Le organizzazioni di massa della Repubblica democratica tedesca: la dissoluzione della Fdj e del Fdgb nel 1988/89

Monique Hofmann

Abstract

Le organizzazioni di massa della Rdt facevano parte dell’esecutiva di Stato e il loro compito politico era di disciplinare ideologicamente i loro membri. Ma negli anni Ottanta diversi fattori, come la crisi economica e il cambiamento di valori nella società, determinarono una crescente scontentezza anche tra i membri dei sindacati e dell’organizzazione giovanile, che allora iniziarono a rivendicare una vera tutela di interessi. Nei processi di trasformazione, però, Fdj e Fdgb non furono in grado di adattarsi a queste mutate premesse, e di raggiungere così un compromesso sociale, dal momento che il loro ruolo di sotto-organi del Partito rimase sempre intatto. Quando si venne a sapere dei casi di malversazione e corruzione all’interno di Fdj e Fdgb la conseguente totale perdita di credibilità e di legittimazione concluse definitivamente il loro destino.

Abstract english

The mass organisations of the GDR were part of the state executive and their political task was to transmit the state ideology to their members. But in the Eighties various factors, for instance the economic crisis or the changing values in society, determined a growing popular discontent, which not at least also concerned the members of the Free German Trade Union Federation and the Free German Youth who finally began to claim the representation of members’ interests. However, during the transformation process, the organizations were not able to adapt theirselves to the new conditions, neither to achieve like this a social compromise. Their role as suborgans of the Party excluded any attempt to fraction building or autonomous reform. At the end, when people learned about the cases of embezzlement and corruption inside the organisations, the following total loss of credibility and legitimacy effectively sealed the fate of the Fdj and the Fdgb.

Abbreviazioni

Fdj: Freie deutsche jugend (Libera gioventù tedesca)

Fdgb: Freier Deutscher Gewerkschaftsbund (Lega dei liberi sindacati tedeschi)

Sed: Sozialistische einheitspartei deutschlands (Partito socialista unitario)

 

Introduzione al problema

Le istituzioni che mediano tra le diverse istanze della società, che conducono le diverse volontà degli individui e dei collettivi verso un ordine sociale generalmente accettato, costituiscono una delle basi di ogni democrazia.

Un sistema politico privo di tali istituzioni non è in grado di reagire alle trasformazioni della società ed è dunque, a lungo termine, destinato al fallimento. Il sociologo Theo Pirker (1990) vede proprio qui la ragione principale del crollo dei sistemi comunisti in generale e della Rdt in particolare.

In effetti, un sistema statale come quello della Repubblica democratica tedesca, governato dal principio del centralismo democratico, non lasciava spazio a organizzazioni e associazioni intese come autonome rappresentanze di interessi.

Così l’articolo 29 della costituzione stabiliva che tutti i cittadini avevano il diritto di riunirsi in partiti, organizzazioni e associazioni per realizzare i loro interessi “in accordo con i principi e gli obiettivi della costituzione”. Siccome però l’articolo 1 prescriveva il ruolo guida della Sed e costituiva quindi il principio fondamentale sulla base del quale erano da considerarsi tutte le altre norme, ogni azione di un’organizzazione rappresentativa veniva costituzionalmente subordinata all’osservanza delle direttive di partito. Dal partito questa subordinazione venne legittimata nel modo seguente: la Sed avrebbe guidato la classe dei lavoratori nella sua missione storica della lotta per il socialismo; in questa missione avrebbe unificato nel suo corpo tutti i lavoratori coi loro interessi (Weber 1986, 67).

Come dicono Weinert e Gilles (1999, 13), in questa concezione “l’unità nel socialismo è il superamento storicamente definitivo di interessi particolari, rappresentato dal Partito”.

Al fine di organizzare questo preteso dominio su tutta la società, la Sed aveva però bisogno di un apparato esecutivo che le permettesse di esercitare la sua influenza su ognuno di quei gruppi o collettivi dei quali pretendeva essere la legittima rappresentante. Di questo apparato esecutivo facevano parte le organizzazioni di massa e in particolare quelle numericamente più importanti: i sindacati e l’organizzazione giovanile. La funzione loro assegnata si riassume in questo estratto da un manuale del 1985 sulle organizzazioni e associazioni presenti nella Rdt:

la FDJ educa i suoi membri a farsi proprio il marxismo-leninismo[…], a rappresentare sempre con fermezza la politica della SED e ad agire in ogni situazione secondo la coscienza di classe. L’organizzazione giovanile socialista si lascia sempre guidare dalla volontà di realizzare il programma e le decisioni della SED.

Questa funzione programmatica che potremmo chiamare trasmissione dell’ideologia rimane però appunto programmatica, cioè ridotta al livello del sistema. In realtà, come ha dimostrato Peter Hübner (1995), per una descrizione adeguata del funzionamento delle organizzazioni di massa occorre anche indagare il ruolo effettivo che assumevano nella realtà quotidiana della società.

Una ricerca condotta in questa direzione da Sebastian Simsch (2002) per il periodo tra il 1945 e il 1963 ha rivelato come l’Fdgb non ha mai adempiuto al compito che il sistema politico gli aveva assegnato. Invece di diffondere l’ideologia del partito avrebbe cercato di integrare nella sua organizzazione il maggior numero possibile di lavoratori per impedire il crearsi di gruppi indipendenti e resistenti al regime, contribuendo così alla stabilità della Rdt.

La conclusione di Simsch è valida anche per gli anni 1988/89. Sia la Fdj sia l’Fdgb erano riusciti a legare nelle loro organizzazioni rispettivamente 2,3 milioni e 9,6 milioni di membri (Henkel 1994, 90), il che non è poco se si considera che la popolazione complessiva nella Rdt ammontava a circa 16 milioni di persone. Fingendo reali possibilità di partecipazione i sindacati e l’organizzazione giovanile erano in grado di neutralizzare il potenziale conflittuale e di canalizzare eventuali critiche, altrimenti rivolte direttamente verso il regime.

Fino a un certo punto, quindi, le organizzazioni di massa si trovavano in una posizione di cuscinetto tra popolazione e partito, sapendo dei problemi della prima senza mai inoltrarli alla presidenza del partito e allargando la distanza tra la realtà della società e quella dei leader politici. Questo stato di cose entrò in crisi sul finire degli anni Ottanta quando cominciarono a manifestarsi gli effetti di tale politica. Dal punto di vista dei loro membri le organizzazioni di massa avevano sempre conservato la funzione di rappresentanza di interessi e negli anni Ottanta che segnarono dei profondi mutamenti di valori nella società era giunto il momento di rivendicare questa rappresentanza, anche in aperto conflitto con le direttive del partito. Come vedremo in seguito, tale pressione dal basso, insieme alla pressione dall’alto volta a disciplinare ideologicamente i membri, collocava la Fdj e l’Fdgb in una situazione di assoluta incapacità di agire, determinando in modo decisivo il fallimento del loro tentativo di assumere un ruolo attivo nel processo di trasformazione e di darsi il volto di organizzazioni democraticamente legittimate.

I primi segni della crisi: la Fdj tra inerzia e repressione

Gli anni Ottanta videro una diversificazione e soprattutto un cambiamento mentale nella società. Come del resto in tutti i paesi postmoderni, anche nella Rdt norme e valori erano soggette a profondi mutamenti. Emersero forti tendenze all’individualismo che divenne di primaria importanza e determinò il crearsi di nuovi movimenti e gruppi sociali, una stratificazione non più compatibile con la concezione di una società omogeneizzata quale veniva proposta dal partito.

Eppure questo processo di trasformazione non rimase inosservato neanche nella Rdt.

Il sociologo Walter Friedrich, direttore dell’Istituto centrale per la ricerca sui giovani (Zentralinstitut für Jugendforschung) a Lipsia, redigeva regolarmente dei rapporti abbastanza dettagliati sulla situazione tra i giovani.

In uno studio del 1988 affermava che l’individualismo ormai avrebbe superato i valori economici. La realizzazione del proprio io sarebbe divenuta più importante della stessa sicurezza materiale. Di conseguenza, questi cambiamenti avrebbero richiesto anche l’applicazione di nuovi metodi. Friedrich prediceva una crisi irreparabile qualora il partito non avesse cambiato la sua strategia e iniziato a reagire ai mutamenti nella società. L’ipotesi quindi, da parte della Sed, secondo la quale un miglioramento della condizione economica della popolazione avrebbe comportato un controllo della vita intellettuale e culturale non reggeva più. Al contrario, la volontà di autodeterminazione avrebbe fatto emergere forti fenomeni di rifiuto verso ogni forma di tutela, sia da parte del partito che di istituzioni e associazioni (Stephan/Küchenmeister 1994, 39).

Fin dal 1987 questi documenti segreti furono inoltrati a Egon Krenz, l’allora membro del Politbüro, ma fino al 1983 presidente della Fdj. Leggendo però i protocolli delle sedute del Politbüro, si nota che non venne fatta mai menzione né di quei rapporti, né delle conseguenze che avrebbero dovuto avere per la politica del partito (Mählert 1996, 251). Segno, questo, già evidente del clima di diffidenza regnante nell’organo decisionale più alto dello Stato, che escludeva ogni tentativo di mettere in discussione la linea seguita da Honnecker.

Foto 1.

Egon Krenz, fine ottobre 1989, in http://www.germanhistorydocs.ghi-dc.org/sub_image.cfm?image_id=3033

Del resto, quest’ultimo, già alcuni anni prima, aveva dimostrato il suo rifiuto nel reagire ai problemi emergenti quando fu avvertito da Paul Gerhard Schürer (responsabile dei piani economici) del pericoloso debito pubblico che stava conducendo lo Stato alla bancarotta.

In questa situazione, la Fdj, dipendente com’era, in quanto organo del partito, dalle direttive di quest’ultimo, non poté che affidarsi ai metodi e contenuti affermatisi da tempo e propose quindi un intensificato lavoro politico-ideologico, formula ricorrente nelle direttive quando si trattava di reagire a qualsiasi forma di comportamento deviante.

Nel momento, però, in cui non era in grado di rinnovarsi impedì il crearsi di un compromesso sociale e contribuì in tale maniera ad allargare il forte contrasto esistente tra la situazione reale e la linea del partito.

Così, quando nel novembre 1988 venne vietata nella Rdt la pubblicazione in tedesco del mensile sovietico “Sputnik”, la Fdj si mostrò paralizzata dal conflitto delle due aspettative rivolte verso di lei: da una parte il partito ordinava fermezza nella linea ufficiale, dall’altra i propri membri rivendicavano un’intervenzione della loro rappresentanza a favore di una revoca del divieto.

Lo “Sputnik” aveva pubblicato un articolo critico nei confronti di alcuni aspetti della storia sovietica, e in particolare del periodo stalinista. Più che la nuova valutazione in negativo della politica di Stalin che lui stesso aveva rappresentato agli inizi della propria carriera politica, Honnecker doveva temere gli effetti che questa nuova tendenza a una discussione pubblica di fatti del regime poteva avere sul clima politico nella Rdt.

Foto 2.

La copertina del numero dello Sputnik che venne vietato, ottobre 1988

fonte: Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland, in http://www.jugendopposition.de/index.php?id=195

Agli occhi della popolazione, però, quel divieto doveva suscitare soltanto incomprensione. La ragione per cui una rivista dell’Unione Sovietica, del Grande fratello, fu bandita dalle edicole, non era facile da giustificare. A questo proposito Mählert (1996, 246) afferma che neanche gli stessi funzionari della Fdj avrebbero capito le ragioni e di conseguenza non sarebbero stati in grado di trovare degli argomenti per giustificare la decisione davanti ai membri. Un vicecaposezione della Fdj, p.e., mandato nel centro di ricerca microelettronica a Dresda, sapeva soltanto “orientare la direzione della FDJ ad una propagazione del punto di vista classista, ad una forte fiducia nella SED e all’importanza del raggiungimento del piano economico” (Mählert 1996, 246).

L’organizzazione si chiuse su se stessa mostrandosi inerme di fronte alle innumerevoli lettere di lamentela rivolte dai membri alla direzione. Non seppe interpretare queste reazioni come segno delle mutate premesse all’interno del collettivo che era tenuto a disciplinare in nome del partito.

Talora il tentativo di richiamare all’ordine i giovani poteva degenerare anche in aperta repressione: nella scuola superiore Carl-von-Ossietzky a Berlino furono espulsi, nell’autunno del 1988, quattro studenti, con divieto di riprendere gli studi in qualsiasi altra scuola, per essersi “opposti a misure statali” (Schneider 1995, 283). In concreto, avevano mostrato degli striscioni con scritto sopra “Contro tendenze fasciste” e “Neonazisti via” durante una manifestazione per le vittime del fascismo e alcuni giorni dopo reso pubblico un articolo con raccolta di firme contro le parate militari del 7 ottobre, la festa della fondazione della Repubblica. Un rappresentante della direzione circondaria della Fdj giustificò l’espulsione nel modo seguente: “Noi lottiamo per tutti, se Skinheads, asociali o Rowdys. In questo caso però si è cercato di creare una piattaforma pacifista. Dobbiamo separarci da quegli uomini sovversivi contro lo Stato” (Schneider 1995, 282).

L’unico modo di affrontare l’intensificarsi di opinioni divergenti era l’intensificare la repressione. In questo caso, però, le giustificazioni paradossali testimoniarono già la crisi del sistema e l’insicurezza dei suoi rappresentanti, che portava a evitare a tutti i costi il manifestarsi di atteggiamenti che potessero mettere anche solo minimamente in questione la situazione attuale nel paese. Che si sia voluto dare una punizione esemplare, a prescindere dalle azioni concrete degli studenti, diventa evidente nell’espressione piattaforma pacifista. L’articolo 6 della costituzione, infatti, dichiarò che la Rdt “persegue una politica estera al servizio del socialismo e della pace, della comprensione reciproca dei popoli e della sicurezza”.

Foto 3.

Studenti della Fdj durante una manifestazione per la pace e contro la guerra israeliana in Libano, Berlino est, 1982, in http://www.germanhistorydocs.ghi-dc.org/sub_image.cfm?image_id=2461

Perché allora punire delle persone impegnatesi nel pacifismo?

In realtà, la ragione dell’espulsione non era quello che avevano detto, ma come l’avevano detto, e cioè da una piattaforma a parte, fuori dal raggio della Fdj e alla sua insaputa.

L’organizzazione cercò quindi di allargare il suo controllo, cosa che non le riuscì come provarono in seguito le varie manifestazioni e proteste da parte di genitori e studenti. Invece si era fortemente screditata e l’accaduto era solo una delle tante prove della sua soggezione alla linea ufficiale del partito.

I sindacati e la crescente scontentezza sulla situazione economica

Tra le organizzazioni di massa i sindacati furono sicuramente quella di maggiore importanza per il funzionamento del sistema politico. Erano loro i diretti rappresentanti del partito presso gli operai e dovevano provvedere al raggiungimento dei piani economici, compito significativo in uno Stato basato sul principio della soddisfazione dei bisogni materiali in quanto garante del consenso dei cittadini. Non stupisce, perciò, che il presidente dei sindacati, Harry Tisch, era anche membro del Politbüro. In quanto tale non era, dunque, rappresentante degli interessi dei lavoratori di fronte alla leadership politica, ma destinatario delle direttive di partito che era tenuto a inoltrare direttamente alle direzioni sindacali aziendali.

Foto 4.

Harry Tisch (a destra) e Ernst Breit (presidente dei sindacati della Repubblica federale tedesca) in un incontro a Düsseldorf, 1985, in http://www.germanhistorydocs.ghi-dc.org/sub_image.cfm?image_id=2457)

Così fu stabilito il rapporto tra sindacati e partito nello Statuto della Sed del 1976: “ogni membro del Partito è obbligato a fare il suo lavoro nelle organizzazioni di massa conformemente alle decisioni del Partito nell’interesse dei lavoratori” (Judt 1997, 47).

Dal momento che l’Fdgb era “un potere esecutivo di Stato e Partito” (Weinert 1993, 132) e teneva inoltre il contatto diretto con la classe operaia, considerata il fondamento dello Stato, le sue responsabilità potevano estendersi anche a settori extra-economici.

Così, quando nel 1988 il numero delle domande di espatrio aveva raggiunto un livello mai conosciuto prima d’allora, un’informazione del reparto per questioni di sicurezza del Comitato centrale del partito (Zentralkomitee) epoi inviato al Politbüro consigliò al riguardo che l’Fdgb intraprendesse delle misure per ridurre la quantità di persone intente ad espatriare (Stephan/Küchenmeister 1994, 30). È noto che in pratica questo voleva dire di prendere delle misure disciplinari, mettere sotto pressione le persone in questione, minacciandole anche con dei licenziamenti. Tali funzioni proto-giudiziarie rendevano evidente l’indissolubile legame esistente tra la linea del partito e le posizioni dei sindacati, anche agli occhi dei lavoratori.

Un’evidenza, questa, che crebbe proporzionalmente col deteriorarsi della situazione economica durante tutti gli anni Ottanta, accompagnata dalla moltiplicazione di lettere di lamentela alle direzioni sindacali, proteste, astensioni dal lavoro e defezioni dall’Fdgb (Eckelmann, Hertle, Weinert 1990, 107).

Wolfgang Eckelmann, dirigente della sezione “Informazione e organizzazione” dell’Fdgb, era incaricato di redigere dei rapporti regolari sulla situazione tra i lavoratori e i membri dell’Fdgb che andavano inviati sia al Comitato centrale del partito, sia a Harry Tisch e il comitato direttivo dell’Fdgb.

I rapporti redatti nel 1988/89 testimoniarono le precarie condizioni di produzione. Materiale e macchinari, così come le fabbriche stesse versavano in uno stato desolante e le misure di ammodernamento promesse da dieci anni erano mai state realizzate a causa della mancanza di fondi disponibili nel piano economico. Venivano anche criticate l’organizzazione della produzione, le condizioni sanitarie e le misure per la sicurezza del lavoro. Ma soprattutto i rapporti davano a intendere che i lavoratori fossero ormai disillusi a causa della noncuranza, da parte dei sindacati, verso le loro proposte di miglioramento delle condizioni di lavoro (Eckelmann, Hertle, Weinert 1990, 222).

Tali richieste, avanzate dagli operai, entrano chiaramente nell’ambito di una tutela d’interessi di ordine sindacale, così come viene praticato nelle società pluralistiche. Si creò dunque un contrasto stridente tra le aspettative degli iscritti al sindacato e le funzioni e competenze attribuite dal sistema ai sindacati stessi. Un contrasto, del resto, che era sempre esistito, ma che solo allora, con l’aggravarsi della situazione economica, diventò palese.

Divennero manifeste anche le disfunzioni all’interno dell’Fdgb e dell’amministrazione statale in generale. Non esisteva, apparentemente, una chiara assegnazione di competenze. Ogni direzione cercava di scaricare le responsabilità all’ufficio preposto mentre invece Harry Tisch prospettava che i problemi fossero risolti dalle singole direzioni distrettuali (Eckelmann, Hertle, Weinert 1990, 101). Secondo il principio del centralismo democratico, però, la decisione sulle misure da prendere spettava all’organo più alto, cioè al Politbüro e in ragione ultima a Honnecker, perché era lui il solo a essere informato sulle condizioni attuali nei diversi settori. Ma quest’ultimo non agiva e così tutta la direzione del partito rimase inerte.

Di conseguenza la capacità di agire dei sindacati aumentava o diminuiva a seconda di quella del partito in quanto i primi realizzavano solo le direttive della seconda. E siccome la direzione della Sed rimase senza idee per rimediare al peggioramento della situazione economica anche l’Fdgb non poté reagire e perse così di legittimazione all’interno del collettivo dei lavoratori.

Per i lavorati intanto, le riunioni e le varie attività dei sindacati (come corsi di formazione socialista ecc.) nelle aziende avevano assunto una funzione “alibi” per potersi assentare dal lavoro. Un rapporto sui Risultati del controllo dell’uso del tempo legale di lavoro del 1989 constatò che in 63% delle aziende controllate le attività sindacali si svolgevano durante le ore di lavoro (Eckelmann, Hertle, Weinert 1990, 114).

Ma anche a livello più strettamente politico il consenso non era più garantito. Nelle elezioni delle dirigenze sindacali dell’aprile 1989 il numero di presidenti che avevano riunito su di sé una percentuale di voti minore all’80% era drasticamente aumentato rispetto al 1986/87. Questi risultati erano un chiaro indicatore di disapprovazione del lavoro dell’Fdgb ma anche e ancora di più della linea del partito. Naturalmente, nei rapporti redatti per il Comitato centrale, l’esito di queste elezioni si leggeva come una manifestazione dell’appoggio illimitato alla politica della Sed da parte dei lavoratori. A Eckelmann, infatti, fu raccomandato più volte da Harry Tisch di omettere dai rapporti critiche e parti compromettenti (Eckelmann, Hertle, Weinert 1990, 102, 111, 113). Se, perciò, il Comitato centrale e il Politbüro non erano del tutto al corrente della perdita di consenso che dovevano affrontare i sindacati, questo non si poteva dire di Harry Tisch. Gli operai non si lasciavano più intimidire dalle minacce verbali e per il presidente dei sindacati il margine di manovra si stava restringendo, ancor più in quanto da Honnecker non c’erano da aspettarsi delle direttive innovative.

Che qualcosa stava cambiando, fu confermato in definitiva dalle proteste nella popolazione alle elezioni comunali truccate del maggio 1989. Scrive Rödder (2009, 66): “Con le elezioni comunali il regime cercava conferma e invece diede inizio alla sua propria scomparsa”.

Tutto deve cambiare perché tutto resti uguale

Nella generale ondata di proteste in seguito alle elezioni comunali, che proseguirono durante tutta l’estate mettendo il Politbüro sempre più sotto pressione, aumentarono anche le critiche aperte dei membri delle organizzazioni di massa; critiche nei confronti del funzionamento del sistema, ma soprattutto rivolte contro le stesse direzioni di Fdj e Fdgb. Nei rapporti sulle opinioni tra i membri, disponibili a Eberhard Aurich, presidente della Fdj, e a Tisch, si leggeva che le persone fossero irritate a causa della contraddittoria politica di informazione seguita dal partito. Mentre migliaia di cittadini stavano lasciando il paese per fuggire attraverso le frontiere dell’Ungheria, media e discorsi ufficiali continuavano a lodare i successi del socialismo. I membri si sarebbero aspettati un’analisi onesta delle cause nonché una presa di posizione ufficiale nei confronti dei problemi esistenti nel paese (Pirker et al. 1990, 121; Mählert 1996, 256).

Aurich e Tisch, dunque, del tutto informati sulla situazione tra i membri di base, decisero di unirsi al gruppo formatosi attorno a Egon Krenz che aveva intenzione di destituire Honnecker. Ma altro non fu, questa mossa, che una manovra tattica per assicurare la propria sopravvivenza politica. Che Tisch e Aurich, insieme con tutto il vertice del partito, non avevano compreso la gravità della situazione, fu confermato dagli avvenimenti successivi. Si era ancora convinti che sostituire Honnecker e concentrare le responsabilità nella sua persona sarebbe stato sufficiente per calmare le acque.

Dopo la destituzione Aurich e Tisch, in quanto presidenti delle organizzazioni di massa, furono confermati nel loro ruolo di trasmettitori dell’ideologia ufficiale: in un documento intitolato Misure contro movimenti di raccolta antisocialiste del 23 ottobre 1989 i due vengono indicati come co-responsabili di un’azione coordinata delle organizzazioni di massa, concepita al fine di discutere con i membri l’emerso patrimonio ideologico antisocialista (Stephan, Küchemeister 1994, 174). Apparentemente non si era disposti ad accogliere le critiche, avanzate dai membri nei mesi prima, per iniziare una riforma strutturale. Il potenziale riformatorio si era esaurito con l’eliminazione di Honnecker. Di conseguenza, nei mesi successivi, le direzioni delle organizzazioni di massa furono travolte dagli avvenimenti, sprovvisti com’erano di concezioni innovative miranti ad uno scioglimento dal partito per riformarsi nella direzione di una pura tutela d’interessi dei loro membri.

Dando una valutazione errata della realtà, il 7 novembre il Consiglio centrale della Fdj rilasciò una dichiarazione nella quale non si fece nessun cenno al proprio passato e alle responsabilità della propria organizzazione. Invece, riguardo ai movimenti per i diritti civili formatisi nella Rdt, venne deciso di riconoscere solo quelli che a loro volta avrebbero riconosciuto la costituzione della Rdt (Stephan, Küchemeister 1994, 186). Ma siccome, come già visto, l’articolo 1 prescriveva il ruolo guida del partito questa dichiarazione fu del tutto priva di senso della realtà e testimoniò la permanenza nei vecchi schemi dell’organizzazione politica. La successiva ondata di indignazione tra i membri fu un segno sicuro della direzione sbagliata ch’aveva presa il Consiglio centrale. Contemporaneamente i movimenti giovanili indipendenti, nel frattempo formatisi dappertutto, puntualizzarono il vero problema cruciale: “Noi non vogliamo più essere la riserva di battaglia ed i tirapiedi di un partito” (Mählert 1996, 268).

Tisch arrivò addirittura ad autoscreditarsi attraverso delle dichiarazioni pubbliche in cui rinnegò le sue proprie responsabilità scaricandole sui piccoli funzionari alla base. Queste parole avevano il sapore di una beffa, dal momento che era stato lui, in quanto membro del Politbüro, a tenere le fila in mano. Di conseguenza crebbe la pressione dalla base che chiedeva le dimissioni di Tisch. Che quest’ultimo si sia opposto a questa misura può solo essere visto come un’ultima prova del fatto che il suo unico scopo era di rimanere in carica. D’altra parte, tutta la dirigenza dei sindacati rimase come paralizzata. Non destituire Tisch significava mandare in collera la maggior parte dei membri; destituirlo, ponendosi così al di sopra del centralismo democratico, avrebbe rappresentato una vera rivolta contro il partito e quindi una noncuranza di ogni principio e valore fino allora interiorizzato.

Di conseguenza il 29 ottobre, in un voto di sfiducia, la presidenza dell’Fdgb confermò Harry Tisch nella sua posizione (Eckelmann, Hertle, Weinert 1990, 147; Pirker et al. 1990, 21). Conferma, questa, che poté essere interpretata come una netta presa di posizione: contro gli interesssi e le rivendicazioni dei membri e per una permanenza nello stato di un organo che serve primariamente gli interessi dei funzionari di un partito.

Anche quando Tisch, in seguito alla crescente pressione dal basso, promossa soprattutto dalla “Tribüne”, l’organo di stampa dell’Fdgb, comunicò finalmente le sue dimissioni la sera del 31 ottobre, la dipendenza dal partito rimase intatta. Così, sia la dimissione di Tisch, sia la decisione sul nuovo presidente, Annelis Kimmel, dovettero essere precedentemente approvate dal Politbüro (Eckelmann, Hertle, Weinert 1990, 147).

Il 25 novembre pure Aurich decise di dare le sue dimissioni. Come nuovo presidente fu eletto un membro della Sed. Le organizzazioni, perciò, non si aprirono verso la base e rimasero organi del partito, un comportamento diametralmente opposto alle tendenze presenti nella popolazione che rivendicava uno scioglimento dal partito e organizzazioni indipendenti impegnate in una tutela d’interessi dei loro membri. Dal punto di vista di Fdj e Fdgb queste rivendicazioni, però, dovevano sembrare difficilmente realizzabili in un momento in cui il partito, questo è vero, versava in una situazione problematica e anche confusa, ma comunque rimaneva ancora primo organo decisionale dello Stato. In quei giorni ancora nessuno avrebbe potuto immaginare che gli avvenimenti successivi avrebbero portato così rapidamente alla completa scomparsa del regime e alla riunificazione con la Repubblica federale. Rivoltarsi contro il partito in quel momento, dunque, avrebbe significato rivoltarsi contro se stessi, accentuare la crisi di legittimazione del partito e mettere così in pericolo la sopravvivenza del sistema intero.

Quindi non stupisce che anche la nuova presidente Kimmel non intraprese delle misure volte a riformare in fondo il lavoro dell’Fdgb. Sia Weinert, Gilles (1999, 61) che Pirker et al. (1990, 25) affermano a proposito che la struttura generale dei sindacati in quanto organizzazione di massa non venne toccata. Si prospettarono alcune riforme, ma sempre all’interno dell’apparato vecchio; non furono nemmeno prese in considerazione le sostituzioni di funzionari.

Il nuovo clima di pubblica discussione e protesta favorì anche un’apertura del sistema di informazione. Ne seguirono rivelazioni circa diversi casi di malversazione e di corruzione nei quali furono coinvolti anche la Fdj e l’Fdgb. Nella popolazione si venne a sapere che nel settembre del 1988 il comitato esecutivo dell’Fdgb aveva deciso di donare alla Fdj 100 milioni di Marchi per il suo incontro di pentecoste (una gigantesca sfilata di propaganda che la Fdj organizzava ogni cinque anni a pentecoste a Berlino est) dei quali però spese soltanto la metà, non restituendo inoltre la somma rimanente. Lo scandalo suscitato da questa notizia fu rafforzato dal fatto che quei soldi provenivano dal fondo di solidarietà destinato ai paesi del terzo mondo. Questa rivelazione non poteva che condurre alla totale delegittimazione delle due organizzazioni, perché screditava il sistema alla base. Questo infatti si era sempre presentato come basato sul pensiero della solidarietà mentre ora nell’immagine collettiva appariva come uno di quegli stati capitalisti da sempre osteggiati dal sistema della Rdt. Lo puntualizzò la “Tribüne” nel modo seguente: “Più importante però [dei 50 milioni non tornati all’FDGB] è la perdita di fiducia, l’enorme danno che ha preso il pensiero umanista della solidarietà. Si può riparare questo […]?” (Pirker et al. 1990, 30).

Il sistema e tutti i suoi rappresentanti avevano così perso quel poco di credibilità di cui, fino a quel momento, forse godevano ancora. Perché, mentre i lavoratori lamentavano macchinari antiquati e la condizione desolante delle fabbriche, i rischi di incidenti sul lavoro, l’Fdgb spese una somma milionaria per una orgia propagandistica della Fdj e non si curò della scomparsa di 50 milioni di Marchi.

Per l’Fdgb ci furono anche altre conseguenze a livello del personale causate dal fatto che il comitato esecutivo aveva espresso il proprio consenso alla donazione. Di conseguenza, il 9 dicembre, la nuova direzione e la sua presidente Kimmel dovettero dare le loro dimissioni. Da allora in poi i diversi tentativi di riformarsi fallivano un dopo l’altro. L’esito finale era scontato. Tanto più che ormai nella Rdt si erano costituiti già delle fondazioni di sindacati indipendenti. Il 20 dicembre si era fondata “L’iniziativa per sindacati indipendenti”. Nella sua proclamazione affermò che l’Fdgb non era riformabile e che perciò era necessaria un’organizzazione completamente nuova. I sindacati indipendenti avrebbero così rappresentato ora esclusivamente gli interessi dei lavoratori ((Pirker et al. 1990, 143).

Lo stesso si poteva dire della Fdj: non era in grado di rinnovarsi e tornò al vecchio programma del 1946 con la dichiarazione dei “Diritti fondamentali dei giovani” (Mählert 1996, 272).

La fine

I valori quali collettivismo e omogeneizzazione ideologica, che avevano rappresentato le organizzazioni di massa, non erano più condivisi da tempo. Ma solo allora si era creata la possibilità di sottrarsi alla loro presa. Intanto, anche le persone che avrebbero voluto rimanerne membri furono deluse dall’inflessibilità e dalla mancata riformazione delle strutture. Volevano delle organizzazioni che perseguissero una tutela d’interessi dei membri e non una tutela d’interessi di un partito. Ma una tutela d’interessi fu illusoria in quanto non prevista nella concezione politica per la quale le organizzazioni furono create. Fdj e Fdgb, e con loro le altre organizzazioni di massa, furono spazzati via come schegge del partito. La sopravvivenza delle prime dipendeva da quella della seconda. Nel generale entusiasmo di cambiamento nessuno voleva più far parte di un’organizzazione dove precedentemente si era costretti ad iscriversi e che, nell’immagine pubblica, veniva comunque identificata con il regime e con il partito, che fra poco non sarebbero più esistiti. In realtà, per le organizzazioni di massa, la possibilità di una persistenza al di fuori del socialismo mono-partitico non era mai esistita.

Biografia

Monique Hofmann ha conseguito la laurea triennale in Storia presso l’Università di Bologna e la Licence in Storia presso l’Università di Digione/Francia. Attualmente sta conseguendo il Magister Artium in Storia presso l’Università di Magonza/Germania, con una tesi sulla rappresentazione dei tedeschi nei film italiani sulla Seconda guerra mondiale, dal dopoguerra ad oggi.

Biography

Monique Hofmann graduated at the University of Bologna and at the University of Dijon/France with a first degree in history. She currently is graduating with a degree of Master of Arts in history at the University of Mainz/Germany with a thesis on the representation of Germans in Italian war films on the Second World War from the post-1945 period to today.

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Siti consigliati

http://www.bundesarchiv.de/benutzung/zeitbezug/ddr/index.html.en

Sito web dell’Archivio federale (Bundesarchiv) tedesco in lingua inglese: descrizione e localizzazione dei fondi archivistici riguardo alla storia della Rdt.

http://dspace.uniroma2.it/dspace/bitstream/2108/1318/1/Tesi+Serena+Migliozzi-1-1.pdf

Tesi di dottorato sulla fondazione della Fdj.