di Luca Gorgolini
Poche altre date hanno segnato la storia dell’Italia post-unitaria come l’8 settembre del 1943, giorno in cui venne comunicata la firma dell’armistizio tra il governo italiano e i governi delle nazioni alleate. Sul piano militare, l’armistizio, firmato a Cassibile il 3 settembre, costituiva la prima applicazione pratica della politica di resa incondizionata definita otto mesi prima da Roosevelt e Churchill durante la conferenza di Casablanca e sanciva la fine della alleanza dell’Italia con la Germania nazista. All’annuncio di Badoglio seguì la dissoluzione dell’esercito italiano e la divisione in due della penisola, con l’occupazione delle regioni del centro e del nord da parte delle truppe tedesche.
Come è stato osservato, “dal settembre 1943 ai primi mesi del 1945 la minaccia di finire in Germania o in uno dei numerosi lager che componevano la ‘galassia concentrazionaria’ interna al Reich è presente in modo oscuro ma continuo nell’intera Italia occupata. Lo è come prospettiva certa per gli ebrei, soprattutto a partire da quel 16 ottobre che vede le SS circondare il ghetto di Roma e deportarne l’intera popolazione, con una caccia sistematica destinata a proseguire per i diciotto mesi successivi. Lo è per i militanti antifascisti e i partigiani, di cui si vuole decimare a decapitare il movimento. Lo è per gli operai che scioperano nel marzo 1944, per i renitenti ai bandi della repubblica di Salò. Può diventarlo per chiunque si trovi a incrociare l’apparato militare e burocratico degli occupanti: vengono deportate anche persone tenute in ostaggio, arrestate sulla base di vaghi indizi o di vecchi rancori, prese per caso in un rastrellamento, accusate di reati annonari”1.
L’otto settembre – come scrive Sorcinelli in questo suo ultimo libro, in uscita nelle librerie il prossimo 18 luglio – è un giorno “fatidico”, “con tutto quello che ne seguì”. Attorno a quella data la generazione di italiani che ha attraversato per intero l’ultimo conflitto mondiale orienta la propria memoria soggettiva e familiare, mettendo ordine ai ricordi che rievocano quei lunghi e terribili anni di guerra. La seconda guerra mondiale non cominciò l’8 settembre del 1943, ma nelle riformulazioni della memoria è quasi come se fosse accaduto ciò. Il 10 giugno 1940 appare al confronto un giorno “ammutolito”2: i ricordi delle piazze gremite di italiani che avevano invocato l’ingresso nell’agone militare, fiduciosi nella vittoria, vengono taciuti, rinnegati, sprofondano in silenzi imbarazzati. Mentre abbondano le testimonianze di chi, attivamente o per inerzia, è stato costretto in quei giorni a scegliere da che parte stare, quale strada percorrere, assecondando il più delle volte, soprattutto nel caso dei soldati, la tentazione primigenia di rientrare a casa e di porsi sotto la protezione della famiglia, constatata la latitanza di chi per ruolo avrebbe potuto, certamente dovuto, gestire un passaggio così delicato per le vite di buona parte degli italiani.
Frammenti di inquietudini, di paure, di ansie e angosce, ma anche di speranze che Sorcinelli ricostruisce in 25 capitoli i cui protagonisti sono italiani celebri, meno celebri e perfino sconosciuti, accomunati dall’aver vissuto l’8 settembre, o meglio i mesi che anticiparono quel giorno e le settimane che seguirono l’inatteso, e per tale motivo, apparentemente ambiguo proclama di Badoglio. In questa dimensione, la storia dell’8 settembre raccontata dall’autore diventa la storia degli italiani che si trovarono loro malgrado, prigionieri di quegli eventi. Un approccio che, lasciando sullo sfondo le dinamiche militari e diplomatiche propone una storia intima di quelle Italie che allora si incontrarono e si scontrarono: l’Italia che tentò di perpetrare un passato messo irrimediabilmente in discussione dal precipitare degli eventi di quella estate di 70 anni fa; l’Italia che provò a tracciare un percorso diverso, democratico, su cui collocare la nuova fase della storia nazionale che si stava rivelando; l’Italia che – citando Piero Calamandrei – di fronte al crollo che la stava travolgendo mostrò un’“assoluta” e “generale inerzia”.
Un intero anno, il 1943, che l’autore ci racconta, mostrando come durante quei mesi “tutto fu meno facile del solito, anche vivere, sopravvivere, mangiare, sposarsi e fare figli. I matrimoni furono il 40% in meno rispetto alle medie storiche degli anni precedenti, un trend negativo inevitabile se si pensa che qualche milione di giovani italiani erano impegnati su qualche fronte lontani da casa, oppure sparsi nei campi di prigionia di mezzo mondo, o erano già morti e dispersi, o ricoverati in chissà quale ospedale o in cammino verso chissà quale destinazione”. Mesi in cui, agli occhi disincantati di un numero crescente di italiani, le “buche” che segnavano il suolo nazionale, simboleggiavano perfettamente “l’altra faccia della guerra”, quella “che si contrapponeva alle ‘frottole della radio e dei giornali’”. Era l’Italia in cui, come racconta uno dei tanti testimoni chiamati in causa da Sorcinelli “mancava il pane, il caffè, ma tenevamo l’impero”. Nell’estate del 1943, scrive l’Autore “gli italiani furono tentati dall’ottimismo per ben due volte: il 25 luglio con la caduta di Mussolini e del fascismo e l’8 settembre con la proclamazione dell’armistizio. In entrambi i casi però, dopo aver costellato di fuochi le campagne, dovettero accantonare ben presto ogni entusiasmo e ogni scena di giubilo e interrogarsi sul futuro. Nel primo caso perché il nuovo capo del governo aveva detto chiaro e tondo che la guerra continuava; nel secondo perché l’armistizio si trasformò subito in tragedia”.
L’8 settembre, infatti, trovò l’esercito italiano ormai sconfitto, un esercito che “non c’era già più e ai generali, ai colonnelli, ai maggiori, ai capitani non restò altro che liquidare la truppa con un ‘che Dio vi aiuti’, e scappare”. Con la responsabilità del re e degli stati maggiori dell’esercito che abbandonarono la capitale per “lasciarsi alle spalle” “paure” che non erano stati in grado di fronteggiare.
Molto si è ragionato attorno a quegli eventi così intensi e contradditori. Ma l’impressione di chi scrive è che il libro di Sorcinelli proponga di quel passaggio storico una lettura diversa, in qualche misura inedita, in grado offrire – anche ad un pubblico per così dire di “non addetti ai lavori” – una chiave di indagine che non sforzandosi di ridurre quel momento ad una interpretazione storica univoca, restituisce al lettore tutta la complessità di una pagina di storia così importante, su cui, almeno in parte, affondano le radici incerte di una memoria collettiva così fragile, quale è la memoria nazionale italiana.