Con questo terzo inserto, l’inchiesta Fare e leggere la storia: le riviste di storia contemporanea in Italia, promossa da “Storia e Futuro” nel novembre 2015, e che ha accompagnato l’intero anno accademico che va concludendosi, giunge ad un punto al tempo stesso di arrivo e di apertura ulteriore. Sotto il primo rispetto l’indagine che abbiamo condotto – che ha visto partecipi molte delle maggiori testate italiane ed europee, addirittura extraeuropee, come è il caso dell’ “American Historical Review””, relativamente alla quale pubblichiamo in questo numero le risposte dell’Interim Editor Alex Lichtenstein, e l’adesione assai interessata dei Direttori e talvolta persino dell’intero comitato di redazione – ha ormai sedimentato un insieme di informazioni di grande ricchezza, assai diversificata nei contenuti ed anche nei toni, tracciando un panorama della storiografia italiana ed internazionale, e di questo peculiare e specifico strumento di ricerca e divulgazione, che riteniamo possa offrire al dibattito scientifico in corso un contributo non privo di rilievo e di interesse a proposito di alcuni dei problemi che investono oggi il “fare storia” – nelle sue categorie concettuali e metodologiche, nelle sue scelte tematiche e di indirizzo – e la stessa percezione ed autorappresentazione che lo storico dà di sé. In questo senso questo terzo inserto giunge a compimento di un percorso che si è ulteriormente arricchito della riflessione condotta durante il seminario svoltosi presso il Dipartimento di Scienze Politiche ed Internazionali dell’Università di Siena il 3 maggio 2016, che grazie alle relazioni di Mauro Moretti, Simone Neri Serneri e Roberto Balzani, ed agli interventi successivi di alcuni rappresentanti di riviste italiane (in particolare di Fabio Bertini per “Ricerche Storiche”, Giovanna Tosatti per “Le Carte e la Storia” e Renato Sansa per “Storia Urbana”), ha offerto spunti di ulteriore arricchimento al confronto.
Da altro punto di vista l’inserto apre ad ulteriori, possibili esiti di ricerca e di riflessione. Innanzitutto per la scelta, compiuta dalla redazione di “Storia e Futuro”, di aprire il più possibile il confronto alla dimensione internazionale, oggi particolarmente rilevante anche alla luce delle notevoli trasformazioni che costantemente intervengono ad ogni livello nel mondo, e coerente con gli indirizzi che sin dall’avvio della propria esperienza la nostra rivista si è data. Le voci provenienti dall’ambiente anglosassone (l’ “American Historical Review”, “The English Historical Review”) e tedesco (la “Historische Zeitschrift”) fanno in questo senso da contrappunto ai contributi offerti dai direttori di due riviste assai diverse tra loro – per storia, tradizione e scelte tematico metodologiche – come “Memoria e Ricerca” e “Nuova Rivista Storica”: la prima emersa nel quadro del rinnovamento avviatosi negli anni Novanta sulla scorta dei mutamenti intervenuti negli assetti della produzione culturale e scientifica, e segnatamente storiografica, italiana, l’altra, frutto essa pure di una frattura che a tutti i livelli determinò una sconvolgente trasformazione nelle strutture politiche, economiche, culturali ed istituzionali, e persino antropologiche, europee, come la Prima Guerra Mondiale. Proprio il dato cronologico è un altro elemento che merita la dovuta considerazione: accostare riviste di antica tradizione (la “Nuova Rivista Storica”, nata nel 1917; la “English Historical Review”, addiritttura del 1886; la “Historische Zeitschrift”, del 1859), ad una rivista come “Memoria e Ricerca”, nata nel 1993, non rappresenta il tentativo di accostare confusamente voci diverse per un mero arricchimento del panorama che siamo andati disegnando; bensì piuttosto lo sforzo di evidenziare le traccianti fondamentali di una storia che appartiene, e rappresenta in misura davvero considerevole, le origini stesse della professione storiografica e della sua istituzionalizzazione, come non manca di sottolineare, nel suo intervento, Alex Lichtenstein, e come ribadiscono i tre direttori dell’ “English Historical Review” Martin Conway, Peter Marshall e Catherine Holmes – nei loro contributi. Quasi ai due estremi della parabola, “Nuova Rivista Storica” e “Memoria e Ricerca” rappresentano la testimonianza di come la storiografia italiana sia cambiata nel corso del tempo, riflettendo ed interpretando i mutamenti della società italiana anche nelle sue fasi più difficili. Eugenio Di Rienzo lo ricorda nel suo lungo, impegnato ed appassionato saggio: da quando la rivista nacque postulando nel successivo programma, del 1918, l’obiettivo di «fare in modo che lo scrivere di storia (fosse) non tediosa esercitazione critica su questioni minute e disorganiche, non illustrazione spicciola di testi e di documenti, ma, essenzialmente, interpretazione e intelligenza dei fatti sociali, specie di quelli politici, nel senso più ampio e comprensivo della parola», agli anni terribili del fascismo, quando la rivista subì l’intimidazione repressiva dell’OVRA, perdendo – in ragione delle leggi razziali del 1938 – uno studioso del valore di Gino Luzzatto, agli anni difficili ma entusiasmanti della ricostruzione. Sempre mantenendo fede al principio di essere una rivista di storia “generalista”, non di tendenza, non ideologica, legata esclusivamente al valore scientifico della propria produzione. E collocandosi nel quadro di una Europa nella quale la Grande Guerra – che aveva decretato il trionfo della scienza e della tecnologia industriale, e segnatamente della chimica, indicando la direzione di una società irreversibilmente mutata – imponeva una riflessione sul possibile, rapido tramonto di una scienza, la storia, affermatasi in fondo non più di qualche decennio prima con una funzione pedagogico-istituzionale legata alla costruzione dello Stato moderno, improvvisamente deflagrata nella “terra desolata” di eliotiana memoria, preannunciando tempi nuovi e nuove esigenze, che di lì a non molto proprio sul confine conteso dell’Alsazia-Lorena sarebbero state trasfuse nell’esperienza storiograficamente rivoluzionaria delle “Annales”. “Memoria e Ricerca”, sull’opposto della parabola, rappresenta, insieme con alcune delle altre riviste che abbiamo interpellato nel corso dei numeri precedenti, lo sforzo di aprire la storia alle altre scienze sociali e di misurarsi con i processi storici in corso: innanzitutto e soprattutto – come sottolineano i due Direttori Maurizio Ridolfi e Fulvio Conti – in una peculiare struttura “monografico-tematica” che in ormai più di vent’anni ha consentito di intersecare ed investigare temi anche nuovi e non privi di elementi di rischio, seppur così interessanti e ricchi di feconde potenzialità.
E’ del resto da sottolineare il fatto che l’intervento di riviste di così antica tradizione abbia aperto l’inchiesta a filoni tematici nuovi ed anche a segmenti disciplinari che largamente fuoriescono dal perimetro della storia contemporanea: se è vero che il rinnovamento introdotto a livello storiografico dalla “Nuova Rivista Storica”, così come dalle altre iniziative editoriali a livello europeo, si è collocato in una fase nella quale continuava a rimanere largamente dominante l’apprendimento e la pratica della storia moderna e di quella medievale, come terreno di formazione delle nuove generazioni di studiosi, e come terreno di confronto per le generazioni di studiosi più affermate.
Al di là delle rispettive vicende che hanno interessato le riviste interpellate, e che costituiscono un elemento di straordinario interesse per la ricostruzione della storia della storiografia italiana ed internazionale durante i due secoli appena trascorsi, rimane come tema centrale il confronto con le nuove dimensioni della ricerca e della divulgazione scientifica. Di fronte ai nuovi interrogativi che si oppongono allo studioso, rileva osservare come le risposte di tutti i Direttori intervenuti siano state al tempo stesso orientate alla presa d’atto della trasformazione ed anche ai segnali di crisi che la produzione storica, il processo di “analfabetizzazione storica” cui fa riferimento Di Rienzo, ad una vera e propria “de-istituzionalizzazione” della figura dello storico, stanno vivendo. Al tempo stesso, tuttavia, la risposta che complessivamente emerge rimane ancorata ad una fiducia non solo nell’utilità del mestiere, ma anche nelle opportunità e nelle possibilità nuove che anche i nuovi strumenti tecnologici danno alla scienza storica. Quasi a ricordare il monito che Marc Bloch consegnò alle splendide pagine conclusive della sua Apologia della storia: la storia rimane certo la scienza della memoria e dell’uomo, e lo storico è ancora – e tale rimarrà – l’ “orco delle fiabe” che va là dove sente l’odore della carne umana; ma al tempo stesso è dovere scientifico, istituzionale e persino esistenziale dello studioso del passato aprirsi alle trasformazioni del presente e guardare con fiducia al futuro. “Il mondo – affermava Marc Bloch – appartiene a coloro che amano le cose nuove”.