Militari e militarizzati italiani nell’Eritrea del secondo dopoguerra

di Nicholas Lucchetti

Sigle Acs: Archivio centrale dello Stato Mai: ministero dell’Africa Italiana

Abstract

L’articolo, utilizzando documenti d’archivio e fonti giornalistiche, si sofferma su una particolare vicenda avvenuta nell’Eritrea sottoposta ad occupazione britannica: quella dei militari e militarizzati italiani, che avevano partecipato alla difesa dell’Africa Orientale Italiana durante la seconda guerra mondiale. Per contrastare un provvedimento ministeriale che pareva misconoscere la loro stagione “militare”, essi si legarono in un organismo rappresentativo mediante il quale condussero una ferma vertenza con il governo italiano, che alla fine si concluse con il riconoscimento dei rispettivi diritti di combattenti.

Abstract english

Using journalistic sources (particularly the Italian press published in Asmara) and documents, the article describes a peculiar event that happened in Eritrea at the end of Italian colonialism. During the British administration, a group of Italian soldiers “fought” against the Italian government to obtain their due rights as fighters. To contrast a specific Italian law, they founded an Executive Committee to dialogue with the main Italian authorities, building up an articulated propaganda.

L’Eritrea del secondo dopoguerra

Con questo articolo vorremmo soffermarci su una particolare vicenda avvenuta nell’Eritrea del secondo dopoguerra. Dall’aprile 1941 l’Eritrea fu sottoposta ad un’occupazione militare determinata dalla vittoria delle truppe inglesi su quelle italiane nella campagna dell’Africa Orientale, che perdurò fino al settembre 1952 quando il territorio fu federato all’impero etiopico. Conquistata Asmara, i britannici allestirono un sistema di governo che, pur mantenendo molti dei tratti del precedente regime coloniale (Trevaskis 1960, 26-28; War Office 1945, 17), consentì agli eritrei di fruire, per la prima volta, di libertà associative e politiche. Poco tempo dopo l’avvio dell’occupazione, cominciò a prendere forma una coscienza nazionale eritrea che trovò concreta manifestazione nella nascita, tra fine 1946 ed inizio 1947, di formazioni politiche autoctone divise in merito a quale destino dovesse spettare all’Eritrea all’indomani del crollo della dominazione italiana, se una sua indipendenza oppure una sua unione con l’Etiopia (Ellingson 1977). Gli ex dominatori, tra il febbraio ed il luglio 1947, in aperta contraddizione rispetto alla formale rinuncia al proprio impero africano sottoscritta dall’Italia con la firma del trattato di Parigi, si prodigarono nella costituzione di tutta una serie di organismi che riunirono i più facoltosi esponenti della comunità e il lascito, “umano”, per così dire, della parabola coloniale. Un comitato rappresentativo, un’associazione che raggruppava gli italo-eritrei, ed un organismo a carattere segreto che distribuì ingenti finanziamenti alle formazioni che raccoglievano gli ex soldati coloniali (Del Boca 1984, 126-129; Lucchetti 2011), furono gli strumenti deputati alla difesa della posizione di sicura preminenza sulla scena locale costruita dagli italiani in sessant’anni di dominazione coloniale, una posizione che si volle in particolare salvaguardare con la richiesta dell’assegnazione a Roma dell’amministrazione fiduciaria del suo più vecchio possedimento africano.

Con il procedere del dibattito internazionale sul destino del territorio e dietro l’incedere di veti incrociati tra le varie potenze, questa richiesta venne a modificarsi più volte, conoscendo, nel 1949, una radicale svolta che vide il governo italiano dichiararsi dapprima a favore dello smembramento dell’Eritrea tra Sudan ed Etiopia, quindi sostenerne l’indipendenza (Rossi 1980). Memorandum, perorazioni, incontri diplomatici, e perfino due commissioni d’inchiesta, non furono tuttavia sufficienti alla comunità internazionale per giungere ad una proposta di sistemazione unitaria del territorio, ove sul finire degli anni Quaranta prese avvio una stagione di violenze diffuse che insanguinò gli ultimi anni di amministrazione inglese. Gli eritrei contrari all’unione del territorio con l’Etiopia e la comunità italiana, così massicciamente coinvolta nella locale vita politica, vennero fatti oggetto di una serie di attacchi ed intimidazioni, in cui si combinavano terrorismo politico e atti di banditismo ad opera dei cosiddetti shiftà (Italo-Eritrean Association 1950; Gebre, Medhin 1989, 119-163; Negash 1997, 61-67).

In tale contesto di accesa contrapposizione, tale da spingere molti ex coloni a rimpatriare (Del Boca 1984, 150-151), taluni connazionali, che avevano partecipato alla difesa dell’Eritrea nell’ambito della Seconda guerra mondiale, furono capaci di ingaggiare una convinta “battaglia” contro il proprio governo per vedersi riconosciuti i rispettivi diritti di combattenti. Ad un primo livello di analisi, la questione toccava il tema economico, ma più in generale concerneva le esperienze di vita di numerosi italiani d’Africa ed in particolar modo le modalità nelle quali la loro presenza in Africa si era necessariamente dovuta declinare in conseguenza della fine del dominio italiano in Eritrea.

Il governo italiano e i militari e militarizzati

Possiamo situare l’inizio ufficiale di questa vicenda al maggio 1948, allorché il rappresentante del ministero dell’Africa Italiana (Mai) in Eritrea, Giuseppe Barbato1, trasmetteva al dicastero due articoli apparsi sul periodico asmarino “Eritrea Nuova” e contestualmente forniva le coordinate salienti dell’intera questione concernente i militari residenti nel territorio. Costoro si trovavano ad essere preda di un dubbio: da un lato il Mai raccomandava di rimanere nei vecchi territori coloniali per preservarvi, in qualche modo, la presenza italiana, dall’altro i rispettivi Distretti militari sollecitavano il rimpatrio. Stanti queste due alternative, notava Barbato,

ci sono dei militari che, pur non traendo dalla loro prolungata permanenza in Eritrea alcun beneficio personale, cercano di resistere in questo territorio, nonostante la vita misera e grama che sono costretti a menare; altri invece rimpatriano e non hanno alcuna fretta di sistemare la loro posizione militare perché, mentre gli assegni in Patria maturano di mese in mese, traggono dalla loro permanenza in Eritrea, mediante la loro attività, i posti occupati, le sistemazioni raggiunte, innegabili vantaggi e profitti2.

La questione era resa ancor più spinosa dall’esistenza di più categorie di militari: quelli in servizio permanente effettivo, i richiamati, i residenti in Italia ed inviati in Africa Orientale Italiana (Aoi), i militari residenti in Aoi e richiamati in loco.

Riconoscendo l’importanza della questione, “Eritrea Nuova” aveva deciso di dare un certo spazio al problema: aveva ospitato un gruppo di militari in congedo che aveva scelto di rivolgersi direttamente a Barbato, chiedendo una maggiore considerazione per “quei tali ingenui dei quali di punto in bianco venne troncata ogni attività invitandoli ad accorrere alle armi e che a festa finita – purtroppo tragicamente – ed a lumi spenti, non si è nemmeno additata cortesemente la porta di uscita”3; e, in seguito, per favorire una rapida risoluzione della problematica, aveva intervistato lo stesso funzionario ministeriale proponendogli la redazione di un censimento di tutti i soggetti interessati4.

Con siffatte premesse, il dibattito sul tema si “infiammò” poco tempo dopo, quando il Mai produsse uno specifico provvedimento, la circolare, o nota, n. 0538237 del 26 maggio 1948, recante le norme concernenti la “determinazione della posizione matricolare e relativo trattamento economico dei cittadini italiani tuttora residenti nei territori di colonizzazione italiana che all’atto dell’occupazione della sede di servizio erano alle armi”. Il settimanale asmarino “Il Lavoro”, ricevutolo da Barbato, lo pubblicò per primo, in prima pagina al principio di luglio5.

Prima di entrare nel vivo della problematica, il provvedimento riservava un rapido excursus rispetto alla mobilitazione generale avvenuta nell’Africa Orientale Italiana al momento dello scoppio del secondo conflitto mondiale. All’atto dell’entrata in guerra dell’Italia (giugno 1940), la posizione nella quale si erano venuti a trovare i cittadini residenti nell’Aoi comprendeva inizialmente le seguenti varianti: “già alle armi”, “richiamati alle armi per mobilitazione generale”, “richiamati in servizio militare e comandati in servizio civile”, “esonerati dal richiamo alle armi” ed “esenti dal richiamo per età o per riforma”. Questo stato di cose era mutato tra i successivi settembre e dicembre allorché il Viceré aveva disposto la militarizzazione di alcuni enti di interesse pubblico (o che per la loro importanza potevano essere utilizzati a vantaggio delle forze armate), e di tutto il personale statale: ogni individuo interessato dai due provvedimenti era per questo passato dall’essere “richiamato in servizio militare e comandato in servizio civile” a “militarizzato”. I “richiamati in servizio militare e comandati in servizio civile” a tempo determinato o indeterminato che non erano stati interessati dalla citata militarizzazione degli enti erano stati considerati “mobilitati civili a tutti gli effetti”6.

Alla vigilia dell’occupazione dell’Aoi da parte degli inglesi, il “cittadino italiano dell’Africa Orientale” si era dunque venuto a trovare in una delle seguenti posizioni: “già alle armi”; “richiamato alle armi per mobilitazione generale”; “militarizzato, se appartenente alla Amministrazione statale o a enti di pubblico interesse o che potevano essere utilizzati dalle forze armate”; “mobilitato civile”; “esonerato dal richiamo alle armi”; “dispensato per età o per riforma”.

Ai citati atti, si era poi aggiunta una mobilitazione di emergenza che aveva spinto i comandi militari di vari governi coloniali, nell’imminenza dell’occupazione dei territori da parte del nemico, ad armare e incorporare nei reparti della Polizia dell’Africa Italiana numerosi cittadini che non erano alle armi7. Questo insieme di atti nulla aveva potuto contro l’avanzata inglese che, a partire dal gennaio 1941, anche grazie alla strategia adottata dal comando italiano, risultò capace di penetrare profondamente nel territorio eritreo e di giungere, in pochi mesi, alla conquista di Asmara (Barker 1969).

Le norme ministeriali stabilivano che era necessario appurare la posizione di servizio alle armi dei connazionali all’atto dell’occupazione nemica, ricordando come in Etiopia la quasi totalità della popolazione maschile fosse stata internata, mentre in Eritrea e Somalia molti militari e militarizzati fossero riusciti a sottrarsi alla cattura o ad evadere dalle strutture detentive predisposte dagli inglesi. Praticamente si decretava una netta discriminazione tra diverse tipologie di combattenti: coloro che erano militari “già alle armi” allo scoppio delle ostilità mantenevano tale qualifica; i cittadini soggetti alla mobilitazione di emergenza, avvenuta immediatamente prima dell’occupazione, mantenevano la loro posizione di “militari alle armi” solo se avevano seguito la sorte delle altre truppe, in altri termini solo se erano finiti in campo di concentramento e per il solo periodo di detenzione; i mobilitati civili effettivamente assegnati ad enti militari operanti mantenevano la posizione, che veniva ad essere modificata al momento della richiamata assegnazione in quella di “richiamati alle armi”, solo se erano stati detenuti in campo di concentramento, anche senza aver ricevuto la qualifica di prigionieri di guerra; coloro che erano tornati a disimpegnare servizi civili dovevano viceversa essere considerati come dispensati dal servizio militare all’atto dell’occupazione nemica.

Il personale dipendente da enti statali, militarizzato, manteneva la posizione giuridica derivantegli dal rapporto di impiego ma non poteva aspirare agli speciali emolumenti di militarizzazione se non era finito in campo di prigionia; anche per il personale militarizzato appartenente a ditte private quali l’Agip e la Citao si scriveva dell’assenza di diritti acquisiti a carico dello Stato per il periodo trascorso nei territori di colonizzazione italiana, salvo nel caso di permanenza di detto personale in campo di concentramento (un’eccezione questa che veniva detta essere al vaglio dei Distretti militari).

Stabilita la posizione di servizio alle armi, la circolare si soffermava sull’accertamento della data di cessazione della stessa, operando una nuova ripartizione tra quanti avessero ripreso la rispettiva occupazione civile od avessero trovato una sistemazione tale da non nutrire l’interesse per il rimpatrio, quanti, sottrattisi alla cattura, fossero in attesa dell’imbarco per tornare in Italia momentaneamente alloggiati in campo di sfollamento, e coloro che, raggiunto il territorio etiopico, vi svolgessero un’attività civile. Nel primo caso la data di ripresa (o di assunzione) dell’attività civile veniva indicata come quella “della cessazione dello stato di richiamo alle armi e del conseguente diritto agli assegni”8; nel secondo, la cessazione del diritto agli assegni era subordinata al rimpatrio dei soggetti (da effettuarsi entro un termine stabilito9); nel terzo, infine, il trasferimento in Etiopia coincideva per gli interessati con il congedo, mentre per i residenti nei territori etiopi che avevano ripreso le loro attività civili, data la mancanza di autorità consolari italiane, si preannunciava una successiva regolarizzazione.

La cura dell’istruzione delle pratiche sarebbe spettata ai comandi di polizia militare italiana, ad Asmara il comando dei Carabinieri, che, oltre a censire i connazionali interessati e ad indicare la data a partire dalla quale dovesse intendersi la cessazione della posizione di richiamo alle armi, avrebbero segnalato anche le ritenute da applicarsi al trattamento economico dei medesimi, tenendo conto di tutte le somme “che il connazionale ha percepito a qualsiasi titolo e da qualsiasi ente”10.

Polemiche asmarine

I differenti trattamenti che venivano stabiliti dalle fredde formule burocratiche spinsero molti ex combattenti ad affollare le colonne dei periodici asmarini per palesare tutto il risentimento loro arrecato dal provvedimento ministeriale. Tra i primi a prendere una posizione vi fu Augusto Robiati, all’epoca comandante dei vigili del fuoco di Asmara, che, giunto in Eritrea nel 1935, aveva partecipato alla realizzazione di varie opere pubbliche nell’Africa Italiana ed era riuscito, sopraggiunta la conquista inglese, ad evadere travestito da donna dal Forte Baldissera nell’immediato periodo di occupazione. Costui, che dopo la fuga si era adattato a svolgere svariati lavori (Robiati 2006, 94, 97, 101-105; Puglisi 1952, 255-256), toccò subito il fulcro del problema scrivendo che a suo parere gli interessati avevano fatto “il proprio dovere per due volte: prima in guerra e poi rimanendo attaccati a questo territorio, per amore del sangue e delle energie italiane versate, superando ogni difficoltà fra umiliazioni di ogni genere”11. Convinti di ricevere un qualche riconoscimento dalla patria, si vedevano al contrario privati “in modo definitivo” delle proprie speranze. “Misconoscimento” era la cruda parola che lui adoperava per descrivere la condizione degli ex militari e militarizzati, termine che veniva ripreso da Pietro Galeotto, capitano degli alpini presente in Eritrea dalla fine del 1935 (Puglisi 1952, 137), che non esitò a definire “infelice” ed “offensiva” la presunzione ministeriale che “chi (con virile decisione e non senza rischi) si è sottratto alla cattura od ha potuto in seguito liberarsene ed iniziare una qualche attività senza gravare sullo Stato… abbia data prova di non ‘avere interesse al rimpatrio’ e debba pertanto essere posto – con assurda retrodatazione – in congedo!”12. Prevedendo anche inevitabili “delusioni” tra coloro che si erano trasferiti in Etiopia ove “ritenevano utile contribuire a tenere accesa una missione di civiltà e di italianità”13, Galeotto giudicò quale ipotesi niente affatto remota il manifestarsi di “un non trascurabile ‘collasso’ sia sul morale degli interessati, sia su quello dei congiunti vicini o lontani”14, ed accennando poi alla “non giustificata urgenza” che ravvisava nel comportamento di Barbato che aveva da subito precisato le modalità per il censimento degli individui coinvolti, si augurò una collaborazione il più propositiva possibile tra i reduci al fine di migliorare la situazione.

Una concreta risposta per rapportarsi all’amministrazione italiana fu trovata nell’idea di riunirsi in un organismo associativo che potesse portare avanti le rivendicazioni di quella che aveva tutte le caratteristiche per essere considerata una categoria, e che democraticamente, ma con una certa fermezza, tutelasse gli interessi del gruppo15. Prima di addivenire a qualsiasi azione, pur apparendo la circolare ministeriale fin da una prima rapida scorsa “ingiusta” e “impolitica”16, era però necessario disporre di una dettagliata analisi della stessa, cosa che si ottenne investendo, in agosto, con il concorso del Comitato rappresentativo degli italiani in Eritrea (Crie), sorto come accennato nel febbraio 1947 per la difesa dei “diritti” italiani nel territorio, un’apposita commissione presieduta dal colonnello del genio Vincenzo De Santis, uno dei protagonisti della difesa dell’Eritrea durante la campagna del 1940-4117, e di cui fece parte, tra gli altri, anche il citato Pietro Galeotto18.

Il dibattito giornalistico nel frattempo continuava. Lo stesso Galeotto propose l’istituzione di

un ‘Premio di permanenza in A.O.’ da corrispondersi a tutti i militari non rimpatriati, o che dovranno rimpatriare dopo la pubblicazione della famosa circolare. […] Questo sistema avrebbe, tra l’altro, lo scopo di mitigare la delusione e compensare, almeno in parte, il danno derivante dall’applicazione della tanto discussa ritenuta per i proventi derivati da eventuale svolta attività civile19.

Paradossalmente, come narrato da “Eritrea Nuova”, chi aveva riconosciuto la stagione militare di molti italiani era stata l’Amministrazione britannica che nel momento in cui, muovendosi “su informazioni precise, gentilmente fornite da zelanti servitori più o meno occasionali, ed anche da ben custoditi ed ordinati archivi rimasti, chi sa perché, intatti”20, era riuscita a smascherare connazionali scampati alla cattura, li aveva avviati non a campi di internamento per civili, bensì a regolari campi militari. “Visitando” i malcapitati per lo più la notte, e dopo aver pronunciato “quella breve espressione inglese che gli italiani ebbero ad imparare prima ancora del buongiorno e del buonasera ‘come on’”21,

al prelevato si contestava la sua qualità di militare e non era certo argomento valido, per sfuggire alla cattura, quello che ormai la guerra in Eritrea era solo uno spiacevole ricordo e che lo sfortunato svolgeva la più pacifica delle attività. Giustamente si chiariva che non aveva nessuna importanza quel che oggi facesse: a loro interessava soltanto che egli era stato militare, lo era al momento della resa, era sfuggito per sua fortuna alla cattura, ma oggi, riconosciuta la sua identità, si era nel pieno diritto di metterlo nella condizione di non nuocere per il presente e per il futuro22.

Dopo un approfondito esame, in settembre, la citata commissione terminava il lavoro di studio del provvedimento ministeriale e ne dava pubblica notizia in un’assemblea: i temi al centro delle risultanze non poterono che essere quelli già esposti in sede giornalistica, concernenti da un lato l’importanza della presenza dai militari rimasti in Eritrea, dall’altro lato le difficoltà comunque vissute in abiti civili dagli ex combattenti; le conclusioni auspicarono un’opera di giustizia da parte delle istituzioni italiane per tutti gli interessati, a cominciare dal cassare la disposizione che prescriveva la documentazione dei cespiti percepiti dall’inizio dell’occupazione britannica dagli individui colpiti dal provvedimento23.

La nascita del Comitato esecutivo e la sua attività

Dopo l’assemblea, in dicembre, si decise quindi la costituzione di un organismo rappresentativo, nella forma di un Comitato esecutivo (Puglisi 1952, 16), che avrebbe coordinato le azioni del gruppo tanto a livello locale che nei suoi rapporti con l’amministrazione italiana. Del Comitato fecero parte Elio Correggiari, medico24, Alberto Amighini, ingegnere civile, presente in Eritrea dal 1935, Emanuele Du Lac Capet, giunto nel territorio nel 1936 per assumere la direzione dell’Ufficio Assistenza Marittimi di Massaua, l’ingegner Volterrani ed il signor Galleni25. Costoro, pur rappresentando al governo italiano la volontà dei militari di giungere ad una soluzione equa, avrebbero dovuto farsi interpreti del desiderio degli stessi di vedere abrogata la circolare del Mai e del proposito di adire presto alle vie del contenzioso in caso di risposta negativa. Per questo scelsero di inviare subito un telegramma al sottosegretario agli Esteri Giuseppe Brusasca con l’esplicita richiesta dell’abrogazione della summenzionata circolare ministeriale26.

Chi agì attivamente a difesa di militari e militarizzati fu il citato Elio Correggiari che, nella veste di primo presidente del Comitato esecutivo, redasse un esposto contro il contestato provvedimento indirizzandolo al direttore generale degli Affari Politici del ministero dell’Africa Italiana, Martino Mario Moreno. In esso, richiamando i passaggi salienti dell’intera questione, volle da subito smontare l’impianto su cui si reggeva la circolare ministeriale, affermando che quel congedo che si veniva a determinare in maniera quasi automatica per quanti avevano, per così dire, cambiato vita smettendo i panni militari per quelli civili, non era sostenibile, poiché l’Eritrea era sottoposta ad un’amministrazione straniera in conseguenza della quale era cessata la giurisdizione italiana. Quando poi la circolare stabiliva una suddivisione tra quanti non avevano interesse a rimpatriare e coloro che viceversa erano sul punto di farlo, essa sembrava svelare la volontà dell’esecutivo di “liberarsi”27 dei connazionali in questione, tanto più che le implicitamente biasimate attività civili, in molti casi, erano state professioni fittizie utili solamente per schivare il campo di concentramento ed “acquistare il diritto ad essere ritenuti liberi”28. Tutti potenzialmente potevano poi aspirare al rimpatrio ed era ingeneroso considerare il contrario. Questo valeva anche per coloro che erano tornati, o si erano sistemati, in Etiopia per condurre inevitabilmente una professione civile, e non militare, apparendo, agli occhi di Correggiari, alquanto improbabile che qualcuno dei connazionali “stia militarmente organizzando gli ‘sciftà’ che allietano gli abitanti dell’Eritrea”29.

Poco prima di redigere l’esposto in questione, Correggiari si era premurato di inviare una missiva al Crie per chiedere la nomina di un rappresentante della propria categoria30, e, mostrando ancora un certo attivismo, indisse quindi una conferenza stampa per rendere noto il telegramma inviato da Brusasca a Vincenzo Di Meglio, presidente dello stesso Comitato rappresentativo che si era interessato della questione liquidazioni, nel quale il sottosegretario assicurava “uniformità trattamento et riconoscimento casi meritevoli”31 per gli individui coinvolti.

Dimessosi per motivi professionali alla fine di gennaio e sostituito da Emanuele Du Lac Capet nella carica di presidente32, Correggiari, continuando a fare parte del Comitato esecutivo, rispose poi alle osservazioni di un connazionale che si era augurato la presenza nell’organismo di “figure che hanno acquisito spiccati meriti militari”33, precisando a costui che dei cinque membri del “contestato” Comitato, solo uno era un militarizzato, mentre “quattro sono autentici combattenti, tantoché fra essi, si annoverano i titoli di volontari, arditi, feriti, decorati”34.

Il procedere degli eventi incrinò però il suo rapporto con Du Lac Capet. Tra i due si registrò una differenza di vedute rispetto alla scelta del rappresentante della categoria in seno al Crie, che Du Lac voleva estraneo al Comitato esecutivo mentre altri, tra cui lo stesso Correggiari, che aveva apertamente proposto la propria candidatura, sostenevano il contrario35. La scelta sarebbe poi caduta su Antonio Apolloni36, cosa che non placò il risentimento tra i due. Il dissidio si trascinò così a lungo da diventare l’argomento privilegiato di un’assemblea alla quale parteciparono circa 200 persone, che vide i componenti del Comitato esecutivo lanciarsi accuse reciproche e rimostranze, e Correggiari fare riferimento ad un diverbio avuto con Du Lac il giorno delle elezioni per il Crie, diverbio “che avrebbe avuto il suo epilogo in uno schiaffo ricevuto da quest’ultimo ad opera del Correggiari”37. Correggiari avrebbe poi precisato di non aver mai dato schiaffi, ed esortato Du Lac, in una lettera poi resa pubblica, a superare “con animo aperto e senza reticenze ogni dissidio personale”, a stringersi “fraternamente la mano” e a dichiarare “chiuso l’increscioso incidente”38.

La categoria ed i suoi organi non avevano comunque smesso di adoperarsi. In gennaio l’assemblea aveva votato all’unanimità (oltre 500 persone) per il “rimpatrio in massa”39, dimostrando così che, pur essendo inseriti molti degli interessati nella vita civile, essi non rinunciavano al ritorno in patria40; al contempo aveva cominciato a prendere maggiore consistenza la volontà di ricorrere al Consiglio di Stato, un’eventualità poi sancita, ancora all’unanimità, dalla deliberazione della successiva adunanza all’inizio di marzo41. La redazione del ricorso venne quindi lasciata ad un collegio di difesa, che lavorò gratuitamente, composto dagli avvocati Antonino Vitarelli, Luigi De Maria e Oddone Vecchietti, presenti nell’Africa Italiana dalla seconda metà degli anni Trenta, e il documento fu poi certificato dal Notaio della Colonia, Pompilio Mastrandrea, attivo all’Asmara dal 1939, che rinunciò lui pure al suo compenso (Puglisi 1952, 298, 106, 294, 198)42.

Pronto il ricorso, il Comitato, che da maggio era guidato da Alberto Amighini, forse anche per giungere ad un generale raffreddamento delle tensioni di cui sopra, redasse una petizione da presentare al presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Questa scelta venne osteggiata pubblicamente da “Il Lavoro” il quale, sfiorando il vilipendio, qualificò il garante delle istituzioni democratiche italiane come un “personaggio decorativo adibito alla inaugurazione delle fiere, e specializzato in baci sulla fronte a ragazzini che gli offrono mazzi di fiori legati con nastri tricolori”43. Il periodico, in altro articolo, fece risalire la contraddizione, da lui così polemicamente sottolineata, insita nel rivolgersi al Quirinale all’impossibilità per il presidente Einaudi di frapporsi alle disposizioni legislative44, e prospettò, di contro, l’opportunità di dare mandato ad alcuni legali del Foro di Roma di seguire materialmente la questione nelle sedi opportune, dopo aver loro fornito a mezzo posta tutto il materiale raccolto e predisposto dal Comitato esecutivo.

La missione di Mario Fanano in Italia

Contrariamente a questa proposta, i militari e militarizzati, all’inizio di agosto, decisero di investire delle loro rimostranze contro l’amministrazione italiana Mario Fanano che, attivo in Eritrea dai primi mesi del 1939 quale ingegnere del ministero dell’Africa Italiana, ben conosceva le problematiche in oggetto per essere stato, nell’ottobre 1941, internato in seguito a retata e rilasciato dopo un mese grazie ad un fittizio impiego presso una ditta di costruzioni45. A lui i connazionali diedero il mandato di trattare la questione, “in via amministrativa, presentando un ricorso al Presidente della Repubblica, oppure in via legale, mediante ricorso al consiglio di Stato”46.

Fanano volle mantenere uno stretto collegamento a mezzo stampa con l’Eritrea. Dopo aver dichiarato nella sua prima corrispondenza da Roma di considerare il ricorso al Consiglio di stato come l’ultima carta da giocare47, nelle sue successive “lettere ai militari”, tratteggiò un quadro niente affatto positivo dell’amministrazione italiana: diede conto, in particolare, di un colorito scambio di pareri avuto con un “capitano d’amministrazione” rispetto al provvedimento del Mai48, e, in seguito, trattò della sostanziale indifferenza palesata dai partiti politici nazionali in merito alla problematica afferente i connazionali d’Eritrea, scrivendo delle lunghe “anticamere” cui si era costretti se si voleva parlare con qualche dirigente di rilievo49.

Tutto questo suo peregrinare per il palazzi romani del potere, che produsse un certo malumore in Eritrea50 e che comprese anche l’invio di una lettera al “Giornale d’Italia” per dare la maggiore diffusione possibile alla vertenza che stava conducendo51, alla fine fu però premiato: il 20 ottobre 1949 venne ascoltato da una commissione interministeriale presieduta da Giuseppe Brusasca. Durante l’incontro, a parziale smentita delle sue corrispondenze, i convenuti mostrarono una certa “solidarietà” nei confronti delle rivendicazioni in oggetto, riconoscendo che effettivamente ai militari era stato sconsigliato il rimpatrio52 ed informandosi sulla reale consistenza dei connazionali intenzionati a chiedere il diritto agli assegni (60 ufficiali, 140 sottufficiali e 1400 militari di truppa53). Questo interesse sfociò nella decisione di lasciare l’esame dei casi particolari, fermo restando l’impianto complessivo della circolare che non venne minimamente modificato, ad una specifica commissione sotto la presidenza del Rappresentante diplomatico italiano in Eritrea, affiancato da due funzionari del ministero dell’Africa Italiana, dal comandante dei Carabinieri dell’Eritrea e dal presidente della Camera di Commercio54 (quale membro della commissione avrebbe figurato anche lo stesso Fanano55).

La risoluzione della vicenda

La vicenda era ormai avviata sul giusto binario, e il 21 ottobre Fanano fu ricevuto dal presidente Einaudi cui sicuramente espresse la propria soddisfazione per il risultato, faticosamente, ottenuto56.

Rientrato in Eritrea, abbandonando il tono critico, Fanano illustrò all’assemblea dei militari e militarizzati come si sarebbero sviluppati gli eventi. In sintesi, tutti “coloro che hanno le carte in regola potranno presentarsi al vaglio della Commissione con la piena certezza che le loro giuste richieste saranno tenute nella massima considerazione”57. Grande fu la soddisfazione dei presenti che vollero pure tributare un ringraziamento particolare al sottosegretario Giuseppe Brusasca, quale rappresentante del governo, cui inviarono un telegramma per la “comprensione dimostrata”58.

La commissione, costituitasi alla fine di dicembre, si mise quindi al lavoro, e nei mesi successivi si dedicò all’analisi di una grande quantità di pratiche che le venivano consegnate, per gli italiani residenti all’Asmara, dallo stesso Comitato esecutivo (che divenne nei fatti la Segreteria della commissione), mentre per quanti abitavano nelle zone periferiche tramite le locali stazioni dei Carabinieri59. Così ben avviata la questione continuò a trovare un certo spazio sulla stampa asmarina.

Dopodiché “Il Lavoro degli italiani in Eritrea” (già “Il Lavoro”) ebbe ad esprimere le proprie riserve per il fatto che la circolare, come detto, era “rimasta in piedi”60 nonostante tutto, ed “Eritrea Nuova” palesò di contro il proprio “fondato ottimismo”61 per un’imminente risoluzione della problematica, le due testate furono protagoniste di un piccolo scontro in merito al memoriale62 presentato dal Comitato esecutivo alla commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, in visita nel territorio (dalla metà di febbraio 1950) nell’ambito delle discussioni sulla sistemazione del vecchio possedimento italiano: tale documento, a sostegno dell’indipendenza dell’Eritrea, agli occhi di un gruppo di lettori del primo settimanale, era suonato alquanto inopportuno63. Questo piccolo episodio mostra chiaramente che il Comitato, che per l’occasione dichiarava di rappresentare precisamente “3.343 Italiani”64, con la sua tenacia, il suo attivismo, le sue consultazioni con le maggiori autorità politiche italiane, si era accreditato quale realtà oltremodo importante del panorama eritreo, e per questo riteneva di aver diritto di entrare in una questione, quella del destino del territorio, che aveva risvolti ben più delicati e di ben maggiore portata delle mere liquidazioni degli ex combattenti.

Con il procedere dei mesi, cominciarono a manifestarsi i primi risultati concreti del lavoro della commissione, tanto che nel giugno 1950, il sottosegretario Brusasca, ricevendo Amighini durante la sua visita all’Asmara, poté comunicargli che 200 delle pratiche esaminate in loco e trasmesse a Roma erano state approvate in via definitiva e che erano sul punto di essere inviate ai competenti Distretti militari per l’erogazione del pagamento65. Poco dopo lo stesso presidente del Comitato rese noto che il numero delle stesse era salito a 527 e che i Distretti “hanno ormai cominciato a pagare”66; si dovette poi alla penna di Elio Correggiari un plauso al lavoro del Comitato e della commissione ed una rassicurazione ai “camerati […] in ansiosa attesa dell’invito per l’incasso”67 circa la salvaguardia dei loro interessi.

Il tutto poté dirsi sostanzialmente concluso nel maggio 1951, quando tutti i coinvolti si ritrovarono in una nuova assemblea che fu l’occasione per stilare un bilancio piuttosto positivo dell’intera faccenda. Nella cronaca de “Il Lunedì del Medio Oriente”, che dava conto delle parole di Amighini, su un totale di oltre 4.000 pratiche, “2342 pratiche sono state finora approvate […] e […] nella stragrande maggioranza dei casi il ministero, con notevole comprensione, ha approvato le proposte di Asmara: circa 300 sono i casi di pratiche respinte, per le quali è necessario rifare il lavoro, mentre solo 21 sono i ricorsi presentati contro il parere della Commissione Giudicatrice”68. Come prova dell’attività dell’organismo da lui presieduto, Amighini citava altresì le 2067 lettere inviate fuori dall’Eritrea, le 4643 raccomandate inviate ai propri iscritti69, le 1542 lettere ricevute, le 983 dichiarazioni di riconoscimento di avvenuta liquidazione, i 103 richiami a mezzo stampa e le 34 pratiche gestite per conto delle famiglie di militari defunti, e teneva a precisare che “per noi tutti sono stati eguali, un militare ha equivalso l’altro, sono spariti, credetelo, i nomi nel crogiolo del lavoro; abbiamo considerato tutti eguali nel diritto, e per tutti abbiamo chiesto aiuto e comprensione. Mai l’ombra di un partito ha varcato la soglia della nostra sede”70. Raggiunti questi risultati, il presidente comunicava che il Comitato esecutivo prendeva congedo.

Non essendo riusciti a reperire ulteriori e maggiormente circostanziate fonti circa il concreto procedere dei lavori della commissione e del Comitato in oggetto, per concludere la trattazione della questione ed al fine di completare i dati che abbiamo disseminato nelle pagine precedenti, non possiamo che ricorrere al più volte citato dizionario degli italiani d’Eritrea compilato da Giuseppe Puglisi, il quale, nel fornire un agile schizzo biografico di Alberto Amighini, scrive che egli “continuò l’opera di assistenza agli ex militari, presso l’Ufficio Stralcio, dopo la cessaz[ione] del Comitato, avvenuta nel maggio 1951. Dalla relazione conclusiva del Comitato (31 – VI – 1951) risulta che sono stati assistiti dallo stesso 4047 ex militari, ai quali sono state liquidate competenze per oltre 400 milioni di lire” (Puglisi 1952, 16).

Biografia

Nicholas Lucchetti ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia, discutendo una tesi sulla comunità italiana nell’Eritrea del secondo dopoguerra (1941 – 1952). Tra le sue pubblicazioni: Frammenti di vita “postcoloniale” negli articoli de “Il Quotidiano eritreo”, in “I sentieri della ricerca”, n. 9 – 10/2009, pp. 349 – 363; La Spezia e il colonialismo italiano, La Spezia, Edizioni Cinque Terre, 2011.

Bibliografia

Biography

Nicholas Lucchetti holds a PhD in History; his graduating thesis was about the Italian community in Eritrea during the second post-war period (1941-1952). Among his publications are: Frammenti di vita “postcoloniale” negli articoli de “Il Quotidiano eritreo”, in the review “I sentieri della ricerca”, n. 9 – 10/2009, pp. 349 – 363; La Spezia e il colonialismo italiano, La Spezia, Edizioni Cinque Terre, 2011.

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  1. Giuseppe Barbato, in precedenza Commissario straordinario per il Somaliland britannico (conquistato dagli italiani nell’agosto 1940), aveva impiantato nel dicembre 1947 in Asmara l’Ufficio Rimpatri del ministero dell’Africa Italiana. Fino al 1949, quando Roma poté disporre di un proprio rappresentante diplomatico in Eritrea, Barbato fu la più alta autorità politica italiana in loco, cfr. Puglisi 1952, 34. []
  2. Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e militarizzati in Eritrea, Barbato ad Africa Italiana, 18 maggio 1948.  []
  3. Lettera aperta al Dottor Barbato, in “Eritrea Nuova”, 26 aprile 1948.  []
  4. Il dottor Barbato e la “lettera aperta” sulla questione dei militari, in “Eritrea Nuova”, 3 maggio 1948.  []
  5. Cfr. Repubblica Italiana. Ministero A.I – Nota 0538237 – del 26 – 5 – 48. Norme relative alla determinazione della posizione matricolare e relativo trattamento economico dei cittadini italiani tuttora residenti nei territori di colonizzazione italiana che all’atto dell’occupazione della sede di servizio erano alle armi, in “Il Lavoro”, 1 luglio 1948. []
  6. Cfr. Repubblica Italiana. Ministero A.I – Nota 0538237 – del 26 – 5 – 48. Norme relative alla determinazione della posizione matricolare e relativo trattamento economico dei cittadini italiani tuttora residenti nei territori di colonizzazione italiana che all’atto dell’occupazione della sede di servizio erano alle armi, in “Il Lavoro”, 1 luglio 1948.  []
  7. Cfr. Repubblica Italiana. Ministero A.I – Nota 0538237 – del 26 – 5 – 48. Norme relative alla determinazione della posizione matricolare e relativo trattamento economico dei cittadini italiani tuttora residenti nei territori di colonizzazione italiana che all’atto dell’occupazione della sede di servizio erano alle armi, in “Il Lavoro”, 1 luglio 1948. []
  8. Cfr. Repubblica Italiana. Ministero A.I – Nota 0538237 – del 26 – 5 – 48. Norme relative alla determinazione della posizione matricolare e relativo trattamento economico dei cittadini italiani tuttora residenti nei territori di colonizzazione italiana che all’atto dell’occupazione della sede di servizio erano alle armi, in “Il Lavoro”, 1 luglio 1948. []
  9. Ibidem. Per quanti provenivano dall’Eritrea la data di inizio del rimpatrio era stabilita tramite uno specifico avviso emanato dalla Polizia militare italiana. Il rientro doveva avvenire entro tre mesi.  []
  10. Cfr. Repubblica Italiana. Ministero A.I – Nota 0538237 – del 26 – 5 – 48. Norme relative alla determinazione della posizione matricolare e relativo trattamento economico dei cittadini italiani tuttora residenti nei territori di colonizzazione italiana che all’atto dell’occupazione della sede di servizio erano alle armi, in “Il Lavoro”, 1 luglio 1948. []
  11. A. Robiati, Militari in Eritrea, in “Il Lavoro”, 8 luglio 1948.  []
  12. Lettere al direttore, in “Eritrea Nuova”, 12 luglio 1948.  []
  13. Lettere al direttore, in “Eritrea Nuova”, 12 luglio 1948.  []
  14. Lettere al direttore, in “Eritrea Nuova”, 12 luglio 1948.  []
  15. Ciò venne apertamente sostenuto da Aldo Maffeis in Ancora sulle ‘disposizioni per il trattamento economico dei militari in Eritrea’, in “Il Lavoro”, 22 luglio 1948.  []
  16. Una Circolare che provoca molto rumore, in “Eritrea Nuova”, 2 agosto 1948.  []
  17. Veterano della Grande guerra e della campagna d’Etiopia, in qualità di capoufficio lavori del Genio Militare dell’Eritrea, egli aveva diretto tutte le operazioni d’interruzione nello Scacchiere Nord, cfr. Puglisi 1952, 110. []
  18. Cfr. Per la liquidazione dei militari, in “Il Lavoro”, 12 agosto 1948.  []
  19. P. Galeotto, Campane stonate e proposte pratiche, in “Eritrea Nuova”, 26 agosto 1948.  []
  20. Chi hanno preso stanotte?, in “Eritrea Nuova”, 9 settembre 1948.  []
  21. Chi hanno preso stanotte?, in “Eritrea Nuova”, 9 settembre 1948. []
  22. Chi hanno preso stanotte?, in “Eritrea Nuova”, 9 settembre 1948. Nella campagna dedicata dal giornale alla trattazione del tema, venne “scomodato” anche un veterano dell’esercito napoleonico, il soldato Godrin, arruolato a diciotto anni, l’unico superstite dei quarantadue pontieri che costruirono il ponte della Beresina, che, nonostante un passato militare glorioso, non aveva ricevuto alcun riconoscimento ed alcuna ricompensa dal governo di Luigi XVIII. Per l’occasione egli, identificandosi con gli italiani interessati, “indirizzò” una lettera aperta a De Gasperi e Brusasca. A quest’ultimo rivolse le parole più partecipate: “Noi tutti qui in Asmara vi conosciamo, perché vi abbiamo visto al Cinema Impero, allorché siete andato a Napoli a ricevere i profughi dell’eccidio di Mogadiscio sbarcati dallo ‘Sparta’ ed abbiamo sentito le parole che in quell’occasione avete detto. Che belle parole! Avete detto che: ‘i morti saranno considerati morti in combattimento’. Scusate, Eccellenza, se i morti li considerate come morti in combattimento, non vi sembra logico che tutti i vivi debbano essere considerati combattenti? Non credo che voi vogliate occuparvi e preoccuparvi solo dei morti e non dei vivi, perché, se cosi fosse, il ministero Africa sarebbe diventato una impresa di pompe funebri” (Il problema delle liquidazioni militari in Eritrea, in “Eritrea Nuova”, 22 novembre 1948).  []
  23. Cfr. Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e Militarizzati in Eritrea, Convocazione militari del 12 settembre 1948, dattiloscritto.  []
  24. In precedenza Correggiari era balzato agli onori della cronaca asmarina per aver inventato la “Pencilinia”, una lozione capace di far crescere i capelli “anche a coloro che sono calvi da anni”, cfr. Una grande invenzione all’Asmara, in “Il Quotidiano eritreo”, 15 agosto 1945. Non è stato possibile reperire altre informazioni biografiche su Correggiari. []
  25. Cfr. Per la liquidazione ai militari. Un energico o.d.g. trasmesso al Governo Italiano, in “Il Lavoro”, 23 dicembre 1948. Per le notizie su Amighini e Du Lac Capet, cfr. Puglisi 1952, 16 e 116. Non è stato possibile reperire informazioni circa Galleni e Volterrani.  []
  26. Cfr. Per la liquidazione ai militari. Un energico o.d.g. trasmesso al Governo Italiano, in “Il Lavoro”, 23 dicembre 1948; e E. Du Lac Capet, Ancora della Circolare 0…, in “Eritrea Nuova”, 7 gennaio 1949.  []
  27. Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e militarizzati in Eritrea, Correggiari a Moreno, 4 gennaio 1949.  []
  28. Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e militarizzati in Eritrea, Correggiari a Moreno, 4 gennaio 1949. []
  29. Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e militarizzati in Eritrea, Correggiari a Moreno, 4 gennaio 1949. []
  30. Cfr. Per il rinnovamento del CRIE, in “Il Lavoro”, 6 gennaio 1949.  []
  31. Cfr. Per la liquidazione delle indennità ai militari e militarizzati dell’Eritrea. Un telegramma di Brusasca, in “Il Lavoro”, 6 gennaio 1949.  []
  32. Cfr. Assemblea del Comitato Esecutivo dei militari e militarizzati, in “Il Lavoro”, 3 febbraio 1949. Nell’articolo si dava notizia dell’apertura della sezione massauina del Comitato esecutivo.  []
  33. R. Silvestri, La questione dei militari, in “Giornale dell’Eritrea”, 2 febbraio 1949.  []
  34. E. Correggiari, Le opinioni del pubblico, in “Giornale dell’Eritrea”, 5 febbraio 1949.  []
  35. Guerriglia tra i Militari ed i Militarizzati dell’Eritrea, in “Eritrea Nuova”, 4 aprile 1949.  []
  36. Cfr. Il nuovo comitato rappresentativo degli italiani in Eritrea, in “Il Quotidiano eritreo”, 10 aprile 1949. Non è stato possibile reperire ulteriori informazioni su Apolloni.  []
  37. A. Maffeis, Una strana e rumorosa assemblea dei militari e militarizzati, in “Il Lavoro”, 5 maggio 1949.  []
  38. In margine all’ultima assemblea dei Militari e Militarizzati, in “Il Lavoro”, 12 maggio 1949.  []
  39. Cfr. Voto unanime per la domanda di rimpatrio, in “Il Quotidiano eritreo”, 18 gennaio 1949.  []
  40. Su questo punto cfr. le considerazioni in I Militari hanno chiesto il rimpatrio, in “Eritrea Nuova”, 24 gennaio 1949.  []
  41. Cfr. L’Assemblea dei Militari e Militarizzati, in “Eritrea Nuova”, 11 marzo 1949.  []
  42. Cfr. al riguardo, In difesa dei diritti degli ex Militari, in “Eritrea Nuova”, 29 aprile 1949, e Il ricorso dei Militari, in “Il Lavoro”, 26 maggio 1949. Onde evitare un eccessivo afflusso di connazionali allo studio del notaio, il Comitato redasse l’elenco di quanti giornalmente avrebbero dovuto recarsi a firmare, cfr. Militari e Militarizzati, in “Giornale dell’Eritrea”, 25 maggio 1949.  []
  43. Nella faccenda dei militari si sta commettendo l’ultimo errore, in “Il Lavoro”, 15 giugno 1949.  []
  44. Cfr. Ecco perché, nella faccenda dei militari, si continua a sbagliare, in “Il Lavoro”, 23 giugno 1949.  []
  45. Cfr. Archivio Storico Comunale di Casale Monferrato, Carte Giuseppe Brusasca, b. 45, f. 257, Dott. Ing. Mario Fanano curriculum vitae in Eritrea, 11 dicembre 1951.  []
  46. Militari e Militarizzati dell’Eritrea. Conferenza Stampa, in “Il Lavoro degli italiani in Eritrea”, 11 agosto 1949.  []
  47. Cfr. M. Fanano Lettera ai militari, in “Eritrea Nuova”, 2 settembre 1949.  []
  48. “La Circolare è quella che è: ma, ormai, è un’istituzione: se fosse concreta, se fosse più cosa – e, meglio, se fosse stata partigiana – la darebbero come nome ad una strada: la metterebbero come statua in una piazza, magari piccola, ma in una piazza: ed i tranvai vi girerebbero intorno, gli speaker la descriverebbero bestialmente ai turisti, gli innamorati vi si darebbero appuntamento” (M. Fanano, Lettera ai militari, in “Eritrea Nuova”, 12 settembre 1949).  []
  49. M. Fanano, Lettera ai militari, in “Eritrea Nuova”, 23 settembre 1949.  []
  50. Cfr. al riguardo L’ing. Fanano se la spassa, a Roma?, in “Il Lavoro degli italiani in Eritrea”, 15 settembre 1949.  []
  51. Cfr. La questione dei Militari e Militarizzati dell’Eritrea, in “Eritrea Nuova”, 10 ottobre 1949. In risposta alla sua lettera, a conferma della problematicità della questione liquidazioni militari, il giornale romano pubblicò una missiva di un altro italiano d’Eritrea, Domenico Maffucci, che, rimpatriato, all’inizio del 1948 aveva ricevuto una liquidazione di 170.000 lire. In seguito gli era pervenuta, a mezzo dei Carabinieri, la richiesta di restituirne 164.000, perché risultava che in Eritrea aveva svolto un lavoro retribuito, cfr. Rimborsi invece di liquidazioni, in “Eritrea Nuova”, 17 ottobre 1949.  []
  52. Per esempio da una commissione interministeriale composta da Mario Conti, Lucio Pagnutti ed Amedeo Guillet, giunta nel territorio tra la fine del 1945 e l’inizio del 1946, con l’incarico di provvedere ad una sorta di “scelta” dei rimpatriandi e di trattare, tra l’altro, con le autorità inglesi la permanenza definitiva in Eritrea di un certo numero di italiani, cfr. Intervista con la Missione Italiana in Eritrea, in “Il Quotidiano eritreo”, 24 gennaio 1946, e O’Kelly 2002, 346-347 e 354.  []
  53. Cfr. Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e militarizzati in Eritrea, allegato 1 a ministero dell’Africa Italiana, n. prot. 472261, 11 novembre 1949.  []
  54. Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e militarizzati in Eritrea, allegato 1 a ministero dell’Africa Italiana, n. prot. 472261, 11 novembre 1949. Che la questione dovesse essere gestita dal rappresentante diplomatico in Eritrea, Fanano lo aveva sostenuto in due promemoria relativi “alla liquidazione dei militari e militarizzati dell’Eritrea”, datati 1 e 12 settembre 1949 e conservati rispettivamente in Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e militarizzati dell’Eritrea; e in Acs, Mai, b. 2008, f. Eritrea. Personale non locale, s.f. Richiesta fogli d’ordine. B.M.E. Asmara. Nei due documenti egli aveva sintetizzato i contorni della vicenda negli stessi termini degli articoli apparsi sui vari periodici asmarini.  []
  55. Cfr. Acs, Mai, b. 2078, f. Militari e militarizzati in Eritrea, allegato 2 a ministero dell’Africa Italiana, n. prot. 472261, 11 novembre 1949.  []
  56. Cfr. Una riunione interministeriale sulla questione dei Militari, in “Eritrea Nuova”, 24 ottobre 1949.  []
  57. L’Assemblea Generale dei Militari e Militarizzati dell’Eritrea, in “Eritrea Nuova” 14 novembre 1949.  []
  58. L’O.d.g. votato dall’Assemblea Generale dei Militari e Militarizzati dell’Eritrea, in “Eritrea Nuova” 14 novembre 1949.  []
  59. Cfr. Comitato Esecutivo dei Militari e Militarizzati dell’Eritrea. Comunicato, in “Eritrea Nuova”, 10 febbraio 1950 e Numerose le pratiche obiettivamente vagliate, in “Giornale dell’Eritrea”, 11 febbraio 1950.  []
  60. Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!, in “Il Lavoro degli italiani in Eritrea”, 16 febbraio 1950.  []
  61. La Liquidazione dei Militari e Militarizzati dell’Eritrea, in “Eritrea Nuova”, 17 febbraio 1950. []
  62. Cfr. Il Comitato Esecutivo Militari e Militarizzati dell’Eritrea alla Commissione dell’O.N.U., in “Eritrea Nuova”, 10 marzo 1950.  []
  63. Per i dettagli cfr. la nota in coda a Comitato Esecutivo Militari e Militarizzati, in “Eritrea Nuova”, 20 marzo 1950. []
  64. Comitato Esecutivo Militari e Militarizzati, in “Eritrea Nuova”, 20 marzo 1950. []
  65. Cfr. S. E. Brusasca per i Militari e Militarizzati dell’Eritrea, in “Il Quotidiano eritreo”, 11 giugno 1950.  []
  66. Conferenza stampa del Presidente del Comitato Militari e Militarizzati dell’Eritrea, in “Il Quotidiano eritreo”, 18 agosto 1950. Cfr. anche Militari e Militarizzati dell’Eritrea, in “Eritrea Nuova”, 21 agosto 1950.  []
  67. E. Correggiari, L’operato del Comitato Esecutivo dei Militari e Militarizzati nella sua realtà e alla luce dei fatti, in “Il Lavoro degli italiani in Eritrea”, 7 settembre 1950.  []
  68. Fraternità ed applausi all’assemblea degli ex militari, in “Il Lunedì del Medio Oriente”, 14 maggio 1951.  []
  69. Questi, definiti come aumentati, vengono indicati nella cifra di 3.228, distribuiti: 2.870 ad Asmara, 268 a Massaua, 50 a Decameré, 28 ad Adi Ugri e 12 ad Adi Caieh. È probabile che qualcuno dei precedenti 3.343 fosse nel frattempo rimpatriato, forse proprio per riscuotere in Italia l’agognata liquidazione.  []
  70. Fraternità ed applausi all’assemblea degli ex militari, in “Il Lunedì del Medio Oriente”, 14 maggio 1951. []