Il lato femminile della Rivoluzione dei garofani

Marco Gomes

Abstract

Lo scopo principale di questo lavoro è quello di mostrare come la partecipazione attiva delle donne portoghesi alla vita pubblica è cambiato dopo il crollo del regime autoritario. A partire dalle modalità di azione e di comunicazione che hanno caratterizzato la presenza femminile nella rivoluzione del 25 di aprile 1974, per arrivare al ruolo svolto da migliaia di donne nella sfera politica, sociale e culturale, vengono analizzati i molti canali di espressione e di intervento che dalla Rivoluzione dei garofani hanno avuto origine, imprimendo una forte accelerazione al processo di emancipazione femminile. Alcune rivendicazioni delle donne si sono materializzate. Altre no. Tuttavia in Portogallo la transizione verso la democrazia ha avviato un percorso evolutivo che a tutt’oggi non si è ancora fermato.

Abstract english

The main purpose of this paper is to show how Portuguese women’s life changed after the collapse of the authoritarian regime. We intend to describe the ways of action and communication that characterized women participation during the revolution started on 25 April 1974. Thousands of women played an active role in society, in the political, social and cultural spheres. The extraordinary liberation that came out of the “Carnation Revolution” has originated many channels of expression and intervention. Some desires had materialized. Others had not. However the Portuguese transition to democracy started an evolutionary course that has not yet stopped.

La cospirazione dei capitani del 25 aprile 1974 mise fine alla più lunga dittatura del secolo XX e segnò una profonda rottura nelle strutture politico-sociali portoghesi. I militari furono agenti di questo cambiamento e contribuirono in larga misura all’azione di soggetti che costituiscono una delle più importanti peculiarità del processo rivoluzionario in Portogallo: i movimenti popolari.

La situazione che si venne a creare mise rapidamente in evidenzia le contraddizioni generate da cinque decenni di autoritarismo, oscurantismo e repressione. Il Portogallo fu scosso da grandi tensioni politiche e sociali. La lotta all’ingiustizia e all’intolleranza evidenziò una questione che è tradizionalmente presente in ogni comunità umana: la sproporzionata differenza di potere tra uomini e donne, la disuguaglianza tra i due sessi.

L’azione dei soldati ribelli innescatasi la mattina del 25 aprile 1974 apriva nuovi orizzonti per le battaglie femministe interne al Paese. Era arrivato il momento di distruggere – o per lo meno ridurre – gli ostacoli che nel corso del tempo avevano impedito l’affermazione del genere femminile. Una sfida non certo priva di difficoltà. La donna fece il suo ingresso per la prima volta nella sfera pubblica, alla ricerca della sua identità, dei suoi diritti, della sua dignità e del rispetto di un’indiscussa alterità. Il ripristino della libertà di espressione, di pensiero e di associazione ebbe un ruolo fondamentale in questa nuova battaglia.

In uno dei più importanti contributi agli studi di genere in Portogallo, Manuela Tavares (2000, 55) parla dell’esistenza di una “cittadinanza femminile”, conseguenza di cambiamenti sociali e politici che seguirono la caduta del regime. Inserita in un modus vivendi profondamente eterogeneo, la donna conquistò spazi di intervento e di partecipazione nei grandi dibattiti suscitati dal periodo rivoluzionario. Questa necessità di espressione si espletò all’interno dell’ambito politico, sociale e culturale, utilizzò vari tipi di linguaggi (verbale, cinetico e iconografico) e diversi canali di trasmissione (giornali, bollettini, riviste e manifesti).

Anche se i movimenti sociali a cui prendevano parte non sempre esprimevano rivendicazioni inerenti la “questione femminile”, il 25 aprile toccò nell’intimo le donne, mobilitando il loro talento e le loro capacità, dando loro la parola negli scioperi e nelle manifestazioni, nei sindacati o nelle assemblee dei lavoratori. E se concentriamo l’attenzione su questo impeto discorsivo, spontaneo o frutto di riflessione, è perché in passato la condizione femminile aveva sofferto a causa del conservatorismo di un’organizzazione politica e sociale resistente al cambiamento e che attribuiva agli uomini e alle donne funzioni sociali “naturalmente” diverse. Ci riferiamo ai quasi cinquant’anni di regime totalitario di Salazar e del suo delfino Marcelo Caetano che va sotto il nome di Estado Novo.

Ne Il secondo sesso, Simone de Beauvoir si oppone strenuamente all’interpretazione che vuole la passività femminile come un dato biologico proprio della donna. Beauvoir (1974, 26) sostiene invece che quel destino passivo le è stato “imposto dai suoi educatori e dalla società”. Tale affermazione assume carattere assiomatico quando la applichiamo alla società pensata e costruita da Salazar. La dittatura cercò infatti, con insistenza, di strumentalizzare la differenza tra i sessi in favore di stereotipi precisi, relegando la donna all’ambito domestico e familiare. Questa riconfigurazione della differenza definì e accentuò lo statuto subalterno femminile durante il periodo dell’Estado Novo.

Ma neppure la Rivoluzione di aprile facilitò l’interiorizzazione di una nuova prospettiva per il genere femminile. Per molto tempo le azioni e il pensiero di importanti figure e movimenti internazionali femministi rimasero pressoché sconosciuti: dalle donne della rivoluzione francese che avevano combattuto per la libertà ai gruppi del 1840 usciti dalla convezione di Seneca Falls, dalle anarco-femministe Emma Goldman e Voltairine de Cleyre alle figure di spicco della seconda ondata del femminismo del Novecento, passando per Simone de Beauvoir, Betty Friedan o i Women Liberation Movement. La società patriarcale, le sue rappresentazioni simboliche e la memoria collettiva dei portoghesi non potevano crollare da un momento all’altro.

Uno degli esempi significativi di questo scontro di mentalità furono le reazioni suscitate da una manifestazione di donne a Lisbona, più precisamente al Parque Eduardo VII, nel gennaio del 1975. Nel corso della dimostrazione, le manifestanti furono circondate da un folto gruppo di uomini che le aggredì verbalmente e fisicamente. La stampa, da parte sua, si adoperò per snaturare completamente un’azione che aveva l’obiettivo di rivendicare il diritto alla libertà sessuale e all’aborto, descrivendola come un vero e proprio rogo di reggiseni.

Con la nostra indagine, ci proponiamo di mostrare in che modo la donna abbia svolto un ruolo rilevante nel processo rivoluzionario portoghese, di mettere a fuoco il processo creativo di significazione e i mezzi di comunicazione utilizzati e, infine, di illustrare i principali cambiamenti avvenuti nella sfera della vita quotidiana.

Estado Novo: la donna “naturalmente” diversa e assente

Più che come “singoli individui, detentori di diritti”, l’ideologia dell’Estado Novo vedeva le donne come “esseri mitizzati” (Vicente 2009, 455). Il loro posto era in casa, spose devote e madri votate al sacrificio che si occupavano della famiglia, nucleo fondante della società. Il lavoro femminile fuori casa era visto come una minaccia perché metteva a repentaglio la coesione familiare. La sottomissione e la dipendenza dall’uomo, a cui dovevano obbedienza, era stabilita dalla legge. Il conservatorismo cattolico regolava i costumi e la morale. La censura, inoltre, contribuiva a proteggere il sistema culturale creato dalla dittatura.

Il presidente del Consiglio Salazar aveva investito fortemente nella creazione di strutture tese a conservare un determinato sistema di valori. L’importante era porre fine al “declino sociale” provocato da anni di demo-liberalismo. La Obra das Mães pela Educação Nacional e la Mocidade Portuguesa Femininaassolvevano alla funzione di formare le coscienze in questo senso. Entrambe le organizzazioni erano nate negli anni 1936-37, biennio di ispirazione fascista, e avevano messo in pratica quello che Patrick Champagne (1990, 22) chiama “lavoro di imposizione” e che aveva l’obiettivo di creare un vero “credo politico”.

L’opposizione femminista all’Estado Novosi caratterizzava essenzialmente come “discorso di lamentele”. Il pensiero della donna era regredito a delle “posizioni di difesa e di resistenza” per cercare di “sopravvivere ai ripetuti attacchi di cui era stato bersaglio” (Vicente 2009, 455). Per trovare una generazione di donne femministe di rilievo bisogna tornare al tempo in cui Salazar non aveva ancora imposto le “categorie” che offrivano una precisa “percezione del mondo sociale”, per usare le parole di Pierre Bourdieu (1999). Così come era accaduto nell’Ottocento in Europa e negli Stati Uniti, emerse una generazione in cui si distinsero, tra gli altri, i nomi di Antónia Pusich (1805-1883), Maria Amália Vaz de Carvalho (1847-1921) o Carolina Michaëlis (1851-1925). Anche laLiga Republicana das Mulheres Portuguesas e il Conselho Nacional das Mulheres Portuguesas ebbero una funzione di rilievo.

Questo movimento era destinato a soccombere sotto il controllo dell’Estado Novo, e neppure la paradossale concessione del diritto di voto, nel 1931, soltanto alle donne che avessero conseguito il diploma di scuola media-superiore, riuscì ad arrestare il deteriorarsi della condizione femminile. Gli episodi di critica al regime furono effettivamente rari, ma ci furono. Non possiamo non ricordare l’azione di Maria Lamas (1893-1983), giornalista che si era fatta conoscere con il libro As Mulheres do Meu País (1948), e dell’avvocato Elina Guimarães (1904-1983) che mise la causa femminista al centro delle sue preoccupazioni. E ancora le scrittrici Florbela Espanca (1894-1930) e Irene Lisboa (1892-1958). Tra le associazioni che lottavano per i diritti della donna c’erano la Associação Feminina Portuguesa para a Paz e il Movimento Democrático das Mulheres.

Nonostante tutto, negli anni Sessanta ebbe inizio un progressivo cambiamento di mentalità e di comportamento. Il Portogallo si apriva all’Europa. L’economia si sviluppava e la manodopera femminile cresceva a dismisura. L’ideale della famiglia entrava in crisi, fu messa in commercio la pillola contraccettiva, una nuova cultura giovanile invase i luoghi di aggregazione, la letteratura internazionale si diffuse sempre di più attraverso i circuiti clandestini, e nel maggio del 1968 gli echi di Parigi alimentarono la ribellione. La donne fecero sentire la propria voce all’interno delle università e anche se la lotta contro il fascismo occupava il posto centrale, il dibattito sull’emancipazione femminile iniziava a trovare spazio all’interno del movimento studentesco.

Con il 1969 aumentarono le rivendicazioni femminili per condizioni di lavoro migliori, per l’aumento dei salari e per la creazione di strutture sociali che garantissero le donne, di pari passo con le manifestazioni contro le guerre coloniali e per i prigionieri politici. Milioni di operaie entrarono in sciopero e si unirono alle proteste, mentre la repressione delle forze dell’ordine si faceva ogni giorno più forte (Tavares 2000, 55).

Dalle Novas Cartas Portuguesas ai movimenti e ai diritti conquistati

Sin dall’Ottocento, la scrittura aveva rappresentato un modo di espressione privilegiato per l’universo femminile portoghese. In momenti di asfissia, elusi i labirinti della censura, era l’ultimo canale dove attingere un po’ di ossigeno. Un articolo del 1961 pubblicato sulla rivista studentesca “Via Latina” (bolletino della Associação Académica de Coimbra) entrò nell’immaginario collettivo. Il testo anonimo si intitolava Carta a uma Jovem Portuguesa e difendeva l’emancipazione della donna. Denunciava le forme di clausura a cui le giovani universitarie erano sottoposte e diede origine a un’accesa polemica con il giornale cattolico “Encontro” (Bebiano, Silva 2004).

Undici anni dopo Maria Teresa Horta, Maria Isabel Barreno e Maria Velho da Costa (1972) pubblicarono le Novas Cartas Portuguesas, un attacco molto violento alla morale dominante. Il libro, composto da lettere, poesie e saggi brevi, denunciava la condizione di oppressione in cui vivevano le donne, con particolare attenzione alla sfera della sessualità e criticava aspramente le guerre coloniali. Usava la denuncia per infrangere il paradigma sociale vigente. L’opera fece scandalo, le autrici furono portate in tribunale e accusate di pornografia e offesa alla morale pubblica e il libro venne sequestrato.

La censura delle Novas Cartas Portuguesas ebbe vaste ripercussioni a livello internazionale. Molte femministe insorsero contro i rappresentanti portoghesi all’estero, organizzarono manifestazioni di protesta e scrissero ufficialmente al governo portoghese. L’ambasciata portoghese in Olanda fu occupata da un gruppo di manifestanti. Le tre Marie – così erano state ribattezzate le scrittrici portoghesi – furono assolte il 7 maggio del 1974. Il processo alle autrici delle Novas Cartas Portuguesas contribuì all’avvento di grandi conquiste, all’interno del più ampio processo di liberazione innescato dalla Rivoluzione dei garofani: la libertà di espressione e di pensiero e la libera creazione artistica. Il libro, tradotto e pubblicato in vari Paesi, favorì la nascita di una nuova coscienza sociale che rifiutava in toto la discriminazione in base al sesso e che esigeva la creazione di norme che la impedissero, rivendicazione che divenne uno degli ideali della Rivoluzione e che trovò la propria consacrazione nella Costituzione del 1976.

Dopo la dissoluzione dell’Estado Novo e le molte lotte politiche e sociali che ne seguirono, iniziò la costruzione di una democrazia di tipo occidentale. Il 25 aprile trasformò la vita quotidiana di molte donne, intervenendo in modo diretto nelle loro esistenze. Per esempio, le persone sposate in chiesa potevano adesso divorziare; si consacrò l’uguaglianza tra uomini e donne in tutte le sfere della vita; venne stabilito un salario minimo nazionale unico; alle donne si aprì la possibilità di intraprendere la carriera di magistrato, di pubblico ministero, di dipendente della giustizia, della diplomazia e di accedere a tutti gli incarichi amministrativi locali; vennero abolite le norme giuridiche che riducevano la pena o addirittura assolvevano gli uomini da alcuni crimini quando le vittime erano le proprie mogli o figlie; si cancellò il diritto che permetteva ai mariti di aprire la corrispondenza della moglie.

Altre misure vennero adottate per concedere diritti nell’area della previdenza sociale e della famiglia. Fu costruita una rete di servizi (asili nido e scuole materne) e infrastrutture di base (acqua, elettricità e fognature) che garantiva nuove condizioni di vita e di lavoro a tutti i cittadini. Tutta la rete dei servizi pubblici fu progressivamente ampliata e rafforzata. Furono apportate sostanziali modifiche al Codice civile e al Codice penale. E se una parte di questa evoluzione fu determinata senza dubbio da un percorso politico che mirava alla costruzione di uno stato socialista, la presenza attiva delle donne ebbe comunque un ruolo di grande importanza.

Ma come si realizzò, in concreto, la partecipazione attiva delle donne nel periodo rivoluzionario? È importante sottolineare che l’iniziativa femminile ebbe diversi gradi di visibilità: in primo luogo nell’ambito del diritto alla casa (commissioni di abitanti), ma anche delle lotte sindacali e lavorative e, ovviamente, nel dibattito relativo alla contraccezione e alla legalizzazione dell’aborto. Il 30 aprile 1974, solo poco giorni dopo la Rivoluzione, ci fu la prima occupazione di case a Lisbona, in un quartiere chiamato Bairro da Boavista. Due giorni dopo fu la volta del Bairro da Fundação Salazar, ribattezzato immediatamente Bairro 2 de Maio. In ognuna di queste azioni di rivendicazione del diritto alla casa, la partecipazione delle donne si rivelò determinante. Il fenomeno si estese a tutto il 1975 e assunse i contorni di un’azione volta a creare un vero e proprio servizio per la comunità. Gli edifici furono trasformati in scuole materne e ospedali, o servirono da sede per gruppi culturali, come illustra perfettamente il caso della compagnia teatrale A Comuna, che fino a pochi anni fa occupava ancora quegli stessi locali.

Nei primi mesi del 1975 ebbero inizio le occupazioni delle grandi proprietà agricole, magistralmente ritratte dal fotografo italiano Fausto Giaccone. “Quello che vogliamo è lavoro e lo avremo” fu una delle frasi che accompagnarono lo sforzo di molte donne impegnate nella lotta per l’appropriazione delle terre da parte dei braccianti.

In un periodo caratterizzato dalla fragilità delle istituzioni, furono portate avanti dalle donne anche molte lotte operaie. Esemplare il caso delle 180 operaie dell’azienda svizzera Cintidel, che a Lisbona accerchiarono l’Hotel Ritzcon l’obiettivo di obbligare l’amministrazione a negoziare la sopravvivenza della fabbrica e a garantire il loro posto di lavoro. La trattativa coinvolse vari ministeri, il capo del governo e l’ambasciatore svedese. Diversi procedimenti di autogestione furono guidati dalle donne, sempre in un’ottica di difesa del diritto al lavoro, questione centrale nei mesi successivi al golpe militare. Altri scontri si focalizzarono sull’espulsione dei padroni dalle proprie aziende, sull’aumento dei salari, sul pagamento delle ore per occuparsi dei propri figli, sulla riduzione dell’orario di lavoro e sull’abolizione del controllo della pausa per andare in bagno.

Molte volte le donne impedirono l’uscita dei prodotti dalla fabbrica in segno di protesta. Organizzarono scioperi e pretesero la riassunzione di dipendenti, arrivando anche a optare per azioni violente, come il sequestro del datore di lavoro. In altri casi presero in mano loro stesse la produzione delle aziende e il processo di commercializzazione. Furono esperienze che si tradussero in “spazi di formazione e di maturazione della coscienza per centinaia di donne” e non solo (Tavares 2000, 29).

Varie associazioni assunsero una funzione determinante in questo risveglio delle coscienze. Il Movimento Democrático das Mulherese il Movimento Internacional de Mulhres Cristãscontinuarono l’attività intrapresa prima del 25 aprile. Il primo collettivo si concentrò su rivendicazioni politico-sociali di carattere generale, mentre il secondo esercitò la sua azione soprattutto nell’ambito rurale (Ibidem, 62). Nonostante la depenalizzazione dell’aborto rappresentasse un denominatore comune, l’impegno delle diverse associazioni fu caratterizzato da una molteplicità di iniziative. Tra le tante associazioni furono particolarmente rilevanti il Movimento de Libertação das Mulheres(maggio 1974)e la União das Mulheres Antifascistas e Revolucionárias (settembre 1976).

Vennero creati dipartimenti dedicati alla questione della donna anche all’interno delle forze politiche, nel Partito socialista (Ps), nelCentro democrático sociale (Cds-pp), e nella Organização das Mulheres Comunistas. È chiaro che molte rivendicazioni rimasero solamente tali. Tuttavia questo fenomeno associativo riuscì a diventare un movimento maturo e a stringere un legame con il soggetto a cui si rivolgeva.

La partecipazione femminile nei conflitti ideologici

Durante il periodo rivoluzionario la popolazione portoghese conobbe indubbiamente un momento di grande fermento. Fu un periodo di cambiamenti veloci, folgoranti, vertiginosi, dove qualunque preoccupazione per le regole di condotta sociale passava in secondo piano. Ciò che interessava era il recupero della dignità perduta e la costruzione di una società diversa, di una donna nuova e di un uomo nuovo. E non si trattò soltanto dell’emergere di una coscienza di classe fra i lavoratori. Tutto era politica. Si respirava politica. In questo progetto spettava alla donna un ruolo ben preciso. Le grandi discussioni ideologiche videro la presenza della donna sia nell’ambito dell’educazione che della stampa, dell’arte, del teatro e della letteratura.

In questo contesto, è doveroso ricordare il grande apporto dato da Maria de Lurdes Pintasilgo e Isabel do Carmo. Formatasi alla facoltà di ingegneria chimica, Maria de Lurdes Pintasilgo divenne nel giugno del 1974 la prima donna portoghese a ricoprire la carica di ministro, a capo del dicastero degli Affari sociali. Ben presto si accorse che una “rivoluzione comporta una nuova cultura (Pintasilgo 1975, 3)1 e riorganizzò la Comissão da Condição Feminina (Comissione della condizione femminile), della quale fu eletta presidente. In seguito, le furono affidati vari incarichi di rilevanza sia nazionale che internazionale ed è rimasta nella memoria collettiva dei portoghesi per essere stata il primo ambasciatore donna presso le Nazioni Unite e, soprattutto, la prima donna a guidare un governo della Repubblica (1979-1980).

Anche Maria Isabel do Carmo abbracciò la lotta politica. Ancora in clandestinità fondò e guidò insieme a Carlos Antunes il Partido revolucionário do proletariado (Prp) e le Brigadas revolucionárias (Br), organizzazioni di estrema sinistra che sostenevano la necessità della lotta armata. Il Prp fu molto attivo politicamente dopo il 25 aprile e si occupò del sequestro di centinaia di armi dell’esercito che sarebbero servite a organizzare un’insurrezione popolare, qualora vi fosse stato un golpe militare di destra in risposta alla Rivoluzione dei garofani, eventualità che all’epoca era più che una supposizione. Medico di professione, Isabel do Carmo diresse il giornale “Revolução” diventando un’icona della estrema sinistra. Il 5 novembre 1975, esordendo con l’affermazione “dobbiamo pareggiare i conti con il vostro giornale”, pretese un’intervista in prima pagina sul “Século” (Carmo 1975, 1)2.

Nei mesi successivi al 25 aprile, la lotta politica fu messa in atto, ovviamente, su più fronti. Come in un caleidoscopio, la stampa rifletteva diverse visioni di una stessa realtà. Ebbero un forte impatto i testi della scrittrice Natália Correia sui giornali “A Capital”e “a Luta”, che suscitarono accese discussioni. Invocò la libertà, il pluralismo democratico e attaccò le nuove forme di censura. Questi contributi spinsero il poeta Miguel Torga (1975, 7), solitamente schivo e riservato, a rompere “le virtù del mutismo” e a decantare la “nobiltà intellettuale” dell’autrice di Não percas a Rosa.

Le pagine del settimanale “Tempo” ospitarono un’altra vivace voce femminile, la polemica giornalista Vera Lagoa. Il 21 agosto 1975, in un impeto di rabbia, si rivolse direttamente al primo ministro con il tono combattivo che la caratterizzava: “Vasco Gonçalves, ascolti il mio grido!” (Lagoa 1975a, 3). La cronista rincarò la dose quando il mese successivo dichiarò alla più alta carica dello Stato: “Signor Presidente, non le porto più rispetto”. L’articolo accusava il presidente della Repubblica, Francisco Costa Gomes, di essersi servito del generale António Spínola e del generale Vasco Gonçalves come fossero dei “mantelli da buttare via, quando non servono più”. E aggiungeva: “Lei, signor Presidente della Repubblica, non si limita a mettere sugli occhi gli occhiali scuri. Li usa sull’anima. Nessuno La capisce” (Lagoa 1975b, 3).

La stampa fu uno dei settori che meglio rappresentò le diverse interpretazioni del progetto sociale in fieri: c’erano gli araldi della democrazia rappresentativa, i difensori del modello marxista collettivista e gli adepti del socialismo utopico e della via socialista-populista dell’estrema sinistra. Si susseguirono dispute accese per il controllo dei più popolari organi di comunicazione, come la Rádio Renascença, i quotidiani “O Século”e“Diário de Notícias”. Maria Antónia Palla, Maria Adelaide Paiva, Luísa Dacosta e Maria de Lurdes Pintasilgo fecero parte di un Conselho de Imprensa (Commissione stampa) che aveva il compito titanico di definire le regole di condotta di giornali e giornalisti. Si trattava di un lavoro estremamente complicato perché molti protagonisti del periodo rivoluzionario partivano dal presupposto che il controllo dei media gli avrebbe assicurato la vittoria politica.

Le divergenze interne al giornale “República” assunsero la dimensione di una questione internazionale. Helena Marques abbandonò il quotidiano e seguì un gruppo di giornalisti che, dopo un’insanabile frattura con gli editori della testata, fondò “a Luta”.L’episodio ebbe eco anche in Europa, dove la stampa seguiva con una certa attenzione le vicende portoghesi. Al “Corriere della Sera”, il caporedattore degli esteri, Renzo Carnevali, rassegnò le dimissioni perché un titolo che denunciava la censura degli editori portoghesi del giornale “República” fu sostituito durante la notte senza il suo permesso. Si aprirono discussioni su argomenti come la Legge della Stampa, l’egemonia operaia, il diritto all’informazione, l’importanza del ruolo di direttore e del comitato di redazione, il progetto della sinistra portoghese e francese, l’eurocomunismo, i sistemi dell’Est europeo (Mesquita 1994).

La presenza femminile fu preponderante anche all’interno di altri organi di informazione. La giornalista Maria Fiadeiro fece una celebre intervista (1975) al suo nuovo direttore Francisco Lopes Cardoso, operaio linotipista di “O Século”. Inoltre, ebbero grande risonanza le testimonianze di Alice Gomes (“A Capital”); i servizi sul Portogallo rurale di Lurdes Féria (“Diário de Lisboa”);le interviste politiche di Helena Vaz da Silva (“Expresso”); il servizio di Alice Nicolau (“Diário de Lisboa”)sulla Conferenza di Helsinki; le memorie Gina Freitas su la forza ignorata delle compagne che sono rimaste nell’ombra (“Diário de Lisboa”); o ancora le cronache radiofoniche di Diana Alhandra dedicate alla donna nel momento presente (Rádio Clube Português).

L’incontenibile desiderio di partecipare alla costruzione del Paese si estese a tutte le aree e si manifestò in modo particolarmente evidente nelle questioni interne al mondo della cultura. La nazionalizzazione del teatro fu uno dei principali temi di discussione del marzo del 1975. Il dibattito sul concetto di cultura mise in conflitto diretto il Partito comunista portoghese (Pcp) e il Ps, anche se il confronto non coinvolse queste due sole forze politiche. Di particolare interesse si rivela la polemica a cui diedero origine sulle pagine dei giornali dell’epoca José Viena (Pcp) e l’attrice Maria Barroso (Ps). L’attrice, sposata con il leader del Ps Mário Soares, prese una posizione ben chiara: “Non sarò connivente, caro amico, con l’assassinio della libertà di espressione e di pensiero in Portogallo, […] io non sarò connivente con il nuovo modo in cui vorreste mettere a tacere il popolo portoghese” (Barroso 1975a, 4)3. Il poeta David Mourão Ferreira venne allontanato dalla direzione di “A Capital” per aver sostenuto Natália Correia, contraria alla nazionalizzazione del teatro, così come l’attrice Glória de Matos.

Nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione dei garofani, il mondo della cultura si preoccupò in primo luogo di eliminare un passato oppressivo, rendendo omaggio agli eroi della libertà e realizzando progetti fino a poco tempo prima impensabili. In seguito si concentrò sull’organizzazione dei diversi settori artistici, assumendo sin da subito un carattere fortemente corporativo (Dionísio 1993). Esplosero conflitti che riflettevano concezioni culturali ed estetiche spesso opposte. La poetessa Sophia de Mello Breyner (1975a, 19) affermò in un dibattito sulle arti di avanguardia che “un vero periodo rivoluzionario rimane aperto a tutte le forme di creazione”. Successivamente definì “festival dell’invidia” un’altra infiammata disputa deflagrata in merito a una mostra di pittori portoghesi che avrebbe dovuto tenersi prima a Parigi e poi nei Paesi dell’Est, ma che non fu mai realizzata. L’oggetto del contendere era la scelta dei 38 pittori le cui opere sarebbero state esposte alla mostra. Sophia de Mello Breyner (1975b, 10) si definì “radicale nei principi e nel metodo” e ricordò che i festival dell’invidia erano sempre riusciti a “adattarsi a tutte le ideologie e a tutte le circostanze politiche”.

In occasione del primoCongresso degli scrittori portoghesi nel maggio del 1975, molte scrittrici intervennero per lasciare la propria testimonianza. Alice Gomes, Natália Nunes, Agustina Bessa-Luís, Maria Alzira Seixo, Noémia Seixas, Teresa Crespo o Lucinda Araújo furono soltanto alcune delle autrici che si espressero sulle condizioni della creazione letteraria, sull’atteggiamento da assumere di fronte alla nuova situazione politica, o su questioni di carattere ideologico, come il ruolo dello scrittore nella rivoluzione culturale e il suo futuro professionale.

L’“assalto” allo spazio pubblico

La proliferazione spontanea delle immagini come mezzo di comunicazione costituì una delle peculiarità della Rivoluzione dei garofani. Il Portogallo fu contemporaneamente attore e spettatore di una Storia che avanzava a un ritmo allucinante. È interessante comprendere il carattere pubblico di un linguaggio collettivo, fino ad allora imbavagliato, che nella sfera pubblica trasmetteva e riceveva allo stesso tempo. L’azione sociale e politica assunse le forme più diverse: parlare, cantare, dipingere, scrivere o ballare entrarono a far parte di un insieme di elementi espressivi che annunciavano un nuovo ordine comunicativo. Si assisteva a un’eccitazione libera che spingeva insistentemente alla sperimentazione di questa nuova condizione in cui si univano essere e potere.

Teresa Torga – attrice e fadista il cui vero nome era Maria Teresa, ma aveva scelto Torga come nome d’arte in omaggio al poeta Miguel Torga – non si lasciò sfuggire questa opportunità. Il 6 maggio 1975 decise di danzare per strada e fare lo spogliarello. L’episodio attirò l’attenzione dei passanti, degli automobilisti, del fotografo António Capela e fu riportato dal quotidiano “Diário de Lisboa” (1975a, 4). Zeca Afonso, cantautore e voce della Rivoluzione, le dedicò una canzone, rendendola così immortale.

La libertà conquistata con il 25 aprile riuscì a superare la retorica della comunicazione politica, andando a toccare gli aspetti simbolici della memoria collettiva e le forme di espressione, sia individuali che collettive. A Lisbona, una piccola piazza che si apriva sulla Rua de Pedrouços fu ribattezzata Largo Maria Isabel Aboim Inglês, intellettuale e militante antifascista, quasi a voler cancellare il passato per dare continuità al presente . Si moltiplicarono i tributi a Catarina Eufémia, bracciante dell’Alentejo assassinata dalla polizia e divenuta un’icona antifascista.

Il grigio, il nero, gli slogan della forza politica “consensuale” lasciarono il posto al quadro multicolore di un Portogallo libero, caratterizzato da una pluralità di voci e contenuti. Le donne militanti arricchirono ulteriormente questo periodo fertile con la creazione di manifesti, riviste e giornali. Gli argomenti trattati erano di carattere politico, come nel caso del “Boletim da União das Mulheres Comunistas [M-L]”, o riguardavano rivendicazioni e questioni prettamente femminili, come nel caso del “Boletim MDM”, “Catarina”, “Folha Informativa. MDM”, “8 de Março”, “NÓS as mulheres”, “Boletim da UMAR”, “Situação Mulher”, “LUA”, “Jornal 22 de Março”, “MLM”, “Da Mulher”, “Movimento de Unidade Democrática”, “Modas e Bordados”. Gran parte di questi organi d’informazione aveva avuto origine all’interno del movimento associativo.

Fig. 1. Furono molte le pubblicazioni dedicate alle tematiche femministe che permisero alle donne di intervenire nello spazio pubblico.

L’apporto delle donne si estese anche alle pubblicazioni dei comitati di quartiere, delle associazioni degli studenti, dei nuclei dei lavoratori e dei sindacati. I contributi giornalistici, ma anche la partecipazione diretta a livello organizzativo e amministrativo, testimoniavano l’impegno individuale nei quotidiani e in riviste quali “Vida Mundial” e “Flama”. Nel 1975 Maria de Lurdes Belchior assunse la direzione del settimanale “Nova Terra”, mentre Maria Ângela Vidal diresse “Poder a quem trabalha já”, giornale della Associação de Amizade Revolucionária Portugal-Itália. L’anno successivo Natália Correia divenne direttrice di “Vida Mundial”.

Il linguaggio visivo nella sua dimensione figurativa e cromatica amplificò il senso dei messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. Il discorso iconografico si espresse attraverso adesivi, portachiavi, oggetti decorativi, murales, manifesti politici, caricature, elementi di espressione artistica, vignette e fotomontaggi. Le rappresentazioni grafiche della parola Rivoluzione dell’autrice Ana Hatherly e le illustrazioni umoristiche di Isabel do Carmo, in un certo senso, furono simbolo del lato femminile della rivoluzione di aprile. Alla base di queste forme d’espressione c’era quasi sempre una precisa volontà politica.

Fig. 2. Vignetta di Isabel do Carmo, in “a Luta”, 15 setembre1975.

La musica impegnata fu probabilmente uno dei mezzi di comunicazione più efficaci dell’intenzione politica che caratterizzò l’intero periodo. Fu una vera e propria forma di lotta contro la dittatura e si rivelò un elemento strategico nell’organizzazione dell’insurrezione del 25 aprile: due canzoni trasmesse via radio servirono da segnale per l’inizio delle operazioni militari. Successivamente, la musica invase l’immaginario collettivo, riflettendo le lotte politiche che seguirono l’azione dei capitani. Il nome di Ermelinda Duarte è associato al maggior successo commerciale di quel periodo. Il brano Somos livres diventò rapidamente un inno alla giovane democrazia portoghese. E, caso unico, nel 1975, gli fu persino dedicato un breve film realizzato dalla televisione di stato (Rtp). La componente politica era evidente nelle parole della cantante: “Mi piacerebbe che si ascoltasse questa canzone […] nella consapevolezza che la lotta è appena cominciata e bisogna avere le armi sempre pronte” (Duarte 1975, 4)4.

Afferma Hannah Arendt (2006) che le rivoluzioni, insieme alle guerre, hanno determinato la fisionomia dell’ultimo secolo. E difficilmente le inevitabili ripercussioni che portano con sé si avvertono solamente entro le frontiere dei Paesi che le hanno vissute sulla propria pelle. La singolarità del processo portoghese veniva dall’urgenza che il Paese aveva di dialogare con se stesso e scosse profondamente anche la politica e la stampa internazionale. Improvvisamente il Portogallo divenne meta per turisti, intellettuali, giornalisti e politici dall’Europa e dalle Americhe. Anche l’italiana Oriana Fallaci si recò in Portogallo e intervistò due figure di spicco della politica nazionale, Mário Soares (Ps) e Álvaro Cunhal (Pcp), allora rappresentanti di due progetti politici chiaramente contrapposti. La giornalista dell’“Europeo” non solo raccolse due testimonianze di grande importanza storica, ma con la sua intervista a Cunhal fu artefice di uno degli episodi più fortemente mediatici del processo rivoluzionario.

Il bisogno di comunicare con l’estero fu particolarmente sentito. Nel giugno del 1975, Anno Internazionale della Donna, l’astronauta sovietica Valentina Terechkova accettò l’invito del Movimento Democrático delle Donne a venire in Portogallo. Due mesi prima erano arrivati Michel Foucault e la coppia Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. In un incontro organizzato alla Facoltà di lettere di Porto, Beauvoir preconizzerà la “decolonizzazione delle donne”. Sempre nel 1975 altri importanti nomi della politica e della cultura avrebbero compiuto il loro viaggio in Portogallo. Alcuni di essi rivestirono un importante significato per l’universo femminile: Alicia Alonso, celebre ballerina cubana, Elba Verga, esponente della resistenza cilena, Hortensia Allende vedova di Salvador Allende, e la scrittrice Marguerite Duras, ospite del Festival di Cinema di Figueira da Foz.

Il Portogallo era finalmente uscito dall’isolamento politico e culturale, a cui il salazarismo lo aveva costretto per quasi cinque decadi. “I viaggi all’estero di personalità e gruppi portoghesi sono da considerarsi una vittoria, così come la venuta di stranieri in Portogallo è un certificato di qualità” (Dionísio 1993, 176). Maria Barroso prese parte al seminario dei partiti socialisti sulla condizione femminile che si tenne Roma nel 1975. “Dolcemente socialista”, come la definì una giornalista del Messaggero, la “Prima Signora del nuovo Portogallo” meritò l’attenzione del quotidiano romano che la descrisse come una donna “eccezionale” e un modello di “compagna di ideali e di lotte politiche”. Maria Barroso (1975b, 5)5 parlò della sua partecipazione attiva alla campagna elettorale per l’Assemblea costituente al fianco di Mário Soares, ed espresse chiaramente le sue idee sul concetto di famiglia: “io non credo nella famiglia come istituzione. Ma credo con tutte le mie forze […] nella famiglia come scelta individuale e sentimentale”.

È innegabile che la Rivoluzione dei garofani abbia aperto nuovi orizzonti alle donne portoghesi, permettendo loro di recuperare forme di intervento nello spazio pubblico già sperimentate e di inaugurarne altre. Ci fu un’ampia, concreta e inedita partecipazione alle manifestazioni, alla gestione delle aziende, ai sindacati, agli organi di potere locale, alle strutture popolari di base, alla stampa, alla cultura e all’attività politica. Le donne imposero la loro presenza fino ad allora irrilevante e iniziarono un cammino di conquiste che ancora oggi non si è concluso.

Questo processo di trasformazione, che già aveva rivelato caratteri anticonformisti latenti negli anni Sessanta, mise in luce quelle dinamiche che contribuirono al cambiamento delle mentalità, delle routine sociali e che determinarono le modalità in cui la società portoghese costruiva l’immagine del genere femminile. Tuttavia, è possibile una storia che si vanta di aver rimosso le divisioni di genere istituite anteriormente? Non c’è dubbio che l’azione della donna e la sua dimensione simbolica abbiano assunto un ruolo preponderante in diversi campi. Sono molti i settori dove questa azione ha conquistato un certo spazio e ha ridotto le iniquità. In ogni caso, esistono ancora ghetti cognitivi che si oppongono o sminuiscono l’intervento femminile. Ovvero: si assiste a una specie di confronto che oppone le rappresentazioni moderne della donna all’immagine tradizionalmente riconosciuta di essa o che favorisce la coesistenza delle due prospettive.

Biografia

Marco Gomes è dottorando in Scienze della comunicazione presso l’Università di Coimbra-Portogallo. Dal gennaio 2010 sta svolgendo attività di ricerca come visitor presso il Dipartimento di Studi sociali e politici dell’Università degli Studi di Milano.

Biography

Marco Gomes is about to graduate in Science of Communication at the University of Coimbra – Portugal. He has been Researching Visitor at the Department of Social and Political Studies at the University of Milan since January 2010.

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1975b              É imperioso ter as armas sempre prontas, 7 maggio.

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Archivi

Centro Documentação 25 de Abril (archivio femminismo).

  1. Citato da “a Luta” 1975, 3.  []
  2. Citato da “O Século” 1975, 1. []
  3. Citato da “O Século” 1975, 4. []
  4. Citato da “Diário de Lisboa”, 1975b, 4. []
  5. Citato da Mori 1975, 5.  []