di Tito Menzani
«I cipressi che a Bólgheri alti e schietti / van da San Guido in duplice filar, / quasi in corsa giganti giovinetti / mi balzarono incontro e mi guardar»: sono versi che Carducci scrisse nel 1874, e che rappresentano l’incipit dell’ode Davanti San Guido, scritta in omaggio al territorio di Castagneto, nella maremma livornese, dove egli trascorse buona parte della propria infanzia. Nel 1907, alla morte del poeta, il comune di Castagneto Marittimo cambiò nome in Castagneto Carducci. Ancora oggi il legame con l’illustre uomo di lettere è molto forte, ed è possibile visitare un Museo-archivio circondato da un parco dal quale partono vari interessanti itinerari che ripercorrono luoghi e paesaggi del territorio castagnetano presenti nelle opere di Carducci.
Ma il Comune Castagneto – che oggi conta quasi 9.000 abitanti – è noto anche per un’importante oasi faunistica, per i propri vini, tra i quali spicca il Sassicaia, e per le tante tracce architettoniche e artistiche lasciate dalla famiglia Della Gherardesca. Il bel libro di Marco Gualersi, collaboratore della Fondazione Memorie Cooperative, ci ricorda che Castagneto Carducci ha anche un’altra vocazione importante, e cioè la cultura cooperativa, che in quest’«isola» maremmana ha avuto un radicamento fortissimo, molto più incisivo di quello riscontrabile nei comuni circostanti.
L’interesse del volume – come del resto ben spiega Enrico Mannari, direttore scientifico della Fondazione Memorie Cooperative, nella sua ricca prefazione – sta proprio nel non limitare l’indagine sulla cooperazione castagnetana a una mera ricostruzione delle sue vicende, ma nel mettere queste ultime in relazione ai fatti storici di contesto, con particolare attenzione alla fase tra Otto e Novecento, per spiegare in maniera convincente le ragioni storiche di questa specificità.
A Castagneto Carducci sono prosperate numerose cooperative, e oggi la loro eredità è raccolta da tre realtà principali. La prima è la Banca di credito cooperativo di Castagneto Carducci, trasformazione della vecchia Cassa rurale nata nel 1910. La seconda è Terre d’Etruria, con sede a Donoratico, frazione di Castagneto, e tra le più importanti cooperative agro-alimentari italiane, continuatrice di molteplici tradizioni associative che – come ci dice Gualersi – hanno caratterizzato l’agricoltura di questo territorio. La terza è Unicoop Tirreno, grande cooperativa di consumo che è il risultato di fusioni progressive fra decine e decine di sodalizi minori; anche se la Cooperativa di consumo del popolo di Donoratico e la Cooperativa Dopolavoristica di Castagneto Carducci non furono inglobate in essa, dopo il loro scioglimento tantissimi soci scelsero di aderire ad altre cooperative locali, come la Proletaria di Piombino, che avrebbero poi dato vita alla nuova e più ampia compagine suaccennata.
Per ricostruire nei dettagli le varie vicende che in oltre un secolo di storia hanno interessato le cooperative castagnetane, Gualersi ha svolto un encomiabile lavoro sulle fonti primarie, scavando fra i materiali di archivi differenti. Tra questi spicca l’Archivio storico di Unicoop Tirreno; ma varia documentazione proviene anche dall’Archivio della Camera di Commercio di Livorno e dall’Archivio di Stato di Livorno. Come si è anticipato, uno dei meriti principali del volume sta nell’aver rintracciato i motivi della gemmazione cooperativa che interessò la comunità di Castagneto tra XIX e XX secolo. Gualersi individua alcuni elementi che più di altri svolsero un ruolo specifico proattivo a livello locale, e cioè una sorta di riforma agraria che i Della Gherardesca furono costretti ad attuare sull’onda dei moti del 1848, la presenza di una vivace Società di mutuo soccorso, le sinergie che qui si svilupparono tra cattolicesimo sociale e riformismo democratico.
Ecco perché a Castagneto Carducci si sviluppò una tradizione cooperativa interprete di culture politiche plurime, che il fascismo cercò di controllare e governare più che di combattere, e che rifiorì genuina e copiosa all’indomani della Liberazione. Può essere il volume di Gualersi un modello per altri analoghi studi locali? Avrebbero senso nuove ricerche a tutto tondo sulla cooperazione in comunità che hanno avuto questo genere di vocazione, come Rosignano Marittimo, Correggio, Fabriano, San Benedetto Po o Massalombarda?
A tal proposito, si concorda pienamente con ciò che scrive Enrico Mannari nella prefazione, e cioè che la dimensione locale – se adeguatamente utilizzata come categoria storiografica – può essere utilissima per comprendere processi e meccanismi che inevitabilmente sfuggirebbero sul piano macrostorico. Inoltre, la ricerca locale è anche un mattoncino portato alla costruzione di un’interpretazione storiografica solida e scientificamente fondata, che deve necessariamente reggersi su un sufficiente numero di casi di studio. Non solo, ma la divulgazione dei risultati di queste indagini avrebbero anche una funzione civile, nel senso di rafforzare un’identità associativa e imprenditoriale che può indubbiamente rappresentare un valore aggiunto.