghi, io sono entusiasta di quanto è avvenuto in Grecia” sosteneva in parlamento Ernesto de Marzio, esponente del Movimento sociale suscitando “Vive proteste all’estrema sinistra”.

La discussione politica, sui giornali e in parlamento, era basata sulle motivazioni che avevano portato al golpe, l’estrema destra accoglieva le motivazioni dei colonnelli e insisteva su un pericolo comunista presente in molti paesi, pericolo che andava affrontato, così come era successo in Greca, con interventi drastici anche a scapito della democrazia. Lo stesso de Marzio affermava:

 Il nostro Governo, perciò, se vuole essere coerente, non può in alcuna maniera non giustificare positivamente avvenimenti i quali (Interruzione del deputato Maulini) mirano ad impedire al comunismo di insediarsi in un’area geografica così prossima al nostro paese. (Applausi a destra – Proteste all’estrema sinistra)6.

In effetti gli esponenti della Giunta, militari e civili, nei loro interventi, dichiarazioni, interviste e messaggi motivavano il golpe con la necessità di salvare la Grecia dalla corruzione, dal comunismo, dalla guerra civile in un paese in cui il partito comunista era fuori legge da molti anni ed in cui il governo Papandreou aveva tentato timide riforme (Venturoli 2012), interrotte dall’intervento del re che aveva sciolto le Camere. Il presidente del governo greco Kostantinos Kollias, ad esempio, dichiarava il 21 aprile 1967:

Popolo greco, da molto tempo noi siamo testimoni di un crimine compiuto contro la società e la nostra Nazione, che porterà alla catastrofe. La dissolutezza e la corruzione dei partiti, l’avvilimento del Parlamento, la calunnia, la paralisi dei cervelli della vita politica, la mancata comprensione dei problemi importanti della nostra gioventù, la flessione morale, la confusione e i le ansie […] hanno creato un clima di anarchia e di caos e sviluppato l’odio nelle nostre anime conducendoci al bordo della catastrofe nazionale. Non restava altra soluzione se non l’intervento dell’esercito (Pourquoi la revolution, 10).

 “Il Borghese” pubblicò il 25 maggio 1967, come si è detto, una intervista al generale Pattakos, definito una “schietta e simpatica figura di soldato con una brillantissima carriera” in cui, sulla falsa riga di tutti gli interventi che venivano dalla Giunta indicava nell’instabilità politica e nel pericolo comunista i motivi del golpe (Buscaroli 1967, 173). Escludendo le forze di estrema destra, la condanna del golpe venne da numerose parti politiche, dai partiti dell’arco costituzionale,

Non posso non esprimere a nome del Gruppo della Democrazia cristiana la solidarietà con i sentimenti che sono stati espressi e la vivissima preoccupazione di tutti noi per gli avvenimenti greci. La Democrazia cristiana comunque conferma la sua solidarietà al popolo greco colpito nel suo bene fondamentale ed esprime la speranza che la libertà torni a regnare nella vicina penisola mediterranea. (Applausi dal centro, dalla sinistra e dall’estrema sinistra)7.

 Quasi tutte le forze italiane, quelle di sinistra soprattutto, sottolineavano la necessità di reagire, per la Grecia e, di riflesso, anche per l’Italia, così come sottolineava l’onorevole Renato Sandri che nel suo intervento alla Camera si rivolse direttamente a Sandro Pertini, che presiedeva la seduta:

vi è un dovere di principio: l’Italia democratica e repubblicana, l’Italia antifascista soprattutto, al di là – questa volta si può dire senza retorica – delle divisioni tra i partiti, credo debba esprimere solennemente non soltanto l’auspicio di una pronta restaurazione della democrazia in quel paese, ma la condanna di questo atto esecrando e soprattutto la sua solidarietà agli uomini del partito di centro e del partito di sinistra che stanno attraversando gravi difficoltà, perché, per la loro azione, la Grecia ritrovi una democrazia più ampia di quella che ormai è rimasta alle sue spalle. Per queste ragioni, noi ci affidiamo alla sua sensibilità di Presidente di questa Assemblea, di antifascista e di partigiano affinché intervenga presso il Governo invitandolo a rispondere immediatamente, alla ripresa dei nostri lavori la settimana entrante, alla nostra interrogazione8.

Il golpe aveva interrotto lo sviluppo democratico della Grecia, politici e giornalisti definivano il regime che si era instaurato come fascista (Venturoli 2012) e in nome dell’antifascismo vi furono prese di posizione e manifestazioni. La vicinanza, geografica e non solo, con la Grecia preoccupava: “se il fascismo sorge di nuovo alle nostre porte, a pochi chilometri dal nostro paese, nel 1967, noi ci rendiamo conto di quello che ciò può significare”9, affermava l’onorevole Luzzatto alla Camera. Intellettuali e docenti universitari presero posizione, con una attenzione particolare alle vicende italiane:

Un aspetto particolare dei recenti avvenimenti greci è motivo di grande ansia poiché rivela una minaccia che incombe anche sul nostro paese. Avevamo sempre pensato che la Nato fosse intesa a difenderci dalla tirannide, ma episodi del genere non possono non minare la nostra fiducia nella Nato10.

 La vicinanza temporale con la ricorrenza del 25 aprile amplificò la risonanza delle iniziative per la democrazia in Grecia, come si può leggere nell’intervento dell’onorevole Morabito.

L’offesa che si è recata al Parlamento greco credo che debba considerarsi come un’offesa rivolta a tutti ì Parlamenti democratici del mondo. Ieri una grandiosa manifestazione che si è svolta a Roma per celebrare la Resistenza si è conclusa con un grido unanime, un grido di condanna di tutti gli attentati alle libertà dei popoli, qualunque sia la loro razza, qualunque sia il loro colore. Noi – io penso di interpretare i sentimenti di tutta la mia parte politica – condanniamo inesorabilmente il rigurgito di reazione fascista che colpisce la Grecia11.

 Le manifestazioni si moltiplicarono in tutte le città italiane fin dal giorno successivo al golpe con la presenza degli studenti e delle forze politiche, a Roma ad esempio il 23 aprile vi fu una manifestazione convocata da Pci, Psiup, Psi, Pri, Acli, l’unione goliardica (Cfr. “Il Resto del Carlino”, 23 aprile 1967).

Nel tardo pomeriggio di oggi (21 aprile) oltre duecento persone hanno inscenato una manifestazione davanti al consolato generale di Grecia a Genova per protestare contro il colpo di Stato militare. Tra i dimostranti una cinquantina di studenti greci (“La Stampa”, 22 aprile 1967).

 Gruppi di giovani, tra i quali erano numerosi studenti ellenici, hanno sfilato per le vie del centro cantando l’inno nazionale greco e alzando cartelli sui quali erano frasi di solidarietà agli esponenti democratici di quel paese (“Stampa Sera”, 24 aprile 1967).

Tutte le categorie partecipavano alle manifestazioni, ma la presenza di numerosi studenti greci nelle università italiane fece sì che gli studenti, italiani e greci, fossero protagonisti di questa mobilitazione, come si leggeva su molti giornali. Sovente protagonisti erano il movimento e i giovani della sinistra. Cappelloni a Roma protestano contro Costantino, titola “Il Resto del Carlino” il 22 aprile. Il 23 aprile 1967 300 studenti greci iscritti all’Università di Bologna iniziarono uno sciopero della fame (Galletti 1968, 127). Fin dall’immediato dopoguerra erano presenti in Italia numerosi studenti greci, il cui numero aumentò notevolmente durante la dittatura, in una sorta di emigrazione politica (Kornetis 2007, 158-162): dal 1970 agli anni ottanta, l’Italia è stato il paese in cui più erano presenti gli studenti greci, con un tasso doppio rispetto al secondo paese, ovvero la Gran Bretagna (Panayotopoulos 1998, 80).

In molte città le amministrazioni locali esprimevano la loro solidarietà agli studenti e ai cittadini greci condannando al tempo stesso il colpo di stato: dal consiglio provinciale di Roma (Cfr. “L’Unità”, 28 aprile 1967) a quello di Pavia dove il presidente della provincia firmò un manifesto degli studenti greci contrari al regime (Cfr. “Il Secolo d’Italia”, 9 novembre 1971. Il giornale sottolinea la contrarietà del consigliere del Movimento sociale), a quello di Argenta (provincia di Ferrara) dove l’ordine del giorno fu firmato da Psu, Pci, Dc, Pli, Psiup, o a Modena dove invece il Pli votò contro. Il consiglio comunale di Bologna condannò il regime e l’amministrazione si mostrò molto attenta alle vicende greche anche con azioni simboliche quale quella di intitolare a Grigoris Lambrakis una piazza12.

Gli studenti greci contrari al regime si organizzarono in gruppi e in partiti collegati alla resistenza, cominciarono a pubblicare riviste e a stampare volantini in italiano in cui si chiedeva attenzione sulla situazione greca e solidarietà, e in greco dove illustravano le differenti, e a volte contrastanti, posizioni politiche presente nei gruppi contrari ai colonnelli, informando delle iniziative che avvenivano in Italia a favore degli studenti e della Resistenza. Molto spesso gli studenti greci, e i loro gruppi, ricevevano aiuto e solidarietà dai partiti italiani, in specifico dal Partito comunista e socialista, aiuti che andavano dalla messa a disposizione del ciclostile e delle sedi per le riunioni (Karaxalios 2012, 13) a contributi economici.

Si fece sempre più forte la presenza di una organizzazione di studenti, o finti tali, legati ai Colonnelli, l’Esesi (Ethnikòs sindesmos ellinon spoudaston Italias – Lega nazionale degli studenti greci in Italia) che fu molto presente in alcune città: il 10 giugno 1967 questa organizzazione tenne a Roma il suo primo convegno con rappresentanti di 12 università italiane (Napoli, Bari, Bologna, Ferrara, Firenze, Modena, Palermo, Perugia, Urbino, Parma e Roma) (Klitsikas 2000, 73 ). L’organizzazione agiva in stretta collaborazione con le autorità greche, controllando gli studenti dissidenti, allacciando rapporti con gruppi italiani di estrema destra e con il Movimento sociale. Passando il tempo, questo gruppo si compose di diverse anime: persone più legate al regime ed altre più estremiste, neo-naziste ad esempio, che giudicavano i colonnelli troppo moderati, così come ricordano gli stessi appartenenti all’Esesi (Esesi 1989). Parimenti in Grecia esistevano, e si esprimevano, uomini e gruppi che criticavano i colonnelli, ritenendo inefficace e poco incisiva l’azione della giunta. Di questo dava conto Gianna Preda su “il Borghese” nell’ambito di un lungo reportage dalla Grecia durante il quale incontrò Kostas Plevris e ne riportò le dichiarazioni:

noi critichiamo la conduzione del potere da parte dei Colonnelli. Come può essere seria una rivoluzione i cui artefici si vantano di non aver versato una goccia di sangue? E come si può parlare di rivoluzione quando è stato concesso ai Papandreu e a tanta gente, comunisti e antinazionali, [di non pagare] le sue colpe?[…] Il fatto è che in quella notte del 21 aprile avrebbero dovuto essere eliminate almeno cinquemila persone. […] I Colonnelli hanno tradito la rivoluzione (Preda 1969, 970-971).

 Fin da quei primi momenti le posizioni furono chiare: una parte dei politici e degli italiani si mostrò favorevole al colpo di Stato, anche se questo schieramento era diviso: vi era infatti chi lanciava slogan quali “Ankara, Atene domani Roma viene” (Ferraresi 1995, 240) o “Basta con i bordelli vogliamo i colonnelli!” (Telese 2009) e sosteneva su quotidiani e periodici la bontà della soluzione greca, nazione che era da loro giudicata un vero baluardo contro il “pericolo comunista”. Vi erano poi quotidiani che invitavano a non intraprendere “iniziative che possano pregiudicare i rapporti con il governo di Atene” perché questo paese era “con o senza Colonnelli, l’unica sponda amica nella grande catena dei Paesi che vanno dal mare di Trieste alla Siria e dalla Siria alla foce del Nilo e a Gibilterra” (D’Andrea 1967, citato in Ufficio Stampa della R. Ambasciata di Grecia in Italia 1968, 3). I giovani monarchici dell’Umi, poi, si espressero contro la presenza di Theodorakis a Roma, in nome dell’anticomunismo firmando un volantino assieme al gruppo universitario tricolore a al movimento anticomunista italo-ellenico. Posizioni che andavano dall’estrema destra, neofascista e neonazista, ad una destra più moderata che tendeva a “minimizzare” il carattere dittatoriale del regime ellenico. Ad esempio leggendo il testo di Mario Cervi (1968) ci si può immaginare una dittatura non particolarmente dura, ammesso che possa esistere un ossimoro di questo tipo, grazie alle stesse parole dell’autore.

 Detto questo aggiungerei che il terrorismo, la violenza fisica, non mi sembrano le note caratteristiche del nuovo regime greco. Ove si raffronti il suo comportamento a quello medio delle dittature, bisogna riconoscergli, complessivamente una certa morbidezza, che lascia ovviamente il posto ad aspre rappresaglie quando la resistenza si faccia viva con un gesto clamoroso.

Lo stesso Cervi si dichiarava sicuro della volontà dei Colonnelli di ripristinare al più presto la democrazia.

Dall’altro canto, i partiti dell’“arco costituzionale”, i movimenti e i gruppi extraparlamentari, gli intellettuali, condannavano il regime che aveva privato della libertà la popolazione greca, pur con toni e modalità espressive differenti. “Spetta a noi italiani”, affermava Ferruccio Parri “il dovere della protesta aperta, energica, continua. Noi più di ogni altro paese abbiamo fatto la prova di come nasce e si radica la mala pianta fascista”13.

Dopo questi momenti di vivissima attenzione rispetto alla situazione greca, quasi inevitabilmente l’attenzione sembrò scemare, anche se la questione rimase sempre presente sui giornali, nelle discussioni politiche e nella vita quotidiana; anche grazie all’impegno di uomini e donne di cinema, da Cacoyannis a Melina Mercuri, da Costa Gravas a Irene Papas che scrisse un appello per la lotta contro “la banda degli stupidi che ha fatto tornare il nazismo in Grecia”, documento sottoscritto da personalità come Alberto Moravia, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Marcello Mastroianni, Gian Maria Volonté (Papadimitriou).

Film quali Z l’orgia del potere o Vogliamo i colonnelli, canzoni come quelle di Theodorakis cantate dai gruppi “alternativi” ed anche da cantanti di musica leggera quali Iva Zanicchi o Al Bano richiamavano l’attenzione sulla dittatura. Stessa attenzione era ottenuta grazie alla pubblicazioni di reportage e testimonianze dalla Grecia.

Alcune vicende ebbero, durante il settennato della Giunta, una eco nazionale e internazionale: ad esempio l’attentato che Alekos Panagoulis mise in atto contro Papadopoulos, il suicidio dello studente Kosta Georgakis che, per protestare contro la dittatura, si diede fuoco a Genova, fino alla rivolta del Politecnico ateniese del 1973: tutte queste vicende, assieme ad altre, tennero costantemente viva in Italia l’attenzione sulla dittatura dei Colonnelli.

La Comunità europea

Di fronte al colpo di Stato, anche la politica europea non poté rimanere passiva, vista la presenza della Grecia nel Consiglio d’Europa. La prima conseguenza del golpe fu evidente il 24 aprile quando, alla seduta dell’Assemblea consultiva, non si presentarono i sette rappresentanti della Grecia i cui accreditamenti erano dapprima stati inviati e poi ritirati. Due giorno dopo, nella direttiva 256 la stessa Assemblea consultiva, come noto organo dello stesso Consiglio d’Europa, deplorò la sospensione della legalità in Grecia e ricordò che quel Paese, in quanto membro del Consiglio d’Europa doveva restare fedele allo statuto del Consiglio, in particolare al suo preambolo in cui erano enunciati i principi della libertà individuale, politica e la preminenza del diritto. Di conseguenza l’Assemblea invitò le autorità greche a ristabilire il regime costituzionale e la democrazia parlamentare condannando tutte le misure che si mostravano contrarie alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infine, incaricava il suo Ufficio di indagare sulle sorti dei deputati greci che erano stati designati dal parlamento come membri dell’Assemblea.

Rispetto all’Affaire grecque la Commissione permanente14 adottò poi la risoluzione 346 in cui riprendeva lo Statuto del Consiglio d’Europa e manifestava “la sua viva inquietudine davanti alla situazione in Grecia dove si verificano numerose e gravi violazioni dei diritti dell’uomo e delle sue libertà fondamentali”, affermando l’intenzione di mettere in pratica tutti i mezzi appropriati per ricondurre la Grecia a “una via politica e parlamentare normale” (Kiss, Végléris 1971, 889-931).

I paesi nordici si rivelarono i più attenti alla situazione greca, tanto che il 20 settembre 1967 i governi danese, norvegese e svedese accusarono il governo ellenico di avere violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il 27 settembre il governo olandese depositò una richiesta analoga. In seguito il governo belga, lussemburghese e islandese presero iniziative analoghe.

Anche organizzazioni come Amnesty International si attivarono per avere informazioni sulla situazione greca e Thomas Hammarberg si recò ad Atene poco tempo dopo il colpo di Stato per raccogliere prove concernenti gli atti di tortura. Il giovane membro di Amnesty ricorda come rimase “colpito dal clima di paura che regnava in seno all’intera società” e come fosse “estremamente rischioso testimoniare davanti ad una organizzazione dei diritti dell’uomo straniera”. Nonostante questo, furono raccolte dichiarazioni che vennero sottoposte all’attenzione della Commissione dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa (Hammarberg 2007). Per il disbrigo delle pratiche la procedura si trascinò fino al 1968 quando i primi testimoni sulla situazione in Grecia vennero ascoltati a Strasburgo (Becket 1970, 31). I lavori di questa commissione terminarono poi nel novembre 1969 e portarono alla sospensione della Grecia per violazione dei diritti umani durante una seduta dell’Assemblea del Consiglio d’Europa presieduta il 12 dicembre 1969 da Aldo Moro, come lui stesso ricorda nel suo memoriale.

Una attenzione viva, dunque, quella che accolse il golpe avvenuto in Grecia, attenzione e preoccupazione che ebbero una eco a livello nazionale, locale ed europeo.

Biografia

Cinzia Venturoli è nata a Bologna, laureata in pedagogia presso l’Università di Bologna è dottore di ricerca. Ha coperto il ruolo di direttore del Centro di documentazione storico-politica sullo stragismo e collabora con la cattedra di Storia contemporanea della Scuola di Scienze della formazione dell’Università di Bologna. Presso la quale tiene seminari ed esercitazioni. È assegnista di ricerca al Dipartimento di discipline storiche dell’Università di Bologna. Si occupa di didattica della storia, di storia della scuola, storia delle donne, storia della seconda guerra mondiale, della Resistenza, del dopoguerra, e di storia degli anni settanta e dello stragismo pubblicando monografie e saggi. Da molti anni lavora in modo specifico di storia degli anni Settanta, con uno sguardo attento ai movimenti politici e ai terrorismi e al rapporto fra storia e memoria. Si occupa di didattica della storia, organizza e partecipa in qualità di docente a corsi di aggiornamento per gli insegnanti e conduce laboratori di storia nelle scuole di ogni ordine e grado. È responsabile della sezione didattica della Rete degli archivi per non dimenticare.

 

Biography

Cinzia Venturoli was born in Bologna. She graduated in Pedagogy at the University of Bologna. She has been director of the Centre of Historical-political Research on Terrorism and collaborated with the Contemporary History tenure of the School of Development Science in which she holds seminars and workshops. She works with the Department of History at University of Bologna, dealing with didactics of history, history of school, history of women, history of the Second World War, of the Resistance, of the postwar period and with the history of the 1970s and terrorism, and publishes essays and treatises. For many years she has worked in particular on the history of the ‘70s focusing on political movements, terrorisms and the relationship between history and memory. She participates as professor to updating courses for teachers and organizes workshops of history in several schools at every level. She is responsible for the didactic section of the Rete degli archivi per non dimenticare (Do Not Forget Archives’ Net).

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  7. Guglielmo Donati, Senato, 612a seduta assemblea, resoconto stenografico 26 aprile 1967, p. 32860. []
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  9. Lucio Mario Luzzatto, Pdup, IV legislatura – discussioni – seduta antimeridiana del 28 aprile 1967, p. 33920. []
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  12. Archivio storico comune di Bologna, Gabinetto del sindaco, corrispondenza, 8 luglio 1971. []
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  14. La Commissione permanente fu costituita in base all’articolo 42 del regolamento dell’Assemblea ed era composta da rappresentanti di tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, di tutte le commissioni e i gruppi politici. []