L’orizzonte del socialismo Un convegno internazionale e nuove direzioni di ricerca su Andrea Costa Imola, 7-8 maggio 2010

Carlo De Maria

Il convegno organizzato a Imola in occasione del centenario costiano (L’orizzonte del socialismo. Tra Imola e l’Europa,Museo di San Domenico, 7-8 maggio 2010) è stato anticipato e preparato da un approfondito lavoro sulle fonti bibliografiche e archivistiche, che ha portato, tra le altre cose, alla redazione di un nuovo inventario delle Carte Andrea Costa, conservate dalla Biblioteca comunale di Imola, alla digitalizzazione dei carteggi (i documenti sono ora consultabili sul portale Ibc Archivi) e all’allestimento di una mostra storico-documentaria (Andrea Costa e il governo della città. L’esperienza amministrativa di Imola e il municipalismo popolare. 1881-1914, a cura di C. De Maria, Reggio Emilia, Diabasis, 2010), che è stata inserita nelle iniziative della IX Settimana della didattica in archivio, promossa dalla Soprintendenza archivistica per l’Emilia-Romagna.

Le iniziative scientifiche e di divulgazione – che sono il frutto della programmazione di un comitato scientifico presieduto da Renato Zangheri e coordinato da Maurizio Ridolfi – proseguiranno nell’autunno 2010, e nei mesi successivi, con una giornata seminariale dedicata agli archivi di persone, con la pubblicazione di un volume collettaneo dedicato alle carte e ai libri di Andrea Costa, curato da Paola Mita, e con altri appuntamenti in corso di definizione (per il programma completo si consulti l’ottimo sito: http://archiviostorico.comune.imola.bo.it/).

In occasione dell’apertura del convegno, gli amministratori di Imola, il sindaco Daniele Manca e l’assessore alla cultura Valter Galavotti, hanno ricordato l’importanza del lascito ideale di Costa per la tradizione di autogoverno ancora viva nella loro comunità. Una figura, quella del leader socialista, tuttora ben presente nella memoria sociale e politica della città. Prima di entrare nel merito delle singole relazioni, è forse utile delinearne rapidamente la biografia e i caratteri principali della riflessione politica.

Nato a Imola nel 1851, Andrea Costa fu, a poco più di vent’anni, tra i dirigenti della Federazione italiana dell’Internazionale e prese parte, nel 1874, all’organizzazione del moto rivoluzionario di Bologna. Nel 1879, esule in Francia, pubblicò la celebre lettera Ai miei amici di Romagna, dove sottopose a revisione le precedenti posizioni dell’insurrezionalismo anarchico. Due anni più tardi, fondò, a Rimini, il Partito socialista rivoluzionario di Romagna e, nel 1882, entrò in Parlamento, primo deputato socialista. Alla fine di quel decennio, venne eletto consigliere comunale a Imola e fece parte della prima giunta popolare, in qualità di assessore alla pubblica istruzione. Avrebbe ricoperto, per un breve periodo, anche la carica di sindaco. L’autonomia comunale fu il perno del socialismo di Andrea Costa, che si nutrì sia della tradizione libertaria che di quella riformista, mantenendo un confronto aperto con le esperienze europee e guardando a una prospettiva federale della sinistra. Nel 1893, aderì al Partito dei lavoratori italiani (il futuro Psi), pur deplorando le modalità che avevano condotto alla rottura con gli anarchici. Alla Camera dei deputati denunciò la guerra coloniale in Africa (1895-96) e al volgere del secolo si oppose, dentro e fuori il Parlamento, alla svolta antiliberale del governo. Nel 1902 presiedette, a Imola, il VII congresso nazionale del Psi ed entrò nella direzione del partito. Già in precarie condizioni di salute, nel 1908 trascorse diversi mesi in Algeria e Tunisia. Nel 1909 venne eletto vice-presidente della Camera; all’inizio dell’anno successivo, si spense nella sua città.

I lavori del convegno sono stati aperti da una introduzione di Renato Zangheri, che ha voluto sottolineare come Costa non sia “un gelido monumento da consegnare intatto da una generazione all’altra”. La sua esperienza esistenziale, al contrario, ci riporta a un intreccio di politica e passione capace di affascinare e di parlare a diverse generazioni.

Carlo Galli, presiedendo la prima sessione del convegno, dedicata ai Valori, ha fatto riferimento a una dottrina socialista animata più di umanesimo, che non di scienza. L’interesse che il primo socialismo riveste ancora per l’oggi, il suo contenuto più attuale, risiede – secondo Galli – proprio nel volontarismo risorgimentale e nei suoi elementi di utopia o, per meglio dire, di “slancio”. La relazione di Patrizia Dogliani (Ideali, terre e pratiche dell’internazionalismo nel secondo Ottocento) ha operato un bilancio storiografico relativo agli studi sull’internazionalismo. Secondo la relatrice, essi hanno riguardato soprattutto la Seconda e la Terza internazionale, e dunque le strutture partitiche che caratterizzavano queste organizzazioni, lasciando invece più in ombra l’Associazione internazionale dei lavoratori, nata a Londra nel 1864. Di questo squilibrio risentono anche gli studi relativi a Costa, una figura centrale nel passaggio del socialismo italiano dalla Prima alla Seconda internazionale. Dogliani ha ricordato, ad esempio, la partecipazione ai congressi parigini del 1889 e del 1900. Quest’ultimo aveva all’ordine del giorno proprio il tema del socialismo municipale.

Alceo Riosa, parlando di Etica, politica e utopia nella tradizione socialista, ha insistito sulla componente etica del socialismo di Costa e, più in generale, di tutti i “pionieri” del movimento di emancipazione, mettendo opportunamente in rilievo anche l’importanza dell’eredità mazziniana (il Mazzini dei Doveri dell’uomo). La relazione successiva, quella tenuta da Fulvio Conti (“Fratelli e compagni”: Costa tra massoneria e socialismo), ha ricostruito con precisione i tempi e i modi dell’adesione di Costa al sodalizio massonico. Affiliato nel 1883, il socialista imolese non ricoprì mai ruoli direttivi e non partecipò assiduamente alle attività della società segreta. Come si può allora spiegare la sua adesione, e in quale fase del suo percorso politico essa maturò? Anche in questo caso la cronologia è importante: nel 1882, infatti, Costa era entrato in Parlamento, aderendo all’Estrema. Proprio all’interno della massoneria erano presenti molti di quei repubblicani e radicali con i quali egli si trovava a collaborare quotidianamente. Conti ha concluso ricordando come, del resto, tanti internazionalisti avessero aderito, fin dagli anni Sessanta, al sodalizio massonico: da Michail Bakunin a Enrico Bignami.

La seconda sessione del convegno, presieduta da Angelo Varni e dedicata a Sociabilità, pedagogia e linguaggi, si è aperta con la relazione di Maurizio Ridolfi, che è ruotata intorno alla libreria personale di Andrea Costa, conservata presso la Biblioteca comunale di Imola. Gli interessi e le modalità che determinarono la “costruzione” di questa raccolta libraria ci riportano – nell’analisi di Ridolfi – alla versatilità linguistica di Costa, noto poliglotta, agli studi svolti in carcere, ai frequenti periodi di esilio, infine alla sua costante disponibilità a presenziare ai congressi internazionali. A questo proposito alcune piste di ricerca sono ancora aperte: poco sappiamo, ad esempio, degli interventi congressuali tenuti da Costa fuori d’Italia, così come dei temi da lui toccati negli articoli pubblicati sulla stampa estera.

L’intervento di Carlo De Maria (I luoghi della sociabilità popolare e socialista attraverso la biografia di Costa) ha cercato di mostrare come la “svolta” di Andrea Costa – cioè, il passaggio dalla prospettiva dell’anarchismo insurrezionalista a quella di un socialismo che, pur ancora profondamente vicino all’idea della rivoluzione libertaria, si apriva via via al gradualismo e alla lotta parlamentare – abbia coinciso con un profondo mutamento di atteggiamento verso le forme dell’associazionismo popolare. Se Costa, ancora nel 1877, definiva il mutuo soccorso e la cooperazione niente altro che espressioni di “opportunismo” da parte dei lavoratori, solamente tre anni più tardi avrebbe partecipato, a Bologna, al congresso nazionale delle società di mutuo soccorso, promuovendo in quella sede la campagna di opinione per il suffragio universale.

Fin dal titolo della sua relazione (“Non un soldo per la guerra”: pacifismo e mobilitazione anticoloniale), Michele Nani ha ricordato un celebre slogan lanciato alla Camera dei deputati da Andrea Costa: “Né un uomo, né un soldo”. Secondo la sua convincente analisi, Costa incarnò – a partire dal 1885 – una linea anticoloniale intransigente, incentrata sulla critica del militarismo e sul rifiuto dei discorsi relativi al divario di civiltà e all’inferiorità razziale. Pagine che lo fanno ancora sentire come un nostro contemporaneo.

I due interventi successivi, di Debora de Fazio (Il linguaggio di un socialista del secondo Ottocento) e, in parte, di Andrea Baravelli (L’economia sociale e cooperativa), hanno toccato questioni relative all’analisi delle strutture testuali e argomentative, parlando delle strategie comunicative e delle scelte linguistiche di Costa. Si tratta di approcci senza dubbio innovativi e condotti con piena consapevolezza dagli autori, che tuttavia si aprono, a volte, ai rischi di una storia culturale che rimanga slegata dai motivi di fondo della storia sociale: i rischi, cioè, di una analisi puramente testuale, senza basi quantitative e richiami alla complessità del contesto storico.

La terza sessione del convegno si è aperta con l’attesa relazione della storica dell’arte Giovanna Ginex (Apostoli del socialismo e liberi pensatori: iconografia e monumentalistica celebrativa dei leader), che si è focalizzata su due elementi: le cartoline illustrate e le sculture. Se le prime rappresentarono il veicolo di massima circolazione delle icone del socialismo italiano, anche la monumentalistica celebrativa dei protagonisti del mondo laico, radicale e socialista, conobbe una diffusione capillare, capace di raggiungere i centri minori. Nel caso particolare, furono decine i monumenti dedicati ad Andrea Costa, eretti a partire dalla sua morte e poi nel secondo dopoguerra, in diverse regioni italiane.

Marie-Line Bertrand, dell’Università di Paris X, ha esposto i risultati di nuove ricerche d’archivio sui soggiorni parigini di Costa, nella seconda metà degli anni Settanta. Le prime tracce dell’internazionalista imolese nelle carte della polizia francese risalgono al giugno 1877, quando Costa raggiunge Parigi come rifugiato politico. L’obiettivo della relazione di Bertrand si è poi spostato sul periodo cruciale trascorso da Costa nella prigione della Santé, tra il marzo 1878 e il giugno 1879, riletto attraverso corrispondenze familiari e politiche.

Fiorella Imprenti, già segnalatasi come una delle giovani studiose italiane più interessanti, in grado di muoversi con originalità tra storia delle istituzioni e storia delle donne, in questa occasione ha forse schiacciato la sua relazione (Tra privato e pubblico: Andreina e Anna nel rapporto con Andrea) troppo sul privato. Probabilmente, il rischio di una analisi attenta agli “snodi” tra la dimensione dell’impegno politico e i legami affettivi e amicali è proprio questo: finire per ripiegarsi sulla vicenda intima e familiare – sulle incomprensioni con il coniuge, con l’amante e con i figli, per intenderci –, perdendo di vista le linee di tensione con la sfera pubblica e con la politica.

La serie delle relazioni si è chiusa con l’intervento di Dino Mengozzi (La memoria del pioniere del socialismo) che – sotto la scorta di suoi precedenti studi – ha preso le mosse dai necrologi del 1910, ripercorrendo la costruzione retorica e simbolica del “Costa postumo” e concentrandosi in particolare su tre momenti: il 1911 annuale, il 1951 centenario della nascita, il 1960 cinquantenario della morte.

Nella densa tavola rotonda finale, animata da Emanuele Macaluso, Alceo Riosa e Maurizio Viroli, con il coordinamento di Massimiliano Panarari de “la Repubblica”, sono stati molti gli spunti offerti alla riflessione del pubblico. Il principale è emerso probabilmente dall’intervento di Viroli, secondo il quale in Italia si è dissipato negli ultimi decenni il patrimonio ideale e morale ereditato dalle scuole politiche ottocentesche: il socialismo e il repubblicanesimo. Una dissoluzione che sta compromettendo, forse in maniera irreversibile, il vivere civile odierno.

Si è davvero esaurita l’idea di emancipazione?