di Tito Menzani
Il 4 e il 5 settembre 2008, a Pisa, si teneva il convegno Intervento pubblico, dirigismo e programmazione economica in Italia: continuità e cambiamenti (1922-1956), il quale chiudeva l’omonimo programma di ricerca cofinanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca, e che vedeva coinvolti gli atenei di Milano-Cattolica, Milano-Bicocca, Napoli Federico II, Pisa e Trento.
Ad oltre due anni di distanza – e con il patrocinio della Società italiana degli storici dell’economia (Sise) – sono usciti gli atti di quel convegno, curati da Alberto Cova, professore emerito della Facoltà di economia dell’Università Cattolica di Milano, dove è stato ordinario di storia economica nonché preside della stessa Facoltà e direttore dell’Istituto di storia economica e sociale “Mario Romani”, e da Gianpiero Fumi, professore associato di storia economica presso la Facoltà di economia dell’Università Cattolica, sede di Roma.
Come spiega Alberto Cova nella premessa, il volume vuole apportare un contributo di spessore – ampio e articolato – al dibattito sull’intervento dello Stato nell’economia italiana, limitatamente ad un periodo cruciale di questo rapporto e cioè agli anni del fascismo e del primo decennio dell’Italia repubblicana. In questa fase, infatti, si crearono le basi di un sempre maggiore coinvolgimento dello Stato nella dimensione “imprenditoriale”, prima come espressione di una cultura nazionalista in buona parte dirigista o anche come reazione alla crisi del ’29, e poi come eredità da non disperdere in un’economia di mercato sempre più dinamica.
Tra l’altro, la recente crisi economica ha messo nuovamente in difficoltà le impostazioni eccessivamente liberiste e riportato all’ordine del giorno il tema della mano pubblica nelle sue varie e possibili applicazioni. Va da sé che il volume finisce per inserirsi compiutamente in un dibattito attualissimo, apportando un contributo storico tutt’altro che banale o trascurabile. Se si scorrono i diciassette saggi contenuti nella curatela, ci si imbatte in casi di studio e in ricostruzioni di dibattiti che hanno più di un aggancio con l’attualità, e che soprattutto contribuiscono a gettare nuova luce su ambiti storiografici che necessitavano effettivamente di approfondimenti e chiarificazioni.
Il primo saggio, intitolato Giovanni Montemartini. L’impresa politica e la teoria della municipalizzazione, è di Andrea Pitzalis, dottore di ricerca in storia delle dottrine economiche e collaboratore dell’Università di Firenze. Pitzalis ricostruisce la cultura economica e i principali percorsi concreti che portarono all’ascesa delle imprese municipalizzate nell’Italia del primo Novecento. Si tratta di contributo che analizza una fase antecedente all’arco cronologico esplicitato nel titolo del volume e che pone all’attenzione del lettore alcuni temi certamente importanti anche per la comprensione dei saggi successivi. D’altronde, l’opera di Montemartini – personaggio molto studiato a livello storiografico – segnò davvero una svolta nei rapporti tra ente pubblico, seppur locale, ed economia di mercato.
Segue il saggio di Pasquale Galea, docente a contratto di storia economica e di storia della moneta e della banca presso gli atenei milanesi Cattolica e Bicocca, intitolato Protagonisti, istituzioni e strutture finanziarie nell’intervento di salvataggio del banco di Roma. Il contributo di Oscar Sinigaglia. In queste pagine, Galea spiega i meccanismi che portarono al primo importante e decisivo impegno dello Stato centrale nell’economia, che appare assolutamente periodizzante nell’ambito dei temi affrontati nella curatela. L’analisi del ruolo di Sinigaglia è interessante alla luce dell’apporto che quest’ultimo avrebbe dato all’Ilva e – dopo la parentesi delle leggi razziali che gli sarebbe costata la temporanea estromissione dalla vita pubblica – alla Finsider e all’industria siderurgica italiana nel suo complesso.
Il terzo contributo è di Nicola De Ianni, professore associato di storia economica presso l’Università Federico II di Napoli, e tratta di Guido Jung e lo Stato imprenditore. Anche in questo caso è analizzata una figura di primo piano del dirigismo pubblico di quegli anni, ossia Guido Jung, imprenditore palermitano di origini ebraiche, fascista della prima ora e poi fondatore dell’Iri in qualità di ministro delle Finanze. Ma il suo rapporto con Mussolini evolse negativamente e successivamente le leggi razziali chiusero in maniera praticamente definitiva la sua carriera.
Il contributo successivo, Il Banco di Napoli e l’intervento pubblico contro e per il Mezzogiorno (1926-1962), è di Francesco Balletta, professore ordinario di storia economica presso l’Università Federico II di Napoli, le cui ricerche – fra gli altri esiti – hanno documentato la penalizzazione del Sud Italia a seguito dell’unificazione dell’emissione di carta-moneta, avvenuta nel 1926. Il questo saggio la questione è riproposta in un’ottica temporale più ampia, che si spinge fino alla creazione della Cassa per il Mezzogiorno, fra provvedimenti che favorirono l’economia meridionale ed altri che invece la danneggiarono.
Giuseppe Conti e Maria Carmela Schisani – rispettivamente professore ordinario e professore associato di storia economica presso le Università di Pisa e di Napoli Federico II – sono gli autori del quinto saggio, intitolato Crisi di governance e crisi di liquidità. La fine del modello di banca mista nel periodo tra le due guerre. In questa ricerca si valuta in una nuova prospettiva l’abbandono della banca mista e l’isterilimento del mercato mobiliare italiano dopo la Grande Guerra. E viene mostrato come questa transizione non fu banale e lineare, ma “a tentoni” e corredata da alcuni shock originati da una congiuntura ondivaga, che aumentava l’aleatorietà dell’intero sistema.
Il sesto saggio, L’intervento pubblico in Italia negli anni tra le due guerre: una fonte americana, è di Maurizio Romano, dottore di ricerca in storia economica e collaboratore a vario titolo dell’Università Cattolica di Milano. Attraverso gli articoli apparsi sulla rivista “American academy of political and social science”, viene analizzata la percezione estera dell’Italia fascista, in riferimento alle scelte economiche del regime. Ne esce un’immagine articolata in tre scansioni cronologiche differenti: di nazione povera negli anni venti, di interesse per il corporativismo nella prima metà dei trenta, e di critica al volto autoritario del fascismo nella fase immediatamente successiva.
Di grande rilievo è anche il contributo successivo, Stato e industria cinematografica durante il fascismo. Fra propaganda, controllo e incentivi, scritto da Daniela Manetti, professore associato di storia economica all’Università degli studi di Pisa. Si tratta di un saggio che fa luce su aspetti finora rimasti un po’ in ombra rispetto ai temi trattati dalla storia economica, ma che non possono certo dirsi trascurabili. Anzi, l’inevitabile sconfinamento nel perimetro del rapporto tra Stato e mass-media o tra Stato e promozione culturale arricchisce di nuove implicazioni questo argomento, perché – come spiega Daniela Manetti – controllare il cinema significava poter forgiare una nuova identità culturale e nazionale, che appariva quanto mai un percorso imprescindibile per un regime antidemocratico e illiberale.
Segue un saggio di Daniela Felisini, professore associato di storia economica all’Università Tor Vergata di Roma, intitolato La continuità nelle banche pubbliche italiane nel secondo dopoguerra. Nuove evidenze dalle carte dell’epurazione. In queste pagine viene ulteriormente approfondito un tema di assoluto interesse storiografico, ossia la continuità dello Stato prima e dopo il 1945. All’ampia gamma di casi fa da contraltare una tendenza di fondo sostanzialmente conservativa, che – nel caso bancario – si risolse in una minor incidenza dell’epurazione e in una continuità nell’ambito delle politiche di credito.
Altri elementi di continuità tra le politiche economiche del regime fascista e quelle dell’Italia repubblicana vengono dal saggio successivo: La regolazione pubblica dei prezzi. Il caso dei “prezzi amministrati” nell’economia corporativa e nel primo decennio del secondo dopoguerra, di Alberto Bianchi, docente di storia economica alla Università del turismo Campus Lucca. Il settore considerato, infatti, consente di mettere a fuoco i meccanismi di sostegno delle attività produttive che si era deciso di regolare, i quali, appunto, mostrano molte similitudini in tutto l’arco di tempo analizzato.
Il decimo saggio, Intervento pubblico e politiche sociali in Italia nel secondo dopoguerra. Il piano Ina-casa, è di Tommaso Fanfani, già ordinario di storia economica all’Università degli studi di Pisa, venuto a mancare in coincidenza dell’uscita in libreria del presente volume. Il contributo di Fanfani è il primo all’interno della curatela che si occupa solo del periodo post-fascista, e infatti propone in maniera necessariamente sintetica, ma con una robusta evidenza quantitativa, i risultati delle proprie ricerche sugli effetti della politica per la casa nel secondo dopoguerra.
Le pagine successive contengono il saggio Towards the planning era in Italy. Pasquale Saraceno, Vera Lutz e la Rockfeller Foundation negli anni Cinquanta, di Daniela Parisi, professore ordinario di storia del pensiero economico all’Università Cattolica di Milano. L’attenzione è incentrata su Vera Smith, meglio conosciuta come Vera Lutz, e sulle sue idee di rivedere il libero mercato attraverso una pianificazione economica in cui fosse stabilito un chiaro nesso tra mezzi e fini del sistema produttivo.
Il contributo seguente, La meccanica agevolata. Dal controllo corporativo al Fondo industria meccanica (1929-1957), scritto da Andrea Maria Locatelli, ricercatore di storia economica all’Università Cattolica di Milano e Piacenza, ci riporta negli anni trenta. Infatti, viene analizzato il settore della meccanica dalla fase autarchica e sostanzialmente corporativa al periodo degli anni cinquanta, in cui maturò un nuovo assetto delle cosiddette partecipazioni statali.
Valerio Varini, ricercatore di storia economica presso l’Università di Milano-Bicocca, si occupa poi de La genesi dell’impresa pubblica. La Breda nel secondo dopoguerra. Il saggio si concentra su un caso di studio particolarmente interessante, quale è la Breda dopo la fine del secondo conflitto mondiale, che consente anche di verificare le modalità di applicazione e gli effetti originati nel breve periodo dal Fondo industria meccanica, del quale si era parlato nelle pagine precedenti.
Il contributo successivo, intitolato Il ruolo degli istituti di credito speciali nello sviluppo economico italiano tra dopoguerra e “miracolo economico”, è di Silvio Goglio e Andrea Leonardi, rispettivamente professore associato di economia politica e professore ordinario di storia economica all’Università di Trento. Il saggio analizza gli effetti prodotti dagli istituti di credito speciali e dalle sezioni speciali degli istituti di credito di diritto pubblico sulle piccole e medie imprese. In particolare si distinguono due ruoli dell’attività creditizia considerata: e cioè l’accrescimento di disponibilità di finanziamento esterno per le imprese, con una riduzione di costo (canale hicksiano) e la selezione fra imprese in base all’efficienza aziendale e alla capacità innovativa (canale schumpeteriano). Ne risulta che il dopoguerra italiano fu contraddistinto da un mix di questi canali, con una prevalenza dell’uno o dell’altro a seconda degli istituti di credito o delle aree considerate.
Il terz’ultimo saggio è di Valeria Pinchera, ricercatrice di storia economica all’Università degli studi di Pisa, e si intitola I provvedimenti per la ripresa economica nel secondo dopoguerra. Promozione e sostegno della moda italiana (1945-1970). Il settore della moda è da un po’ di tempo al centro dell’interesse della storiografia italiana, se non altro perché è uno dei segmenti in cui il made in Italy ha avuto maggiore successo. In questo saggio si sottolinea il ruolo pubblico nel sostegno del comparto dopo la Liberazione e durante il miracolo economico, in una fase in cui Firenze lasciò il posto a Milano come capitale nazionale di questo ambito produttivo.
Il saggio successivo, La ricostruzione edilizia a Milano tra intervento pubblico e privato (1945-1953), è di Luca Mocarelli, professore ordinario di storia economica all’Università di Milano-Bicocca. Per certi versi, il tema appare contiguo a quello trattato in precedenza da Fanfani, ma mentre quest’ultimo si era occupato di politiche per la casa, Mocarelli concentra la propria attenzione sul mercato immobiliare propriamente detto, ossia su un terreno che la storia economica ha fino ad oggi colpevolmente trascurato.
L’ultimo contributo della curatela è di Paolo Tedeschi, ricercatore di storia economica presso l’Università di Milano-Bicocca, che si è occupato di Industriali lombardi, imprese pubbliche e Stato dalla ricostruzione alla nascita dell’Intersind. In queste pagine vengono delineate le opinioni dei dirigenti delle imprese private lombarde in merito all’espansione delle imprese pubbliche, fra il 1945 e il 1958, anno in cui le società a prevalente partecipazione statale aderirono all’Intersind, e cioè alla loro nuova organizzazione di rappresentanza.
Dispiace un po’ che gli atti non contengano alcune altre relazioni presentate al convegno del settembre 2008, e cioè quelle di Teresa Sisa Sanseverino, Carlo Orsi amministratore delegato del Credito Italiano (1920-1934); di Andrea Bonoldi, L’intervento pubblico nelle aree di montagna: dalla difesa del suolo allo sviluppo; di Gianpiero Fumi, La dirigenza delle imprese a partecipazione statale dalla nascita dell’Iri al secondo dopoguerra; di Ilaria Mandolesi ed Emanuela Mazzina, Per un repertorio degli amministratori e dei dirigenti delle imprese Iri (1933-1956); e di Claudio Besana, Il ruolo dello Stato nella vita economica del Paese nella riflessione dei democratico-cristiani: gli anni della segreteria Moro (1959-1963); in ogni caso, il volume è sufficientemente ricco da offrire molteplici spunti di riflessione.
In conclusione, il tema del ruolo dello Stato ha sempre suscitato il più grande interesse fra gli economisti e gli storici dell’economia e delle istituzioni, e ha dato origine ad una vasta letteratura. Per quanto concerne l’esperienza italiana, diversi studi avevano fino ad oggi consentito di delineare un quadro abbastanza chiaro in riferimento agli aspetti più generali. Questa curatela porta a fare un passo ulteriore, perché in vari casi di studio viene completamente superato il carattere prevalentemente descrittivo delle ricostruzione precedenti, che avevano talvolta generato una sbrigativa sommarietà nell’interpretazione. I numerosi approcci quantitativi, infatti, consentono di avere un’idea più centrata delle varie compagini coinvolte in questi processi storici, e conseguentemente il dibattito è oggi su posizioni più avanzate, con la conseguenza che certe discussioni si sono lasciate alle spalle e nuove questioni storiografiche sono state invece aperte.