di Tito Menzani
Gli studi sulla storia della Massoneria hanno avuto un nuovo importante impulso negli ultimi decenni, soprattutto grazie ai lavori di Fulvio Conti (Storia della Massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna, Il Mulino, 2003), Santi Fedele (La Massoneria italiana nell’esilio e nella clandestinità 1927-1939, Milano, Franco Angeli, 2005) e Gian Mario Cazzaniga (Storia d’Italia. Annali, vol. 21, La Massoneria, a cura di, Torino, Einaudi, 2006), per non citare che alcuni dei lavori principali. A ricerche che hanno indagato i percorsi novecenteschi di questa associazione iniziatica, hanno fatto eco altre indagini sulla fase delle origini e sul consolidamento identitario nel corso del XIX secolo.
Il libro di Sara Samorì – assegnista di ricerca presso l’Università di Verona e assessora al Comune di Forlì – si colloca all’interno di questo ampio filone storiografico per ricostruire un caso di studio specifico, e cioè quello del patriota forlivese Pietro Maroncelli (1795-1846). Musicista, poeta, memorialista, Pietro Maroncelli è stato un punto di riferimento per una parte della carboneria, prima di essere incarcerato nella fortezza dello Spielberg, dove stette rinchiuso dieci anni, subendo anche l’amputazione di una gamba.
Nel 1833, Pietro Maroncelli abbandonò l’Italia per raggiungere New York, dove visse stentatamente per i restanti quindici anni della propria vita. Dopo la morte la sua figura divenne progressivamente un simbolo di amor patrio, utilizzato nella New York delle parate etniche e della Tammany Hall – un’organizzazione politica filodemocratica molto potente nel XIX secolo –, fino al rimpatrio dei suoi resti, organizzato in grande stile nel 1886.
È soprattutto sull’uso politico della vicenda umana e politica di Pietro Maroncelli che si concentra l’attenzione di Sara Samorì, che dedica grande attenzione alla questione degli esuli italiani negli Stati Uniti, e alla loro capacità di riorganizzarsi attraverso reti associative di vario genere, in buona parte riconducibili alla Massoneria transnazionale.
Secondo Roberto Balzani, che ha scritto una bella prefazione al volume, è proprio questa la parte più interessante e autorevole della ricerca, perché – e se ne conviene assolutamente – ci consegna l’immagine di una società vivace e in trasformazione, lungo «l’itinerario dalla cultura fortemente spiritualista del primo Ottocento al pragmatismo successivo alla guerra di Secessione».
E questo ampio e complesso tema è indagato attraverso un vasto corpus di fonti inedite, derivanti da riviste dell’epoca – quali «Rivista Massonica», «Rivista della Massoneria italiana», «il Progresso italo-americano» – e da materiali archivistici conservati presso il Fondo Maroncelli conservato presso la Biblioteca comunale Aurelio Saffi di Forlì.
In sintesi, il volume di Sara Samorì ha il merito di focalizzare l’attenzione su uno snodo molto importante nell’ambito della storiografia sul patriottismo e sulla massoneria, quale è il caso Maroncelli. Del resto, anche altri recenti contributi hanno cercato di leggere e interpretare la medesima vicenda in un piano più ampio. Basti pensare al convegno Piero Maroncelli: l’itinerario di un romantico dalla Carboneria al Fourierismo, nell’età della Restaurazione, tenutosi a Forlì l’1-2 dicembre 1995 (atti a cura di Flavia Bugani, Forlì, Fotolitografia La Greca, 1997) o al libro di Mirtide Gavelli, Piero Maroncelli: l’uomo, il musicista, il patriota (Forlì, CartaCanta, 2010).
Nel caso de La tigre e il serpente verde, però, lo scavo sulle fonti di prima mano è tale da consentire di individuare aspetti precedentemente sconosciuti, non tanto sulla vicenda umana in sé, peraltro già ben descritta in maniera particolareggiata nelle ricerche succitate, bensì relativamente a ciò che riguarda l’utilizzo dell’esempio di Maroncelli dopo la sua scomparsa. Non solo, ma è tutto l’entourage che ha ruotato attorno alla Tammany Hall e alle associazioni italo-americane di New York a essere scandagliato, per disvelare pratiche, consuetudini e legami che in buona parte erano ancora ignoti.