di Andrea Montemaggi
Il 25 agosto 1944 dall’alto della collina di Montemaggiore sul Metauro, Winston Churchill diede inizio ad una offensiva del tutto particolare, dal punto di vista politico, tesa ad infrangere la Linea Gotica (o “Linea Verde” come la definivano i Tedeschi).
Pur essendo condotta insieme alla 5ª armata americana, il premier inglese la considerava a ragione una battaglia “britannica”, conseguenza di quasi due anni di scontri tra i vertici del Regno Unito e quelli degli Stati Uniti, scontri strategici sia militari sia politici.
La Grande Strategia angloamericana1
Fin dall’inizio dell’impegno bellico degli Stati Uniti in seguito all’attacco di Pearl Harbor, si era posta per il presidente americano Franklin Delano Roosevelt il problema a quale scacchiere rivolgere le proprie forze. Infatti l’Italia e la Germania avevano subito dichiarato guerra agli Stati Uniti, facendo quindi assumere al conflitto una dimensione globale.
Come già esposto in modo chiaro da Rick Atkisons2, pur disponendo di una considerevole forza economica, il governo americano doveva affrontare enormi problemi, anche dal punto di vista militare, per creare un’organizzazione capace di affrontare le sperimentate forze armate nemiche.
Ciò era poi particolarmente grave per i vertici che, spesso, avevano una preparazione inadeguata o comunque di livello non elevato: basti pensare ai casi di Dwight David “Ike” Eisenhowerr o Mark Wayne Clark3.
Assunse ben presto un ruolo cruciale il generale George Catlett Marshall, sia per la sua conoscenza relativamente più approfondita in campo militare, sia per la fiducia di cui godeva da parte del presidente Roosevelt.
L’ingresso nel conflitto da parte della potenza americana fu ovviamente un grande aiuto per gli inglesi, i quali dal giugno 1940 al giugno 1941 avevano sostenuto da soli il peso del conflitto, e unicamente la legge Lend Lease aveva evitato il tracollo, mentre i futuri alleati russi ancora credevano nel patto Ribbentrop Molotov ed aiutavano più la Germania che gli imperialisti britannici.
Lo Stato Maggiore inglese tuttavia doveva anche fronteggiare un nuovo pericolo: dopo due anni in cui sostanzialmente aveva agito indisturbato nella condotta della guerra, il nuovo alleato, che poteva contare sulla forza di un’economia dai caratteri fordisti in piena ripresa, avrebbe certamente voluto influenzare le maggiori decisioni sulla strategia.
La prima fondamentale prova sulla identità di vedute tra Regno Unito e Stati Uniti fu perciò la scelta del nemico e dove attaccarlo e combatterlo.
L’iniziale volontà di unire lo sforzo bellico portò gli Stati Uniti a privilegiare lo scenario europeo, nonostante l’avanzata giapponese nel Pacifico minacciasse direttamente i possedimenti d’oltremare o i protettorati di fatto come le Filippine.
Tuttavia la scelta del teatro delle operazioni registrò le prime divergenze di opinioni, fin dalla conferenza “Arcadia” tenutasi il 22 dicembre 1941 e dalla successiva nell’aprile 1942, tra i capi militari delle due potenze (Wedemeyer 1958, 105 e segg.): gli Inglesi da secoli vedevano come più efficace l’attacco molteplice in vari punti periferici, sfruttando una superiorità locale per guadagnare posizioni, sfiancare il nemico e costringerlo a disperdere le forze.
Gli Americani invece erano convinti che la strategia migliore fosse la concentrazione di forze verso un punto centrale, il più debole del nemico4.
Nel maggio 1942 Molotov si recò a Washington dove incontrò, oltre che Roosevelt, il Segretario di Stato Cordell Hull e Harry Lloyd Hopkins, amministratore del programma Lend Lease e il più ascoltato consigliere del Presidente americano; il ministro russo insistette per l’apertura quanto prima di un secondo fronte in Europa entro il 1942 e il presidente americano, al termine dell’incontro lo rassicurò promettendo lo sbarco entro la fine dell’anno.
I vertici militari americani, pur condividendo la strategia erano però preoccupati per un’operazione prematura, e Churchill, che aveva subito vari scacchi da Rommel ed in particolare a Tobruk, persuase Roosevelt a procrastinare l’invasione in Europa nel 1943 (operazione “Roundup”) ma a sbarcare quanto prima in Nord Africa.
L’ingresso delle truppe americane in Africa Settentrionale fu la prima vittoria che lo Stato Maggiore inglese ottenne: l’operazione “Gymnast” proposta dagli Inglesi si trasformò in operazione “Torch”, ma di fatto si trattava di un aggiustamento dell’idea iniziale di Churchill. Il generale americano Stanley Dunbar Embick5 si oppose, con l’appoggio di Eisenhower, convinto che lo sforzo dovesse concentrarsi verso la Germania, ma Roosevelt non cedette.
Questa decisione irritò però Stalin, che vedeva gli Alleati impiegati in teatri molto lontani dalla Russia, dove le forze tedesche erano modeste e quindi nulla toglievano allo sforzo dell’Asse per distruggere l’Unione Sovietica.
Dipendente dagli aiuti angloamericani, Stalin non era ancora in grado di opporsi apertamente e quindi finì per accettare l’operazione “Torch”.
Il successo della liberazione dell’Africa Settentrionale incoraggiò Roosevelt nel perseguire la politica dell’attacco all’Italia, “ventre molle” dell’Asse, e perciò il 10 luglio 1943 avvenne lo sbarco in Sicilia. Diversi generali americani, tra cui lo stesso Eisenhower (FRUS 1961, 359-361), cominciavano a pensare che Churchill non avesse torto, che l’Italia dovesse essere il punto in cui dislocare le forze maggiori e che il prossimo obiettivo dovesse essere la valle del Po, perchè in nessun’altra area si poteva minacciare così direttamente la Germania, la Francia e i Balcani6.
Churchill iniziava a rendersi conto che era giunto il momento di occuparsi anche dei Balcani: vedendo, dopo la battaglia di Kursk, che l’Armata Rossa stava trionfando, riteneva necessario penetrare in Grecia e in Jugoslavia per giungervi prima dei Russi e fin dal 23 giugno 1943 espose al suo Stato Maggiore le proprie idee per aiutare la guerriglia slava.
Alla conferenza di Teheran nel novembre 1943 furono molto più evidenti le differenze strategiche tra Americani e Inglesi7, e Stalin fu in grado di esercitare un’influenza molto maggiore sulle decisioni, sia per le vittorie ottenute sia per il fatto che gli Alleati non avevano mantenuto la promessa di aprire il secondo fronte in Europa.
Per la verità Churchill era convinto che il secondo fronte ci fosse e fosse quello italiano, ma lo Stato maggiore americano, ed in particolare Marshall, era di avviso opposto: la campagna in Italia aveva un sapore propagandistico, doveva costringere alla resa l’Italia, terminare con la conquista di Roma e raggiungere al massimo la linea Pisa-Rimini, la cosiddetta Linea Gotica8.
Si trattava quindi di bloccare quell’avanzata a Nord verso il cuore dell’Europa tanto cara invece a Churchill che vagheggiava sbarchi nell’alto Adriatico o sulle coste Croate, per favorire al contrario l’operazione “Overlord” la quale avrebbe portato direttamente al cuore della Germania9.
Questa strategia mostrava una “important divergence” (come la definì Churchill) tra Inglesi e Americani, e una straordinaria convergenza tra Americani e Russi10, emersa chiaramente quando Marshall impose il ridimensionamento della 5ª armata in Italia e lo spostamento dei mezzi navali a favore di uno sbarco nella Francia meridionale11, caldeggiato proprio da Stalin.
La decisione amareggiò molto i Britannici, i quali avevano il comando supremo nel Mediterraneo, ed in particolare Churchill che doveva accettare la decisione a forza: egli manifestò il suo disappunto a Hopkins in una lettera del 19 luglio 1944:
“We have submitted under protest to the decision of the United States Chiefs of Staff even in a theatre where we have been accorded the right to nominate the Supreme Commander. You can be sure we shall try our best to make the operation a success. I only hope it will not ruin greater projects.” (Pogue 1954, 224)
E’ noto invece che l’operazione Anvil, tolse grandi forze al fronte italiano e pregiudicò il successo dell’offensiva della Linea Gotica, come peraltro già previsto da Churchill12.
Quale fosse la migliore strada verso la vittoria è probabilmente una delle maggiori questioni affrontate dagli storici.13
L’important divergence
Si scontravano varie visioni, e Stalin lucidamente lo espose il 25 aprile 1944 a Djilas (Djilas 1962, 90):
Questa guerra non è come le altre del passato. Chi occupa un territorio vi impone anche il suo sistema sociale. Tutti impongono il loro sistema fino a che il loro esercito ha la forza di farlo. Non può essere altrimenti.
La stessa idea era nelle menti di Churchill e Roosevelt, ed entrambi si consideravano ugualmente pragmatici: il Primo Ministro inglese lo dimostrò nell’ottobre 1944 quando tentò l’accordo con Stalin sulle sfere di influenza nei Balcani; Roosevelt affermava spesso di essere realista, più di Churchill, e riteneva il suo approccio con il dittatore russo più efficace e produttivo di risultati.14
Ma Churchill e Roosevelt, a dispetto dell’apparente amicizia, coltivavano due visioni diverse soprattutto sul dopoguerra, e antitetiche su molti aspetti15.
Sinteticamente si può affermare che l’idea principale di Churchill era di salvare l’Impero Britannico e quindi ristabilire la sua influenza conclusosi il conflitto: non accettava una “liquidazione” delle colonie ma anzi si batteva perchè l’autodeterminazione dei popoli non riguardasse quelli soggetti al dominio inglese.
Alla base del pensiero churchilliano vi era la teoria che aveva esposto il grande geografo inglese Halford John Mackinder16, il quale, rivoluzionando le teorie geopolitiche ottocentesche, nel 1904 aveva posto come “perno” della potenza e quindi dell’imperialismo, il centro dell’Eurasia e l’Europa orientale, riscuotendo enorme successo nell’estabilishment politico britannico.
Nel 1919 Mackinder, opponendosi tenacemente a Woodrow Wilson, enunciò il concetto che “Who rules East Europe commands the Heartland; Who rules the Heartland commands the World Island; Who rules the World Island commands the World.” (Mackinder 1919, 194), teoria peraltro seguita sin dalla fine della Prima Guerra Mondiale dal Regno Unito nella spartizione del Medio Oriente e nella tutela di Grecia e Turchia; Mackinder inoltre propugnava la necessità di creare tra Germania e Russia stati cuscinetto alleati all’Inghilterra.
Nel 1943, prima quindi del famoso “lungo telegramma” di George Kennan, egli elaborò la teoria del “containment” per limitare le potenze terrestri, ed in particolare l’Unione Sovietica.
Anche Roosevelt era realista anche se aveva una strategia differente: addirittura il 3 settembre 1943, conversando con il cardinale Francis Joseph Spellman, disse che:
“[Russians] are big, strong and simply impose themselves… The wish is, although it seems improbable, to get from Stalin a pledge not to extend Russian territory beyond a certain line. He would certainly receive: Finland, The Baltic States, the Eastern half of Poland, Bessarabia. There is no point to oppose these desires of Stalin, because he has the power to get them anyhow. So better give them gracefully… The U.S. And Britain cannot fight the Russians. The Russian production is so big that the American help, except for trucks, is negligible… [The hope is] that out of a foced friendship may soon come a real lasting friendship” (Gannon 1962, 223).
Con una sorprendente visione profetica che avrebbe anche influenzato George Orwell, e lontano dai pubblici proclami in cui evitava ogni riferimento alle sfere di influenza (McJimsey 2000, 215; Louis 1977, 21-26), al cardinale Spellman affermò che il mondo si sarebbe diviso in quattro grandi “spheres of influence”: l’Estremo Oriente alla Cina, il Pacifico agli Stati Uniti, e Africa e Europa a Gran Bretagna e Russia, con prevalenza di quest’ultima per il fatto che l’Inghilterra sarebbe stata molto occupata a difendere i territori coloniali Gannon 1962, 222).
Pertanto l’idea principale di Roosevelt era di riproporre la visione del mondo di Woodrow Wilson, questa volta aggiornata e soprattutto sotto l’influenza statunitense17: sotto il manto di una carta di alti principi, ci sarebbe dovuta essere l’egemonia economica americana, che avrebbe sostituito quella inglese in gran parte del mondo, creando così l’impero del mercato che Wilson aveva teorizzato già nel 1916 (De Gracia 2006, xiii e segg.).
Ciò divenne manifesto nel luglio 1944 nella conferenza di Bretton Woods, quando fu disegnato il futuro del mondo economico, furono poste le regole e fondate le istituzioni per la globalizzazione.
All’avvicinarsi della fine della guerra, gli obiettivi rooseveltiani divennero sempre più palesi, causando fra gli Alleati molte incomprensioni che spesso poi si riflettevano sui campi di battaglia.
Nondimeno la potenza americana era sempre più evidente e sebbene i maggiori esponenti britannici si rendessero conto della volontà statunitense di sostituire gli Inglesi nel predominio economico mondiale, Roosevelt perseguì il proprio disegno, di fatto solo in parte modificato dopo la sua morte: se la tensione con i Russi salì nel dopoguerra, la politica americana continuò nell’allargare la propria influenza anche in campo economico, tanto che ancora nel 1947 Marshall era fiducioso di poter offrire il proprio piano di aiuto anche ai paesi nell’orbita sovietica.
Stalin perseguiva sostanzialmente l’antica politica zarista di esercitare un’influenza decisiva sull’Europa18, assicurarsi il dominio della Germania, affacciarsi ai mari caldi e, facendo leva sul comune elemento slavo, ottenere finalmente l’approdo sul Mar Mediterraneo.
In sostanza, c’erano non poche analogie con quanto gli zar avevano cercato di ottenere nel corso degli ultimi cent’anni, ma questa volta egli rappresentava non più il vecchio impero reazionario considerato l’origine di tutti i mali da parte delle forze operaie bensì il loro campione che avrebbe portato la rivoluzione in tutti i Paesi dell’Europa e realizzato così il socialismo.
Questa profonda differenza ideologica, unita ad una conoscenza superficiale in Occidente sia dell’uomo sia dei suoi metodi19, gli permetteva perciò di avere molta influenza nell’opinione pubblica dei suoi alleati e quindi di ottenere nelle trattative una considerazione ancora più elevata rispetto alle mere conquiste militari, che pure nel 1944 erano diventate talmente considerevoli da impressionare, e spaventare, lo stesso Churchill20.
Per questi motivi i Balcani, in modo del tutto analogo alle concezioni politiche inglesi, rivestivano un ruolo cruciale; la conquista di tale penisola era un primario obiettivo strategico, tale da sacrificare anche una più veloce conclusione del conflitto.
Roosevelt era poco interessato ai Balcani21, nonostante le pressioni dell’amico e primo ambasciatore americano in Russia William Christian Bullit (Dunn 1998, 2) e del diplomatico americano Robert Daniel Murphy, plenipotenziario statunitense in Italia, il quale si interessò di tale territorio convinto dell’importanza della questione.22 Probabilmente, e realisticamente, gli Americani ritenevano che le strabilianti vittorie dell’Armata Rossa nel 1944 non potevano impedire che questa parte dell’Europa cadesse sotto l’influenza comunista23. L’unica vera preoccupazione di Roosevelt era la Polonia, ma per motivi elettorali e di prestigio (Clemens 1975, 338), perciò Stalin sapeva che l’unico vero avversario alle sue mire era Churchill, un leone ferito ma ancora in grado di combattere (Murphy 1964, 219).
Soltanto alla fine del 1944 Roosevelt comprese che le travolgenti vittorie dell’Armata Rossa l’avevano portata nel cuore dell’Europa: c’erano buone probabilità che il continente cadesse sotto il comunismo, e ciò fu uno dei motivi per cui egli insistette per la conferenza di Yalta (Stettinius 1950, 10).24
Il premier inglese si rese conto immediatamente che vi era quella “important divergence”: le strategie di Stati Uniti e Regno Unito divergevano sensibilmente in Europa, ma entrambi i paesi erano strettamente collegati, sia militarmente per la presenza di un unico comando supremo, sia economicamente per la dipendenza finanziaria del secondo rispetto al primo, dipendenza che emergerà palesemente nel settembre del 1944 durante la seconda conferenza del Quebec.
Il leader inglese tuttavia non era disposto a rinunciare e nel giugno/luglio 1944 tentava ogni mezzo per bloccare l’operazione “Anvil-Dragoon”25: gli sembrava un paradosso ritirarsi dal continente per reinvadere il continente da un’altra parte26.
Perciò decise di lanciare un’offensiva “britannica” contro la Linea Gotica, difesa da superare di slancio in modo che una volta giunti nella pianura padana e distrutte le forze tedesche in Italia, si aprisse la via verso Lubiana e poi in Jugoslavia e possibilmente in Ungheria27.
Doveva essere un’offensiva terrestre, visto che i mezzi da sbarco erano destinati all’operazione “Anvil-Dragoon” in Francia; doveva essere britannica perchè sotto il comando del generale inglese Alexander e basata principalmente sulle forze del Commonwealth28.
Per porre il suo crisma ufficiale all’offensiva, Churchill si recò personalmente il 25 agosto 1944 a dare il via ai combattimenti sulla Linea Gotica.
Ciò significava mettersi in urto con le gerarchie militari statunitensi, ed in particolare con Marshall, il quale aveva da tempo dichiarato che l’azione in Italia si sarebbe fermata sulla linea Pisa Rimini, ed anzi era venuto in Italia appositamente per incontrare Clark, comandante della 5ª armata, per spiegare i motivi della diversione in Francia Meridionale con l’operazione Anvil Dragoon29.
Clark raccontò, nel 1950, della sua perplessità tanto da ritenere la decisione uno dei più gravi errori della guerra30 ma di essere riuscito a mantenere una 5ª armata dimezzata ma non annullata.
Tuttavia il depotenziamento delle forze americane, unite ad una loro scarsa propensione all’impegno sotto il comando inglese, fece naufragare il sogno di Churchill di arrivare entro il 1944 alla liberazione dell’Alta Italia e alla conquista del varco di Lubiana.
In base al piano ideato dal comandante dell’VIII armata britannica Oliver Leese per annientare le forze tedesche in Italia, operazione “Olive”, gli Inglesi avrebbero attaccato la Linea Gotica a sud nel settore di Pesaro e Rimini attirando le migliori divisioni germaniche, mentre gli Americani avrebbero dovuto colpire alle spalle i nemici attraverso i passi appenninici, e giungere a Bologna: si sarebbe tagliata la ritirata all’esercito tedesco confidando sul fatto che Hitler non avrebbe concesso al Comandante Supremo della Wehrmacht in Italia Albert Kesserling l’ordine di ripiegare al Nord.
Gli aspri combattimenti sul settore adriatico e l’incapacità americana di giungere a Bologna fecero fallire il disegno strategico di Leese.
Infatti, nel momento cruciale in cui l’accerchiamento dell’esercito tedesco si stava realizzando, Kesselring, temendo di finire in trappola, aveva chiesto a Hitler per ben due volte di ritirarsi verso le Alpi; improvvisamente però si rallentò la spinta della 5ª armata, che avrebbe dovuto chiudere la via d’uscita delle forze nemico secondo , nonostante il fondamentale aiuto partigiano a Monte Battaglia31.
Si permise così a Kesselring di contrattaccare, di retrocedere ordinatamente e di accorciare il fronte.
Come è noto l’offensiva si impantanò in una serie di combattimenti che costrinsero gli alleati a trascorrere l’inverno sul fiume Senio anziché a Lubiana.32
L’offensiva del 1945 fu tardiva e Tito, invece di liberare Zagabria, corse verso Trieste, bloccando quindi ogni velleità alleata di influire sui Balcani.
Anche il maggiore biografo di Marshall, constatando che lo stesso Capo di Stato maggiore britannico Alan Brooke era tiepido verso l’offensiva, perchè probabilmente influenzato da Marshall, ha riconosciuto l’errore strategico commesso dai due generali:
As always, Brooke was baffled by the American Chief of Staff’s inability to see what a trap, given Hitler’s congenital inability to yield ground, Italy constituted to the German Army (Pogue 1973, 409).
La guerra fredda
Occorre osservare che ancora oggi non pare sondata in profondità la concatenazione degli eventi e soprattutto l’azione dei vari fattori che portarono alla decisione americana di abbandonare di fatto il fronte Italiano, decisione parzialmente modificata solo per la resistenza del generale Clark.
Si accavallarono infatti motivi politici e militari, economici ed ideologici, la cui complessità molto spesso non è facile cogliere.
Da un punto di vista storiografico, l’andamento politico del dopoguerra influenzò decisamente gli animi, sia da parte di chi riteneva un errore le concessioni di Roosevelt a Stalin, sia da parte di chi riteneva al contrario che la politica di Truman ed il famoso lungo telegramma di George Kennan avessero pregiudicato il buon esito delle iniziative rooseveltiane.
Clark ammise i suoi errori nel 1950:
Non v’è dubbio che gli Inglesi avevano molto in mente i Balcani, ma, per quanto ho potuto accertare, chi faceva i piani al sommo della scala in America non s’interessava dei Balcani…
Compresi più tardi, in Austria, gli enormi vantaggi che noi perdemmo mancando di spingerci nei Balcani… Se vi fossimo arrivati prima dell’Armata Rossa… l’influenza della Russia sovietica sarebbe stata ridotta drasticamente… Fu una decisione che lascerà perplessi gli storici per un lungo tempo (Clark 1952, 361-362).
Marshall fu poi apertamente accusato dal sen. Joseph McCarthy al Senato Americano di avere, con le sue decisioni, impedito di avanzare dall’Italia verso le pianure orientali prima dei Russi33.
Probabilmente Clark, che fu nominato nel 1953 comandante in capo delle forze americane in Corea da Eisenhower, stava tessendo un’articolata manovra per ottenere prestigiosi incarichi e quindi l’imperante clima della guerra fredda era adatto a rinfocolare le accuse contro chi aveva progettato un dopoguerra diverso, con un’alleanza, più o meno palese e più o meno leale, con l’Unione Sovietica al fine di mantenere la pace nel mondo34.
In effetti la guerra fredda stava dando ragione a Churchill e non agli Americani: aver ostacolato la campagna d’Italia si stava rivelando un grande errore di cui nessuno voleva assumere la paternità.
Molti protagonisti erano morti, come Roosevelt, Hopkins, il Segretario di Stato americano Cordell Hull, ma, ad esclusione di Marshall, chi era vivo ed aveva appoggiato la linea di accondiscendenza verso Stalin, come il Segretario al tesoro Henry Morgenthau jr. o il vice presidente Henry Agard Wallace, era stato emarginato.
Se proprio in questo periodo Robert Emmet Sherwood spiegava le relazioni tra Roosevelt e Hopkins, negli stessi anni si stavano decodificando le trasmissioni russe sull’attività spionistica in America35 ed emergevano i sospetti su alcuni dei più alti esponenti, come Harry Dexter White36.
Tuttavia, al di là delle singole responsabilità, l’immagine che gli Stati Uniti offrivano era quella di una superpotenza che aveva sempre vinto le guerre e portato libertà e democrazia, e perciò gli errori, soprattutto quelli che avevano causato insuccessi oppure compromessi proprio sul tema di libertà e democrazia, dovevano essere rimossi.
Da una parte si accusò l’amministrazione di Roosevelt, ed in misura minore quella di Truman, di eccessivo filosovietismo, dall’altra invece se ne sottolineava la visione strategica.
Tuttavia nessuno, almeno fino al 1951, poneva in luce le responsabilità delle alte sfere militari nella condotta della guerra: i principali generali, se anche avevano avuto una certa animosità verso gli Inglesi, erano diventati poi tutti anticomunisti e dovevano quindi celare quei cedimenti verso l’alleato russo che pure erano avvenuti durante la guerra37.
Perciò un velo di oblio calò sulla campagna d’Italia, e ogni parte dello schieramento preferì ignorare, o quanto meno glissare, le motivazioni politiche alla base dell’insuccesso e soprattutto le conseguenze della consegna, alquanto frettolosa, della Jugoslavia a Tito.
Occorre osservare inoltre che la visione degli eventi, soprattutto nel mondo occidentale, era di fatto unilaterale, anche se il dibattito era molto forte e sostenuto, soprattutto negli anni Sessanta.
Infatti le notizie o i documenti provenienti dall’Unione Sovietica erano sostanzialmente inesistenti, oppure erano talmente censurati38 che non era possibile eseguire ricerche negli archivi per poter verificare le politiche russe e le decisioni adottate in merito ai rapporti con gli Alleati.
Questa reticenza aveva il paradossale risultato che l’unica visione era necessariamente quella occidentale o addirittura quella tedesca, con la conseguenza che la versione sovietica era del tutto assente.39
Gli ultimi studi
Dopo una fase storiografica intensa protrattasi per gli anni settanta e ottanta sul solco della tradizionale divisione tra storici ortodossi e “revisionisti”,40 cioè coloro che in America tendevano a rivisitare la guerra fredda attenuando le responsabilità russe, negli ultimi anni molti autori, soprattutto Inglesi e Americani, hanno iniziato a riconsiderare alcuni eventi e teorie.41
Ciò è dovuto in gran parte alla rivisitazione dei fatti alla luce degli archivi sovietici42, delle rivelazioni di esponenti del NKVD (poi NKGB e KGB) o dell’apertura al pubblico di vasta documentazione, in particolar modo quella relativa al “Venona Project”, ricerche che hanno rivelato l’esistenza di una diffusa rete spionistica russa.
Negli Stati Uniti i principali protagonisti di diffusione di notizie riservate all’Unione Sovietica furono dapprima denunciati nel 1945 da Elizabeth Bentley e poi da Whittaker Chambers, che per la verità aveva già svelato alcuni segreti fin dal 1939 ma non era stato creduto.
Le conferme arrivarono dalla visione, per un limitato periodo, degli archivi sovietici del KGB a favore degli studiosi prevalentemente americani: in particolare, grazie alla possibilità concessa dal Presidente russo Eltsin, Harvey Klehr nel 1992 potè esaminare la documentazione del Comintern con tutti i rapporti delle attività svolte negli Stati Uniti, compresi i rapporti con il Partito Comunista statunitense che confermavano le accuse della Bentley. Poi John Earl Heynes ebbe modo di visionare gli archivi del Partito stesso che erano stati inviati a Mosca; i due studiosi, che poi collaborarono insieme, riportarono i risultati in un libro (Haynes – Klehr 1995).
L’opera destò l’interesse del Senato americano e la National Security Agency decise di pubblicare la decrittazione dei messaggi inviati dagli agenti sovietici in Russia, iniziata fin dagli anni ’40, culminata agli inizi degli anni ’50 e conclusasi nel 1980 ( “Venona Project”), da cui il grande pubblico e gli studiosi appresero che i servizi segreti americani avevano scoperto oltre 300 collaboratori della rete spionistica russa, molti dei quali occupavano elevate posizioni dell’amministrazione statunitense.
Peraltro solo una parte dei messaggi sono stati decrittati, e molti di essi presentano lacune, alcune vaste e gravi.
A ciò si aggiunsero il cosiddetto archivio Mitrokhin, pubblicato da Christopher Andrew nel 1999 in merito a temi qui trattati (Andrew – Mitrokhin 1999), e i taccuini “Vassiliev” redatti fino al 1995 e che produssero nel 1998 un libro, peraltro assai contestato (Weinstein – Vassiliev 1998)
Allo stato attuale, benchè non tutti i dubbi siano stati risolti e ferva tuttora un acceso dibattito in campo storiografico soprattutto in America, si può tranquillamente affermare che la rete spionistica russa giunse fino alla metà degli anni ’40, ed in particolare sotto l’amministrazione Roosevelt, ad un alto grado di penetrazione sia negli Stati Uniti sia soprattutto in Gran Bretagna43, non soltanto fornendo utile materiale all’Unione Sovietica, ma anche condizionando la politica stessa alleata.
Entrambi gli alleati furono particolarmente vulnerabili ai metodi di lotta sovietici che, iniziati già negli anni trenta, diedero i loro frutti principalmente negli anni quaranta.44
Si è infatti messo in luce che, accanto al conflitto sui campi di battaglia, vi fu una guerra altrettanto dura combattuta nella coalizione antitedesca per plasmare il futuro del mondo, guerra che divenne sempre più dura mano a mano che la vittoria era più evidente.
Stalin iniziò a tessere una trama molto elaborata e segreta per influenzare maggiormente le decisioni americane e inglesi, utilizzando una rete spionistica di rara efficienza45:
We are interested in the [U.S.] government’s plans for the country’s foreign and domestic policy, all machinations, backstage negotiations, intrigues, all that is done before this or that decision of the government becomes known to everybody. . . . The task is to penetrate into those places where policy is born and developed, where discussions and debates take place, where policy is completed.
Tra gli argomenti di maggiore interesse vi era l’apertura del secondo fronte in Europa, “when and in what place”.46
L’attività nel Regno Unito
In merito alla Gran Bretagna, la penetrazione dei servizi segreti sovietici avvenne in ambiti molto elevati o attraverso figure cruciali nell’organizzazione.
Ad esempio spia sovietica fu Cedric Belfrage, assistente personale del direttore dell’unità di coordinamento dei servizi di controspionaggio inglese e americano.47
Sono poi assai note le vicende del “Cambridge Five” (Harold Adrian Russell Philby, detto “Kim”, Donald Maclean, Guy Burgess, Anthony Blunt e John Cairncross), le famosissime spie a servizio dell’Unione Sovietica, che rivelarono segreti di particolare importanza, talvolta anche decisivi per le sorti della stessa guerra48.
In particolare, in relazione agli argomenti qui trattati, assunse una cruciale rilevanza per favorire il movimento partigiano jugoslavo di Tito un agente meno noto ma altrettanto interessante, Norman John Klugmann, generalmente chiamato James Klugmann49, ufficiale addetto alla stazione del Cairo per il S.O.E. (Special Operations Executive, un servizio segreto militare operante durante la guerra) competente per i Balcani e la Jugoslavia. Klugmann era un laureato di Cambridge, della stessa cerchia dei più famosi “cinque” ma non per questo meno importante per i Sovietici. Si iscrisse al partito comunista britannico nel 1933 e vi rimase fino alla sua morte nel 1977. Fu arruolato nel NKVD (Narodnyi Komissariat Vnutrennikh Del, divenuto poi KGB) da Arnold Deutsch, l’agente che reclutò le principali spie inglesi50. Conosceva Guy Burgess e Donald Maclean, e fu probabilmente colui che arruolò come spia lo stesso Maclean e John Cairncross, particolarmente importante perchè lavorava nel General Communications Headquarters (GCHQ) sulle intercettazioni e sulle questioni relative alla Jugoslavia.
Nonostante i sevizi segreti britannici avessero sconsigliato l’impiego di Klugmann, gli arruolatori ignorarono l’avvertimento e lo assoldarono in quanto rinomato per la conoscenza dei Balcani. Sul tavolo di Klugmann giungevano tutti i rapporti degli agenti britannici della zona ed egli aveva l’incarico di trasmetterli a Londra.
Divenne amico di Hugh Seton-Watson, il quale essendo figlio dell’esperto inglese sulle questioni balcaniche durante la Prima Guerra Mondiale Robert William Seton-Watson, aveva grande autorità in materia; si guadagnò la stima dei vari responsabili della sezione della S.O.E. del Cairo, tra cui il capo della sezione jugoslava Basil Risbridger Davidson.
Come è noto in Jugoslavia vi erano due formazioni che combattevano i Tedeschi, una guidata dal colonnello monarchico Mihailovich, che comandava i reparti denominati Cetnici, e l’altra dal comunista Josip Broz, detto “Tito”, che aveva chiamato i suoi uomini “Partigiani”.
Mihailovich, inizialmente considerato il vero campione della resistenza, tanto da essere celebrato nella copertina della rivista “Time” come lo “Yugoslavian unconquered” nel 1942 e nel film hollywoodiano del 1943 “Chetniks! The Fighting Guerrillas”, nel tempo perse l’appoggio occidentale a favore di Tito.
Diversi storici hanno verificato che falsificava i rapporti attribuendo azioni dei Cetnici a partigiani titini, oppure denigrava Mihailovich come traditore o collaborazionista quando, in realtà stava attaccando i Tedeschi. Nello stesso tempo si magnificavano le azioni di Tito giungendo ad affermare che i partigiano ammontavano a 200.000 unità.51
Parallelamente Klugmann informava i servizi segreti sovietici delle relazioni degli agenti inglesi.52
I rapporti inviati dal S.O.E. furono talmente presi in considerazione che Churchill a Teheran li riferì a Stalin aggiungendo che Tito stava tenendo bloccate almeno 20 divisioni tedesche. Stalin corresse il Primo Ministro dicendogli che le cifre erano totalmente errate e che non c’erano più di 8 divisioni germaniche in Jugoslavia53.
Che Klugmann non esprimesse solo convinzioni personali, ma agisse per conto dell’Unione Sovietica, come già sospettato, è stato recentemente dimostrato sia dall’archivio Mitrokhin, dove Klugmann è chiamato agente “MER”54, sia dalla scoperta di un’intercettazione del controspionaggio inglese del 23 agosto 1945, dal quale risulta che il suo compito era riuscire a rendere vincente la politica di riconoscimento dei Partigiani e di discredito dei Cetnici.55
Pur non entrando in questa sede nel merito della disputa che tuttora infiamma gli storici sulla guerra tra Tito e Mihailovic e sul ruolo di quest’ultimo,56 pare evidente che l’azione di Klugmann in quanto agente russo fu decisiva per spostare sotto l’influenza sovietica la Jugoslavia, ingannando persino chi, come Churchill, aveva il massimo interesse a tenere quel paese nell’ambito occidentale.
Il ruolo di Donald Duart Maclean, ampiamente noto in quanto fu il primo caso eclatante di spia scoperta che riuscì a fuggire in Russia nel 1951 insieme a Guy Burgess, già attiva spia, divenne particolarmente importante a partire dalla primavera del 1944, quando fu nominato primo segretario dell’ambasciata inglese a Washington.
Definito come agente “Homer” o “Gomer” trasmetteva regolarmente tutto ciò che poteva interessare l’Unione Sovietica che transitava nel suo ufficio.
Dalle intercettazioni “Venona Project” (che permisero peraltro ai servizi segreti americani di individuarlo come spia nel 1951) risultano fondamentali le informazioni fornite sulle nuove armi, come ad esempio la rivelazione dei segreti atomici e del progetto “Manhattan” (o “Enormous” per i Russi).
Ma negli ultimi mesi della guerra, a partire dai primi giorni di agosto del 1944, Maclean fu un “invaluable source of information” per i servizi russi a Washington, in quanto passò “a voluminous amount” di documentazione relativa ai colloqui top secret angloamericani57
L’attività negli Stati Uniti
L’attività per gli interessi russi esercitata dagli agenti in America fu altrettanto proficua, come emerse in occasione della violazione dei segreti sulla fabbricazione della bomba atomica.
Tuttavia l’azione si svolse anche in altri campi, soprattutto in due dicasteri, il Dipartimento di Stato e quello del Tesoro ma anche nell’O.S.S. (Office of Strategic Services), il nucleo di quell’agenzia che poi sarebbe diventata la C.I.A.
Il Dipartimento di Stato era estremamente importante per la sua evidente connessione con la difesa degli interessi russi: conoscere in anticipo ciò che era in animo della principale amico-nemico costituiva un indubbio vantaggio che si manifestò in modo evidente a Teheran, quando Stalin sorprese gli AngloAmericani58 e li divise, appoggiando gli Stati Uniti: riuscì così ad imporre la sua strategia.59
In effetti l’interesse che emergeva dai messaggi sovietici era rivolto anche alle questioni strategiche, per capire quali sarebbero stati le intenzioni delle controparti e quali i dissidi tra Regno Unito e Stati Uniti, volgendo quindi a proprio vantaggio le trattative.
Nelle intercettazioni “Venona project” appare evidente il disappunto sovietico per l’invasione dell’Italia, soprattutto nel giugno 1943 quando Stalin, ancora in difficoltà sul fronte orientale, sperava in uno sbarco entro l’anno delle forze alleate in Francia60.
Uno dei principali agenti che lavoravano per la Russia nel Dipartimento di Stato fu Laurence Hayden Duggan61, allievo del sottosegretario Benjamin Sumner Welles e probabile “agente 19”, che, presente all’incontro tra Roosevelt e Churchill nella conferenza “Trident” del maggio 1943, ne riferì i colloqui all’Unione Sovietica62
Duggan, ritenuto dai Russi in grado di fornire molto materiale di “paramount interest” e di “valuable oral information” dovuta ai frequenti colloqui con i colleghi63, avvisò i Sovietici il 30/6/1943 del prossimo sbarco in Italia delle truppe alleate e dell’intenzione di conquistare l’intera penisola.64
L’arruolamento tra gli agenti che lavoravano per l’Unione Sovietica di Alger Hiss, elevato funzionario del Dipartimento di Stato65, diede un ulteriore vantaggio a Stalin nei confronti di Roosevelt e Churchill, in particolare a Yalta, alla cui conferenza Hiss partecipò. Pur non essendovi specifici messaggi informativi, pare ormai chiarito che Hiss fosse l’agente “Ales” che riferiva al G.R.U., il servizio di spionaggio militare dell’esercito russo66.
Stalin poteva quindi conoscere in anticipo le intenzioni degli altri due alleati, dato che già dal 10 gennaio 1945 il segretario di Stato Edward Reilly Stettinius aveva affidato a Hiss i memorandum per Yalta, con accesso ai cosiddetti “black books”, note riservate che presentavano le posizioni americane e le opzioni per l’azione67.
Tutta la struttura dell’O.S.S. era piena di falle, i sovietici conoscevano gran parte dei membri, e lo stesso KGB considerava il servizio americano un gruppo di dilettanti (Weinstein – Vassiliev 1998, 245). Pare inoltre che numerosi agenti fossero in realtà anche spie per l’Unione Sovietica.
Sicuramente lo era Duncan Chaplin Lee68, “confidential assistant” per il generale William Joseph (“Wild Bill”) Donovan, fondatore e capo dell’ O.S.S. Lee passò fondamentali informazioni ai Russi, e probabilmente molti dei rapporti che pervenivano dagli agenti americani.
D’altra parte lo stesso Donovan aveva un approccio ottimistico nei confronti dei servizi segreti dell’Unione Sovietica, e nel dicembre 1943 li informò spontaneamente delle relazioni intrattenute con Tito, proponendo il ritiro graduale degli Inglesi da Jugoslavia e Grecia, e la loro sostituzione con gli Americani cooperanti con i Russi (Weinstein – Vassiliev 1998, 242).
Per capire l’importanza della penetrazione delle spie nell’O.S.S., a titolo di esempio basti pensare che da files ora declassificati dalla C.I.A.69 si evince che venivano stesi rapporti al Presidente Roosevelt concernenti la situazione Jugoslava piuttosto dettagliati da parte di una fonte vicina all’entourage del re di Jugoslavia Pietro, e pertanto di grande rilevanza per questa regione dei Balcani.
Soltanto il capo della F.B.I. Edgar J. Hoover bloccò l’ulteriore proseguimento della collaborazione, temendo che venissero rivelati segreti militari (egli probabilmente aveva in mente il progetto della bomba atomica) interessando il consigliere di Roosevelt Hopkins. L’agente russo Lauchlin Currie70, assistente personale di Roosevelt trasmise la corrispondenza di Hoover a servizi russi.
Un altro importante agente fu Donald Niven Wheeler71, capo della “Research Division” dell’O.S.S., il quale passò all’Unione Sovietica rilevanti documenti americani anche sulla situazione politica italiana.
Wheeler preparò l’“OSS Strategic Bombing Survey,” che fu decisivo nel decidere per il secondo fronte in Francia nel 1944.
Particolare rilevanza ebbe anche Maurice Hyman Halperin72, il quale fino al settembre 1944 inviava regolarmente i rapporti dell’O.S.S. nonché materiale diplomatico del Dipartimento di Stato, riguardante principalmente l’Europa, tra cui le proposte dei dissidenti tedeschi per una pace separata, i colloqui con il Vaticano, le informazioni americane sulle attività in Jugoslavia e in particolare di Tito, le discussione in ordine alla Grecia nonché le considerazioni americane sulle ambizioni russe nei Balcani.73
Altro agente sovietico nell’O.S.S. fu Franz Leopold Neumann74, il quale nel 1943 inviò un dettagliato rapporto sul viaggio del Cardinale Spellman a Roma tendente ad avvicinare il Papa agli Alleati. Neuman informava i Russi che il Papa aveva chiesto che gli Alleati fermassero i bombardamenti sulle popolazioni civili, trovando disponibilità negli ambienti americani ma opposizione in quelli inglesi75.
Anche il Dipartimento della Guerra aveva le sue talpe: a prescindere da tutta l’attività spionistica sul progetto “Manhattan”, condotta principalmente da Julius Rosenberg, David Grossmann e soprattutto da Klaus Fuchs, un agente di grandissima importanza fu William Ludwig Ullmann76, il quale, assegnato fino al 1943 al Pentagono nell’”Air Force”, fornì all’Unione Sovietica dettagliate informazioni sulla produzione bellica e sulla consistenza delle forze armate statunitense. Ullmann divenne poi assistente di Harry Dexter White a Bretton Woods.
La questione Hopkins
Sono sorti però anche sospetti di condizionamento da parte di Stalin nei confronti degli esponenti dell’entourage di Roosevelt al più alto grado, come Harry Lloyd Hopkins.
Hopkins, vera eminenza grigia del presidente americano Roosevelt, suo intimo amico77, era apparso già agli occhi dei contemporanei come il maggior interprete della politica filo sovietica dell’entourage. Hopkins assunse un ruolo particolarmente importante con la legge cosiddetta “Lend Lease”, con la quale il Congresso americano affidò poteri straordinari e discrezionale al Presidente degli Stati Uniti, concedendogli la facoltà, a suo quasi insindacabile giudizio, di aiutare finanziariamente i paesi che ritenesse di “vitale” importanza78, spesso superando il parere dei militari (Wedemeyer 1958, 69-70).
E’ noto che attraverso questo strumento, si diede la possibilità al Regno Unito di ottenere quel materiale bellico che gli consentì di sostenere l’urto con la Germania hitleriana. Ma appena la Russia fu invasa, Hopkins si recò a Mosca e concesse l’aiuto anche a questo paese, stringendo un’amicizia piuttosto forte con Stalin, amicizia che durò fino alla morte di Hopkins.
A causa della sua enorme influenza su Roosevelt (i detrattori la chiamarono Hopkins’s shop), molti furono gli amici che condividevano il suo approccio entusiastico verso l’Unione Sovietica e che assunsero ruoli determinanti nell’amministrazione e nell’organizzazione militare: uno di essi fu Marshall79.
Hopkins seguì fin dall’inizio le idee russe sullo svolgimento della guerra: prevalenza del teatro europeo su quello pacifico, anche se nel Pacifico le forze americane stavano per soccombere nelle Filippine ai Giapponesi, peraltro in pace con i Sovietici; aiuto massiccio a questi ultimi anche a costi elevati, apertura del secondo fronte in Europa.
Aiutò senza dubbio in tutti i modi l’Unione Sovietica e fu tra coloro che spinse per seguire la strategia dettata da Stalin, quindi lo sbarco in Francia e la fine delle operazioni in Italia e nei Balcani.
Riporta Robert Emmet Sherwood, all’epoca speechwriter del presidente americano, che a Teheran
Roosevelt sorprese e preoccupò Hopkins con un suo accenno alla possibilità di un’operazione in Adriatico per avanzare, con l’aiuto dei partigiani di Tito, in direzione nord-est, verso la Romania, per attuare il collegamento con l’Armata rossa avanzante a sud dalla regione di Odessa. Hopkins scribacchiò in proposito un appunto all’ammiraglio King: “Chi è che sostiene questa faccenda dell’Adriatico su cui il Presidente continua a ritornare?”, al che King rispose: “Per quanto ne so, è un’idea sua”. Certamente nulla era più lontano dai progetti dei capi di Stato maggiore statunitensi (Sherwood 1949, 380).
In merito ai Balcani, Hopkins compì un atto straordinario, proprio nel momento in cui Churchill, visto che la battaglia sulla Linea Gotica non progrediva come sperato, tentava di ottenere lo stesso risultato diplomaticamente. Era la fine del settembre 1944, le truppe inglesi erano sbarcate in Grecia contro la volontà americana, mentre i Russi si erano impadroniti di gran parte della penisola. Convinto dell’urgenza di stabilire le zone d’influenza e temendo di perdere tutti i Balcani, il Primo Ministro britannico propose di volare a Mosca per una nuova conferenza. Roosevelt non era in grado di muoversi dagli Stati Uniti per motivi elettorali e perciò scrisse un messaggio a Churchill dicendo di proseguire nell’incontro con Stalin e di parlare anche a suo nome, in quanto il problema non lo interessava.
[Hopkins] compì allora uno dei suoi gesti più arbitrari e decisi, abusando di quell’autorità che gli era valsa l’ammirazione e l’affetto di Roosevelt fin dai primi tempi del New Deal; diede ordine ai funzionari di sospendere immediatamente la trasmissione del messaggio del Presidente a Stalin… Andò difilato in camera da letto di Roosevelt — il Presidente si stava sbarbando in quel momento — e gli disse quanto aveva fatto, spiegandogliene le ragioni. Roosevelt pensava a tutt’altro quando gli avevano sottoposto il testo del messaggio, e si era lasciato facilmente persuadere che il meglio da farsi era di evitare la più piccola parvenza di una partecipazione o di un interesse americano nei colloqui di Mosca, mandando a Churchill e a Stalin dei vaghi messaggi di augurio (Sherwood 1949, 446).
La decisione fu fatale per i Balcani e per la Polonia, in quanto gli stessi temi furono discussi poi solo a Yalta e cioè 5 mesi dopo quando ormai l’Armata Rossa era padrona del territorio ed era stata libera di scegliere dove avanzare, mentre gli Inglesi erano impantanati nella Pianura Padana senza un adeguato supporto americano.
Hopkins allontanò tutti coloro che, nell’amministrazione Roosevelt, dubitavano della sincerità di Stalin ponendosi spesso in contrasto con i responsabili dei dicasteri interessati, come Cordell Hull, che venne spesso tenuto all’oscuro delle decisioni presidenziali.
Per questo motivo molti hanno ritenuto che Hopkins sia stato un agente sovietico e negli ultimi tempi l’accusa è stata riproposta da alcuni storici, sulla base dell’interpretazione di un messaggio “Venona Project” non chiaro e delle dichiarazioni dell’ufficiale del KGB passato all’Occidente, Oleg Gordievsky.
I servizi segreti sovietici avevano tentato fin dal 1939 di arrivare vicino all’entourage di Roosevelt e in particolare a Hopkins, inviando ufficiale dell’intelligence con alta cultura e orizzonti, esperti in politica e a conoscenza della lingua inglese e della vita negli Stati Uniti (Weinstein – Vassiliev 1998, 154).
Nondimeno i documenti reperiti, pur motivando qualche dubbio, non sono risolutivi, ed anzi i maggiori esperti hanno affermato che allo stato attuale Hopkins, pur avendo svolto un’attività molto forte a favore dei Sovietici, non può essere considerato l’agente 19 citato nel messaggio “Venona Project”80.
Harry Dexter White
Uno dei personaggi più decisivi influenzati dal comunismo, ma forse meno noto al grande pubblico, fu Harry Dexter White, architetto del mondo economico del dopoguerra e promotore della sostituzione degli Stati Uniti al Regno Unito come centro mondiale dell’economia e della finanza.
Dexter White era un simpatizzante comunista81 fin dagli anni trenta a motivo della sua origine ebrea che lo portava ad odiare il regime nazista, e vedeva nella Russia sovietica l’unico vero argine nei confronti dell’antisemitismo hitleriano (Skidelsky 2002, 242).
Sull’attività spionistica a favore della Russia da parte di Dexter White, peraltro definito dagli stessi Sovietici “a very nervous and cowardly person” (Skidelsky 2002, 158), non vi sono ormai più dubbi.82
Alcuni storici, soprattutto negli ultimi anni, hanno evidenziato il ruolo cruciale di Dexter White nella precipitazione degli eventi che portarono all’attacco di Pearl Harbor da parte dei Giapponesi, al fine di favorire la politica russa di spingere i Giapponesi contro gli Americani (Operazione “Snow”)83. Egli però fu particolarmente importante durante la guerra, in quanto principale collaboratore del Segretario al Tesoro Henry Morgenthau jr., il quale gli delegò moltissime funzioni cruciali84, in particolare nei rapporti economici con gli alleati85.
Dexter White godeva di grande fiducia anche da parte del Vice Presidente Henry Asgard Wallace, il quale dichiarò che, se fosse diventato Presidente, avrebbe nominato White Segretario del Tesoro (Haynes – Klehr – Vassiliev, 259). Tuttavia i delegati del Partito Democratico imposero a Roosevelt un nuovo Vice Presidente, Harry S. Truman, e perciò quest’ultimo, anziché Wallace, divenne Presidente alla morte di Roosevelt.
Soprattutto a partire dalla fine degli anni Novanta, gli storici, ed in particolare quelli anglosassoni, hanno studiato i rapporti anche economici tra Stati Uniti e Gran Bretagna durante la guerra, raggiungendo risultati di grande rilievo e a volte sorprendenti rispetto alle idee comunemente diffuse.
Robert Skidelsky, ritenuto il maggior biografo di John Maynard Keynes, è stato probabilmente lo storico che più di altri ha messo profondamente in discussione alcune consolidate idee che tuttora permangono nei testi più divulgativi pubblicati.
Solo per citare un esempio, Skidelsky nega la definizione di politica keynesiana al New Deal rooseveltiano: anzi, grazie alla possibilità di consultare l’archivio privato dell’economista inglese ha esaminato i rapporti con il governo americano deducendone una profonda diversità di opinioni, tanto che lo stesso Keynes riteneva lontana dalle sue idee la politica economica americana.
Ma è soprattutto nel terzo volume della biografia in cui descrive l’ultima parte della vita dell’economista, che Skidelsky esamina il complesso ruolo dei rapporti tra i due alleati, tenuto conto che Keynes, in grande confidenza con Churchill86, era diventato di fatto l’ambasciatore economico dell’Inghilterra quando, nel 1944, quest’ultima si trovò in una drammatica situazione finanziaria che stava diventando esplosiva.
E proprio Keynes infatti venne incaricato a seguire le trattative che portarono alla conferenza di Bretton Woods, nel luglio 1944, trattative che il Segretario al Tesoro americano Morgenthau affidò a Harry Dexter White87.
E’ notissimo che a Bretton Woods si crearono le istituzioni internazionali che tuttora governano economicamente, ma soprattutto finanziariamente, il mondo attuale e la globalizzazione, ed è per questo che la conferenza è stata oggetto negli ultimi anni di ulteriori approfonditi studi, sempre in ambito anglosassone.
Skidelsky ha osservato come Harry Dexter White, spesso insieme a Lauchlin Currie, assistente economico del Presidente e capo amministrativo dell’Ufficio che sovrintendeva l’accordo Lend – Lease, e a Virginius Frank Coe88, entrambi risultati dalla decrittazione “Venona Project” agenti sovietici, tendesse a limitare le forniture americane al Regno Unito. Keynes se ne accorse e interessò Dean Acheson, all’epoca al Dipartimento di Stato, che però non riuscì a mutare la decisione.
L’economista fece notare a White che le limitazioni, soprattutto di beni non militari, non si stavano applicando alla Russia, non sapendo che White stesso era il promotore di tale politica. Uno degli assistenti di White spiegò che la Gran Bretagna “is a great competitor of ours in international trade” (Skidelsky 2002, 322).
White poi appoggiò la carriera al Dipartimento del Tesoro di altri agenti russi come Solomon Adler89 e Harold Glasser90, consegnò ai Russi le matrici della valuta (AM marks) che sarebbe stata impiegata durante l’occupazione della Germania.91; inoltre il 25 gennaio 1945 informò l’Unione Sovietica sulle trattative degli Alleati per cambiare i termini dell’armistizio con l’Italia (Haynes – Klehr – Vassiliev, 277).
Skidelsky ritiene che il principale ruolo spionistico di questa rete fosse di fornire ai Sovietici le informazioni sulle politiche del governo americano, in modo da dare a questi ultimi maggiori armi nei confronti degli Stati Uniti durante le discussioni sugli accordi.
In particolare Benn Steil ha analizzato dettagliatamente lo svolgimento degli incontri, evidenziando come Keynes, assai indebolito nella propria posizione dalla catastrofica situazione delle finanze del suo paese, dovesse combattere un’aspra battaglia per evitare lo smantellamento di ogni influenza britannica. Come già Skidelsky aveva notato (2002, 309-310), Steil ha sottolineato l’abilità di Dexter White e, al di là di una formale cortesia, la sua asprezza nei confronti dell’alleato d’oltremanica.
Ma come Skidelsky, anche Steil non può effettivamente eludere una grande questione: se, come sostiene la National Security Agency in esito alla decrittazione dei messaggi con il “Venona Project”, Dexter White era l’agente sovietico “Richard” o “Jurist”, quale era la sua vera finalità?
Agiva per conto del proprio governo o del governo sovietico, o di entrambi?
La soluzione di tali quesiti pare di estrema importanza, se solo si pensa agli effetti che la Conferenza ebbe nel mondo del dopoguerra.
Per Skidelsky (2002, 242)
White’s beliefs were not much different from those of Harry Hopkins or Vice-President Henry Wallace, who ‘saw in the march of history a coming together of the Soviet experiment in Russia with the New Deal programmes of the United States’ for the greater good of mankind. Roosevelt also believed that US-Soviet co-operation offered the best hope of a peaceful and progressive world. Left-wingers in the New Deal much preferred the idea of an American partnership with ‘progressive’ Soviet Russia to one with reactionary, imperialist Britain.
Resta il fatto che gli Americani imposero organismi internazionali le cui regole erano state scritte per lo più da spie sovietiche.
Quale scopo?
Appare quindi chiaro che gli Stati Uniti, pur appoggiando militarmente l’alleato britannico, avevano obiettivi strategici diversi: vi era anzi più convergenza con gli scopi russi rispetto a quelli inglesi92.
Fondamentalmente gli storici, soprattutto statunitensi93, tendono a spiegare che la volontà di Roosevelt, il quale ad un certo punto riuscì ad influenzare anche membri del suo governo dichiaratamente antisovietici come Cordell Hull94, era quella di trovare un nuovo ordine mondiale che, senza timore dei Russi ma anzi tranquillizzandoli (Welles 1947, pag. 51), garantisse la pace del mondo (Pogue 1973, 249): erede della tradizione wilsoniana95, voleva emendare La Società delle Nazioni e trasformarla in un’organizzazione più efficiente.
Per questo motivo l’appoggio russo era fondamentale (Welles, 41), anche per la forza militare che aveva mostrato, mentre l’impero britannico era considerato ormai al termine della sua storia96, anacronistico, e contro i principi della società moderna97: un’entità in dissoluzione che solo la volontà di Churchill manteneva insieme98.
Non a caso, mentre Roosevelt fino ad un mese dalla morte99 si fidava del dittatore russo e pensava di poterlo sempre influenzare100 i rapporti tra Roosevelt e Churchill si raffreddarono a partire dal 1943 tanto che il premier inglese non partecipò ai funerali del presidente americano.
I Russi, che sapevano di questa divergenza puntarono ad approfondirla con lo scopo immediato di ottenere l’avallo per maggiori conquiste territoriali in Europa (Gaddis 2005, 14), accettarono la futura organizzazione mondiale, una volta ottenuto il diritto di veto, perchè ritenevano di aver capito quanto stesse a cuore a Roosevelt e che per essa gli Stati Uniti avrebbero ceduto sulle questioni che più a loro premevano.
Pare tuttavia più convincente un’altra ipotesi, avanzata da tempo dalla storica americana Diane Shaver Clemens101, riproposta dagli studiosi inglesi ed in particolare affermata con vigore da Skidelsky, e cioè che il vero obiettivo strategico americano fosse la sostituzione dell’influenza britannica nel mondo con quella statunitense102.
La conferenza di Bretton Woods, gli accordi con l’Arabia Saudita103, i tentativi di inserire l’autodeterminazione dei popoli nella carta fondativa dell’O.N.U. erano sintomi di una volontà contraria agli interessi inglesi104. L’intesa con Stalin, al quale venivano ceduti territori ritenuti sacrificabili rispetto ad una più vasta influenza mondiale, era strumentale a questo obiettivo105.
In sostanza l’amministrazione rooseveltiana perseguiva la stessa politica anticolonialista (McJimsey 1987, 237) (e quindi antibritannica, anche se non formalmente dichiarata106) enunciata da Wilson, politica peraltro seguita anche da Truman ed Eisenhower e che portò, con la crisi di Suez del 1956, a liquidare in modo inequivocabile le ultime velleità colonialistiche di Francia ed Inghilterra.
Vi era anche un’indubitabile attrazione per Roosevelt per alcuni aspetti dell’economia pianificata sovietica, che vedeva non troppo lontana dalla sua esperienza del New Deal.107
In fondo gli Stati Uniti riconoscevano il potere delle armi sovietiche e non avrebbero potuto impadronirsi con la forza della Polonia già in mano russa se non con una nuova guerra mondiale: era pertanto preferibile cederla con stile invocando libere elezioni. Ed in un’ottica mondiale il controllo politico di una parte piuttosto povera dell’Europa, quasi completamente conquistata dall’Armata Rossa, aveva un valore secondario, come Roosevelt più volte fece comprendere.
Nel frattempo si creavano quelle nuove istituzioni sovranazioniali che avrebbero governato il mondo nei decenni successivi e che avrebbero portato alla globalizzazione, istituzioni nelle quali il vero potere era nelle mani di chi aveva maggiori risorse, e cioè gli Stati Uniti.
L’America avrebbe non solo consolidato il suo potere ma anche evitato il contraccolpo della fine della guerra sulla propria economia, contraccolpo che era stato letale per molti paesi nel precedente conflitto.
Infatti la globalizzazione avrebbe allargato il mercato, avrebbe consentito cioè di evitare la crisi per sovraproduzione consentendo vendite in altri paesi in modo da impedire un crollo come quello del 1929 così doloroso per gli Americani.
Lo stesso ministro degli Esteri inglese Anthony Eden (1965, 593) intuì tale portata nella politica americana, rivelando
“la speranza di Roosevelt che gli ex territori coloniali, una volta liberatisi dei loro padroni, sarebbero divenuti politicamente ed economicamente dipendenti dagli Stati Uniti. Egli non temeva che altre potenze potessero assumersi tale ruolo”
Stalin non aveva intuito fino in fondo quali conseguenze sarebbero derivate dalle istituzioni economiche create a Bretton Woods. Il suo agente Dexter White lottò per togliere il centro del potere economico al Regno Unito e consegnarlo ad un ente internazionale: ciò significava attribuirlo agli Stati Uniti ma anche assegnare un ruolo all’Unione Sovietica.
Tuttavia l’obiettivo a corto raggio russo era di ottenere immediati vantaggi finanziari (Skidelsky 2002, 243), tanto che al rifiuto americano di concedere un prestito alla Russia di $10 miliardi, Molotov espresse l’opinione di non sottoscrivere gli accordi (Conway 2014, cap. 15).108
Quali fossero le intenzioni americane era noto al dittatore georgiano: in un messaggio del 15 dicembre 1944 (decrittato nel “Venona Project”) da parte degli agenti sovietici in America veniva infatti rivelato che il 26 ottobre 1944 l’ambasciatore a Mosca William Averell Harriman, in via confidenziale con alcuni giornalisti, aveva chiarito l’interesse a relazioni economiche con l’Unione Sovietica in quanto paese arretrato ma ricco di oro.109
Stalin, nel rifiutare la sottoscrizione degli accordi di Bretton Woods fu indubbiamente influenzato dal timore di perdere proprio le riserve di oro (Conway 2014, cap. 15)110, e pertanto l’informazione riservata giuntagli dai suoi agenti dovette sicuramente rafforzare il suo convincimento.
Non a caso il maggiore scontro che si verificò all’interno dell’amministrazione americana prima della conclusione del conflitto fu a proposito del cosiddetto Piano Morgenthau, redatto, come si è visto, da Dexter White.
Il Segretario di Stato Cordell Hull aveva predisposto un memorandum in cui nel dopoguerra si doveva procedere all’eliminazione del predominio economico della Germania in Europa, ma nel lungo termine il paese doveva rientrare nell’economia globale in salute e industrializzata, naturalmente previa una pace severa ma di riconciliazione (Steil 2013, 266).
Lo scopo russo invece era la deindustrializzazione della Germania e il trasferimento dei macchinari in Russia, accompagnato da lavoro coatto tedesco nei territori coinvolti dalla guerra.
Dexter White persuase Morgenthau ad un percorso completamente consono ai desideri russi, inconciliabile quindi con le istanze americane (Schecter 2002, 124): Cordell Hull e Stimson protestarono tanto energicamente che Roosevelt, dopo aver fatto approvare il piano con velata minaccia111 a Churchill, disse a Stimson che “had no idea how he could have initialed” (Steil 2013, 272).
Si trattava infatti di un’aperta inversione di marcia verso la globalizzazione che l’amministrazione americana aveva intrapreso.
Vista in questa prospettiva e nell’interesse strategico di un dominio prevalentemente economico, l’accusa a Roosevelt da parte degli storici ortodossi, che negli ultimi mesi di guerra era stata rallentata l’avanzata in Europa per motivi politici, perde parte della sua importanza. Anche Stalin, come è noto, fermò la sua avanzata a Ovest, sia nell’agosto 1944, sia nel febbraio 1945 (Clemens 1975, 100 e ss.), perchè gli obiettivi strategici erano altri, ed in particolare i Balcani, secolare zona di interesse russo.
Churchill, soprattutto in seguito Teheran, si rese conto della perdita della sua influenza; dopo Bretton Woods, capì anche di essere un debitore insolvente nelle mani del creditore, e perciò straordinariamente debole.
E allora si spiega in questo contesto l’offensiva sulla Linea Gotica, un’offensiva tutta britannica, un’offensiva nello scacchiere in cui gli Inglesi avevano un ruolo preponderante112 che sarebbe servita, sia con l’eventuale vittoria sia con la liberazione del Nord Italia e della Jugoslavia, a riaffermare un’autonomia nelle trattative e a modificare i rapporti di forza con l’Unione Sovietica: ristabilendo i legami con la Jugoslavia e cercando di influenzare l’Ungheria, Churchill avrebbe potuto esercitare un ruolo meno subalterno.
Come il ministro degli Esteri inglese Anthony Eden ricordò (1965, 542-543):
“Sia io che Churchill eravamo scontenti della riluttanza da parte del nostro alleato americano a sfruttare la vittoria in Italia al fine di permetterci di svolgere una parte più determinante nell’Europa centrale… Benché gli Stati Uniti affermassero che si trattava di ragioni strategiche, noi non eravamo convinti che in quella decisione riguardo ai Balcani non interferissero ostacoli politici”
Ma la sostanziale sconfitta sulla Gotica portò al fallimento degli piani inglesi e ciò che non fecero gli Alleati fecero i Russi, come ha scritto Diane Shaver Clemens (1975, 79-80):
Inaspettatamente, il fronte orientale centrale – la via più breve per Berlino – si calmò e la massa d’urto dell’attacco sovietico fu indirizzata nuovamente verso il confine sovietico-rumeno. Quello che avrebbe potuto essere il colpo mortale al Reich tedesco prima della fine del 1944, divenne un’avanzata su un vasto fronte per la liberazione dei Balcani dalla stretta nazista. Fu cosi l’Armata Rossa e non l’esercito inglese a realizzare il sogno accarezzato da Churchill: un rapido movimento attraverso i Balcani per distruggere i nazisti nei territori satelliti.
Quindi Stalin, con il suo successo, diede conferma della lungimiranza delle idee del Primo Ministro inglese e della sua strategia.
Churchill, di fronte alla prospettiva della rottura dell’alleanza con gli Stati Uniti (speranza spesso coltivata da Stalin113), preferì allinearsi col più potente paese d’oltreatlantico, pur non rinunciando ad intervenire.
Da questo punto di vista quindi l’offensiva della Linea Gotica rappresenta un punto nodale ed il suo fallimento è diventato anche la conclusione dell’autonomia politica inglese.
Ma anche per gli Stati Uniti fu una strana vittoria: anzi, nella conclusione delle sue memorie il generale Clark si chiedeva (1952, 474): “Non fu sorprendente forse che celebrassimo la vittoria quando, in realtà, non avevamo vinto la guerra?”
Bibligrafia (in ordine di citazione nel testo)
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- Se vi fosse una Grande Strategia alleata è una questione assai dibattuta dagli storici: trai i tanti scettici, uno dei primi e più autorevoli esperti che contestarono questo fatto fu il generale Albert Coady Wedemeyer, autore del “Victory Program” e strenuo avversario di Churchill. Recentemente rivalutato come uno dei maggiori strateghi americani (McLaughlin 2012), Wedemeyer aveva frequentato la Kriegsakademie a Berlino dal 1936 al 1938 ed aveva ottenuto il privilegio di partecipare alle manovre dell’esercito tedesco, osservando quindi le nuove operazioni tattiche; la sua importanza nella visone strategica fu riconosciuta dal Capo di Stato Maggiore americano George Catlett Marshall. Occorre aggiungere però che alcuni storici americani ancora oggi contestano il valore delle teorie di Wedemeyer (si veda ad esempio Lacey 2011) [↩]
- Per una maggiore analisi dell’immane sforzo bellico americano e delle iniziali difficoltà di organizzazione si veda Atkinsons 2003, in particolare le pp. 11 e segg. e pp. 64 e segg., il quale precisa che nel giugno 1940 l’esercito degli Stati Uniti, considerato il 17° nel mondo alle spalle della Romania, aveva 5 divisioni. Indirettamente è possibile ricavare molte informazioni dalla biografia di Marshall di Pogue 1973) [↩]
- Clark divenne generale con la prima stella (Brigadier) nell’agosto 1941 mentre Eisenhower solo nell’ottobre 1941; i due ufficiali avevano stretto amicizia fin dalla Prima Guerra Mondiale ma la loro carriera era progredita lentamente Atkinsons 2003, 52). [↩]
- Sebbene i maggiori sostenitori di questa strategia fossero Marshall ed il Segretario della Difesa Henry Lewis Stimson, la sua ideazione fu indubbiamente dovuta a Wedemeyer. Essa risentiva delle idee strategiche propugnate da Ulysses Simpson Grant durante la Guerra Civile (si veda a questo proposito Weigley 1977). Curiosamente proprio alla stessa Guerra Civile americana si rifacevano alcuni studiosi inglesi i quali, reduci dall’esperienza della guerra di trincea in Francia del primo conflitto mondiale, ritenevano invece più risolutiva la strategia dell’altro grande generale americano, William Tecumseh Sherman, di aggiramento e di attacco al “ventre molle” della Confederazione, dove peraltro Grant aveva ottenuto i suoi primi successi (Liddel Hart 1929, Liddel Hart 1941). [↩]
- Il generale Stanley Dunbar Embick era capo del Joint Strategic Survey Committee nonché suocero di Wedemeyer, il maggiore oppositore alla strategia “mediterranea”. [↩]
- Tuttavia lo Stato Maggiore americano restò sempre ostile a questa soluzione (Wedemeyer 1958, 215) [↩]
- Harry Hopkins aveva ammonito Churchill prima di giungere a Teheran: “You wull find us lining up with the Russians” (McJimsey 1987, 305) [↩]
- Secondo il generale Clark, Eisenhower condivideva alcuni aspetti della strategia di Churchill, ma essendo militare non poteva discutere: certo è che preferiva avere comunque tutto l’appoggio alle operazioni in Normandia (Clark 1952, 358). Questa circostanza è indirettamente confermata dalla ricostruzione dei dissidi tra Inglesi e Americani compiuta da Pogue 1954, 108-117 e 218-227. [↩]
- In realtà con il tempo, vedendo l’avanzata travolgente dei Russi sul fronte orientale, anche Churchill si rese conto che lo sbarco in Normandia aveva il suo valore politico (Gladdis 2005, 19), per cui l’opposizione si mostrò più verso l’operazione Anvil, cioè lo sbarco nella Francia del Sud. [↩]
- “The invasion of Italy was another marker in the initial stage of the secret cold war… [The Russians] remembered that in 1918 the Balkans opened the road for allied troops to appear in Central Europe on the outskirts of Austria and Hungary, areas that Stalin wanted to dominate.” (Schecter 2002, 91) [↩]
- A Teheran Stalin appoggiò senza riserve i piani Americani, insistendo per la variante dello sbarco in Francia meridionale (Pogue 1973, 311). La previsione di uno sbarco in Francia meridionale per la verità era stata proposta dai Francesi ed elaborato dalla Stato maggiore americano fin dall’aprile del 1942 in occasione del summit tra Hopkins, Marshall e Wedemeyer con Churchill e Alan Brooke (Wedemeyer 1958, 120) ma incontrò subito una certa opposizione, sebbene inizialmente cauta; Stalin, che molto probabilmente conosceva questa ipotesi grazie all’attività spionistica di cui si parlerà, si prodigò per la sua attuazione. [↩]
- “Whether we should ruin all hopes of a major victory in Italy and all its fronts and condemn ourselves to a passive role in that theatre, after having broken up the fine Allied army which is advancing so rapidly through that Peninsula, for the sake of ANVIL with all its limitations, is indeed a grave question for His Majesty’s Government and the President, with the Combined Chiefs of Staff, to decide” (Lettera di Churchill a Roosevelt del 25 giugno 1944 in Pogue, ibidem, pag. 222) [↩]
- “The grand question that historians still ponder a half century later was: Should the second front be across the English Channel into western France, then on to the German heartland (the path finally chosen), or should it cut through the Balkans into Eastern Europe, which would have stopped the Soviets from taking over the countries between the Baltic and the Adriatic Seas and prevented the Iron Curtain from falling?” (Schecter, pag.90) [↩]
- Il Cardinale Francis Joseph Spellman, incontrando il 3 settembre 1943 Roosevelt, di cui era buon amico e sostenitore, nonché influente alleato per le prossime elezioni a cuasa del voto cattolico tradizionalmente democratico, riportò queste impressioni: “[Roosevelt] believes that he will be better fitted to come to an understanding with Stalin than Churchill. Churchill is too idealistic, he is a realist. So is Stalin. Therefore an understanding between them on a realistic basis is probable.” (Gannon 1962, 223) [↩]
- Una delle più note opere sui rapporti tra Churchill e Roosevelt è Kimball 1997. Tuttavia le conclusioni dell’autore sulla scarsa importanza delle divergenze tra gli Alleati non sono condivise da molti storici e in particolare da quelli britannici. [↩]
- Sir Halford John Mackinder (1961-1947) è considerato il fondatore della Geografia moderna, della Geografia economica e della Geopolitica; tra i membri che costituirono la London School of Economics nel 1895, nel divenne direttore nel 1902; espose la sua teoria fondamentale del “cuore della terra” (Heartland) espressa nell’articolo “The Geographical Pivot of History” nel 1904 in cui sostenne che fosse cruciale il possesso del centro dell’Eurasia per il potere nel mondo. Mackinder influenzò Karl Haushofer che divenne un teorico nazista sostenitore dell’idea del “Lebensraum”. [↩]
- Per una visione sulla politica di Roosevelt durante il conflitto si veda Kimball 1994 [↩]
- Secondo Khruschev una volta Stalin confessò di aver accarezzato per un momento il proposito di entrare a Parigi, in qualche modo emulando lo zar Alessandro I (Khruschev 1991, 144), idea che il leader russo riportò anche a Thorez nel 1947 (Gaddis 2005, 14) [↩]
- Illuminanti sono le considerazioni di Marshall (Pogue 1973, 313). [↩]
- Churchill era ossessionato dall’avanzata russa sul fronte orientale: si vedano le frasi e i commenti riportati dal medico personale di Churchill Lord Moran: “Good God, can’t you see that the Russians are spreading across the Europe like a tide; they have invaded Poland, and there is nothing to prevent them marching into Turkey and Greece!” (McMoran Wilson [Lord Moran] 2002, 197) [↩]
- Vi sono innumerevoli testimonianze, a partire dalla stessa biografia di Marshall di Pogue già citata. “As every Foreign Service officer knows, there are times when our government seems to lose interest in certain portions of the globe. The blank spot, after the capture of Rome, was Italy and the Balkans . I felt that many happenings in this area merited attention by the American Government, but Washington policy-makers did not share my view.”.. (Murphy 1964, 219) [↩]
- “Left largely to my own devices without guidance from Washington, I utilized my opportunity to observe the activities of Italy’s eastern neighbor Yugoslavia, which showed indications of becoming a very important postwar country . If Yugoslavia should swing into the Soviet sphere of influence, the impact would be immense upon all of eastern and southern Europe… (Murphy 1964, 219) [↩]
- I vertici militari americani avrebbero preferito un continuo impegno delle forze tedesche sul fronte orientale più che un’eclatante vittoria, ma Hopkins, da cui dipendeva la direzione del programma Lend Lease, desiderava un aiuto massiccio all’alleato (Wedemeyer 1958, 129). Pogue riporta anche che Marshall gli disse: “Hopkins’s job with the President was to represent the Russian interests. My job was to represent the American interests” (Pogue 1973, 271). [↩]
- “Il presidente Roosevelt pensava che non bisognava perder dell’altro tempo nel tentativo di giungere ad un accordo impegnativo con l’Unione Sovietica riguardo a tutte le questioni concernenti l’organizzazione internazionale, come pure di porre termine a pericolose controversie come quelle sorte recentemente sul futuro dell’Europa orientale.” (Welles 1947, 50) [↩]
- “Dragoon” fu il termine con cui fu designata dagli Inglesi lo sbarco nella Francia meridionale. Si dice che Churchill volesse ribattezzare l’operazione in questo modo in quanto era stato “dragooned into it”, cioè costretto ad accettarla. (Weigley 1977, 330) [↩]
- “I have personal knowledge that Churchill vigorously opposed the ANVIL operation…” (Wedemeyer 1958, 129) pag. 231) [↩]
- Dai documenti dell’O.S.S. declassificati dalla C.I.A. appare che Churchill aveva informato il primo ministro del governo in esilio a Londra che sarebbe iniziata presto un’offensiva che avrebbe liberato la Jugoslavia (https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/kent-csi/vol9no2/html/v09i2a07p_0001.htm visionato il 5/1/2015). Dalle stesse fonti si apprende che Tito, nel settembre 1944 raffreddò molto i rapporti con gli Inglesi. [↩]
- Proprio per il disimpegno americano, l’influenza britannica era assolutamente preponderante in Italia e quindi per Churchill l’Italia diventò un terreno ideale per esercitare la propria politica (Welles 1947, 179 e segg.). [↩]
- Marshall era pregiudizialmente ostile a tutto ciò che riguardava i Balcani (Pogue 1973, 406). [↩]
- “Stalin, ciò fu evidente, durante il convegno dei tre grandi e i negoziati di Teheran, fu uno dei più energici fautori dell’invasione della Francia meridionale… Dalla Francia, la sola strada per andare nei Balcani passava per la Svizzera. In altre parole Anvil ci metteva in un vicolo chiuso… Io non ho mai potuto capire perchè, mutate le condizioni e mutata la situazione bellica, Stati Uniti e Gran Bretagna mancarono di sedersi insieme a dare un’occhiata al quadro generale, con l’intenzione di eliminare l’operazione Anvil o di ridurne la portata se ci si offriva qualcosa di meglio.” (Clark 1952, 360) [↩]
- Clark, nelle proprie memorie, dedica poche e vaghe parole all’episodio per mascherare l’insuccesso. [↩]
- Per una dettagliata descrizione delle operazioni relative all’Offensiva della Linea Gotica si veda Montemaggi 2002 [↩]
- “It was Marshall who, after North Africa had been secured, took the strategic direction of the war out of Roosevelt’s hands and who fought the British desire, shared by Mark Clark, to advance from Italy into the eastern plains of Europe ahead of the Russians. It was a Marshall-sponsored memorandum, advising appeasement of Russia in Europe and the enticement of Russia into the far-eastern war, circulated at Quebec, which foreshadowed our whole course at Tehran, at Yalta, and until now in the Far East. It was Marshall who, at Tehran, made common cause with Stalin on the strategy of the war in Europe and marched side by side with him thereafter.” (Discorso del Senatore Joseph McCarthy al Senato U.S.A. del 14 giugno 1951) [↩]
- Marshall precisò: “When we got to Rome, Alexander wanted to go up in the Balkans where he would be in command. Clark said something about favoring it in his book. Like the others, he wanted something in his sphere. But he never said a word [publicly] at the time. He was a very good soldier and very loyal…” (Pogue 1973, 404) [↩]
- Si tratta del “Venona Project”, programma di decrittazione dei messaggi inviati dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica da parte degli agenti comunisti, operazione di cui si parlerà in seguito. [↩]
- Harry Dexter White, di cui ci si soffermerà nel prosieguo, è stato “Assistant Secretary “del Tesoro americano, architetto della conferenza di Bretton Woods che ha creato il quadro economico mondiale del dopoguerra. [↩]
- Marshall non scrisse proprie memorie, anche se affidò i suoi ricordi a Forrest Carlisle Pogue. [↩]
- Si ricorda il caso delle memorie del maresciallo russo Georgij Kostantinovic Zukov, talmente censurate che egli ritenne l’opera uscita diversa da quella da lui scritta. [↩]
- Per capire l’importanza, da un punto di vista storiografico, della carenza di obiettive ricerche in campo russo, si può citare la scarsa attenzione dedicata all’articolo The Capitulation of Hitler’s Germany pubblicato in Unione Sovietica nel 1964 dal maresciallo Vasilij I. Chuikov, poi riproposto nel libro Chuikov 1968. In tale opera egli sottolineava la decisione di Stalin di bloccare l’avanzata russa su Berlino nel febbraio 1945 (uno o due giorni prima dell’inizio della conferenza di Yalta) quando l’Armata Rossa era a 57 miglia dalla capitale tedesca: un ulteriore attacco avrebbe probabilmente determinato la fine della guerra assai prima (la sintesi è riportata in Clemente 1975, 105-109). [↩]
- Per una maggiore analisi di questo aspetto si segnala Haynes – Klehr 2003, 43 e segg., in cui si analizzano le due correnti storiografiche. [↩]
- Per un’analisi recente dei fatti relativi alla campagna d’Italia, da un punto di vista politico, si veda Montemaggi 2006. [↩]
- “With the opening of some of the Soviet archive, a fuller picture of [Stalin] and his policy toward United States is possible” (Dunn, pag. x) [↩]
- “The quality of political intelligence from Britain probably exceeded even that from the United States…” (Andrew – Mitrokhin 1999, 118) [↩]
- Il gruppo americano di cui faceva parte Harry Dexter White nel periodo da gennaio all’agosto 1944 aveva consegnato 386 documenti riservati del governo ritenuti importanti dai servizi segreti russi. [↩]
- Messaggio da Mosca a New York del 6/4/1942 in Weinstein – Vassiliev 1998, 160 [↩]
- Weinstein – Vassiliev 1998, 159 [↩]
- “Cedric Belfrage (codenamed CHARLIE)… joined British Security Coordination (BSC) in New York shortly after the United States entered the war. Directed by the SIS head of station, Sir William Stephenson, for much of the war, BSC handled intelligence liaison with the Americans on behalf of MI5 and SOE as well as SIS.” (Andrew – Mitrokhin 1999, 110) [↩]
- Attualmente molti storici attribuiscono particolare importanza alle informazioni consegnate da Cairncross alla Russia nell’imminenza della battaglia di Kursk, dovute alle intercettazioni dei codici tedeschi elaborati da Enigma e decrittati dal sistema “Ultra” inglese (Schecter 2002, 97) [↩]
- Per maggiori informazioni sulla rete spionistica russa in Inghilterra e del ruolo di Klugmann si veda Boyle 1980. [↩]
- “Deutsch saw another role for Klugmann: as a talent-spotter for the NKVD, capable, when necessary, of persuading Communist students to engage in underground work rather than conventional Party militancy.” (Andrew – Mitrokhin, pag. 63) [↩]
- I principali sostenitori di questa tesi sono gli inglesi Lees 1990, Beloff 1985 e Martin 1990. [↩]
- “In 1942 Klugmann had joined the Yugoslav section of SOE Cairo, where his intellect, charm and fluent Serbo-Croat gave him an influence entirely disproportionate to his relatively junior rank (which eventually rose to major). As well as briefing Allied officers about to be dropped into Yugoslavia, he also briefed the NKGB on British policy and secret operations. In both sets of briefings he sought to advance the interests of Tito’s Communist partisans over those of Mihailovich‘s royalist Chetniks”.(Andrew – Mitrokhin 1999, 127) [↩]
- FRUS 1961, 547. Stalin non amava sentire lodare gli esponenti comunisti e in particolare Tito: nel 1948 quando stava crescendo la tensione tra l’Unione Sovietica e Jugoslavia, Stalin scrisse non era vero che il leader croato aveva liberato il paese con le proprie forze. (Lettera di Stalin al comitato Centrale del Partito Comunista Jugoslavo del 4 maggio 1948 in Romerstein 2005, 22). [↩]
- Andrew – Mitrokhin 1999, 63 [↩]
- L’M5 così riassunse l’intercettazione: “In the first place, [Klugmann] was able to control the selection and destination of agents [bound for Yugoslavia]. Secondly, he was responsible for briefing agents prior to their dispatch to the field. As he says . .. “everybody who went into the field had to go through me and I expect. . Thirdly, he directed bis efforts to secure only intelligence from the field which supported bis policy of recognition for the Partisans and discrediting of the Chetniks…” (Evans – Romerstein 2012, 161-162) [↩]
- Occorre peraltro sottolineare che Eisenhower era convinto che Mihailovic avesse sempre agito per gli interessi alleati, tanto da proporre la decorazione della Legione di Merito, concessa da Truman, per aver salvato la vita ad oltre 500 aviatori americani anche a costo di sanguinose rappresaglie. [↩]
- “Maclean was assigned to explain Anglo-American relations from his insider’s vantage point. In the process, he provided data on all intelligence and counterintelligence officers working at the British Embassy in Washington and, at the NKGB’s request, recommended one of the British diplomats for recruitment by the Soviets” (Weinstein – Vassiliev 1998, 290) [↩]
- Marshall era compiaciuto per aver ricevuto questo sostegno inaspettato contro la strategia inglese (Pogue 1973, 311) [↩]
- “At the Tehran Conference of the Big Three in November 1943-the first time Stalin and Roosevelt had met-vastly superior intelligence gave Stalin a considerable negotiating advantage… He was almost certainly informed that Roosevelt had come to Tehran determined to do his utmost to reach agreement with Stalin-even at the cost of offending Churchill”. (Andrew – Mitrokhin 1999, 222) [↩]
- Messaggio Venona del 9/6/1943 [↩]
- Laurence Hayden Duggan, ufficiale del Dipartimento di Stato, aveva importanti amici come appunto Sumner Welles, di cui era anche nipote, Eleonor Roosevelt e giornalisti come Drew Pearson e Edward Murrow. Solo nel 1995 quando apparvero i documenti e i messaggi decrittati dal “Venona Project”, si stabilì che collaborava con il KGB con il nome di copertura “19”, “Frank” e “Prince” (Haynes – Klehr – Vassiliev 2009, 242). [↩]
- Venona 30/6/1943 (decrittato solo nel 1969) [↩]
- Weinstein – Vassiliev 1998, 18 [↩]
- Weinstein – Vassiliev 1998, 19, Venona 30/6/1943 (in tale occasione lo pseudonimo era “Frenk”) [↩]
- Un report del KGB riferiva che Laurence Duggan affermava che sulla scrivania di Hiss passavano tutto ciò che era rilevante da ogni divisione del Dipartimento stesso. ( Haynes – Klehr – Vassiliev 2009, 13). Hiss dichiarò che il Segretario di Stato Edward Reilly Stettinius, Jr, uno dei favoriti di Hopkins ed ex amministratore del programma Lend Lease, gli aveva delegato le questioni relative al “Far East or Near East” (Weinsten 1978, 353-354) [↩]
- Già identificato Alger Hiss nell’agente “Ales” dalla National Security Agency, i maggiori esperti e storici americani concordano ormai sull’argomento, sebbene vi sia qualcuno che ancora sollevi dubbi, come l’amico e avvocato di Hiss Lowenthal (2000). Il fatto che Hiss lavorasse non con il KGB ma con il servizio segreto militare russo che usava altri codici non decrittati, ha permesso di rintracciare solo il materiale riferito al KGB stesso. [↩]
- “Hiss’s role as a Soviet agent took on a new significance when he became actively engaged in preparations for the final meeting of the wartime Big Three at Yalta in the Crimea in February 1945… Stalin was even better informed about his allies at Yalta than he had been at Tehran” (Andrew – Mitrokhin 1999, 133) [↩]
- Per maggiori informazioni su Duncan Lee, nome in codice “Kokh”, si veda Bradley (2014); occorre precisare che pare che Lee non consegnasse documenti ma fornisse soltanto informazioni riservate. [↩]
- https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/kent-csi/vol9no2/html/v09i2a07p_0001.htm visionato il 5/1/2015 [↩]
- Lauchlin Bernard Currie, l’agente “Page” o “Vim”, grande amico di Dexter White fin dagli anni trenta, fu nominato da Roosevelt “White House economist” nel luglio 1939, consigliò insieme a Dexter White l’irrigidimento contro il Giappone e le dure sanzioni che portarono a Pearl Harbor, gestì la “Foreign Economic Administration” arruolando John Kenneth Galbraith, Richard Gilbert, Adlai Stevenson e William O’Dwyer, si occupò dei prestiti a Gran Bretagna e Russia e preparò la conferenza di Bretton Woods. [↩]
- Donald Niven Wheeler, nome in codice “Izra”, iscritto ed iscritto al Partito Comunista degli Stati Uniti, lavorò dapprima al Dipartimento dell’Agricoltura, poi al tesoro e infine all’O.S.S.; descritto come “calm and progressive man”, fu scoperto come spia al termine del conflitto; perso ogni incarico, si dedicò alla conduzione di una fattoria. Lottò per avere diritto ad insegnare e divenne docente alla “Yale University”, al “Franconia College” in Franconia, New Hampshire, e alla “ Brandon University” in Manitoba, Canada [↩]
- Maurice Hyman Halperin, nome in codice “Hare” ed iscritto al Partito Comunista degli Stati Uniti, lavorò nell’“Office of the Coordinator of Information” che poi divenne la “Research Division” dell’O.S.S. Nominato capo della “Latin American Research and Analysis Division” fu anche designato “Special Assistant” di Duncan Lee. Nel dopoguerra fu consigliere di Dean Acheson, ma fu sospettato di essere una spia sovietica. Collaborò allora con Fidel Castro a Cuba ma poi deluso lo criticò e tornò negli Stati Uniti diventando professore alla Simon Fraser University. [↩]
- Haynes – Klehr – Vassiliev 2009, 313 [↩]
- Franz Leopold Neumann, probabile nome in codice “Ruff”, non identificato nel “Venona Project” ma da Alexander Vassiliev, fu un teorico marxista tedesco e avvocato nei conflitti sindacali ma poi emigrò in America per sfuggire al nazismo. Assistente del giudice Robert Houghwout Jackson nel processo di Norimberga, divenne professore alla Columbia University e morì in Svizzera nel 1954; la vedova sposò poi Herbert Marcuse. [↩]
- Haynes – Klehr – Vassiliev 2009, 319 [↩]
- William Ludwig Ullmann, nome in codice “Pilot” o “Polo”, fu assunto da Dexter White alla divisione del Dipartimento del Tesoro di “Monetary Research”; il suo diretto superiore era Frank Coe. Nel 1941 Ullmann divenne “administrative assistant” di White. Nel 1943 fu assegnato all’”Air Force” e consegnò ai Russi materiale importantissimo sui progetti in corso dei nuovi aeromobili, tra cui il progetto del B-29 “Superfortress”, Nel 1944 fu ricollocato nuovamente al Tesoro come assistente a White nella conferenza di Bretton Woods. Ullmann fu scoperto come spia e perdette ogni incarico ma non fu mai perseguito giudizialmente. Divenne un ricco uomo d’affari nel campo immobiliare. [↩]
- Si veda ad esempio Eleanor Roosevelt (1961): “Hopkins was the Roosevelt’s closest friend and adviser” (Dunn 1998, 1), ed anche la recentissima biografia di Hopkins di Roll (2013) [↩]
- La legge dava il potere a Roosevelt, “notwithstanding the provisions of any other law” di aiutare e rifornire “the government of any country whose defense the President deems vital to the defense of the United States”. [↩]
- Esempio della familiarità tra Marshall, Hopkins e Roosevelt, può essere questo aneddoto: “When a Nazi-controlled radio station in Paris announced that [Marshall] had been demoted and Roosevell was now acting as Chief of Staff, the General wrote Hopkins: “Dear Harry, are you responsible for pulling this fast one on me? GCM.” Hopkins passed the note on to the President, who penned the comment, “Dear George-Only true in part-I am now Chief of Staff but you are President. FDR.” (Pogue 1973, 271). [↩]
- Per Andrew si può escludere che Hopkins fosse una spia (Andrew – Mitrokhin 1999, 112). Anche Haynes e Kleher lo ritengono improvbabile: “We do not believe the notion that Hopkins had a knowing and covert link to Soviet intelligence should be entirely dismissed, but the evidence of such a link is insufficient to support so explosive a charge.” (Haynes – Klehr 2013); per una disanima della documentazione russa disponibile si veda: http://www.documentstalk.com/wp/harry-hopkins-a-glimpse-into-the-russian-recordshttp://www.documentstalk.com/wp/harry-hopkins-a-glimpse-into-the-russian-records (visionato il 5/1/2015) [↩]
- Whittaker Chambers, nella sua testimonianza davanti all’HUAC, la Commissione per le attività antiamericane, rispose alla domanda: “Was White a Communist?” “I can’t say positively that he was a registrated member of the Communist Party, but he certainly was a fellow traveller”. [↩]
- Per la più recente analisi della questione si veda Steil (2013, 317 e ss.). [↩]
- White agì senza dubbio in connessione con il NKVD, la polizia politica russa. (Steil 2013, 54-55) [↩]
- E’ ormai pacificamente riconosciuto che il “Piano Morgenthau” presentato alla seconda conferenza del Quebec nel settembre 1944 fu redatto proprio da Dexter White: “later commentators would suggest that the Morgenthau Paln was in reality “The White Plan””. (Steil 2013, 268) [↩]
- “[Morgenthau] was dependent on White for technical expertise, and eager to challenge the State Department’s claim to monopolise foreign policy.” (Skidelsky 2002, 242) [↩]
- Churchill e Keynes coltivavano un ottimo rapporto: sebbene l’economista lo avesse criticato ai tempi in cui era Cancelliere dello Scacchiere, la relazione tra i due uomini si fece piuttosto stretta quando Churchill, che aveva fondato l’esclusivo circolo “The Other Club” con 50 membri di alto rango (tra i soci vi furono politici e militari come Smuts, Kitchener e Roberts, magnati come lord Beaverbrook, scrittori come H.G. Wells, Arnold Bennett e P.G. Wodehouse, oltre che artisti e scienziati), invitò a farne parte Keynes. L’amicizia poi divenne particolarmente intensa durante il periodo bellico. Churchill, non attratto dalle questioni economiche, vedeva spesso l’economista e lasciava che indirizzasse la politica economica del Paese. (Heinz Wolfgang Arndt 2011-12, 20) [↩]
- White, al termine della conferenza, ebbe un colloquio con gli agenti del KGB, rispondendo ad una serie di domande soprattutto di politica estera. (Haynes – Klehr – Vassiliev, 260) [↩]
- Virginius Frank Coe, agente “Peak” o “Pick”, era “Director of the Division of Monetary Research” nel dipartimento del Tesoro americano e servì quale segretario tecnico della conferenza di Bretton Woods; fu nominato direttore del Fondo Monetario Internazionale rimanendo in carica fino al 1952; si stabilì infine in Cina divenendo consigliere economico di Mao. [↩]
- Solomon Adler, l’agente “Sax”, era membro del “General Counsel’s Office” nel Dipartimento del Tesoro, delegato per la Cina. Dexter White, Coe e Adler nel 1943 riuscirono bloccare un prestito in oro di 200 milioni di dollari al governo nazionalista di Chiang Kai-shek che doveva servire a stabilizzare l’economia cinese; il mancato prestito fece infatti balzare l’inflazione al 1000%. (Haynes – Klehr 1999, 142 e 143) [↩]
- Harold Glasser, agente “Ruble”, era vice presidente del “War Production Board” nonché delegato del Tesoro americano nella “Allied High Commission” in Italia. (Weinstein – Vassiliev 1998, 266) [↩]
- Mentre Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia stamparono 10 miliardi di AM marks, l’Unione Sovietica ne stampò circa 78 miliardi (Schecter 2002, 122) [↩]
- Forse il giudizio più pertinente delle differenze strategico militari è stato dato dal Capo di Stato Maggiore inglese Alan Brooke: “I despair of getting our American friends to have any strategic vision. Their drag on us has seriously affected our Mediterranean strategy and the whole conduct of the war. I blame myself for having failed to overcome their short-sighted views and to have allowed my better judgment to be affected by them. It would have been better to have resigned my appointment than to agree to any form of compromise. And yet I wonder whether such action would have borne any fruit.” in Pogue (1973, 300) che tuttavia contesta tale giudizio in quanto molto posteriore ai fatti). [↩]
- Tuttavia, come ha posto giustamente in luce Dennis J. Dunn, la politica estera di Roosevelt verso la Russia è sempre stata fonte di incertezza e dibattito: “Warren Kimball, Robert Dallek, Daniel Yergin, John Lewis Gaddis, Lloyd Gardner, Robert Divine, and others have helped put him into perspective, but, in Kimball’s words, he continues to be “disingenuous, deceptive and devious”. There seems to be general consensus that he pursued a policy of accommodation toward Stalin, especially during the war years, but there is no agreement on whether this was beneficial, harmful, or necessary, nor is there any agreement on his motivation.” (Dunn 1998, ix) [↩]
- Si vedano le considerazioni di Murphy su Cordell Hull, in Murphy (1964, 224-225) [↩]
- “They accepted generally the idealism of Woodrow Wilson or Wilsonianism, which held that democracy was the future of the world and that United States foreign policy should be devoted primarily to the support of democracy, human rights, national self-determination, and some form of collective security. They opposed imperialism and generally distrusted European or Old World strategies for keeping the peace, like spheres of influence, balance of power, and the art of diplomacy. They thought that human nature was innately good and that many of the world’s problems, especially the bane of war, would be solved automatically as nations adopted democracy. They concluded that a “collective security” organization like the League of Nations, with all the world’s nations as members, particularly the new major powers—the Soviet Union and the United States—could arbitrate disputes, resolve conflicts through discussion and compromise, and guarantee justice for all nations. The cause of war would be removed, the world would be at peace, and democracy would flourish everywhere” (Dunn 1998, 3) [↩]
- Secondo Sumner Welles, Roosevelt non diede mai importanza alle divergenze con gli Inglesi (Welles 1947, 51) in quanto probabilmente riteneva che non fossero più in grado di opporsi alle sue decisioni. Churchill deluso dall’atteggiamento intransigente di Roosevelt in merito alle operazioni nel Mediterraneo, scrisse una lettera nell’estate 1944 “intimating that the United States was taking the role of “a big strong and dominating partner” rather than attempting to understand the British position”. (Pogue 1973, 225) [↩]
- Sull’anticolonialismo di Roosevelt si veda Pollock 1994, 127-156 [↩]
- Roosevelt e Hopkins si aspettavano, a ragione, che Churchill avrebbe lasciato la guida del Regno Unito appena la guerra terminava e perciò confidavano un una maggiore malleabilità dei suoi successori (McJimsey 1987, 222) [↩]
- Averell Harriman, l’ambasciatore americano a Mosca, riporta: “As a disillusioned Roosevelt put it two weeks before his death: “[Stalin] has broken every one of the promises he made at Yalta” (Gaddis 2005, 22); le stesse parole furono dette dal Presidente alla figlia Anna (McJimsey 1987, 281) [↩]
- Molti collaboratori del presidente americano attestano questa sua pervicace convinzione e riportano che egli soleva ripetere la frase “I can handle him” riferito a Stalin (Murphy 1964, 233) [↩]
- “Gli Stati Uniti stavano sempre più allargando la loro ‘responsabilità’ globale, e contemporaneamente stavano combattendo quattro guerre a tale scopo. La prima era la guerra contro la Germania, la seconda la guerra contro il Giappone nel Pacifico; la terza era una lotta con la Gran Bretagna, dichiaratamente per ‘sconfiggere il colonialismo’ (in termini americani), in realtà per determinare quale potenza avrebbe controllato economicamente e politicamente l’Europa e l’Asia. Infine vi era la lunga lotta ideologica contro la Russia ‘bolscevica’ che continuò, anche se a tratti, durante la guerra. Essa crebbe in concentrazione e intensità quando l’Unione Sovietica usci dalla guerra con il ruolo di grande potenza” (Clemente 1975, 350). [↩]
- “One must bear in mind that, for White and others in both Treasury and State, Britain was still considered an economic rival to the United States, whereas the Soviet Union, with its separate system, was not.” (Skidelsky 2002, 243). “One of the great underrecognized plots of the second world war was the war between Britain and America, the war for future position after Germany was defeated.”, intervista a Skidelsky del 18/7/2000 in http://www.pbs.org/wgbh/commandingheights/shared/minitext/int_robertskidelsky.html (visionato il 3/1/2015) [↩]
- Roosevelt incontrò il re dell’Arabia Saudita Abdul Aziz ibn Saud il 14 febbraio 1945, al ritorno da Yalta [↩]
- Alcuni storici ritengono che anche la decisione della “resa incondizionata” del nemico adottata da Roosevelt fin dal 1942 sarebbe servita agli Stati Uniti per stabilire la loro “world leadership” (McJimsey 1987, 222) [↩]
- Lo stesso Kimball riconosce: “Winning Eastern Europe was too small a prize if it cost him the world” (1994, 97) [↩]
- “Indeed, it was even possible for the Americans conveniently to assume that the British constituted an obstacle to their selfless aims and that the two were to some degree rivals.” (McJimsey 1987, 216) [↩]
- Al cardinale Spellman Roosevelt disse che sperava che alla fine i Russi avessero un’economia la 40% capitalistica, mentre i capitalisti mantenessero il 60% della loro economia. (Gannon 1962, 224). A Summer Welles disse che “egli pensava tuttavia che, quantunque i sistemi interni dei due paesi non avrebbero mai potuto diventare simili, si era già fatto un qualche progresso verso una maggiore uniformità, e questa maggiore uniformità doveva generare una miglior comprensione fra i popoli delle due nazioni. Ciò rendeva più probabile che nessun conflitto fra i due paesi diventasse inevitabile, dato sempre che il comunismo sovietico avesse per sempre abbandonata la sua dottrina della rivoluzione mondiale” (Welles 1947, 32). A Yalta Roosevelt spiegò a Stalin che si potevano “conciliare gli obiettivi economici socialisti e capitalisti, sottolinenando la somiglianza fra gli approcci sovietici e quelli americani alla pianificazione economica” (Clemens 1975, 279). “The Rooseveltians… subsumed the Wilsonian legacy into the pseudoprofound theory of convergence. This theory held that Soviet Russia and the United States were on convergent paths, where the United States was moving from laissez-faire capitalism to welfare state socialism and the Soviet Union was evolving from totalitarianism to social democracy… The Rooseveltians looked at Stalin and saw a man of the people. The hope of convergence persuaded them, despite evidence to the contrary, to tolerate and excuse Stalin’s extreme measures” (Dunn 1998, 3) [↩]
- Come si è poi appreso dalle decrittazioni “Venona Project” era stato Dexter White a sollecitare la Russia a chiedere un prestito di $10 miliardi. [↩]
- Venona, 15 dicembre 1944 [↩]
- Harriman aveva consigliato la concessione del prestito cosicchè gli Stati Uniti avrebbero potuto influenzare il comportamento sovietico (McJimsey 1987, 275) [↩]
- Morgenthau, in base a una nota di Dexter White, aveva consigliato a Roosevelt di subordinare il proseguimento del programma Lend Lease ed un prestito di $6 miliardi all’approvazione del piano Morgenthau. Churchill protestò rivolgendo al presidente americano la famosa frase: “What do you want me to do, stand up and beg like a Fala?” ma poi diede il suo assenso. Il prestito fu concesso con ritardo e per soli $5 miliardi (Dexter White aveva suggerito di ridurlo a $3 miliardi). [↩]
- Si veda la testimonianza di Benjamin Summer Welles già riportatata [↩]
- “Great Britain—whose weakness Stalin consistently underestimated—would sooner or later break with its American ally over economic rivalries: “[T]he inevitability of wars between capitalist countries remains in force” he insisted, as late as 1952.” (Gaddis 2005, 14) [↩]