di Alberto Di Maria
Come annunciato a margine del convegno “L’artigiano della pace” – tenutosi nella giornata del 6 ottobre 2012 presso la sala del consiglio del Comune di Marzabotto (si veda il resoconto pubblicato nel n. 30 di “Storia e Futuro”) – esce puntuale questo volume che ne raccoglie in forma ampliata e approfondita i contributi. Promosso dal Comitato regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto, in collaborazione con l’Istituto provinciale della Resistenza di Bologna (Isrebo) e l’Associazione di ricerca storica e promozione culturale Clionet, il libro è frutto di un intenso lavoro sulle ampie fonti documentarie lasciateci in eredità dall’ex sindaco di Marzabotto, Dante Cruicchi.
Il primo saggio, firmato dal curatore Carlo De Maria, è un profilo biografico del giovane Cruicchi dagli anni dell’esilio fino al secondo dopoguerra, quando inizia a muovere i primi passi nella politica delle comunità montane emiliane. Il saggio di Matteo Troilo ha un taglio dedicato al “respiro internazionale” del suo impegno, come giornalista di politica estera e, successivamente, Segretario generale dell’Unione mondiale delle città martiri. Mentre Federica Valdinoci scrive della profonda attenzione che Cruicchi dedicò al conflitto jugoslavo degli anni Novanta, Tito Menzani ne approfondisce l’impegno politico all’interno delle amministrazioni locali. Gli ultimi due saggi, firmati da Riccardo Franchi e Anna Salerno, sono dedicati alla memoria della Resistenza nell’opera di Cruicchi che culmina nella creazione del Parco storico di Monte Sole, nei luoghi dove avvenne l’infame strage nazifascista di civili dell’autunno 1944. Sono presenti inoltre, una galleria fotografica e due brevi appendici: una miscellanea di scritti dello stesso Cruicchi e un resoconto archivistico delle sue carte.
Nato a Castiglione dei Pepoli nel 1921 da mamma Giuseppina e papà Bruno – questi operaio e militante comunista dalla vita particolarmente avventurosa – Dante crebbe in un contesto familiare fortemente condizionato dalle scelte politiche del padre che, tra gli anni Venti e Trenta, maturò la decisione di emigrare in Francia, insieme alla famiglia, per cercare lavoro, sfuggire alla fame e alle persecuzioni del regime fascista. Oltralpe il giovane Cruicchi frequentò la scuola superiore, imparò il francese e, nella seconda metà degli anni Trenta, visse le sue prime esperienze politiche: partecipò all’organizzazione di una rete di supporto per i volontari delle Brigate internazionali, impegnati nella guerra civile spagnola, e si spese per la creazione di un centro giovanile antifascista.
Rientrato in Italia nel 1939, venne arruolato nell’esercito ed inviato sul fronte balcanico dove, dopo l’8 settembre 1943, fu fatto prigioniero dai nazisti e deportato in Germania insieme a tutti quei militari italiani che rifiutarono di combattere per Mussolini e la Repubblica Sociale. Sopravvissuto alla prigionia, alla fine del conflitto ritornò a Castiglione dei Pepoli dove, nelle prime elezioni libere dopo il ventennio fascista, quelle della primavera del 1946, fu eletto consigliere comunale nelle fila del Partito Comunista, a soli 24 anni. Come nota opportunamente De Maria nel suo saggio, Crucchi era dunque un rappresentante di quei “giovani del ’45” sui quali Togliatti e Longo intendevano fondare la classe dirigente comunista del futuro:
I “giovani del ’45” sarebbero diventati il quadro decisivo del “partito nuovo” nei decenni successivi. La fiducia riposta in quella generazione di giovani fu probabilmente uno dei più grandi capolavori di direzione di Togliatti e Longo. Si trattava di amministratori fortemente militanti, solitamente usciti dall’esperienza della lotta clandestina dei tardi anni Trenta e dalla guerra partigiana (ma a volte troppo giovani per avervi partecipato concretamente). Erano molto intraprendenti, altrettanto inesperti di questioni amministrative e tuttavia capaci di “bruciare le tappe” all’interno di un partito, il Pci, che fu in grado – fin dai primi anni del dopoguerra – di dare una precisa impronta alle politiche locali (De Maria, Tra esilio, deportazione e guerra, p. 43).
A partire dalla fine degli anni Quaranta, contemporaneamente all’impegno nel comune di Castiglione, Cruicchi cominciò a scrivere per conto de “La lotta”, settimanale della Federazione provinciale bolognese del Pci. I temi affrontati erano quelli riguardanti la vita quotidiana e politica delle comunità montane dell’Appennino bolognese. Occasionalmente scriveva dei brevi racconti nei quali narrava episodi di guerra ambientati in quelle zone (una miscellanea di questi scritti, curata da Matteo Troilo, è presente in appendice al volume).
Nei primi anni Cinquanta cominciò ad occuparsi di politica estera: tra i suoi interessi vi erano la lotta al colonialismo, la cooperazione internazionale e l’impegno pacifista. Contemporaneamente assunse la carica di direttore responsabile del settimanale che gli costerà il coinvolgimento in alcune vicende penali tipiche del mestiere del giornalista, dalle quali uscì con la fedina penale immacolata.
Conclusasi l’esperienza de “La lotta”, nella seconda metà del decennio Cruicchi divenne inviato speciale de “l’Unità” e funzionario del Pci, per il quale curava i rapporti con l’estero. Cominciò a viaggiare, visitando gli scenari più roventi della guerra fredda: l’Africa, il Medio Oriente, l’America Latina. Nel 1959 diventò segretario dell’Organizzazione internazionale dei giornalisti, con sede a Praga, e dimorò nella capitale dell’allora Cecoslovacchia fino al 1961, quando decise di rientrare in Italia per dedicarsi alle vicende della politica interna.
L’impegno “internazionalista” riprese tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, in una veste diversa da quella del giornalista. Nel 1982 nacque infatti l’Unione mondiale delle città martiri, di cui Cruicchi divenne segretario, negli anni in cui si andava concludendo il suo mandato come sindaco di Marzabotto, esercitato tra il 1975 e il 1985. Questo organismo si proponeva come scopo ultimo la promozione della pace nel mondo attraverso la stretta collaborazione tra le città che nel passato erano state vittime della violenza dei conflitti. Cruicchi interpretò il suo ruolo in maniera dinamica, avviando una fitta di rete di corrispondenze con i colleghi sindaci. Il fine era rendere questa Unione non un semplice fatto simbolico, ma una rete attiva di solidarietà e sostegno verso tutti quei paesi che ancora in quegli anni vivevano la realtà della guerra. In quegli anni Cruicchi si mostrava particolarmente sensibile alle questioni del disarmo nucleare – visitò Hiroshima e Nagasaki – e dei conflitti “dimenticati” nel terzo mondo. Seguiva inoltre, con attenzione e lucidità d’analisi, l’evolversi della situazione in Unione Sovietica dopo l’avvento di Gorbaciov e, più in generale, la transizione dei paesi comunisti verso la democrazia, in seguito al crollo del muro di Berlino.
Particolare interesse suscitò in lui il conflitto nei Balcani nei primi anni Novanta: il timore si scatenasse una reazione a catena – a partire dai quei luoghi che rievocavano un precedente tristemente famoso – destava grande preoccupazione in colui che, da sempre, si era speso per la promozione di una cultura di pace. Cruicchi intravedeva, tra le varie concause del conflitto, il venire meno di quella narrazione antifascista condivisa che era stata il cemento ideologico della Jugoslavia federale: fu questo il motivo per cui entrò in polemica con Renzo Foa, il quale su “l’Unità” si era dichiarato favorevole alla proclamazione d’indipendenza slovena del giugno 1991. Secondo Cruicchi, riconoscere la causa nazionale di un popolo avrebbe scatenato una spirale perversa dalla quale sarebbe emerso l’odio etnico senza compromessi di belagardisti sloveni, cetnici serbi e ustaša croati. Sarebbe stato più opportuno dunque, un intervento sovranazionale per riportare ordine e il sostegno dichiarato verso quelle realtà jugoslave che facevano della convivenza pacifica e multiculturale la propria bandiera.
Dopo l’esperienza come consigliere comunale a Castiglione dei Pepoli nell’immediato dopoguerra, Cruicchi ritornò ad occuparsi di amministrazione locale tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, quando fu eletto consigliere comunale a San Benedetto Val di Sambro. Negli stessi anni divenne consigliere provinciale e assessore a Bologna, per poi culminare la sua carriera politica come sindaco di Marzabotto, incarico che ricoprì tra il 1975 e il 1985.
Sulla candidatura di Cruicchi a sindaco di Marzabotto, si riporta nel volume un curioso aneddoto: sembra che, uscita la notizia, i segretari locali della Dc e del Psi si fossero recati in via Barberia a Bologna presso la sede del Pci dichiarando, in un primo momento, l’appoggio dei loro partiti (Menzani, Al servizio dei cittadini. L’impegno di Dante Cruicchi nelle amministrazioni locali, p. 128n).
I principali problemi che Cruicchi dovette affrontare come amministratore locale erano quelli dello spopolamento delle montagne e della creazione di politiche di welfare per il cittadino, per i quali propose soluzioni dal forte impatto sociale, fedele al “modello emiliano” di sviluppo. Da sindaco e anche successivamente, si impegnò nello sforzo di preservare la memoria storica di Marzabotto e della Resistenza, organizzando la partecipazione dei testimoni al processo contro i militari tedeschi esecutori dell’infame strage e riuscendo nell’impresa di fare riconoscere, con altrettante leggi regionali, tre istituzioni fondamentali per il territorio: il Comitato per le onoranze ai caduti di Marzabotto, il Parco storico di Monte Sole e la Scuola di pace di Monte Sole. Luogo di pace e di memoria riconosciuto internazionalmente, Monte Sole è stato visitato da personalità illustri quali i presidenti Sandro Pertini, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi, il presidente tedesco Johannes Rau, Tina Anselmi, Alexander Dubcek, l’Abbé Pierre.
Antifascista esule in Francia, protagonista di quella “resistenza silenziosa” che fu l’odissea degli internati in Germania durante il secondo conflitto, Cavaliere della Repubblica, giornalista, militante della sinistra italiana, amministratore locale, uomo del dialogo insignito del premio “Artigiano della pace”. È questo il curriculum di Dante Cruicchi, uno dei protagonisti del Novecento, il secolo dei più grandi orrori e delle più grandi speranze. Fuori da ogni luogo comune, in questo periodo di forte crisi di legittimità che investite la classe politica italiana, la sua biografia mostra come la politica, se orientata dai grandi valori e incarnata in uomini di profonda virtù, può influire in maniera decisiva sullo sviluppo della società e del territorio.