L’Archivio degli Iblei: l’uso della rete per partecipare e suscitare interesse per la storia

di Chiara Ottaviano

 

Abstract

L’Archivio degli Iblei è un archivio on line, in libera consultazione, che prevede la più ampia partecipazione per il suo arricchimento. Conserva interviste a testimoni e studiosi, immagini digitali provenienti da collezioni pubbliche e private, testi e ricerche. Tutti i contenuti sono navigabili anche attraverso una sezione articolata per temi: In campagna; Il mangiare; La scuola; In trincea; La religione; La politica; Operai e artigiani; L’emigrazione; La seconda guerra mondiale; Consumi e tempo libero; Famiglia, generazioni e genere; Salute e malattie; Tradizioni popolari; Su Terra matta. Insiste sull’area della provincia di Ragusa, la più a sud d’Italia. Può diventare un modello di raccolta di documenti e diffusione della conoscenza storica ripetibile in altre periferie per il recupero e la valorizzazione di storie e saperi che possono rivelarsi materiale prezioso, soprattutto in un momento di crisi, per comprenderci e ripartire proprio dalla cultura.

Abstract english

The Iblei’s Archive is an archive online, for free consultation, which provides the widest participation for its enrichment. Preserves interviews with witnesses and experts, digital images from public and private collections, books and research. All contents are navigable through a section divided by themes: In the country; The food; The school; In the trench; Religion; Politics; Workers and craftsmen; Emigration; World War II; Consumption and leisure; Family , generations and gender; Health and illness; Popular traditions; On Terra Matta. Insists on the area of the province of Ragusa, the South of Italy. It can become a model of document collection and dissemination of historical knowledge repeatable in other suburbs for the recovery and development of stories and knowledge that may prove valuable material, especially at a time of crisis, to understand each other and restart specifically from the culture.

L’Archivio degli Iblei è un archivio on line, in libera consultazione, nato all’interno del “Progetto Terramatta” ideato da Cliomedia Officina, la società da me fondata anni orsono attiva nel campo sia della ricerca storica che della comunicazione della conoscenza della storia anche attraverso le tecnologie digitali. Il progetto, articolato in due principali direzioni, prende il nome da Terra matta, l’autobiografia di Vincenzo Rabito edita da Einaudi nel 2007 e già vincitrice del Premio Pieve Santo Stefano promosso dall’Archivio diaristico nazionale. Rabito era un umile cantoniere nato a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, nel 1899, che da autodidatta assoluto in tarda età ha scritto migliaia di pagine tanto sgrammaticate quanto avvincenti, ma soprattutto capaci di suggerire sguardi nuovi per la comprensione di aspetti ben noti o poco conosciuti del secolo scorso: una miniera di suggerimenti e indizi per la storia delle mentalità, del genere, della sessualità, dei consumi, delle pratiche legate alla religione e alla politica e altro ancora. Insomma quel vasto campo di interessi che, secondo la lezione di Peter Burke (2004), possiamo considerare parte della storia culturale.

Primo obiettivo del progetto è stato la realizzazione del film documentario Terramatta; Il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano, da me prodotto e sceneggiato con la regia di Costanza Quatriglio, presentato alla 69° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 2012 e vincitore nel 2013 del Nastro d’argento come miglior documentario dell’anno. Nel marzo del 2013, attraverso un convegno di studi svoltosi a Chiaramonte Gulfi, è stato annunciato il secondo degli obiettivi: la costruzione dell’Archivio degli Iblei, che è dunque solo ai suoi primi passi1.

Nel testo che segue, dopo avere brevemente accennato alle motivazioni e alle ambizioni che hanno animato il progetto dell’Archivio, darò conto dei contenuti già consultabili on line, soffermandomi poi più specificamente sulla raccolta delle fonti orali, sui modi in cui le interviste sono state rese fruibili, su alcuni dei temi di maggior interesse per la riflessione sul passato. Infine un cenno sulle strategie in atto per il popolamento e l’arricchimento dell’Archivio e la sua più ampia condivisione e diffusione.

La cultura come risorsa in un’area periferica dell’Italia di oggi

Gli Iblei sono i monti della Sicilia sud orientale e per area iblea comunemente si intende l’ex provincia di Ragusa destinata a scomparire secondo i recenti decreti regionali, senza che sia troppo chiara l’identità delle future istituzioni. In età moderna, durante le dominazioni spagnole del XVII e XVIII secolo, è stato un territorio al centro di intensi scambi commerciali nel Mediterraneo e molti dei suoi comuni sono oggi siti riconosciuti dall’Unesco come “patrimonio mondiale dell’umanità” per le importanti testimonianze di architettura barocca. Ciò nonostante oggi è a tutti gli effetti una realtà periferica: sul piano nazionale è lontana dal centro politico e dalle aree più sviluppate del paese; regionalmente è lontana e mal collegata ai centri maggiori, Palermo e Catania. Essere lontani dai riflettori può provocare disistima per l’ambiente dove si opera, quindi disattenzione e disimpegno, o all’opposto esaltazione per ciò che è locale, unico, differente da ciò che esiste altrove. Anche nel secondo caso, in un’assoluta autoreferenzialità, il circolo non è virtuoso.

Sono nata in questa provincia ma da più di trent’anni vivo a Torino. Il film Terramatta e l’Archivio degli Iblei (un impegno di più lunga durata e un investimento in progettualità) sono il mio tentativo di restituire attenzione a questa parte del mondo alla quale in qualche modo sento di continuare ad appartenere. L’aspirazione è, attraverso le varie modalità di intervento, di riuscire a collaborare alla crescita della risorsa culturale che è oggi la più preziosa fra le risorse, specie nelle realtà percepite come periferiche a rischio di impoverimento anche per il venir meno di quella “attenzione” che è fatta di intelligenza, sforzi di comprensione per il passato, per il presente e il suo divenire, di progettualità per il futuro. Si tratta dunque di un impegno civico oltre che culturale.

Riuscire a suscitare nel pubblico dei non-specialisti interesse per la conoscenza del passato, riducendo lo iato fra la ricerca storiografica e il senso comune, spesso fondato su preconcetti e stereotipi non fondati, è oggi più che mai essenziale. Il problema principale non è infatti, come un tempo, la contrapposizione fra la cosiddetta “memoria familiare”, che presuppone comunque una disponibilità all’ascolto, e la cosiddetta “ memoria ufficiale”, appresa sui banchi di scuola, ma una più generale indifferenza verso la storia. Anche se non manca il successo a forme di intrattenimento di “genere storico” (nella letteratura come al cinema o come in vari tipi di giochi) ciò che sembra scomparire è l’idea che la storia possa essere di qualche utilità per il presente o per la prefigurazione di futuro. I motivi sono molteplici, dalla scomparsa della fiducia nel progresso alla rivoluzione tecnologica che ha invertito il rapporto fra le generazioni a tal punto da fare apparire prive di utilità le conoscenze e le esperienze delle generazioni precedenti, dal venir meno delle ideologie all’invasività dei mass media che premiano sensazionalismo ed emotività (De Luna 2011, Benigno 2013).

A prevalere in Italia è attualmente un senso comune orientato allo scetticismo e fondato sull’idea di un eterno presente che implica l’inutilità di qualsiasi azione o senso di responsabilità per le sorti comuni: ieri come oggi illusioni e speranze tradite, virtù e vizi che si ripetono, privilegi e ingiustizie per le quali solo gli ingenui si scandalizzano, e via dicendo. Nelle mie aspirazioni l’Archivio degli Iblei (oltre che la visione di Terramatta dove si ripercorre la storia italiana senza ricorrere a inutile disfattismo né a infruttuoso trionfalismo) dando conto di altre mentalità e di altri modi di essere e di vivere il proprio tempo, dovrebbe riuscire a suscitare curiosità e interesse per capire il passato (e quindi anche il nostro presente) senza troppe semplificazioni.

Forme di partecipazione e contenuti

L’archivio è programmaticamente solo virtuale, concepito per essere via via arricchito da nuove acquisizioni attraverso contributi diversi per il loro contenuto e la loro provenienza. Idealmente è rivolto alla “partecipazione” delle comunità dei vari paesi dell’area e affinché un’affermazione di questo tipo possa riempirsi di concretezza sono e saranno messe in campo specifiche azioni.

Il lancio del progetto è avvenuto nel corso di un convegno di studi svoltosi a Chiaramonte Gulfi nel marzo 2013 grazie al contributo della Municipalità e con il patrocinio dell’Università di Catania e la collaborazione dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano e della Fondazione Grimaldi di Modica2. Cliomedia Officina ha garantito l’ideazione, l’organizzazione e la promozione presso la stampa locale. Obiettivo del convegno era coinvolgere gli studiosi locali e le diverse istituzioni culturali attive nell’area sottolineando, grazie anche alla presenza fra i relatori di illustri studiosi italiani e stranieri, come il tipo di attenzione che l’Archivio degli Iblei intende sollecitare debba essere concentrata sulla realtà locale evitando però gli angusti limiti del localismo: per quanto gli Iblei costituiscano un’area periferica sono pur sempre un “pezzo” di mondo e non un’isola fuori da esso. Allo stesso tempo lo studio di questo angolo della Sicilia può essere utile alla comprensione di accadimenti e processi più generali e meno circoscritti3.

Al convegno ha attivamente preso parte una qualificata parte degli studiosi noti in ambito locale che hanno in quella occasione aderito al comitato promotore. Si tratta di docenti o ex docenti di materie umanistiche delle scuole superiori, di ricercatori universitari, di animatori di associazioni e fondazioni culturali, di responsabili di istituzioni culturali. Fra di essi autori di studi di storia e storia dell’arte e di tradizioni popolari spesso pubblicati da case editrici con scarsa o nessuna distribuzione. Ambizione dell’Archivio è divenire sia un punto di riferimento per chi opera nel territorio in ambito culturale (virtuale e non), sia creare un’occasione di visibilità, oltre i confini regionali e nazionali, anche per gli studi e le intelligenze espresse4. In prospettiva si spera di rendere accessibile via internet il pregresso patrimonio editoriale che ha spesso avuto una sorta di vita clandestina. Ai componenti del comitato promotore, che ha funzione di garanzia, spetterà dunque il compito di alimentare il sito soprattutto nella sezione dedicata a “Testi e ricerche”.

Per quanto riguarda i contenuti iconografici e le interviste ai testimoni il coinvolgimento, molto più ampio, era stato avviato parallelamente allo sviluppo del progetto del film Terramatta il cui sito ufficiale ha originariamente ospitato l’Archivio fino a che esso non ha avuto un logo e un indirizzo autonomo nel luglio 2013.

La documentazione fotografica attualmente pubblicata sul sito consiste in diverse centinaia di immagini raccolte in circa 30 album (gallerie) ordinati cronologicamente e per tema. Di ogni immagine si forniscono le consuete informazioni di corredo (soggetto, luogo, data e possibilmente anche informazioni sull’autore) comprensive dell’indicazione di chi ha fornito il documento, cioè del detentore della fotografia originale. Ogni galleria è inoltre introdotta da un breve testo di approfondimento. In alcuni casi si tratta di immagini tratte da album di famiglia in molti altri, la maggioranza, di fotografie provenienti da collezioni private. I collezionisti anche in ambito locale sono un numero assai significativo di uomini e donne che investono il loro tempo per raccogliere e conservare una vasta quantità di documenti e tracce del passato. Quanti hanno aderito con piacere all’invito a collaborare lo hanno fatto anche perché è stata loro prefigurata la possibilità di una condivisione e valorizzazione di quanto da loro custodito senza dover subire in alcun modo il “danno” della separazione o di un bieco sfruttamento commerciale. Con l’apertura della pagina del gruppo dedicato su Facebook, nuovi “amici” aggiungono, insieme a segnalazioni, commenti e ricordi, nuove cartoline e foto, alimentando la pluralità dei punti di vista o svelando particolari poco conosciuti.

Sulle testimonianze orali attualmente pubblicate, che riguardano una trentina fra testimoni e studiosi residenti in vari paesi della provincia, mi soffermerò in seguito. Qui anticipo solo che ogni documento audiovisivo è stato articolato in vari capitoli e ogni capitolo ha un titolo che rimanda al contenuto del brano selezionato. Per la gestione dei file audiovisivi si è scelto di utilizzare la piattaforma di Memoro – Banca della Memoria con cui è in atto un accordo di collaborazione.

La consultazione di tutti i documenti (iconografici, audiovisivi, testi e ricerche) può avvenire anche per argomenti, attraverso la sezione “Temi”. Ogni tema è introdotto da una citazione tratta da Terra matta (che rimanda a un’autonoma sezione contenente un’antologia delle pagine del volume einaudiano) ed è corredato da un testo di approfondimento.

Questi i titoli degli attuali 15 temi: In campagna; Il mangiare; La scuola; In trincea; La religione; La politica; Operai e artigiani; L’emigrazione; La seconda guerra mondiale; Consumi e tempo libero; Famiglia, generazioni e genere; Salute e malattie; Tradizioni popolari; Su Terra matta.

 

Le fonti orali: la “vita quotidiana” e la scelta della “manipolazione”

Nella sezione “Testimoni e studiosi” sono consultabili gli interventi di intellettuali e studiosi che offrono originali spunti di riflessione rispetto ai temi sopra indicati ma soprattutto le interviste a persone comuni: artigiani e casalinghe, braccianti e impiegati, professionisti e benestanti, sacerdoti, militanti politici ed ex onorevoli, insegnanti, medici. I più anziani sono i novantenni e i più giovani i trentenni. In prevalenza gli intervistati hanno un’età compresa fra i sessanta e i settantacinque anni. In alcuni casi i due ruoli coincidono5.

Pur non mancando ricordi e riflessioni su specifici eventi storici, nel corso delle interviste si è prestata particolare attenzione agli aspetti di vita quotidiana di persone “ordinarie”. Pochi sono i personaggi di notorietà pubblica, per i quali è più usuale la ricostruzione del passato in chiave prevalentemente di storia politica, presenti in questo primo nucleo di interviste. Tale scelta è coerente con l’origine del progetto che ha avuto avvio da Terra matta, l’autobiografia di Vincenzo Rabito, e cioè quella di un “umile” il cui sforzo di scrittura ci ha consegnato un testo tanto ricco di suggerimenti e tracce per la comprensione del secolo scorso quanto originale per il punto di vista “dal basso”, soprattutto per molti aspetti di storia culturale nell’accezione a cui sopra si è già fatto riferimento. Per Alon Confino (1997) la storia delle mentalità si distingue dalla storia delle idee proprio perché considera l’uomo comune e non le idee elaborate dalla classe dei colti, gli intellettuali. Dunque l’attenzione prevalente dovrebbe essere rivolta alle pratiche ordinarie e alle abitudini acquisite oltre che ai sistemi simbolici, alla morale e al sistema di credenze caratteristici di società diverse in tempi diversi.

La storia culturale è parente di quella che in ambito sociologico è indicata come “vita quotidiana”. Per Paolo Jedlowski (2003, 173) la vita quotidiana “è il perno materiale e affettivo intorno a cui ruota la vita di ogni individuo” ed è anche il luogo in cui “si riproduce l’ordine simbolico che regola ogni interazione: è il punto di partenza da cui è possibile investigare come la realtà sia una costruzione sociale, cioè come essa sia il risultato di ripetuti processi di interpretazioni e di azioni rispetto a cui ciascun individuo – per la sua parte – ha una dose di responsabilità”6.

Nel racconto di vita di donne e uomini ordinari, ma non per questo banali, acquistano corpo e sangue, e cioè concretezza e comprensibilità, concetti e categorie in uso nella disciplina storiografica, come “soggettività”, “immaginario”, “genere”, “costruzione dell’identità”, etc. etc.

Per quanto riguarda la pubblicazione delle interviste, nella loro integrità i file originali sono custoditi negli archivi digitali della redazione di Cliomedia Officina7. On line si trova invece una selezione di brani. Ogni brano corrisponde a un file con un titolo autonomo. Si tratta dunque di una consapevole scelta di “manipolazione” rispetto a un testo originario. La divisione in brani tematici consente nella navigazione per “Temi” la creazione di pagine dove virtualmente le diverse esperienze si trovano l’una accanto all’altra, con possibilità di immediato confronto e con effetti sovente di forte coralità o di altrettanto forte contrapposizione. Ma allo stesso tempo la possibilità del confronto immediato può aiutare a fare intuire quella complessità che spesso viene a mancare nei singoli racconti di vita. È naturale infatti, ricordando e raccontando a se stesso e agli altri, ricondurre a linearità ciò che lineare non è.

Sul tema della manipolazione delle fonti orali ho riflettuto anche in occasione di precedenti esperienze nel campo del documentario audiovisivo sulla base della mia personale esperienza (2008)8. Sia nel caso delle citazioni selezionate per la scrittura di un testo scritto, sia nel caso dei tagli di un’intervista effettuati in fase di montaggio per la realizzazione di un testo audiovisivo, si compie ugualmente un’azione di manipolazione: si seleziona, si accosta ciò che è più lontano, si escludono alcuni incisi, o, all’opposto, si può decidere di mettere in evidenza proprio ciò che era come in parentesi. La correttezza del testo finale, scritto o audiovisivo che sia, e cioè il fatto che esso non sia frutto di falsificazione rispetto alla fonte originale, è sempre e solo responsabilità di chi si assume l’onere e l’onore della firma autoriale.

Ma poi, a cosa si fa riferimento quando si pensa all’integrità di una fonte orale? Come dar conto delle pause, delle interruzioni, di ciò che si dice a microfono spento, che ha spesso un’influenza fondamentale su tutto il resto del colloquio? Una trascrizione integrale, se si vuole porre la scrittura su un piano superiore, riuscirà mai a dare conto dei silenzi, degli sguardi, di tutti quei segni della comunicazione non verbale come per esempio un impercettibile moto di stizza o uno sguardo di consenso che il più delle volte contengono molte più informazioni di mille parole e possono sensibilmente determinare nell’interlocutore la scelta di dire o di non dire o di dire diversamente? La riflessione sulla difficoltà di fornire risposte univoche e prive di ambiguità ha a che fare con il concetto di “fonte originale”, non solo dunque in riferimento ai documenti visivi e audiovisivi ma anche a quelli scritti (Burke 2002,15).

Fra gli argomenti: il lavoro minorile, la scuola, i consumi, l’emigrazione

Per quanto riguarda i contenuti delle interviste, in estrema sintesi, si può dire che il quadro complessivo che ne emerge è quello di una società che per molti aspetti della vita quotidiana, per tutta la prima parte del Novecento, continua a essere molto simile a quella del secolo precedente. Vive una forte discontinuità solo tra gli anni Sessanta e Settanta del ’900. È in quei decenni che si vanno affermando i consumi in tutti gli strati della popolazione, che si afferma la scolarizzazione che consente la mobilità sociale, che cambiano i rapporti fra i generi. Anche in quest’angolo periferico dell’Italia, dunque, prende corpo quella modernizzazione che trasforma il Paese. Di seguito solo qualche esempio.

I ricordi di molti testimoni nati fra gli anni ‘20 e gli anni ’40 che hanno come scenario comune la campagna sono tutti perfettamente coerenti fra di loro anche se fanno riferimento a esperienze personali a volte radicalmente diverse a seconda della collocazione sociale della famiglia. Una figura che potremmo assumere come emblematica di una condizione di vita tanto diffusa quanto oggi per noi inconcepibile è quella dei minori “adduvati”, ovvero bambini di sei o sette anni presi in affitto per tutto l’anno. In cambio, oltre al misero “canone” versato alla famiglia in danaro o derrate alimentari, il massaro o il pastore si impegnavano a sfamarli e a dar loro il posto dove dormire sul pagliericcio. Nei ricordi emerge la fame, il freddo, la solitudine in aperta campagna per ore e ore a guardia degli animali, la paura, le botte, i tentativi di fuga per ritornare in famiglia. La pratica di dare i bambini in affitto per la pastorizia o come garzoni nelle cascine era in uso nella prima metà del Novecento anche in altre aree povere dell’Italia. Noto è il caso delle valli occitane nel cuneese dove i bambini venivano “piazzati” sulla piazza di Barcellonette in Francia9. A Ragusa l’affitto dei bambini si svolgeva in Piazza del Carmine ogni 15 agosto. Il mercato dei bambini ebbe termine solo nell’immediato dopoguerra con l’intervento, non privo dell’uso della violenza, di un gruppo di giovani braccianti iscritti al sindacato. La vicenda è raccontata dal figlio di uno dei protagonisti che aveva già prima pubblicato il racconto di vita del padre (Gurrieri 2002).

Saper leggere, scrivere e far di conto, competenze che si ritenevano acquisite con la terza elementare o al più con la licenza della quinta, erano gli obiettivi di istruzione ritenuti più che soddisfacenti nelle famiglie di ceto medio di commercianti o artigiani. Per la prosecuzione dell’istruzione oltre le scuole elementari una discriminante significativa nelle famiglie benestanti era invece costituita dal genere se si viveva in paesi dove non c’era la possibilità di frequentare le scuole medie né tanto meno quelle superiori e l’insegnamento privato non era un’alternativa praticabile. I maschi proseguivano gli studi frequentando i collegi di città anche molto lontane, per le bambine poteva ritenersi sufficiente la quinta elementare.

Anche negli anni Sessanta la distanza fra casa e scuola, da percorrere sempre e solo a piedi, costituiva un ostacolo spesso insuperabile, soprattutto per le ragazze. Una testimone racconta come il desiderio di scuola fosse così intenso da aver simulato una vocazione religiosa inesistente per poter andare in convento dove era sicura di poter continuare gli studi.

La distanza, le lunghe e a volte pericolose strade percorse a piedi ricorrono frequentemente anche nei ricordi legati a contesti di lavoro o anche di svago. I più fortunati potevano contare su una bicicletta pagata a rate. È solo negli anni Cinquanta, con le due ruote, che ha inizio la motorizzazione di massa. L’officina di riparazione di biciclette viene trasformata da un giovane intraprendente artigiano in officina e rivendita per moto, per la maggior parte rigorosamente pagate in cambiali. Possedere una moto, che implicava un impegno economico veramente significativo in relazione ai salari assai miseri, cambiava la vita a braccianti ed edili, che potevano cercare lavoro nelle piazze più convenienti anche se più lontane e magari riuscivano anche a rientrare a casa per la sera. Nel giro di un decennio scomparvero le teorie dei carretti dei massari che rientravano in città il sabato per ritornare in campagna il lunedì mattina.

Per la privilegiata ragazza di buona famiglia la bicicletta negli anni Quaranta era stata invece un mezzo di svago con cui potere tra l’altro incontrare il fidanzato eludendo lo stretto controllo familiare. Nell’attesa della laurea e dell’avvio della professione, il fidanzamento, iniziato nella prima giovinezza, era durato anni. All’opposto sembrano essere stati di norma pochissimi i mesi che intercorrevano dal primo sguardo al matrimonio fra i giovani dei ceti inferiori. Il fidanzamento rispettava un rigorosissimo rituale di presentazioni e di permessi. La dote concordata, fatta di pochi ma obbligatori elementi, e il rinfresco per festeggiare le nozze con qualche dolce preparato in casa sono indici di un regime di grandi e necessarie economie. Una testimone ricorda come eloquenti segni di distinzione il pranzo di nozze preparato in trattoria e poi l’avventura del viaggio di nozze in Cinquecento spingendosi per qualche centinaio di chilometri in direzione nord. Era il 1965.

Nel corso degli anni Sessanta la televisione non era ancora entrata in tutte le case ma tutti ne avevano già fatto esperienza prima in luoghi pubblici poi nelle abitazioni degli amici più fortunati. Alcuni programmi televisivi sono ricordati come eventi, ma l’acquisto della prima televisione è un vero e proprio marcatore di memoria. Nelle campagne più isolate frigorifero e televisore arriveranno prima ancora dell’allacciamento della casa alla rete elettrica con l’acquisto del gruppo elettrogeno necessario per la mungitura nelle stalle che consentiva l’accensione del televisore per qualche ora. Sono spie, se mai ce ne fosse ancora bisogno, dell’importanza che la televisione ha avuto anche sul piano simbolico, ma non solo, nella vita quotidiana degli italiani e non solo (Silverstone 2000).

La lavatrice invece, come nel resto d’Italia (Asquer 2007), non è stata fra i primi elettrodomestici a essere stato acquistato. L’allacciamento delle case alla rete elettrica e idrica e la disponibilità economica erano condizioni essenziali ma non sufficienti. Avere l’acqua in casa, ricorda un medico nato in una famiglia di commercianti del ceto medio, sembrava avere risolto il problema del bucato, prima affidato al lavoro di una lavandaia. Risparmiare il gravoso lavoro femminile non era un obiettivo percepito, neanche dalle donne, come significativo.

Per rimanere in tema, fare il bucato prima dell’arrivo sul mercato dei detersivi, implicava anche il complesso lavoro della fabbrica del sapone utilizzando gli scarti dell’olio. Fra le più anziane quella pratica è nei dettagli ben ricordata. Era uno dei tanti lavori che gravavano sulle casalinghe, insieme al fare il pane e la pasta, cucire i vestiti, procurarsi l’acqua alla fontana, raccogliere erbe commestibili e altro ancora. Il lavoro delle donne era insomma essenziale per la sopravvivenza stessa della famiglia. I ceti medi e ancor più quelli benestanti potevano ricorrere a un’ampia disponibilità di servitù, almeno fino agli anni Sessanta.

Sorprendente, infine, può apparire l’orgoglio con cui un ex emigrante racconta la scelta di espatriare contro il volere paterno per andare a lavorare nelle miniere di carbone in Germania dove quelli come lui, di “piccola taglia”, erano obbligati a lunghe ore di lavoro pancia a terra in cunicoli alti non più di cinquanta centimetri. Il lavoro più duro, viene sottolineato, era solo nei primi anni. Avere resistito ne è valsa la pena. La ricompensa è oggi una pensione ritenuta soddisfacente, la casa nel paese d’origine dove ha fatto ritorno e, a pochi chilometri di distanza, anche un’altra casa al mare. A ciò si aggiunge il “beneficio a vita” di un certo quantitativo di carbone, oggi tradotto in qualche centinaio di euro l’anno, un benefit che sembra assumere un alto valore simbolico: sicurezza economica e privilegi “a vita” sono stati acquisiti solo grazie al lavoro in un contesto in cui i patti possono essere anche molto duri ma sempre rispettati. Per lui, come per altri ex emigranti che ricordano con soddisfazione il riconoscimento fuori dai confini delle proprie capacità di lavoro, l’estero è stato non solo una necessità ma anche un’opportunità: un’occasione di crescita personale in un paese a cui riconoscevano una civiltà superiore rispetto a quello d’origine. Forse non sono pensieri troppo diversi quelli che animano i tanti uomini e le tante donne che ai nostri giorni aspirano a entrare nel fortino dell’Europa, rischiando viaggi pericolosi e accettando condizioni di vita per noi di difficile immaginazione.

In molti casi nel raccontare l’estrema fatica dell’ordinaria vita di tutti i giorni e la penuria di tutto a prevalere è una sorta di nostalgia per tempi che si definiscono come più semplici, con maggiori valori e in cui a tutti bastava meno o molto poco per essere felici. Credo che la nostalgia sia un sentimento veramente complesso, uno specchio che ha la capacità di deformare, nascondendo o sfumando, grandi e sgradevoli evidenze per mettere in luce ciò che più ci manca nel presente e che pensiamo (o immaginiamo) di avere avuto nel passato o che in ogni caso sappiamo non più recuperabile. È un rifugio in cui può fare piacere rintanarsi, un sentimento che dà conforto e di cui si deve essere sempre ben consapevoli nel trattare le fonti orali.

Nelle scuole

L’Archivio è ai suoi primi passi. Ha riscosso curiosità nell’ambito dell’informazione locale, con servizi e notizie edite su quotidiani a stampa, giornali on line ed emittenti televisive. Anche dopo il convegno di lancio ha continuato a raccogliere l’interesse e la promessa di collaborazione da parte di studiosi attivi sul territorio, collezionisti, appassionati animatori della vita culturale nei diversi paesi. La vivace pagina del gruppo Facebook raccoglie ogni giorno nuove richieste di adesione. Ma affinché si possa ritenere di aver solidamente gettato delle basi adeguate per il suo sviluppo e la sua sostenibilità economica molto lavoro è ancora da fare. Prima di tutto in direzione delle scuole, ancor più oggi nell’evoluzione al digitale della didattica.

L’Archivio può infatti senz’altro essere di utilità nell’ambito della didattica della storia contemporanea per i tanti e diversi materiali in esso già contenuti e che programmaticamente aumenteranno via via. In modo particolare, le tante testimonianze, anche per la concretezza del linguaggio utilizzato, possono essere degli ottimi facilitatori per l’introduzione a vari temi della storia del Novecento e non solo a quelli relativi alla vita quotidiana a cui sopra si è fatto cenno. Anche se all’epoca gli intervistati erano bambini o al più ragazzi, molto vividi sono i ricordi che hanno attinenza con il regime fascista, lo sbarco degli americani, la partecipazione politica nel primo dopoguerra e oltre.

Ma l’Archivio soprattutto potrà essere un’occasione di crescita se studenti e docenti vorranno collaborare al suo arricchimento con interventi di qualità. A tal fine è in via di definizione la proposta di un percorso di formazione per docenti di materie umanistiche articolato in più moduli. Uno di essi è specificamente finalizzato alla raccolta di fonti orali, attraverso registrazioni audiovisive e la successiva messa in rete sul sito dell’Archivio degli Iblei.

Sarà questo un modo e un’opportunità per riflettere sulla rilevanza delle fonti orali e sul loro uso nella ricerca storica oltre che un’occasione di trasmissione di memoria fra le generazioni.

L’Archivio degli Iblei può diventare un modello di raccolta di documenti e diffusione della conoscenza storica ripetibile in altre periferie per il recupero e la valorizzazione di storie e saperi che possono rivelarsi, in un momento di crisi, materiale prezioso per comprenderci e ripartire proprio dalla cultura.

Biografia

Chiara Ottaviano è nata a Ragusa e vive a Torino. Ha fondato e dirige Cliomedia Officina. Ha insegnato al Politecnico di Torino Storia e sociologia della comunicazione di massa. E’ autrice di saggi e volumi di storia contemporanea. Coniugando ricerca e divulgazione ha realizzato mostre, documentari, grandi opere editoriali e prodotti multimediali premiati in contesti nazionali e internazionali. Ha prodotto e sceneggiato il film documentario Terramatta; Il novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano, vincitore del nastro d’argento 2013. Dal 2000 dirige l’Archivio storico Telecom Italia. Aderisce a IFPH (International Federation for Public History).

BIbliografia

Asquer E.

2007                La rivoluzione candida. Storia sociale della lavatrice in Italia (1945-1970), Roma, Carocci

Benigno F.

2013                Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia, Roma, Viella

Berger P.L.e Luckmann T

1969                La realtà come costruzione sociale, Bologna, Il Mulino (ed. orig. 1966)

Burke P.

2002                Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Roma, Carocci (ed. orig. 2001)

Burke P.

2006                La storia culturale, Bologna, Il Mulino (ed. orig. 2004)

Confino A.

1997                Collective memory and cultural history, “American Historical Review”, Dec.

De Luna G.

2011                La Repubblica del dolore, Milano, Feltrinelli.

Gurrieri A.

2002                Nulla di personale. Autobiografia di un comunista. Ragusa, Sicilia Punto L.

Jedlowski P.

2003                Fogli nella valigia. Sociologia, cultura, vita quotidiana, Bologna, Il Mulino.

Ottaviano C.

2008                Tra ricerca e didattica. Esperienze sul campo e percorsi di riflessione in Che storia siamo noi? Le interviste e i racconti personali al cinema e in televisione, a cura di L. Cicognetti, L. Servetti, P. Sorlin, Venezia, Marsilio.

2014                Terramatta: the film and beyond’ in “Journal of Modern Italian Studies” vol.19, issue 2, 2014 in corso di pubblicazione

Silverstone R.

2000                Televisione e vita quotidiana, Bologna, Il Mulino (ed. orig. 1994)

  1. Su Terra matta come fonte per la storia del Novecento rimando a Ottaviano 2014. Terra matta è il titolo assegnato da Einaudi al momento della pubblicazione. Terramatta;, con le due parole attaccate e il punto e virgola, è il titolo del film che riproduce esattamente il modo come le due parole compaiono nel dattiloscritto originario []
  2. Per i dettagli sul convegno rimando alla rassegna stampa sul sito archiviodegliiblei.it []
  3. Ho approfondito questi temi, anche illustrando motivazioni e finalità dell’Archivio degli Iblei, al Convegno del National Council on Public History svoltosi ad  Ottawa nel 2013 (aprile 17-20) nel panel coordinato insieme a Walter Tucci dedicato al tema “Peripheries. Cultural Projects, Historical Research, Communities”. Una dimostrazione dell’interesse non solo locale è il dossier sul caso Terra matta (libro e film) a cura di David Moss sul vol. 19 n. 2 del “Journal of Modern Italian Studies” in corso di pubblicazione. Sempre di Terra matta si parlerà il 4 e il 5  dicembre ad Adelaide nel corso del convegno biennale dell’ACIS. []
  4. L’Archivio degli Iblei ha il patrocinio dell’Università degli studi di Catania, ha attualmente progetti in collaborazione con l’Archivio nazionale diaristico di Pieve Santo Stefano, con il Ministero per i Beni e le Attività culturali per il progetto SAN, con Wikimedia Italia. È stato censito dall’European History Primary Sources e dal MIBAC: Ministero dei Beni e delle Attività Culturali []
  5. Le interviste sono state tutte raccolte attraverso registrazioni audiovisive effettuate fra il 2011 e il 2012 da me con la collaborazione tecnica di Giuseppe Bertucci che ha anche autonomamente prodotto alcune delle interviste. Tale informazione è attualmente fornita nei Credits del sito ma con la pubblicazione di nuove interviste, prodotte da altri soggetti, il nome dell’autore dell’intervista sarà inserito accanto a ogni nuova testimonianza []
  6. Sulla realtà come “costruzione sociale” il riferimento d’obbligo è P.L. Berger e T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Bologna, Il Mulino 1969 (ed. orig. 1966) []
  7. L’uso prevalente in Italia è quello di dare accessibilità alle fonti orali nella loro integralità, se conservate in un’istituzione pubblica, solo dopo il benestare dell’intervistatore. Il dibattito resta comunque aperto []
  8. Faccio in particolare riferimento a due serie di documentari realizzati interamente attraverso il montaggio di interviste a testimoni: Sapere la strada. Storia dell’emigrazione biellese, 3 puntate di Rai 3, 1986 a cura di C. Ottaviano, regia di B. Gambarotta e C. Ottaviano e Tute blu. Il Novecento operaio a Torino, 4 puntate di Rai 3, 1987, a cura di G. Carpo, M. Filippa, C. Ottaviano e con la collaborazione di D. Jalla, regia di C. Ottaviano []
  9. Sui bambini occitani dati in affitto come pastorelli o per il governo dei muli anche il documentario di Giogio Diritti, Piazzàti (Maimàas Fitàas), 2009 []