di Alberto Malfitano
E stato appena ripubblicato, a oltre quindici anni dalla prima, introvabile, edizione, il libro di Luigi Piccioni, Il volto amato della patria, che costituisce una pietra miliare per la storia dell’ambiente italiana. Piccioni scrisse la prima stesura dell’opera, ora arricchita da un utile Poscritto che dà conto di quanto emerso in Italia e all’estero sui temi del protezionismo ambientale e culturale, dopo una lunga e approfondita ricerca, caratterizzata da un grande scavo documentario e dallo sforzo di analisi e sistematizzazione che aprivano uno squarcio improvviso su un tema fino ad allora pressoché misconosciuto, il primo movimento protezionistico italiano. Il libro di Piccioni colmava in quegli anni un vuoto nella storiografia nazionale, molto in ritardo rispetto ad altre realtà, tanto più ingiustificato se si considera che il nostro paese è stato tra i primi in Europa a dotarsi di due parchi nazionali pochi anni dopo la Grande guerra: il parco del Gran Paradiso e quello d’Abruzzo, realizzati tra il 1922 e il 1923.
Il movimento protezionistico italiano, quindi, non iniziò i suoi primi passi negli anni seguenti il secondo conflitto mondiale, e tanto meno negli anni Cinquanta o ancor più avanti, come qualche studioso e una larga fetta dell’opinione pubblica riteneva, e forse ritiene tuttora, ma ben prima, e si era rivelato, come il libro di Piccioni provava, molto attivo e fecondo di iniziative nonostante la sua frammentazione, tipica d’altra parte di un movimento agli esordi, ricco di esperienze pionieristiche fiorite lungo tutta la Penisola.
Erano, quei parchi nazionali nati all’inizio degli anni Venti, un effetto di un lungo percorso che era cominciato decenni prima, all’indomani dell’Unità, in una nazione travagliata da molti problemi ma in cui le classi dirigenti postrisorgimentali tentavano di creare reti che unissero le tessere del mosaico appena costruito, a partire dalle ferrovie, che inevitabilmente ne modificavano l’aspetto e la maniera in cui era vissuto e percepito, in un modo di costruire lo spazio fisico della nazione che ne comportava anche la sua maggiore conoscenza. Così, mentre i primi vagiti industriali si sommavano alle politiche governative di costruzioni infrastrutturali o di reti in grado di tenere insieme, simbolicamente e fisicamente, il territorio, a fine secolo nascevano sodalizi, come il Touring club, che si proponevano di promuovere una più ampia conoscenza della patria, magari con gite a cavallo della bicicletta; non a caso, qualche anno dopo, nel 1909, il primo Giro ciclistico d’Italia fu organizzato dalla Gazzetta dello sport con l’aiuto della vasta rete del Tci.
E’ nel primo decennio del secolo che giunge a maturazione un dibattito, innervato dall’abilità e tenacia di alcuni pionieri (per esempio Corrado Ricci, Luigi Rava, Erminio Sipari, Luigi Parpagliolo), e dalla presenza attiva di vari sodalizi in tutta Italia dediti alla cura del ‘bello’, che fossero i monumenti della classicità o le bellezza naturali. La legge Nasi-Naldi del 1902, la Rava per la protezione delle pinete di Ravenna del 1905, la Rosadi-Rava per la protezione del patrimonio artistico e culturale del 1909, la legge Luzzatti del 1910 per la creazione del demanio forestale, testimoniano il fervore che conobbe il primo decennio del secolo in questo campo e i risultati raggiunti dal riformismo di epoca giolittiana, secondato da una volontà di intervento che animava una parte forse minoritaria, ma sicuramente culturalmente attrezzata e capace di creare aggregazioni feconde, della borghesia liberale italiana.
La guerra calò come una mannaia su questa stagione di dibattiti e interventi. Le discussioni e le azioni che si susseguirono a cavallo dei due secoli si spensero durante il conflitto, e i pur notevoli risultati conseguiti a inizio degli anni Venti si possono considerare una sorta di canto del cigno di quell’afflato protezionistico che animò tante voci un po’ in tutta Italia. Il fascismo avrebbe svolto una funzione accentratrice e di controllo anche in questo campo, spegnendo la vitalità di tante associazioni preesistenti, decretandone la fine o assorbendole nelle proprie organizzazioni, fino a che, negli anni Trenta, il primo movimento protezionistico italiano poteva dirsi esaurito e su di esso calò un silenzio che fece pensare a molti studiosi che non era mai esistito. Merito dunque all’autore e a Franco Pedrotti, editore con la sua Temi di questa seconda edizione del libro di Luigi Piccioni, di aver riproposto uno studio fondamentale per la conoscenza della fase iniziale dell’ambientalismo nazionale.