Strumenti per la didattica della storia e della geografia

di Patrizia Fazzi

 

Problemi, finalità, prospettive

La rivisitazione dei programmi scolastici, in particolare nel primo biennio dei licei riformati, offre significativi spunti di riflessione nell’ambito della didattica della storia e della geografia, nei settori della ricerca teorica e applicata.

Le due discipline sono state abituate per lungo tempo a un regime di convivenza onirica ma di separazione pratica, comportamenti che hanno contribuito al consolidamento di metodologie rassicuranti: dalla semplice localizzazione dei fatti storici, all’altrettanto elementare storia illustrata dei luoghi in ambito geografico. In fondo, per semplificare il rapporto fra storia e geografia, bastano un luogo e una data.

L’introduzione della disciplina “Storia e Geografia” nel biennio dei licei (due ore di storia e una di geografia) può aprire nuove prospettive di rinnovamento non solo formale, se i docenti sapranno coglierne le opportunità. Nelle Indicazioni nazionali si sottolinea come “non va trascurata la seconda dimensione della storia, cioè lo spazio. La storia comporta infatti una dimensione geografica; e la geografia umana, a sua volta, necessita di coordinate temporali. Le due dimensioni spazio-temporali devono far parte integrante dell’apprendimento della disciplina”. E poi, in ambito geografico, dopo aver individuato i temi principali per la costruzione dei percorsi curricolari, si afferma che “[…] importante a tale riguardo sarà anche la capacità di dar conto dell’importanza di alcuni fattori fondamentali per gli insediamenti dei popoli e la costituzione degli Stati, in prospettiva geostorica”.

L’abbinamento delle due discipline non va dunque intesa come la nascita di una nuova materia denominata “Geostoria”, anche se il termine è ormai entrato nel linguaggio corrente; nelle Indicazioni nazionali sono trattate in modo distinto, seppure in una prospettiva di tipo interdisciplinare. La geostoria può dunque essere considerata un’etichetta abusiva, che si candida a sostanziare con banalità l’ultima riforma scolastica, ma è altrettanto vero che può offrire l’occasione per costruire percorsi scolastici innovativi. In questo caso, si apre la strada alla didattica integrata, che dovrebbe proseguire nel corso del triennio o essere praticata anche negli altri ordini di scuole in cui non è stato inserito l’insegnamento della geografia.

È innegabile che la nuova proposta si presti a soluzioni di marketing: qualche editore ha proposto manuali con contenuti semplicemente “rimescolati”, pubblicando presunti testi di geostoria che tali ovviamente non sono, per la mancanza sia di indicazioni ministeriali sia di un’autentica riflessione epistemologica. Il docente può adottare testi di storia in cui sono state inserite schede con informazioni sul quadro ambientale dei luoghi studiati, con contenuti funzionali solo alla narrazione storica; di contro, non poche case editrici propongono libri di geografia con apprezzabili riferimenti storici sulle vicende degli stati o dei continenti, ma anche in questo caso si propone solo una cronologia di eventi che aiutano a ricostruire la dimensione presente, quindi si tratta sempre di percorsi geografici.

La prospettiva integrata è interessante e innovativa, ma in fase di progettazione e di sperimentazione. Per poterla attuare, bisognerebbe costruire una piattaforma comune, condivisa, in grado di evitare uno sterile livellamento disciplinare o banali equiparazioni. Impostare una programmazione interdisciplinare e senza asimmetrie significa introdurre percorsi a partire da temi e problemi, nella loro evoluzione temporale e nella dimensione spaziale, sociale e culturale.

La sintesi è complessa e richiede conoscenze generali in entrambe le discipline; i docenti della scuola secondaria sono attrezzati in tal senso, ma dovrebbero essere potenziati l’aggiornamento e l’abitudine alla ricerca.

Come costruire, dunque, una complementarità intelligente fra storia e geografia, incoraggiare la collaborazione interdisciplinare capace di esaltare le valenze educative e formative di entrambe le discipline e di rinnovare i processi di insegnamento e di apprendimento? Quali strumenti possono costituire un valido supporto didattico?

Il materiale è molto ampio e diversificato a livello di ricerca e di didattica. Sono stati pubblicati saggi, atti di convegni sia nelle tradizionali riviste sia su siti Internet. Numerose attività di scambio e confronto di esperienze didattiche sono state promosse da esperti e professionisti del settore, tra cui spiccano i ricercatori di Clio ’92, Landis e Iris.

Nel settore geografico, l’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (Aiig) è tra i più importanti enti qualificati per la formazione degli insegnanti. Essa promuove l’aggiornamento scientifico e didattico dei docenti di discipline geografiche e i rapporti con le altre materie, si occupa di ricerca e sperimentazione didattica per rendere più efficace l’insegnamento; promuove la conoscenza e la tutela dell’ambiente nel quadro di una corretta educazione geografica ed ecologica, in funzione di una più razionale gestione del territorio. Quasi ogni numero di “Ambiente, Società, Territorio” presenta resoconti di esperienze didattiche che utilizzano metodi attivi, strumentazioni innovative, metodologie degli studi visuali, della geografia della percezione, delle mappe mentali e altro ancora.

La disponibilità di repertori, il materiale infinitamente vario reperibile online richiede, tuttavia, specifiche competenze da parte del docente, che deve predisporre adeguati strumenti operativi e concettuali per distinguere, discernere e vagliare le risorse da utilizzare nella progettazione integrata.

Le strutture del pensiero spazio-temporale

Il legame tra le società umane e lo spazio da loro occupato è inestricabile sin dalle età più antiche ed è un’acquisizione concettuale di fondamentale importanza per tutte le scienze dell’uomo. Le società vivono di spazio, lo utilizzano, lo consumano, in un intreccio continuo tra uomo e ambiente, che cambia nel corso del tempo a ritmi diversificati. E tali interconnessioni costituiscono proprio una delle principali caratteristiche del rinnovamento storiografico del Novecento introdotto dalla scuola francese delle “Annales”, che ha permesso di uscire dalla visione statica e puramente descrittiva dello spazio.

Nel secolo scorso si è andata affermando, dunque, una concezione di ambiente come gamma di possibilità offerte alle diverse società umane: ogni società, in base alla propria storia, alle proprie istituzioni, alla propria cultura e tradizione, si adatta al contesto ambientale, valorizzando o contrastando ciò che esso offre. In quest’ottica, una più attenta lettura retrospettiva del territorio, lo spazio antropizzato frutto dell’azione dell’uomo, e una più sfaccettata visione del tempo storico hanno permesso nuove riflessioni, fermo restando i diversi approcci metodologici.

Si è giunti così a leggere il territorio come una rete di simboli, di valori, di risorse materiali e immateriali riconosciute da una comunità, di relazioni e di flussi a scale geografiche diverse, tra globale e locale. La stessa dimensione sociale dell’agire fa sì che il territorio non sia la mera somma delle singole azioni, bensì il prodotto di un lavoro di continua progettazione e trasformazione della collettività secondo una dinamica trasformativa continua, segnata da mutamenti che spesso incidono profondamente sull’organizzazione della società, riorientando talvolta le stesse logiche territoriali. L’analisi storica di questo processo ha una forte valenza geografica, perché fa luce sul funzionamento e sull’organizzazione di una società, sulla modalità del modellamento della superficie terrestre, che sostiene i progetti collettivi e fornisce le risorse per la loro realizzazione.

In questo contesto storia e geografia sono chiamate a porre al centro l’esperienza umana nel tentativo di chiarire il significato di concetti, di simboli, nella loro appartenenza allo spazio e al tempo. Il rapporto uomo-ambiente è dunque complesso: la storia ne scandisce il ritmo, la geografia ne è il disegno.

Declinato a livello didattico, ciò significa collocare con precisione dati ed eventi, periodizzare, ricostruire i processi spazio-temporali, ma soprattutto pensare “per relazioni”. Tuttavia, nella pratica del lavoro d’aula, è facile scivolare nel nozionismo, che tende a essere fuorviante rispetto a una visione problematica dei fenomeni. È molto diffusa l’idea che la storia sia un elenco di date e la geografia solo un corpus di conoscenze sui luoghi, sui paesaggi, sugli stati, occultando così il valore formativo di entrambe le discipline, che consiste nella capacità di offrire punti di vista teorici e operativi sul mondo passato e contemporaneo, mettendo a disposizione strumenti concettuali, metodologici e di rappresentazione, efficaci non solo per capire il pianeta, ma anche per abitarlo, per educare alla cittadinanza, allo sviluppo sostenibile, alla complessità della dimensione territoriale.

Gli strumenti applicativi ed educativi della geografia

Lo strumento principe della geografia continua a essere considerata la carta geografica, che è l’elemento primario per formare il bagaglio di competenze tecniche a qualsiasi scala sia rivolta.

La cartografia tradizionale è un mezzo di comunicazione grafico, per immagini, che risponde a un’esigenza ottica, legata alla memoria visiva e svolge la funzione di rappresentare il territorio attraverso vari mezzi: proiezioni, scale cartografiche, simboleggiatura. Essa comunica attraverso un linguaggio internazionale, che veicola un’intenzione, un’idea, una finalità; ha il merito di stimolare ricerche, proporre domande, ma ha il limite di non poter rispondere a tutti i quesiti che sollecita.

È impensabile fare a meno della cartografia tradizionale anche nell’era digitale, proprio per fare acquisire agli studenti le competenze di base, che potranno poi essere integrate con le rappresentazioni computerizzate.

Rientrano in questa categoria le carte mentali, rappresentazioni soggettive dello spazio utilizzate sin dalla scuola primaria, le carte geografiche classiche, che si differenziano sulla base della variazione del rapporto di riduzione utilizzato (piante, mappe, carte topografiche, corografiche e generali), le carte speciali, che identificano una gamma sofisticata di rappresentazioni (carte geologiche, meteorologiche, sismiche), le metacarte, che sono rappresentazioni “ragionevolmente distorte”, poiché non rispecchiano le effettive dimensioni delle aree riprodotte, ma risultano comunque proporzionali alla consistenza del fenomeno in oggetto; infine troviamo le carte tematiche, che riproducono uno o più fenomeni qualitativi e quantitativi, fondamentali per dimostrare, illustrare e comunicare un fenomeno in maniera efficace.

Attualmente, la cartografia tematica, nella sua accezione più ampia, può essere prodotta per mezzo di Sistemi Informativi Geografici (Gis). Si tratta di strumenti informatici dotati di molteplici potenzialità, che consentono di archiviare, organizzare e gestire un’enorme mole di dati, al fine produrre simulazioni e scenari, supportare la pianificazione strategica, agevolare la lettura comparata dei fenomeni, effettuare analisi spaziali, temporali e predittive.

A livello scolastico un impiego proficuo dei Gis potrebbe partire non dalla creazione cartografica, ma dalla lettura e interpretazione di materiali predisposti; a scopo esemplificativo si può far riferimento alle risorse reperibili nel sito Internet della De Agostini che, dall’edizione del 2011 del Calendario Atlante, consente di visualizzare un considerevole patrimonio di rappresentazioni digitali. Si può accedere a DeA Wing, un sistema interattivo che permette di consultare e salvare centinaia di cartogrammi, essenziali per facilitare il confronto spaziale e temporale. In una fase successiva può essere interessante utilizzare i Gis, ovviamente nelle versioni didattiche semplificate.

Altri strumenti innovativi e molto utili per compiere ricerche sono le visualizzazioni di immagini da aereo e da satellite (Google Earth, Google Maps), che permettono di organizzare viaggi virtuali di perlustrazione, di soffermarsi con occhio analitico nei luoghi di maggiore rilevanza, oltre a essere un valido supporto durante lo studio degli aspetti fisici e geomorfologici. Analogamente, questi mappamondi e globi virtuali agevolano l’analisi degli aspetti urbani, infrastrutturali, abitativi, culturali ed artistici, avvicinando realtà lontane e rilevandone gli elementi distintivi.

Così come è impensabile fare a meno della cartografia (tradizionale e digitale) e dei visualizzatori di immagini, è altrettanto vero che la geografia non può prescindere dai dati statistici e dalle elaborazioni grafiche, che si configurano come pilastri essenziali, capaci di supportare i contenuti e renderne gratificante lo studio. Superate le difficoltà, legate soprattutto alle indispensabili competenze statistico-matematiche, i pregi che derivano dall’utilizzo delle informazioni numeriche sono universalmente riconosciuti. Esse permettono di evitare approssimazioni, di giungere a valutazioni oggettive, consentendo di effettuare misurazioni analitiche, oltre a confronti spazio-temporali pluriscalari.

Tra i compiti della geografia moderna vi è, dunque, quello di esaltare il potenziale valore aggiunto del linguaggio della numericità, in modo da poter ottenere significativi vantaggi in termini di creatività e, nello stesso tempo, di scientificità.

Almeno tre sono i punti su cui occorre focalizzare l’attenzione per guidare gli studenti in proficui lavori didattici e di ricerca: dove reperire le informazioni quantitative, quali sono i grafici che visualizzano in modo efficace i dati a disposizione e come si possono costruire utilizzando sistemi operativi semplici.

Relativamente alla reperibilità dei dati, le fonti sono davvero numerose e un prezioso aiuto è offerto dalla rete: dal sito dell’Istat, per analizzare gli aspetti demografici, sociali, economici e ambientali dell’Italia, al Calendario Atlante De Agostini, consultabile in parte online, che fornisce numerosi e svariati indicatori su tutti i paesi del mondo.

Si rendono necessari, dopo aver reperito le fonti quantitative, gli strumenti di rappresentazione dei dati: grafici (diagrammi cartesiani, areogrammi, istogrammi, diagrammi radiali), cartogrammi, che si presentano come sintesi tra carte tematiche e dati statistici, fondamentali per lo studio della disciplina.

Una riflessione a parte meritano i dati che si possono ricavare sul territorio attraverso l’osservazione diretta dei luoghi e del paesaggio. L’uscita didattica in loco è prevista dai programmi ministeriali e si inserisce nel piano di lavoro scolastico come una lezione vera e propria, che ha come obiettivo fondamentale orientare gli studenti allo studio del territorio, da realizzarsi attraverso un approccio geografico, ossia attento a cogliere, nella loro complessità dinamica, le interazioni esistenti tra gli elementi fisici e antropici.

Con riferimento agli obiettivi disciplinari, si potenziano così le capacità descrittive e di rielaborazione attraverso svariati passaggi: si può inserire l’area visitata in una regione naturale più ampia, si possono localizzare i fenomeni fisico-geografici nei confronti del resto del territorio, collocarli in un sistema di relazioni, che in parte si conclude nello spazio locale e in parte interessa ambiti più vasti.

Anche il paesaggio, che designa una determinata parte del territorio percepito dalle popolazioni, oltre a essere un oggetto di studio, è uno strumento per l’educazione geografica. Se ciascun elemento del paesaggio, termine molto ampio che rimanda a una varietà di concetti, è un segno con un significante visibile e un significato sottinteso, per giungere alla sua comprensione è necessario conoscerne il codice di trascrizione. E questa tipologia di lettura non richiede particolari competenze tecniche, ma soltanto “occhi allenati”, alfabetizzati, in grado di vedere ciò che non è immediatamente percettibile.

I percorsi di lettura, al di là dell’acquisizione di contenuti, aiutano a sviluppare le capacità di analisi e coinvolgono sia la dimensione sensoriale-emotiva sia quella della razionalità. Si può dunque utilizzare il paesaggio, proprio per queste sue caratteristiche comunicative, per interrogare il territorio e per introdurre questioni territoriali: in entrambe le direzioni si aprono interessanti prospettive per la ricerca in campo applicativo e didattico.

In primo luogo acquista valore il riconoscimento, attraverso la lettura dei segni di persistenze storiche o per mezzo di specifici approfondimenti con l’utilizzo di fonti, delle diverse tappe di trasformazione. Si può riflettere sul valore culturale di ciò che ci è stato trasmesso e sul significato patrimoniale che può assumere. Leggere il paesaggio aiuta, dunque, a situarsi nel tempo oltre che nello spazio, a riallacciare i legami con le generazioni precedenti e a recuperare il senso delle identità dei luoghi.

Questa riflessione sul passato introduce un altro aspetto: il confronto tra passato e presente apre lo sguardo sui paesaggi futuri, sulle opzioni di scelta da compiere, significa anticipare, raffigurare e scegliere il possibile.

Il paesaggio può permettere, infine, relazioni più responsabili nei rapporti con l’altro, in conseguenza dei diversi attori che lo hanno costruito e lo costruiscono, della pluralità di sguardi che lo osservano, lo rappresentano e lo rivestono di significati. Esso è per definizione luogo di relazione, riferimento identitario, prodotto culturale, costruito grazie all’apporto e al confronto tra culture differenti.

Se lo spazio geografico, che rimanda al mondo degli oggetti e della loro posizione, declinato nelle diverse prospettive del territorio, del luogo, dell’ambiente, del paesaggio, può essere considerato fondamentale per la formazione, altrettanto può dirsi per le sue molteplici rappresentazioni visuali: da quella cartografica a quella pittorica, da quella fotografica a quella cinematografica.

A lungo le immagini sono state utilizzate nella didattica della geografia soprattutto come strumenti in grado di mostrare la realtà, e meno per attribuirvi significati e costruirne interpretazioni. Limitare il ruolo delle immagini a una rappresentazione visiva di luoghi e fenomeni descritti nei libri di testo, lasciando allo studente il compito di trarne informazioni o all’insegnante di commentarle, promuove solo in parte la formazione critica. Delle immagini è infatti rilevante sfruttare, oltre alla portata descrittiva, anche la capacità di stimolare percorsi cognitivi complementari di interpretazione, in una visione più complessa e problematizzante delle tematiche oggetto di studio.

Attraverso l’osservazione, che è da sempre al centro della produzione geografica, tramite il ricorso a metafore visive come strumento attraverso cui trasferire tale conoscenza, la geografia da sempre interpreta la realtà utilizzando in svariati modi il potenziale conoscitivo delle rappresentazioni visuali. Analogamente, insegnare a conoscere e comprendere il mondo chiama in causa un appropriato utilizzo delle immagini, in grado di sollecitare l’osservazione, incoraggiare lo sguardo critico sui fenomeni, favorire l’interazione e, in questo processo, stimolare l’apprendimento.

Strumenti tradizionali e nuove tecnologie in ambito geostorico

Il modello universalmente diffuso continua a essere la lezione frontale, uno dei mezzi fondamentali della comunicazione, la cui efficacia dipende da molti fattori, tra i quali: la tipologia dell’ordine di scuola, la finalità dei programmi curricolari, le aspettative e le motivazioni degli studenti, il contesto generale delle implicazioni storiche e sociali che ruotano intorno alle discipline e al loro insegnamento.

La lezione frontale può contribuire efficacemente a organizzare i contenuti e può essere funzionale a inquadrare lo scenario del tema in oggetto; tuttavia, se il docente si limita a utilizzare solo il libro di testo come unico strumento di lavoro, sarà difficile mantenere viva l’attenzione, anche negli studenti che ne avevano colto la fascinazione. Dobbiamo prendere atto che oggi essa ha una minore forza attrattiva rispetto al passato, in relazione alla riduzione delle capacità di concentrazione e di ascolto dei “nativi digitali”, nei confronti dei quali l’innovazione didattica offre sicuramente nuovi stimoli.

Funzionale a verificare le competenze e le conoscenze pregresse, la lezione dialogata si presenta, invece, come uno strumento educativo che, sollecitando i singoli alunni, permette al docente di recuperare gli elementi di precognizione e di valutare in itinere la stabilità nell’acquisizione dei contenuti. Solo attraverso questo particolare atto, insieme cognitivo e contenutistico, si manifesta la possibilità reale di sondare l’efficacia della nuova conoscenza.

Accanto alla lezione frontale e dialogata, aggiungiamo il lavoro sui documenti, operazione di particolare importanza per il docente di storia, che deve impostare con particolare attenzione. In genere si registrano due fondamentali modalità di lettura, che in qualche modo ne condizionano la scelta. Nel primo caso, le fonti sono analizzate per corroborare le tesi già date, ossia quelle che risultano dal manuale scolastico, nel secondo, il percorso è inverso: dall’analisi dei documenti si giunge alla tesi, che è stata presentata all’inizio della lezione, come ipotesi di indagine ed elemento problematizzante.

Avviene così uno scambio metodologico, seguendo una virtuale procedura deduttiva o induttiva, in base all’epoca di riferimento e alle scelte effettuate dal docente, che permette agli studenti di seguire percorsi diversi per giungere alla conoscenza di “verità” storiche. Gli approfondimenti possono poi aggiungersi in corso d’opera, scegliendo di analizzare ulteriori testi storiografici, che dovrebbero indirizzare la ricerca autonoma di materiale.

Questo approccio dinamico, unito all’utilizzo e alla sperimentazione di strumenti innovativi, dall’organizzazione di laboratori ai mezzi offerti dalle nuove tecnologie multimediali, può offrire interessanti spunti per progettare e realizzare una nuova architettura didattica basata sull’utilizzo diretto da parte degli studenti di materiali storici e geografici finora impensabile.

Se negli anni Settanta del secolo scorso il rapporto tra tecnologie informatiche e saperi era caratterizzato dall’enfasi sui dati quantitativi e, in campo storico, dall’infatuazione statistica, negli anni Novanta abbiamo assistito, dapprima agli entusiasmi per l’ipertesto, poi a quelli per le ricerche in rete.

Ipertesto, multimedialità, mappe concettuali: termini che si sono diffusi rapidamente, ma altrettanto velocemente sono declinati, vanificando anche le potenzialità cognitive di cui erano forieri. Tra i punti deboli si possono indicare l’uso esasperato delle immagini, dei suoni, dei link onnipresenti e l’isolamento cui era condannato già in partenza il prodotto finale dell’attività. Se l’ipertesto era presentato come la vittoria finale del collegamento, dell’interazione disciplinare e multimediale, non si può nascondere la difficoltà di costruire una conoscenza strutturata facendo riferimento solo a tanti episodi a sé stanti.

Un prodotto digitale dovrebbe avere il suo punto di forza non solo nel rimando ai documenti o alle opere a cui si riferisce, ma nel diretto collegamento con esse. Troppi ipertesti, invece, si sono limitati a riportare solo brevi selezioni, costringendo il fruitore a sentirsi sicuro come un bambino che gioca con i pochi oggetti messi a disposizione, libero di muoversi autonomamente e di scegliere le sequenze del gioco, ma all’interno di uno spazio chiuso e circoscritto.

Anche le ricerche in rete sono estremamente insidiose, spesso si ha l’immagine di una porta che si apre su altre, in una successione infinita che crea disorientamento. E la difficoltà consiste non solo nell’essere in grado di selezionare la quantità delle fonti, ma anche quella di salvare, catalogare, utilizzare, strutturare il materiale.

In questo campo le riflessioni tecnologiche sono andate di pari passo con quelle metodologiche. E oggi sono soprattutto gli ambienti di collaborazione e di apprendimento in rete che suscitano grande interesse, in particolare nelle nuove generazioni.

Risorse e strumenti di collaborazione in rete: un’attività in fieri

È probabile che non giovi alla chiarezza l’insufficiente percezione da parte degli insegnanti su almeno due distinti settori in cui si declina il rapporto tra tecnologie informatiche e discipline umanistiche (con specifico riguardo alla storia e alla geografia): le tecnologie informatiche come risorsa per lo studio (siti web, dizionari, testi, esercitazioni, banche dati) e come strumento di collaborazione per la comunicazione delle ricerche o di materiali didattici.

Memorizzare, catalogare, estrapolare tendenze, mettere alla prova quantitativa ipotesi di lavoro, accedere a libri, pubblicazioni periodiche, documentazioni, materiali audio e video, rappresentano elementi importanti per tutti, docenti, ricercatori, studenti. Ma c’è un’ebbrezza da moltiplicazione dei dati che può suscitare perplessità, ed è per questo che è necessario educare alla scelta, che tuttavia non è mai neutrale. Bisogna essere in grado di stabilire la correttezza del contenuto, l’attendibilità della fonte e l’affidabilità dei supporti. La rete può essere il luogo di apertura democratica, ma anche quello dove veicolano nell’anonimato tesi scientificamente impresentabili altrove, oppure il luogo di vere e proprie falsificazioni e depistaggi più o meno curiosi.

Per quanto riguarda il secondo ambito, Internet può diventare uno strumento fondamentale non solo per il reperimento di fonti e materiali, ma anche per stimolare nuove attività di cooperazione tra studenti di diversi ordini scolastici. Si possono creare gruppi di ricerca fra loro molto distanti, organizzare laboratori sullo spazio web della scuola per poi condividere i risultati delle ricerche. Ed è proprio quest’ultima modalità di insegnamento e di apprendimento a essere innovativa, poiché introduce nuove forme di comunicazione in rete attraverso comunità di apprendimento, nelle quali le discipline vengono apprese secondo modelli laboratoriali. Tali ambienti, se utilizzati in maniera consapevole e critica, permettono un notevole incremento delle competenze disciplinari.

Molte della attività scolastiche incontrano un punto di debolezza nell’essere inutilizzabili una volta terminate; anche molte produzioni multimediali hanno lo stesso limite. In quest’ottica, invece, ogni produzione, più o meno ampia, può costruire un tassello di un progetto più vasto: un glossario storico, un archivio delle fonti, una sintesi delle vicende storiche, culturali o economiche, una linea di discussione storiografica e molto altro ancora. Si può creare una banca dati a cui attingere secondo modalità differenziate (per tipologia, per argomento, per grado di complessità). Si possono produrre repertori interscambiabili, anche per quanto riguarda le varie tipologie di verifiche, le attività di recupero, di potenziamento delle conoscenze o di valorizzazione delle eccellenze.

In definitiva, la possibilità per gli studenti di essere contemporaneamente destinatari e produttori di percorsi didattici permette un maggiore coinvolgimento e una più consapevole percezione delle tematiche affrontate.

Bibliografia

Storia

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Siti consigliati

Storia

Bibliostoria (Università di Milano):

http://bibliostoria.wordpress.com/

Clio ’92 (Associazione di insegnanti e ricercatori sulla Didattica della storia):

http://www.clio92.it/

Landis (Laboratorio nazionale per la Didattica della storia):

http://www.landis-online.it/

Mundusonline (Rivista semestrale di Didattica della storia):

http://www.mundusonline.it/

Storia e Futuro (Rivista di Storia e Storiografia)

http://www.storiaefuturo.eu

AIIG (Associazione Italiana Insegnanti Geografia)

http://www.aiig.it

Foto e carte da Google Maps

http://www.panoramio.com/

Carte fisiche e politiche

http://www.atlapedia.com/online/map_index.htm

Carte mute

http://geography.about.com/library/blank/blxindex.htm

Mappe e carte geografiche tematiche (University of Texas Libraries)

http://www.lib.utexas.edu/maps/index.html

Materiali didattici

http://www.deagostinigeografia.it

Biografia

Patrizia Fazzi, docente a contratto presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, insegnante di materie letterarie in un liceo torinese, si occupa di storia contemporanea e di sociologia delle migrazioni. Tra le pubblicazioni si segnalano: Migrazione e trasformazione sociale in Italia. Dall’età moderna a oggi, FrancoAngeli, Milano 2008; in collaborazione con il Dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Torino: Il Movimento degli obiettori alle spese miliari in Italia, in Anna Anfossi, T.K. Oommen (cur.), Azioni politiche fuori dei partiti, FrancoAngeli, 1997; tra i saggi si segnala La guerra in Cecenia: un nazionalismo mai sopito, in “Giano”, Idis (Istituto per la diffusione e la valorizzazione della cultura scientifica), n. 22, 1996.

Biography

Patrizia Fazzi, lecturer at the Department of Humanities at the University of Turin, professor of Humanities at secondary school in Turin, is interested in contemporary History and Sociology of migration. Among the publications we remark: Migration and social transformation in Italy. From the modern age to nowadays, FrancoAngeli, Milan 2008; together with the Department of Social sciences, University of Turin: The Movement of the objectors to military spending in Italy, in Anna Anfossi, TK Oommen (ed.), Actions out of political parties, FrancoAngeli, 1997; among the essays we report The War in Chechnya: a nationalism that never appeased, in “Giano”, Idis (Institute for the diffusion and improvement of scientific culture), no. 22, 1996.