Fiorenza Tarozzi, Otello Sangiorgi
Abstract
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Di questi eventi è sicuramente l’8 agosto il più confortato dalla memoria dei bolognesi, la giornata che aveva sancito l’ingresso a pieno titolo dei ceti popolari cittadini nel processo di unificazione nazionale e attorno a cui, fin dalla seconda metà del secolo XIX, si venne costruendo e rafforzando il mito del Risorgimento. Meno certa è la memoria del 12 giugno del 1859: non tutti i bolognesi sanno infatti che quel viale che dalla Piazza dei Tribunali porta alla Piazza di Porta Castiglione ricorda il giorno della ritirata da Bologna delle truppe austriache che presidiavano la città e la definitiva caduta del governo pontificio.
Il viale, ideato da Alfonso Rubbiani nel 1904 e aperto al pubblico nel 1909, era stato tracciato in una zona, allora, ancora in buona parte occupata da orti e concludeva quasi idealmente un percorso che si poteva seguire da via dell’Indipendenza a piazza Vittorio Emanuele II (oggi piazza Maggiore), via Farini, piazza Cavour e via Garibaldi e che era stato voluto per dare corpo e visibilità a quel processo di formazione della coscienza e dell’identità nazionale definita anche come “secondo Risorgimento” e che aveva tra i principali obiettivi trasmettere la memoria del recente passato alle giovani generazioni.
Con l’apertura del nuovo viale si entrava nel vivo delle celebrazioni del primo cinquantennio dall’evento, celebrazioni che avrebbero avuto come momento centrale una mostra aperta dal 12 al 19 giugno nel cortile dell’Archiginnasio dove aveva sede il “giovane” Museo del Risorgimento il cui direttore Fulvio Cantoni si era fortemente impegnato per la realizzazione dell’evento, sostenuto anche da un contributo di 400 lire erogato dall’amministrazione comunale che così aveva risposto alle sollecitazioni del Cantoni:
Merita certamente di essere presa in considerazione la proposta che il Museo del Risorgimento connessa a celebrare il 50° anniversario della giornata storica del 12 giugno 1859 che vide la liberazione di Bologna dallo straniero. In tale ricorrenza si propone pertanto che sia tenuta nei locali del Museo una piccola mostra provvisoria per soli pochi giorni di ritratti e monumenti, vedute in fotografia e litografia, proclami e di quanto altro valga a ricordare il fausto avvenimento. Alla relativa spesa, che si presenta di L.400 circa, non potendosi fare fronte coi fondi ordinari iscritti nel bilancio per il 1909 per il Museo Civico, converrà provvedere con un prelevamento dal fondo delle spese impreviste1.
Quella realizzata fu una mostra estremamente didascalica, il cui percorso comprendeva 2 quadri grafici: il primo ripercorreva le fasi della guerra, il secondo era interamente dedicato a Bologna. Entrambi erano articolati in diverse sezioni; quello relativo a Bologna era così strutturato:
a) l’antico regime
b) il Comitato segreto bolognese della Società Nazionale
c) la Giunta provvisoria di governo e i suoi primi interventi
d) il commissariato di Massimo D’Azeglio
e) il governatorato di Leonetto Cipriani
f) l’Assemblea delle Romagne
g) la dittatura di Luigi Carlo Farini
Particolare spazio era riservato ai protagonisti del Risorgimento cittadino, uomini (come Minghetti, Pepoli, Tattini, Aglebert…) e donne (Tanari, Pepoli, Gozzadini…).
Non si dimenticavano i luoghi: dal caffé della Fenice in piazza Santo Stefano, riconosciuto raduno dei liberali al fondaco di legnami dove si raccoglievano armi; alle varie case e palazzi gentilizi cittadini luoghi di incontri politici.
Di fatto la mostra ripercorreva il risveglio di una città che dopo l’8 agosto 1848 pareva essersi assopita e aver accettato rassegnata il governo papalino e il presidio austriaco, ma che aveva trovato nei suoi uomini e nelle sue donne un’energia propositiva pronta a manifestarsi al primo momento utile.
Del resto dal 1858 a Bologna, grazie a uomini come Luigi Tanari, Camillo Casarini, Pietro Inviti aveva preso forza il Comitato rivoluzionario della Società Nazionale diramatosi anche nelle Romagne. In città l’adesione al movimento comprendeva un arco di forze politiche che si estendeva dai liberali progressisti ai democratici; nella primavera del 1859 la Società Nazionale poteva contare già su alcune migliaia di militanti e progressivamente l’intera cittadinanza era divenuta consapevole di un vasto movimento che si opponeva ad un potere politico ormai del tutto squalificato. Nei salotti come nei caffé cittadini si tenevano incontri e riunioni politiche; allegre passeggiate sui colli mascheravano severe esercitazioni militari della gioventù liberale; al piano terreno di via Castiglione 6, in un locale di Palazzo Pepoli con apertura sul grande cortile interno, nel fondaco di legnami di Cesare Ghedini si raccoglievano armi e munizioni.
Quando il 25 aprile giunse notizia dell’ultimatum dell’Austria al Regno di Sardegna, la città si animò di “crocchi” di persone sollecitate da “un interesse generale per la causa italiana” e manifestazioni di entusiasmo seguirono dopo la vittoria dei franco-piemontesi a Magenta.
Intanto all’interno del Comitato bolognese si apriva la discussione sul futuro della città: se unanime fu la decisone di impadronirsi del potere e di invocare immediatamente la dittatura di Vittorio Emanuele in vista dell’annessione al Regno Sardo, più sofferta la necessità di contenere gli impeti rivoluzionari e radicali a fronte di una linea politica che richiedeva (o imponeva) risposte di equilibrio all’evolversi degli eventi. Da quei dibattiti uscirono i nomi di quelli che avrebbero dato vita al primo Governo provvisorio nella città liberata, di fatto un abile dosaggio diplomatico tra le esigenze interne e quelle esterne: presidente Gioacchino Napoleone Pepoli era la garanzia offerta a Napoleone III, Luigi Tanari e Camillo Casarini rappresentavano l’organizzazione insurrezionale, Giovanni Malvezzi era l’uomo del liberalismo legalitario gradito al Minghetti, il neoguelfo moderato Antonio Montanari, infine, la garanzia offerta ai cattolici.
Mentre i liberali preparavano il futuro della città e gli austriaci la loro partenza, indifferente al succedersi degli eventi, anche perché consapevole di non avere le forze per fronteggiare un’insurrezione, restava il cardinal legato Milesi, sperava forse che nulla di sconvolgente sarebbe accaduto e che tutto potesse essere contenuto nella richiesta di qualche concessione riformista. Nelle prime ore della notte del 12 giugno gli austriaci uscirono dalla città, mentre i futuri uomini di governo vegliavano a Palazzo Pepoli. Alle prime luci dell’alba i bolognesi cominciarono a uscire nelle strade, a riempire le piazze, a occupare le porte della città, le carceri e le sedi delle rappresentanze del governo. “Avevano – come annotò nella sua Cronaca Enrico Bottrigari (vol. II, 1961, 461) – ornato il cappello ed il petto della coccarda tricolore e l’universale entusiasmo si propagava come una scintilla elettrica”. Giunsero poi in piazza i membri della Giunta provvisoria; venne tolta dal palazzo del governo l’insegna pontificia al cui posto fu innalzata la bandiera tricolore. Il cardinal legato lasciava la città per raggiungere Ferrara. Tutto si svolse sotto il segno di una entusiasta tranquillità. La Giunta provvisoria di governo,
rilevando una pesante eredità, vegliò al mantenimento dell’ordine che non fu mai turbato né quel giorno né poi. Bologna si lasciava alle spalle tre secoli di governo pontificio e, anche se sarebbero dovuti passare ancora nove tormentati mesi prima di giungere all’annessione al Regno Sardo, sin da quel 12 giugno, diversamente dal ’31 e dal ’48, i bolognesi furono certi che il governo pontificio era cessato per sempre. Fu un cambio pacifico, corrispondente alle ispirazioni politiche maturate negli animi dei cittadini e della classe dirigente, desiderosi tutti di preparare e attuare questo rivolgimento nell’unico modo capace di ottenere successo, mostrando cioè a Napoleone III una concorde dimostrazione di volontà popolare tale da impedirgli valide giustificazioni per opporsi ad un intervento piemontese nelle Romagne.
Se con la mostra si intendeva rendere omaggio ai protagonisti del Risorgimento bolognese, attraverso altre iniziative il Municipio intese trasformare la giornata dell’12 giugno 1909 in una vera e propria commemorazione storica che doveva avere come protagonista tutta la città. Vasto, articolato e coinvolgente il programma:
Alle 7 i bambini delle scuole faranno la consueta passeggiata ai Giardini, indi verranno in piazza Vittorio Emanuele davanti a San Petronio.
Alle 10 le autorità e gli invitati saranno sul palco davanti al palazzo comunale per l’inaugurazione della lapide a Umberto I. I bambini canteranno in coro. Poi il sindaco dirà un discorso d’occasione e si scoprirà la lapide. Mentre i bambini sfileranno davanti le autorità, i coristi dell’Euridice e dell’Euterpe canteranno l’inno di Filopanti.
Alle 11 collocazione della prima pietra dell’ospedale Gozzadini.
Alle 14,30 conferenza di Pio Schietti al Duse.
Alle 17 prima pietra dell’ospedale dei tubercolosi.
Alla sera luminarie2.
E le luci non si sprecarono. I palazzi di via dell’Indipendenza e di via Rizzoli vennero addobbati, come tradizione cittadina, dai proprietari che provvidero anche alla loro illuminazione; in piazza XX settembre venne eretta una fontana luminosa con getti di colore bianco, rosse e verde “mercè una ben studiata disposizione di luce elettrica, prodotta dall’accensione di ben 2000 lampadine”3; tutti i palazzi pubblici, la Banca d’Italia, la Cassa di Risparmio provvidero in proprio ad “illuminarsi”.
Il 1909 fu, di fatto, il primo di tre anni dedicati alla memoria del Risorgimento nazionale e Bologna fu presente a tutte le manifestazioni anche fuori dalla città, specie quelle promosse nel 1911. In quell’anno cimeli bolognesi vennero inviati all’Esposizione del Risorgimento tenutasi a Roma nei locali del monumento a Vittorio Emanuele II (aperta il 20 settembre 1911 e chiusa il 30 aprile 1912) – dove, sotto la guida di Vittorio Fiorini quadri, ritratti, cimeli, manoscritti, bandi, opuscoli costituirono la “sezione bolognese” – e alla Mostra degli italiani all’estero allestita a Torino.
A Bologna, poi, venne realizzata una mostra dei monumenti patriottici costruita con pannelli su cui erano stati riprodotti i monumenti eretti in numerose piazze italiane a memoria degli eventi e degli uomini che avevano contribuito all’unificazione nazionale.
Deve essere motivo di giusto compiacimento pel Municipio di Bologna sapere che [a Roma] fu la sezione bolognese quella che attirò maggiormente l’attenzione del pubblico e degli studiosi per la copia e l’eccellenza delle suppellettili ond’essa era costituita.
Né minor successo si ebbe la raccolta inviata a Torino (Comune di Bologna, Relazione di Fulvio Cantoni 1916, 10).
Così scriveva con giusto orgoglio il direttore del cittadino Museo del Risorgimento che, se da un lato fu il promotore principale e l’indiscusso protagonista delle celebrazioni risorgimentali del tempo, dall’altro, in un certo senso, costituì il frutto più duraturo di quelle stesse celebrazioni.
Le origini del Museo bolognese vanno collocate nell’Esposizione Emiliana del 1888, la quale a sua volta non soltanto fu promossa “sotto gli auspici del padre della patria Vittorio Emanuele II” ma più precisamente, nel decimo anniversario della sua morte, oltre che in concomitanza con le celebrazioni dell’VIII centenario dell’Università di Bologna.
La commissione ordinatrice per realizzare un Tempio del Risorgimento si costituì il 28 febbraio 1887, appena due mesi dopo l’annuncio ufficiale dell’Esposizione, il che evidenzia una volta di più il nesso tra quest’ultima e l’epopea risorgimentale: “si trattava infatti di ‘ritemperare’ gli animi, di risvegliare in essi lo spirito eroico e l’amore di patria in vista delle ‘nobili ed alte cose a cui è serbata ancora la generazione che avanza’” (Lo studio e la città 1987, 177).
Nella persona stessa del presidente della commissione trovavano un punto di sintesi le diverse forze ideali che avevano promosso le feste del 1888: la tensione al progresso economico e sociale; l’ambizione a presentarsi, sotto l’egida di Carducci, come la “capitale culturale” della “terza Italia” e infine la memoria del Risorgimento: il medico Pietro Loreta era infatti membro assai noto e attivo della classe dirigente cittadina, illustre accademico e reduce delle patrie battaglie, essendosi arruolato come volontario garibaldino nella terza Guerra di Indipendenza (Facchini 1908).
Accanto a Loreta svolsero un ruolo fondamentale nella realizzazione del Tempio del Risorgimento il giovane studioso Vittorio Fiorini, che di lì a poco si sarebbe trasferito a Roma, dando inizio ad una brillante carriera all’interno del Ministero della pubblica Istruzione, sia soprattutto il segretario della commissione Raffaele Belluzzi, ispettore scolastico e reduce garibaldino (Tarozzi 2000).
Grazie soprattutto alla sua opera appassionata, l’organizzazione del Tempio procedette alacremente per tutto il 1887, parallelamente a quella dell’intera Esposizione.
Se, per sfruttare al massimo la bella stagione, l’Esposizione Emiliana venne inaugurata all’inizio di maggio, la solenne celebrazione dell’VIII centenario dello Studio bolognese si svolse il 12 giugno 1888, mentre nel pomeriggio del giorno prima in piazza Maggiore era stato inaugurato il monumento a Vittorio Emanuele II.
Il successo del Tempio fu tale che al termine delle manifestazioni il Consiglio comunale di Bologna decise all’unanimità di trasformare la mostra temporanea in un museo permanente, collocandolo in maniera piuttosto decorosa in due sale poste al pian terreno del Museo civico.
Fu ben presto istituita una commissione ordinatrice, di cui facevano parte l’assessore alla Cultura Enrico Pini, Giosuè Carducci, Aristide Venturini, Tito Azzolini, Vittorio Fiorini, Raffaele Belluzzi e il sindaco Alberto Dallolio.
Gran parte del lavoro organizzativo fu svolto da Belluzzi e, finché rimase a Bologna, da Fiorini; tuttavia non bisogna credere che il ruolo dei “politici” all’interno della commissione sia stato di facciata o ininfluente, come si rileva proprio dalla data che venne scelta per l’inaugurazione.
Questa scelta, ovviamente, non poteva essere lasciata al caso. Il tentativo, tenacemente perseguito dall’élite postunitaria, di “inventare” una tradizione funzionale al nuovo ordine costituito, induceva a spingere al massimo la “valorizzazione della pratica dell’anniversario” e al conseguente “sfruttamento sistematico del calendario patriottico” (Baioni 1994, 52).
Fin dall’inizio Belluzzi, anticlericale e garibaldino, avrebbe voluto che il Museo del Risorgimento venisse inaugurato il 20 settembre, vale a dire nell’anniversario della Presa di Roma, evento con il quale si era concluso il processo di unificazione nazionale ed era finito il potere temporale del Papa.
Nelle lettere che andava scrivendo in qualità di segretario della commissione, egli ricordava continuamente ai suoi corrispondenti che il Museo sarebbe stato inaugurato proprio quel giorno.
Tuttavia, la data non doveva piacere a Dallolio, il quale aveva compreso che, in seguito alla progressiva crisi del partito moderato e con l’entrata in campo di un’opposizione sempre più attiva e agguerrita, diveniva più che mai necessario – per mantenere la governabilità della città – dare spazio a forze politiche nuove e che, da abile politico qual era, “si rivelò capace di alternare aperture laiciste e spregiudicati accordi con l’elettorato cattolico” (Albertazzi, Tarozzi 1989, 26).
Era proprio quest’ultimo che non avrebbe tollerato la scelta del 20 settembre, una data che aveva segnato la frattura dei rapporti tra Stato e Chiesa, e la cui scelta avrebbe ribadito una volontà di rottura totale del tutto in contrasto con il progetto politico del Sindaco di Bologna.
A giudicare dai documenti, Dallolio indusse Belluzzi a cambiare il proprio progetto non imponendo in maniera autoritaria la propria volontà, ma attraverso un sapiente uso della tattica dilatoria.
In una lettera del 16 settembre 1892, vale a dire appena quattro giorni prima della fatidica data che egli stesso nelle settimane precedenti aveva indicato, Belluzzi, ormai rassegnato, invitava gli altri membri della Commissione ad “intervenire Lunedì 19 corr.te nella sala posta al pianterreno del Museo Civico nella quale abbiamo disposto come meglio abbiamo creduto ci fu possibile le patrie memorie che vennero dai cittadini al Municipio affidate”, per fare “una specie di collaudo”. Nello stesso tempo, scriveva di avere “pure invitato l’onorevole Sig. Sindaco col quale ameremmo di metterci d’accordo per l’apertura ed inaugurazione del Museo stesso”4.
Probabilmente fu proprio il giorno prima dell’anniversario di Porta Pia, quando ormai era materialmente impossibile organizzare le cose per il giorno successivo, che Dallolio riuscì a persuadere definitivamente Belluzzi e a fissare la data dell’inaugurazione per il 12 giugno 1893, vale a dire ben nove mesi dopo.
Da un punto di vista puramente teorico, le date cariche di valenza simbolica avrebbero potuto essere anche altre. In realtà le cose non stavano affatto così.
Per un certo tempo era stata valutata come data per l’inaugurazione del Museo l’8 agosto, anniversario della battaglia della Montagnola: tale ricorrenza aveva rivestito una particolare importanza fin dai primi anni successivi all’unificazione ed era già celebrata in città con manifestazioni di rilievo (Un giorno nella storia di Bologna 1998), ma la battaglia svoltasi a Bologna l’8 agosto 1848 non era stata altro che un episodio periferico svoltosi in margine alla prima Guerra di Indipendenza, e il suo esito vittorioso era stato del tutto ininfluente rispetto a quello complessivo del conflitto.
D’altra parte, la data scelta per inaugurare un museo del Risorgimento non poteva essere significativa soltanto da un punto di vista meramente locale, dal momento che proprio questi musei, “ambivano a presentarsi come strumenti di mediazione culturale tra ‘due patrie’, contribuendo così a conciliare i valori dell’identità locale con il senso di appartenenza a una comunità più vasta, che quei valori doveva sublimare in senso nazionale” (Baioni 1994, 34).
Altre giornate anniversarie, che a distanza di 150 anni apparirebbero ugualmente importanti e significative, non vennero nemmeno prese in considerazione.
Una di queste era l’anniversario dello Statuto Albertino, che effettivamente veniva celebrato la prima domenica di giugno. Ma le cerimonie pubbliche promosse in quell’occasione erano, almeno fuori dalla Capitale, confinate quasi sempre all’interno delle caserme e delle scuole.
Quanto alla data del plebiscito che aveva sancito l’annessione di Bologna e dell’Emilia-Romagna alla monarchia di Vittorio Emanuele II, essa non venne mai considerata degna di essere celebrata con manifestazioni di qualche rilevanza. Il plebiscito dell’11 e 12 marzo 1860 fu qualcosa di completamente diverso dal referendum del 2 giugno 1946. Quest’ultimo costituì una svolta decisiva per l’Italia, a tal punto che venne istituita una festa nazionale per ricordarlo, mentre il primo non fu altro che una solenne – e scontatissima – ratificazione “plebiscitaria” di decisioni già prese altrove.
Infine, non era nemmeno da prendere in considerazione la data di proclamazione del Regno d’Italia; che nemmeno nel 1861 fu contrassegnata da manifestazioni di grandiosa solennità. Il 18 febbraio l’avvenuta unificazione fu semplicemente ratificata nel corso della sua prima riunione dal nuovo parlamento nazionale; il successivo 14 marzo, sempre con un atto avvenuto all’interno dell’aula parlamentare, veniva approvato un decreto che conferiva al re di Sardegna Vittorio Emanuele II il titolo di re d’Italia; il 17 marzo tale decreto veniva infine pubblicato ed entrava in vigore. Il fatto che il sovrano, assumendo tale titolo, non avesse cambiato il numero della successione dinastica la dice lunga su quanto poco tale proclamazione fosse stata recepita dai contemporanei come un atto “epocale” e memorabile.
Alla luce di queste considerazioni, la scelta del 12 giugno, data celebrativa di un evento fondamentale sia per la storia locale sia per quella nazionale, si rivelava come la più adeguata, per l’inaugurazione del Museo del Risorgimento. In essa trovavano infatti un punto di convergenza, anzi di vera e propria identificazione, le esigenze simboliche di autorappresentazione della cittadinanza e quelle del potere costituito.
Anche negli anni successivi, essa sarebbe stata “una delle giornate di più alta mobilitazione popolare” (Baioni 1994, 53).
Nell’Italia post seconda guerra mondiale, in una stagione che vedeva il Paese avviarsi verso una pronunciata ripresa economica dopo gli anni duri della ricostruzione, si svolsero le celebrazioni del primo centenario dell’unificazione nazionale, celebrazioni che per tre anni (1959-1961) coinvolsero tutte le città italiane. Volevano essere la riaffermazione di valori proposti in una continuità ideale tra il passato e il presente a legittimare l’identità nazionale costruita sul Risorgimento e sulla Resistenza. Un Risorgimento, peraltro, che si voleva liberare dall’uso strumentale che ne aveva fatto il fascismo e una storiografia spesso compiacente al regime.
Scriveva, nel 1960, Luigi Dal Pane – uno dei maggiori storici sociali ed economici italiani e un maestro per molte giovani generazioni di studiosi – presentando i risultati di un convegno sul Risorgimento a Bologna e in Emilia svoltosi nel capoluogo emiliano:
La storiografia del Risorgimento nacque in mezzo alla lotta politica e fu parte in questa battaglia: fu polemica, glorificazione, agiografia, opposizione. Purtroppo la storiografia post-risorgimentale ha risentito a lungo delle vecchie impostazioni, spesso riesumate e rinverdite in nuova foggia e in mentite vesti da movimenti politici che si avvalevano del Risorgimento per costruire i loro miti o dalla retorica dei letterati, usi a trasformare i fatti in fantasmi capaci di diventare un passatempo dello spirito (Dal Pane 1960, 1).
Allo stesso Dal Pane era stato affidato dal Comitato per le celebrazioni bolognesi dell’Unità d’Italia il compito di aprire le iniziative con una conferenza che egli dedicò al tema del Tramonto dello Stato pontificio. Era il 17 marzo 1959. A cadenza mensile seguirono poi le conferenze di Paolo Alatri (4 aprile) e Umberto Marcelli (23 maggio) che furono occasioni per riflettere su tematiche in cui la storia locale si intrecciava con quella nazionale, mentre Giorgio Candeloro pronunziò, il 7 giugno in Palazzo d’Accursio, alla presenza congiunta dei consigli comunale e provinciale, l’orazione ufficiale sulla liberazione di Bologna dal governo austro-pontifico.
Il 7 giugno si intrecciarono diversi eventi: una sfilata dei gonfaloni di città e province decorate, di università italiane, di enti e associazioni popolari, seguendo un percorso che passava tra le piazze e le strade che, nel tempo, le diverse amministrazioni comunali avevano voluto dedicare alla memoria del Risorgimento: piazza XX settembre, via dell’Indipendenza, piazza VIII agosto, piazza Maggiore.
Tra l’8 e l’11 giugno, poi, le serate dei bolognesi furono allietate dalle bande Rossini e Puccini che in varie piazze cittadine eseguirono musiche risorgimentali; ancora nella sera dell’11 giugno fu possibile ascoltare dalla voce degli attori Gino Cervi e Elena Zareschi un recital di poesie e prose.
Il 12 giugno i bolognesi trovarono nelle edicole, distribuito gratuitamente, un opuscolo dal titolo Bologna libera e tutti poterono essere ancor più consapevoli delle ragioni di tanto impegno a rievocare fatti del passato. La prima pagina dell’opuscolo era per metà occupata dalla riproduzione di una stampa ottocentesca raffigurante piazza Maggiore piena di bolognesi festanti la mattina dell’12 giugno 1859; nell’altra metà le parole del sindaco Giuseppe Dozza e quelle del presidente della provincia Roberto Vighi.
Intitolato L’impegno per una vera libertà degna dell’antica speranza, l’intervento di Dozza tendeva ad attualizzare il senso delle celebrazioni, fondendo le radici del presente e le speranze per l’avvenire nel ricordo del passato:
Agli uomini e alle donne di Bologna – scriveva il sindaco – sono offerte queste pagine, non perché si pensi che la lettura di esse riesca a fornire un definitivo quadro degli eventi di cui ricorre in questi giorni il centenario: la ricostruzione storica, infatti, procede ogni giorno, ogni anno, in un perenne ampliamento dell’orizzonte e insieme in una sempre più ricca ed esatta determinazione dei particolari. Ma la vita civile è guidata ogni giorno da una luce a cui quanto del passato si conosca è alimento, sia per il conforto che viene dalla memoria delle gesta dei padri, sia per l’ammaestramento che deriva dalla conoscenza dei limiti di ciò che fu compiuto, dal riconoscimento che giuste antiche aspettative del popolo ancora non son soddisfatte.
Mediti. Dunque, ogni cittadino queste pagine; e possa trarne argomento a rafforzare, riscoprendo le aspirazioni e le sofferenze di un secolo fa, la coscienza del debito per l’avvenire e l’impegno per una futura vera libertà degna dell’antica speranza.
Un forte richiamo al persistere della validità di quegli ideali profondi che avevano animato i protagonisti del Risorgimento, ma che non appartenevano solo a loro bensì a tutti gli uomini e alle donne del passato e del presente, si trovano anche nel testo Riviva nelle lotte del presente la grandezza del nostro passato firmato da Roberto Vighi:
Se la virtù delle ricorrenze è di fare rivivere nelle coscienze consapevoli gli eventi del passato in una severa rifioritura di memorie, tanto più degna sarà la celebrazione quanto più atta a far considerare ancora validi ed attuali i sentimenti ed i principii che quelle lontane vicende animarono.
E validi ed attuali, pur dopo cento anni, quei sentimenti e quei principi rimangono, perché sulla indipendenza e sulla libertà, allora, oggi e sempre si ispirarono e si ispirano quanti abbiano il senso profondo della dignità di un popolo avviato decisamente per le strade del suo divenire civile.
Per questo è soprattutto nell’animo popolare che l’epopea del Risorgimento deve suscitare i fermenti di un rinnovamento politico e sociale che, non scritto soltanto nei documenti ufficiali, valga a ricollegare, secondo un nesso storico necessario, le vicende attraverso le quali la parte più eletta del popolo italiano costruì sulle rovine del dispotismo e della oppressione, la unità della patria, a quelle che consentirono all’Italia del secondo risorgimento di riaccendere animosamente le luci del suo destino.
Tanto più in questa nostra terra emiliana valgano le sacre memorie di un nobile passato a rinvigorire le volontà ed i propositi richiamando particolarmente i giovani alla necessità di combattere le più valide e generose battaglie spirituali che la filosofia della storia antica e nuova loro decisamente addita.
Come cinquant’anni prima, le celebrazioni della liberazione di Bologna dal governo pontificio continuarono nei due anni a seguire creando un tutt’uno con le manifestazioni nazionali. Di quel fervore di attività resta ancora oggi memoria nei tre volumi del bollettino del Museo del Risorgimento in cui vennero raccolti gli atti di un importante convegno sul Risorgimento in Emilia e nella collana “Fonti e ricerche per la storia di Bologna”, che a partire dai primi quattro volumi della Cronaca di Bologna di Enrico Bottrigari (curati da Aldo Berselli) pubblicati tra il 1960 e il 1962, ha contribuito ad arricchire la storiografia nazionale di importanti studi di storia politica, economica, sociale, di statistica e di demografia.
Biografia
Fiorenza Tarozzi è professore associato di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Bologna. Si è occupata di storia del movimento operaio (associazionismo mutualistico, cooperazione, sindacato) di storia delle strutture amministrative cittadine, di storia del movimento democratico e dell’anarchismo. Negli ultimi si è indirizzata a temi di storia sociale e ha affrontato tematiche relative alla legislazione sanitaria e alle organizzazioni ospedaliere, all’emigrazione, al tempo libero e alla storia delle donne.
Biography
Fiorenza Tarozzi is an associate professor of contemporary history at the University of Bologna, faculty of “Foreign languages and literature.” She graduated from Bologna’s “Education Sciences” program in 1971, majoring in contemporary history. In 1977 she earned a master’s degree in “Work and social security law” from Bologna’s faculty of “Economics.” Since 2001 she has been an associate professor in contemporary history at the University of Bologna, faculty of “Foreign languages and literature.” She teaches contemporary history for the degree course, as well as history of contemporary Europe, history of mentalities and cultural transformation in the contemporary age, and contemporary women’s history for the master studies. Her studies focus on history of the labor movement, history of mutual and labor associations, history of democratic and revolutionary movements. She also studies social and women’s history (particularly history of migrations, loisir, nutrition, marriage and everyday life).
Bibliografia
Albertazzi A., Tarozzi F.
1989 La classe dirigente bolognese e il “Tempio del Risorgimento, “Bollettino del Museo del Risorgimento”, Bologna.
Baioni M.
1994 La religione della patria. Musei e istituti del culto risorgimentale. 1884-1918, Quinto di Treviso, Pagus.
Bottrigrari E.
1961 Cronaca di Bologna, a cura di A. Berselli, vol. II, Bologna, Zanichelli.
Comune di Bologna
1916 Il Museo Civico del Risorgimento dal 1904 a tutto il 1911, Relazione del direttore Fulvio Cantoni al sig. assessore per la Pubblica Istruzione, Bologna, Cooperativa tipografica Mareggiani.
Dal Pane L.
1960 Prefazione, “Bollettino del Museo del Risorgimento”, Convegno di studi sul Risorgimento a Bologna e nell’Emilia, Parte prima, Bologna.
Facchini C.
1908 Biografia di Pietro Loreta, Bologna, Stab. Poligrafico Emiliano.
Gavelli M., Sangiorgi O., Tarozzi F. (cur.)
1998 Un giorno nella storia di Bologna. L’8 agosto 1848: mito e rappresentazione di un evento inaspettato, Frenze, Vallecchi.
Sangiorgi O., Tarozzi F. (cur.)
2000 Cent’anni fa Bologna. Angoli e ricordi della città nella raccolta fotografica Belluzzi, Bologna, Costa.
Tarozzi F.
2000 Un uomo, la sua città. Raffaele Belluzzi e la Bologna del secolo scorso, in Sangiorgi, Tarozzi.
W. Tega (cur.)
1987 Lo studio e la città: Bologna 1888-1988, Bologna, Nuova Alfa Editoriale.
Contenuti correlati
- Museo del Risorgimento di Bologna (MRB), Archivio 1909, titolo I, Generalità, pratiche relative alla mostra storica 1859. [↩]
- “Il resto del Carlino-La patria”, Le commemorazioni cinquatenarie, 11 giugno 1909. [↩]
- “Il resto del Carlino-La patria”, Le commemorazioni cinquatenarie, 11 giugno 1909. [↩]
- MRBo, Fondo “Museo del Risorgimento di Bologna”, b. 1, fasc. 3, minuta di lettera di R. Belluzzi ai colleghi della Commissione, 16 settembre 1892. [↩]