Alberto Guasco
Il “network Pio XI”
Decisa nel settembre del 2006, l’apertura alla consultazione delle carte di Pio XI (1922-1939) custodite nell’Archivio segreto Vaticano, ha rappresentato e rappresenta per la ricerca storica, una importante occasione per realizzare un passo avanti decisivo nello studio di quel periodo e delle sue conseguenze. Alcuni fra i più grandi nodi della storia novecentesca europea ed extraeuropea compresa tra le due guerre mondiali – quasi del tutto coincidente con l’arco temporale ricoperto dal pontificato di Achille Ratti – possono essere oggi riletti a partire dall’analisi e dallo studio di materiali inesplorati, in grado di testimoniare il punto di vista della Santa Sede, la view from Rome, sulle grandi questioni del tempo.
È a partire da questa considerazione che numerose istituzioni culturali e di ricerca (tra di esse la fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, la Brown University, l’Ecole Française de Rome, l’Università di Münster, l’Università di Vienna, l’Istituto di Storia mondiale dell’Accademia russa delle Scienze, l’Università di Modena-Reggio Emilia, le Università di Roma La Sapienza, Roma 2 e Roma 3 Tor Vergata, l’Università di Verona) hanno dato vita e aderito a un network internazionale di studi (lo European network. Totalitarian truths between conflict and agreements: political ideology and the Holy See in the Archives pertaining to Pius XI), allo scopo di mettere in collegamento tra di loro i diversi progetti internazionali di ricerca avviati sul pontificato di Papa Ratti.
Il primo appuntamento del network – Pio XI parole chiave: Totalitarismo Morale Russia – i cui atti sono in corso di pubblicazione presso LIT, si è svolto presso la fondazione Ambrosianeum di Milano nelle giornate del 9 e 10 giugno 2009, organizzato dall’Istituto per le Scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna con il coordinamento dal prof. Alberto Melloni. Quattro le sessioni del convegno, rispettivamente dedicate al rapporto della Santa Sede con i totalitarismi; alla realtà della Russia sovietica; alle questioni inerenti il magistero morale di Pio XI; alle relazioni allacciate da Roma con i diversi paesi europei (Francia, Cecoslovacchia e Romania), extraeuropei (Stati Uniti e Cina) e istituzioni internazionali (Società delle Nazioni).
Il panorama dei lavori
Nel suo saluto inaugurale ai convegnisti, il prof. Melloni ha sottolineato l’importanza e la portata del lavoro in corso su Pio XI, evidenziando la notevole crescita d’interesse per il pontificato rattiano. Interesse, questo, già evidenziato da mons. Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio segreto Vaticano, del quale Gianfranco Armando, archivista presso la medesima istituzione, ha portato i saluti, ricordando – come scriveva papa Leone XIII il 18 agosto 1883 nella lettera Saepenumero Considerantes, “esser primaria legge della storia, non osare dir nulla di falso, né tacere nulla di vero; che niun sospetto appaia nello scrivere di favore, niuno di odio”.
Nella sua ampia prolusione al convegno, Hubert Wolf dell’Università di Münster, autore del volume Il papa e il diavolo. Il Vaticano e il Terzo Reich (Donzelli 2008) ha sottolineato la necessità di sganciare il pontificato e la figura di Pio XI dall’ombra del suo successore, Eugenio Pacelli, garantendogli “il diritto a una propria biografia”. E ciò ricollocandolo adeguatamente sul suo palcoscenico storico, senza apologetica né polemica. Il materiale presente in Archivio segreto Vaticano offre questa possibilità, che per la ricerca – ha detto Wolf – rappresenta un autentico “salto quantico”. Per un lavoro veramente efficace su quei fondi d’Archivio (che spesso mettono a disposizione l’intero itinerario dei diversi documenti pontifici, non soltanto la loro redazione finale), al di là di una prima e naturale fase di “segmentazione delle ricerche”, occorrono uno sguardo comparativo e una prospettiva di studio internazionale. Solo così, ha concluso Wolf, potrà essere garantita una più approfondita conoscenza dei nodi strutturali del pontificato, non ultimi il carattere e i canoni d’azione degli ecclesiastici di curia, il rapporto fra il centro e la periferia nella chiesa cattolica del tempo e il carattere dei suoi processi decisionali interni.
Proprio nella prospettiva descritta da Wolf, tre suoi collaboratori, Jorg Hörnschemeyer, Maria Pia Lorenz Filograno e Barbara Schüler, hanno presentato il “Progetto di edizione critica online dei rapporti di Eugenio Pacelli”, condotto in collaborazione dall’Università di Münster, dall’Archivio segreto Vaticano e dall’Istituto Storico Germanico di Roma. I circa 6.500 rapporti inviati a Roma da Eugenio Pacelli durante i dodici anni (1917-1929) trascorsi come nunzio in Baviera, in Prussia e a Berlino, saranno quindi a disposizione degli studiosi, che dalla homepage del progetto (www.pacelli-edition.de.) avranno la possibilità di accedere a una enorme banca dati, tanto di valore per le ricerche quanto di facile navigazione.
È stata quindi la volta dei proff. Rupert Klieber (Università di Vienna), Vincent Viaene (Università di Kadoc-Leuven), Feliciano Montero (Università di Alacalà de Henares), Laura Pettinaroli (Ecole Francaise de Rome), Evgenia Tokareva (Università di Mosca) e Carlo Felice Casula ( Università di Roma 3) di dar vita a una tavola di presentazione dello stato delle ricerche e dei progetti di studio avviati nei propri paesi dalle proprie istituzioni di riferimento.
In Austria – ha spiegato Klieber – nel 2008 si è costituito un comitato scientifico, con il compito di coordinare gli studi sul pontificato di Pio XI; i risultati delle ricerche promosse dal comitato sono attesi sopratutto nel campo della politica (rapporti tra governi austriaci e Santa Sede), della politica ecclesiale (ambito della designazioni dei vescovi e delle questioni diocesane), e dell’agire simbolico e morale della Santa Sede (effetti specifici delle encicliche e dei documenti vaticani).
In Spagna, ha detto Montero, nonostante la revisione critica avviata negli anni Settanta e Ottanta, il panorama degli studi storici sulla chiesa è in buona parte ancora condizionato dal peso del passato franchista. In questo senso, l’apertura dell’Archivio segreto Vaticano potrà e dovrà costituire un passo decisivo per liberarlo da ogni tipo di pregiudizio ideologico e politico.
Riguardo alla Russia, Tokareva ha ripercorso gli ultimi decenni di storiografia relativa al pontificato di Pio XI. Dall’approccio politico e metodologico di impianto marxista, caratteristico del periodo sovietico, si sta assistendo, dagli anni Novanta, a un salto qualitativo degli studi, garantito dalle nuove possibilità di accesso agli archivi sovietici, dall’istituzione di cattedre di storia delle religioni e della chiesa presso diverse università e dalla nascita di nuove istituzioni culturali specializzate.
Per quanto riguarda l’Italia, nella stessa prospettiva già evidenziata da Wolf si è espresso il Casula, presentando il progetto – da lui coordinato – dedicato all’enciclica Divini Redemptoris (1937) contro il comunismo. Di essa, ha sottolineato Casula, sono a disposizione degli studiosi i molteplici testi preparatori fino alla redazione finale, una vasta rassegna stampa dedicata all’impatto, realmente mondiale, dell’enciclica, e una enorme documentazione, finora inedita, riguardante l’inchiesta sulla diffusione del comunismo in Europa, America e Australia (ma anche in Cina, in Giappone e nei diversi paesi coloniali dell’Africa e dell’Asia), commissionata dalla Segreteria di Stato, per il tramite dei Nunzi e dei Delegati apostolici, alle gerarchie ecclesiastiche locali.
“Totalitarismo”
Nella prima sessione del convegno, introdotta da Emma Fattorini dell’Università di Roma La Sapienza (autrice del volume Pio XI Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi 2007), hanno trovato spazio cinque interventi. Nella rassegna bibliografica iniziale, Alberto Guasco (fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII) ha sopratutto evidenziato come i termini “totale” e “totalitarismo” compaiano più volte – alla pari di altri – nei documenti magisteriali di Pio XI, sempre utilizzati in duplice chiave, ora positiva ora negativa.
È quindi seguita la comunicazione di Alfonso Botti (Università di Modena-Reggio Emilia), Santa Sede e guerra civile spagnola: i timori di una deriva totalitaria, che ha analizzato la condotta ecclesiastica di fronte alla presenza e all’influenza nazista in Spagna negli anni della guerra civile, “per comprendere se e con quali limiti essa possa configurarsi come anti-totalitaria”. Alla “traballante equidistanza” con cui la Santa Sede guardava al conflitto, non era estranea la crescente preoccupazione riguardo al coinvolgimento del nazionalsocialismo tedesco a sostegno dei franchisti, che emerge dai numerosi rapporti inviati dai nunzi in Spagna (prima Ildebrando Antoniutti, poi Gaetano Cicognani) al segretario di Stato Eugenio Pacelli. Un contesto, quello iberico, in cui – ha notato Botti – emergono tutte le contraddizioni con le quali la Chiesa guardò ai totalitarismi europei del Novecento, da una parte ostacolando il diffondersi dell’ideologia nazista, dall’altra tentando di “orientare il regime spagnolo verso esiti confessionali e clericali”.
Nella relazione seguente, La Santa Sede e l’impero fascista: contrasti, silenzi, fiancheggiamenti, Lucia Ceci (Università di Roma Tor Vergata) ha invece letto il conflitto italo-etiopico come un “prisma privilegiato” attraverso cui leggere, in tutta la loro complessità e contraddittorietà, le posizioni e i giudizi del pontefice e della curia nei riguardi del fascismo. La guerra d’Etiopia toccava infatti nodi essenziali della politica vaticana, quali il rapporto stesso col regime, la collocazione internazionale della Santa Sede, il giudizio del magistero sulla guerra, il legame tra colonialismo e missioni, tra universalismo, nazionalismo e razzismo. Lungo tutti i versanti menzionati, l’apertura dell’Archivio segreto Vaticano permette di conoscere meglio il travaglio con cui la Santa Sede, il pontefice, e alcuni dei suoi collaboratori vissero l’evento. Un travaglio – e nel caso del pontefice una contrarietà – che stride con il largo sostegno garantito all’impresa da un clero e un episcopato definito da mons. Domenico Tardini “esaltato e guerrafondaio”.
È quindi intervenutaRaffaella Perin (fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII) che nella sua relazione Il nesso antiprotestantesimo-antisemitismo sotto Pio XI ha sottolineato come tra gli anni Venti e Trenta il rapporto – o meglio il contrasto – con ebrei e protestanti si alimentasse “di stereotipi, depositatisi nell’immaginario collettivo, di cui fecero uso alti prelati così come la pubblicistica diocesana in genere”, laddove il soggetto dello stereotipo risultava descritto “come colui che si serviva della ricchezza straniera, apparteneva alla massoneria, legava spesso con i socialisti e i comunisti, per distruggere l’unità della fede cattolica e sconvolgere il nuovo ordine stabilito dallo stato fascista che la garantiva”.
L’intervento conclusivo della sessione, Santa Sede e Cecoslovacchia: un rapporto difficile alla luce delle nuove fonti vaticane, è spettato a Emilia Hrabovec (Università di Vienna), che ha delineato i tratti secolarizzati dello stato cecoslovacco emerso dalla Grande guerra, segnato da “un dettame ideologico con pretese totalizzanti che cercava di penetrare tutta la sfera pubblica”, uno dei contesti più difficili entro i quali Pio XI dovette sviluppare una strategia di ridefinizione dei rapporti tra Santa Sede e Stato. Uno sforzo – collocato nella più generale strategia che cercava di evitare la separazione tra Chiesa e Stato e al contempo di stabilizzare la situazione giuridica della Chiesa indipendentemente dalla natura dei governi – che fu segnato da crisi ripetute, interruzione di rapporti diplomatici e dalla rimozione di ben quattro nunzi apostolici. Ma al quale, di fronte ai pericoli di penetrazione comunista da una parte, e nazionalsocialista dall’altra, Pio XI non volle rinunciare, neppure all’indomani degli accordi di Monaco del 1938 e dello smembramento dello Stato, finito nell’abbraccio mortale del Terzo Reich.
“Russia”
La seconda sessione del convegno, moderata da Carlo Felice Casula, è stata introdotta dall’ampia rassegna bibliografica proposta da Sergio Apruzzese (fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII), che nella sua comunicazione ha trattato il tema I rapporti fra Roma e Mosca tra storiografia e nuove prospettive di ricerca.
Ha quindi preso la parola Etienne Fouilloux (Università di Lione) che ha presentato la relazione Pie XI et la “Russie”. Bref etat de la question. Riflettendo sulla profonda eterogeneità che caratterizza i rapporti tra la Chiesa di Pio XI e la Russia – maggiormente noti per quel che riguarda gli anni Venti, meno per gli anni Trenta – Fouilloux si è soffermato su alcuni punti essenziali del dibattito: il significato del termine “Russia” nel vocabolario della Santa Sede (“il y met une particulière insistance, témoignage de sa volonté d’affirmer une permanence par delà les ruptures : permanence d’ordre spirituel à n’en pas douter, celle de la Sainte Russie qu’il faut convaincre d’adopter la foi catholique”); il peso del tema dell’uniatismo (“Le tremblement de terre que constituent les révolutions dans l’Empire des tsars provoque une réduction à la “Russie” d’un unionisme catholique (rapprochement avec l’orthodoxie par le moyen des Églises orientales unies à Rome)”); i rapporti del cattolicesimo con l’emigrazione russa e il ruolo rivestito dai gesuiti nell’insieme dei rapporti con Mosca.
Proprio in questo senso, a seguire, Laura Pettinaroli ha presentato una relazione del titolo I colloqui fra d’Herbigny e Pio XI (1923-1933), ricostruendo i “tempi della relazione” intercorsa tra il pontefice e il padre gesuita, per un decennio suo principale consigliere relativamente alle questioni russe – un rapporto testimoniato anche dal gran numero di udienze che gli furono concesse dal papa, addirittura 82 tra il 1928 e il 1932 – descrivendone l’ascesa ai vertici della Commissione pro Russia e poi la caduta in disgrazia alla metà degli anni Trenta.
Da un altro punto di vista si è collocato Filippo Frangioni (Università di Roma Tor Vergata), con la sua relazione L’Urss e la propaganda contro la religione. Per una definizione dell’anticomunismo della S. Sede negli anni 30. Il relatore si è in particolare soffermato sui mutamenti intervenuti nel giudizio espresso dalla Santa Sede riguardo al comunismo mondiale (un insieme di manifestazionilocali, tutte parte di un movimento internazionale diretto da Mosca), che, tale nei primi anni Trenta, si modificò nel corso del decennio, in seguito al determinarsi di un rinnovato “paradigma anticomunista”, frutto d’una “complessa dialettica fra comprensione del fenomeno comunista e analisi del ruolo internazionale dell’Unione Sovietica”.
In conclusione di sessione, Manuela Barbolla dell’Archivio del Sant’Uffizio ha ricostruito la genesi dell’Enciclica Mortalium Animos (promulgata nel 1928) ricollocandola in un contesto internazionale nel quale la Santa Sede, da una parte, guardava con speranza alla possibilità che i “dissidenti” delle chiese orientali le si ricongiungessero, e dall’altro nutriva un certo sospetto riguardo allo sviluppo di fermenti unionistici o ecumenici in varie parti d’Europa, di cui erano testimonianza le conferenze “pancristiane” di Stoccolma (1925) e Losanna (1927): la relatrice ha espresso l’ipotesi che i destinatari dell’enciclica “siano da ricercarsi anzitutto tra i protestanti e poi tra tutti quegli altri movimenti che l’enciclica stessa definisce pancristiani”.
“Morale”
La terza sessione, moderata da Claude Langlois – già direttore dell’École Pratique des Hautes Etudes di Parigi – si è aperta con l’intervento di Emmanuel Betta (Università di Roma), La dottrina sulla famiglia nell’età di Pio XI tra storiografia e ricerca. Betta ha sottolineato come l’enciclica Casti Connubii, promulgata da Pio XI nel 1930, abbia segnato “un punto di svolta decisivo nel modo con il quale la chiesa ha guardato e giudicato le dinamiche della famiglia, della riproduzione, della sessualità”, fissando un ordine del discorso dottrinale e morale non più messo in discussione, anzi riconfermato nei suoi assunti, dalla Humanae vitae di Paolo VI del 1968. Da un lato, infatti, l’enciclica può essere considerata “un prodotto ultimo dell’intransigentismo cattolico ottocentesco e del confronto con quel complesso fenomeno culturale, politico e sociale chiamato neomalthusianesimo”. D’altronde – ha notato Betta – “a questa fase storica appartengono buona parte dei riferimenti dottrinali usati, così come in questa temperie culturale e politica si sono formati molti dei protagonisti del papato di Pio XI”. Dall’altra, il termine di paragone su cui si plasma, per certi versi ancora oggi, la posizione politica del Vaticano e dei cattolici sul problema demografico e sul tema della riproduzione.
Temi ripresi e approfonditi anche da Martine Sevegrand (Groupe de Sociologie des Religions et de la Laicité, CNRS), presentando una comunicazione sul tema Pie XI et la morale familiale. La relatrice ha in primo luogo ricostruito lo stato della questione nel 1922, momento dell’avvento al soglio pontificio di papa Ratti, incominciando dall’enciclica di Leone XIII Arcanum divinae sapientiae (1880), che disciplinava la pratica matrimoniale cattolica. Ha poi quindi individuato il contributo specifico di Pio XI nelle encicliche Representati in terra (1929)sull’educazione cristiana della gioventù e Casti Connubii (“Si Pie XI reprenait dans l’encyclique, les condamnations du divorce, de l’avortement, de l’union libre et du mariage civil, c’est bien la condamnation de la contraception qui constitue la nouveauté du document pontifical”). Infine, ha individuato nelle ragioni della promulgazione della Casti Connubii, nella sua ricezione e nella sua portata dottrinale i nodi storiografici che gli studiosi dovrebbero meglio chiarire.
Nella terza relazione, Les défis du pontificat de Pie XI pour l’Action catholique féminine en France et en Italie (1922-1939),Magali Della Sudda (Ecole Francaise de Rome) ha evidenziato la necessità di sottrarre le organizzazioni femminili di azione cattolica dal “cono d’ombra” dove la ricerca le ha finora confinate, riconsiderandone l’importanza (“c’est sous le pontificat de Pie XI que s’affirme le rôle de l’Action féminine catholique en tant qu’organisation de masse et comme instrument de restauration de la morale chrétienne”). Sottolineando come le riforme statutarie volute dal pontefice in Italia (nel 1931) e in Francia (nel 1933) mirassero, nei differenti contesti, sia a istituzionalizzare l’apostolato dei laici sia a imprimergli un carattere uniforme e transnazionale.
Nell’intervento conclusivo della sessione, Formazione delle élites femminili cattoliche fra le guerre, Maria Malatesta (Università di Bologna) ha delineato un quadro relativo all’aumento della scolarità universitaria femminile tra le due guerre, evidenziando la grande importanza che rivestì il “processo allargato di emancipazione all’interno di un contesto ostile al riconoscimento delle capacità femminili”. Un processo di formazione di élites intellettuali in cui fu fondamentale il ruolo svolto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore (in particolare dalle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Magistero) fondata da padre Gemelli. E che culminò, nel dopoguerra, con il loro ingresso nel mondo delle professioni e con la loro diretta partecipazione – dai banchi della Costituente a quelli delle scuole e delle farmacie – alla vita politica, sociale e professionale del paese.
“Vetrina della ricerca”
Nell’ultima sessione, moderata da Agostino Giovagnoli dell’Università Cattolica di Milano, ha trovato spazio il tema dei rapporti tra Santa Sede, stati nazionali (Francia, Romania, Stati Uniti, Cina) e organismi internazionali (la Società delle Nazioni).
Nella sua comunicazione, “Facendo nostra la parola di nostro Signore”: Pio XI davanti alla politica della mano tesa, Marie Levant (Università di Brest-Roma La Sapienza), ha illustrato le ragioni per cui – ferma restando la condanna del comunismo contenuta nell’enciclica Divini Redemptoris – Pio XI si risolse a prendere in considerazione l’offerta di “mano tesa” avanzata dal prima dal Pcf di Thorez e poi dallo stesso Fronte popolare guidato da Blum. Non si trattò di un abbandono né di una attenuazione della condanna dottrinale espressa nella Divini Redemptoris, quanto della individuazione di un terreno di possibile collaborazione, quello delle opere sociali. Più ancora – ha sostenuto Levant – l’intuizione del papa (che confidò a Pacelli: “Tentare ; non se ne caverà forse nulla, ma almeno tentare”) è da ricondurre a quel graduale ripensamento di posizioni che, dal 1937, portò il pontefice a considerare il nazismo come nemico principale, facendo scivolare il comunismo sovietico in seconda posizione. Una posizione che restò isolata, tanto tra l’episcopato francese quanto in segreteria di Stato.
Nella sua relazioneIl concordato tra la Santa Sede e la Romania: un’introduzione, Mara Dissegna (Università di Trento-Roma La Sapienza) ha invece delineato il prolungato itinerario che condusse all’allacciamento di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e lo stato rumeno, attraverso il primo concordato stipulato dal Vaticano con un paese a maggioranza non cattolica. Anch’esso segnato da continue interruzioni e riprese – il rapido succedersi dei governi, la presenza maggioritaria della chiesa ortodossa, quella delle diverse minoranze etniche, la definizione giuridica e territoriale delle provincie ecclesiastiche, l’accordo sulle nomine dei vescovi costituiscono un complesso di aspetti di delicata gestione – verrà firmato nel 1927 e ratificato nel 1929. Una ratifica che imprimerà alla chiesa cattolica locale un marcato carattere rumeno.
Le due relazioni seguenti hanno quindi spostato il punto di vista dall’Europa al mondo.
Giulia D’Alessio (Università La Sapienza) ha proposto un intervento su Santa Sede, Stati Uniti e cattolicesimo americano negli anni di Pio XI, soffermandosi sulla corrispondenza instauratasi tra l’enciclica Quadragesimo Anno (1931) e la linea del New Deal di Roosevelt, che definì il documento papale “one of the greatest documents of modern times”. Un giudizio che contribuì a riavvicinare le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Stati Uniti – interrotte dopo la metà dell’Ottocento – nel più ampio contesto di un confronto avviato sui problemi posti dalla crisi economica mondiale. Una sorta di disgelo, culminato, negli ultimi mesi del 1939, nella nomina di Myron Taylor come rappresentante statunitense presso la Santa Sede.
Elisa Giunipero (Università Cattolica di Milano) ha quindi toccato il tema L’inchiesta sul comunismo in Cina, illustrando i materiali con cui i delegati apostolici in Cina – Celso Costantini prima, Mario Zanin poi – risposero alle due richieste di informazioni espresse nel 1932 e nel 1936 dalla Santa Sede “circa le manifestazioni, i mezzi di propaganda, i progressi del comunismo nei diversi paesi”. Redatte in un contesto di estrema complessità e in rapido mutamento, le relazioni individuarono nello sfruttamento economico esercitato dalle potenze estere, nelle capacità di penetrazione della propaganda sovietica e in un’ideologia declinata in chiave nazionalista antigiapponese i principali fattori di successo del comunismo in Cina. E fornirono un contributo alla presa di coscienza della “necessità di superare l’identificazione tra il cristianesimo e gli interessi coloniali delle potenze europee” e al rafforzamento del processo di creazione della chiesa locale cinese.
Infine, nel suo intervento La Santa Sede, la Società delle Nazioni e l’Organizzazione internazionale del lavoro Liliosa Azara (Università di Roma 3) ha illustrato il processo attraverso il quale gli stati nazionali abbandonarono il proprio ruolo di interlocutori privilegiati della Santa Sede, cedendolo progressivamente alle organizzazioni internazionali. Un itinerario che il Vaticano visse con “diffidenza-ostilità verso il cosmopolitismo laico e, ancor più, verso l’internazionalismo socialista, ma anche wilsoniano”, pur senza rifiutare pregiudizialmente “l’ipotesi di aderire alla Società delle Nazioni, qualora fosse riconosciuto un suo ruolo di depositaria e interprete di un patrimonio valoriale al quale la neo costituita organizzazione internazionale avrebbe dovuto informarsi”. In tal senso – ha concluso Azara – la Santa Sede, pur non aderendo alla Società delle Nazioni, vi interagì in forma continuativa, soprattutto negli anni Venti, in particolare per il tramite di personalità politiche e istituzionali svizzere.