di Patrizia Di Luca – Luca Gorgolini
Nel corso del Novecento – con particolare riferimento alla seconda metà del secolo scorso per quel che riguarda il caso italiano – la progressiva affermazione della storia sociale come fondamentale ambito di studio ha prodotto alcuni cambiamenti importanti nello svolgimento della ricerca scientifica. Il territorio di azione dello storico si è ampliato con l’acquisizione alla storia di soggetti e campi tematici precedentemente considerati estranei; la moltiplicazione degli strumenti che lo storico è chiamato ad utilizzare all’interno del suo laboratorio; l’adozione di opzioni teorico-metodologiche utili a promuovere un approccio alle fonti maggiormente qualificante; la necessità di operare all’interno di un contesto multidisciplinare in grado di far emergere le potenzialità euristiche delle fonti con cui lo studioso è di volta in volta chiamato a confrontarsi.
Si è assistito, per così dire, all’ingresso in scena di attori per lungo tempo esclusi dalla Storia: coloro i quali, non avevano scelto “consapevolmente di essere materiale da costruzione di una storia che si innalza al di sopra delle loro teste, al di là delle loro intenzioni” (Sorcinelli 1996, 13); i riflettori sono stati così puntati in direzione di coni d’ombra, affollati di individui in precedenza ignorati: ai protagonisti della storia politica e diplomatica dell’istituzione statale e delle classi dominanti e agli interpreti della storia delle idee (non solo politiche ed economiche, ma anche teologiche e scientifiche) e delle campagne militari si sono inizialmente aggiunti gli animatori delle lotte operaie, a seguire la massa dei contadini, gli analfabeti, gli individui con un lavoro precario, le donne, i bambini e altri soggetti lungamente ritenuti “senza storia”. In modo sempre più convinto si è inteso procedere con la ricostruzione “dal basso” di alcuni processi storici, dando voce a chi, occupando gli ultimi gradini della piramide sociale, era stato per molto tempo costretto ad una condizione di soggetto afono, poiché non aveva avuto l’opportunità di lasciare traccia diretta e volontaria di sé nelle pagine della documentazione storica tradizionale, su quelle carte d’archivio e fonti a stampa che generalmente erano prodotte da individui appartenenti ad altre fasce sociali (diplomatici, funzionari dello stato, ufficiali militari, politici, intellettuali, giornalisti e via dicendo).
Contestualmente si è assistito, da parte di un numero progressivamente crescente di storici, al ricorso a nuove fonti: carte processuali, testamenti, storie orali, testimonianze folkloriche, testi scritti di origine popolare, immagini fotografiche ecc. .
Mentre per Benedetto Croce (e per gli stessi storici espressione della scuola positivista) gli “oggetti” della storia erano coloro che contemporaneamente risultavano anche “soggetti” della storia in quanto produttori di documenti scritti – considerati uniche fonti degne di rilievo storiografico in quanto prove obbiettive del passato e fondamento del fatto storico -, oggi consideriamo fonti, con uguale dignità e con lo stesso interesse, tutte quelle le testimonianze lasciate dagli esseri umani nel corso della loro esistenza: “i documenti scritti e le testimonianze orali (comprese favole e leggende), la conformazione del paesaggio e il manufatto, le espressioni artistiche e l’iconografia popolare, le illustrazioni scientifiche e gli “archivi della natura”, la fotografia e il cinema, i nomi geografici, i reperti archeologici, la produzione letteraria che fornisce uno spaccato dell’ambiente sociale e intellettuale in cui lo scrittore è vissuto, e, ancora, giornali, pubblicazioni ufficiali, discorsi parlamentari, registri commerciali e lettere private, processi e testamenti” (Sorcinelli 1996, 14).
Una “onnivoracità” che lo “storico-orco”, tanto caro a Marc Bloch, ha potuto soddisfare grazie anche al continuo progresso tecnologico del mondo dei media che ha “consentito lo sviluppo di nuove modalità di riproduzione del reale, di comunicazione e di gestione delle informazioni: si pensi alla fotografia, alla telefonia, alla registrazione e riproduzione del suono e dell’immagine e alla loro trasmissione distanza (cinema radio, televisione), all’immagazzinamento e all’elaborazione di dati in formato digitale” (Bonomo 2013, 21-22).
In tal senso, la fondamentale definizione di “fonte” presente sul dizionario on line della Treccani, secondo la quale “nelle discipline storiche sono chiamate fonti le testimonianze scritte, più o meno coeve agli avvenimenti o ai problemi che si studiano, che costituiscono per lo storico la documentazione necessaria alla sua ricostruzione”, dovrebbe essere necessariamente ampliata.
Questo corpo a corpo con una gamma di fonti sempre più ampia ha spinto i ricercatori ad acuire i propri sensi e ad attivare contatti con altre scienze sociali, sia per giungere alla misurazione dei fenomeni storici (da qui il ricorso all’economia e alla demografia), sia per giungere ad una definizione e ad una comprensione della cosiddetta psicostoria (con il ricorso alla psicoanalisi e alla psicologia sociale), realizzando una interdisciplinarietà che organizza le conoscenze ed evita una sterile accumulazione, modalità di approccio al sapere teorizzato anche da Edgar Morin per una “riforma dell’insegnamento e del pensiero” (Morin 2000, 112-1131). Ecco che, solo per fare un esempio, la storia della prima guerra mondiale ha cessato di essere articolata esclusivamente sullo studio delle scelte politiche e diplomatiche che hanno determinato e accompagnato gli eventi militari, assumendo una dimensione più ampia che includesse anche i comportamenti e le reazioni emotive dei combattenti di fronte alla realtà quotidiana della guerra; aspetti ricostruiti e analizzati attraverso documenti autobiografici redatti dagli stessi militari, quali le lettere e i diari, o per mezzo del contenuto delle cartelle cliniche degli ospedali psichiatrici al cui interno centinaia di migliaia di questi soldati vennero ricoverati. D’altra parte, seguendo un approccio interdisciplinare, si possono rompere i compartimenti stagni tra i vari saperi, facendo emergere “una pratica storiografica che si giovi non solo di concetti derivati da altre scienze sociali che facilitano la descrizione e la spiegazione storica, ma anche della capacità che le altre discipline hanno nel contribuire efficacemente all’elaborazione del questionario con cui si preparano le domande da rivolgere alle fonti” (De Luna 2004, 112-113).
Alla base di questo mutamento nelle modalità di approccio alla ricerca scientifica e nella definizione di una nuova metodologia di indagine vi è stato l’emergere di una doppia consapevolezza: in primo luogo tutti i documenti, sotto qualunque forma essi si presentino, possono “parlare” solamente a chi li sappia “interrogare”: “ogni ricerca storica presuppone, sin dai primi passi, una direzione di marcia. In principio, c’è una mente pensante. Mai, in nessuna scienza, l’osservazione passiva – sempre nell’ipotesi che essa sia possibile – ha prodotto alcunché di fecondo” (Chabod 1983, 142); in secondo luogo, per usare le parole di Lucien Febvre, tra i fondatori nel 1929 della rivista “Annales d’histoire économique et sociale”, “la storia si fa con i documenti scritti, certamente. Quando esistono. Ma la si può fare, la si deve fare senza documenti scritti se non ce ne sono. Con tutto ciò che l’ingegnosità dello storico gli consente di utilizzare per produrre il suo miele se gli mancano i fiori consueti. Quindi con delle parole. Dei segni. Dei paesaggi e delle tegole. Con le forme del campo e delle erbacce. Con le eclissi di luna e gli attacchi dei cavalli da tiro. Con le perizie su pietra fatte dai geologi e con le analisi dei metalli fatte dai chimici. Insomma con tutto ciò che, appartenendo all’uomo, dipende dall’uomo, serve all’uomo, esprime l’uomo, dimostra la presenza, l’attività, i gusti e i modi di essere dell’uomo. Forse che tutta una parte, la più affascinante, del nostro lavoro di storici non consiste proprio nello sforzo continuo di far parlare le cose mute, di far dir loro ciò che da sole non dicono sugli uomini, sulle società che le hanno prodotte, e di costituire finalmente quella vasta rete di solidarietà e di aiuto reciproco che supplisce alla mancanza del documento scritto?” (citato da Le Goff 1977, 447).
A metà degli anni Novanta del secolo scorso Vito Fumagalli osservava che “la migliore storiografia tende oggi a privilegiare il contenuto, il messaggio delle fonti storiche rispetto al “genere” di queste; non ritiene cioè che esistano in via generale fonti storiche buone o cattive, ma che tutte ci forniscano la loro parte di informazioni sul passato”(Fumagalli 1995, 5). In definitiva “quello che conta veramente nella distinzione delle fonti è il grado maggiore o minore di aderenza all’evento, il rapporto più o meno stretto con il fatto originario” (De Luna 2004, 110).
Eppure, nonostante queste illustri e convincenti prese di posizione, alcuni documenti hanno faticato non poco per vedersi riconosciuto, soprattutto in Italia e in particolar modo in ambito accademico, lo status di fonte storica. Alcune “tracce”, “testimonianze” sono state per molto tempo ritenute una documentazione di seconda categoria, verso la quale fosse legittimo, perfino doveroso, nutrire alcune diffidenze. Così è stato per la fonte orale, le immagini, le canzoni o gli stessi testi autobiografici popolari, solo per ricordare i documenti maggiormente citati in questo dossier. Per molto tempo a loro è stata riservata una presenza marginale, collocata in “appendice”, a “corredo” di testi storiografici costruiti sullo studio di fonti tradizionali, prevalentemente prodotte da testimoni ritenuti attendibili per il loro riconosciuto status.
Ci sono voluti anni e numerosi studi per spingere anche gli storici più “ortodossi” a riconoscere le potenziali euristiche di un più ampio insieme di documenti. Come si è già ricordato, lo studio dell’enorme mole di testimonianze autobiografiche di origine popolare redatte durante la Grande Guerra, ha consentito di scrivere una “nuova” storia di quel conflitto bellico, mettendo al centro i sentimenti e i pensieri con cui le classi sociali subalterne hanno reagito di fronte a quel drammatico evento. Analogamente, l’analisi delle fonti soggettive prodotte in coincidenza di un altro fenomeno-separatore, rappresentato dall’emigrazione, ha permesso di andare oltre le ricostruzioni meramente quantitative dei flussi migratori, recuperando “i vissuti soggettivi dei protagonisti” al fine di “mettere in luce le sfumature ed evidenziare lo scarto che si determina tra dimensione collettiva e percorsi individuali. […] Uno scarto che lascia intravedere il confine irregolare tra storia e memoria” (Caffarena, Mamone 2013).
Procedendo oltre, anche terreni di indagine all’apparenza distanti dalla storia orale hanno finito con il beneficiare in modo evidente dei documenti che gli oralisti hanno via via raccolto. Si pensi solo alla storia economica, nello specifico alla storia della piccola e media impresa: molto spesso queste importanti realtà economiche e produttive non conservano documentazione e, salvo rarissime eccezioni, non la rendono disponibile; in questa situazione, le testimonianze degli attori attivi all’interno delle fabbriche, siano essi operai, impiegati oppure imprenditori, costituiscono un insieme di informazioni particolarmente prezioso per ricostruire la storia di quelle attività prestando anche attenzione a elementi che sfuggono ad un’analisi prettamente economicistica. Il racconto autobiografico può, ad esempio, rispetto alla vicenda professionale degli imprenditori, consentire di acquisire informazioni sulle origini familiari, sul retroterra sociale e professionale, sulle mentalità, sui sistemi di valori e sulla cultura dei soggetti che hanno saputo dare vita ad una significativa esperienza imprenditoriale.
Per quel che riguarda le canzoni, esse si sono rivelate degli strumenti decisamente efficaci per indagare lo scarto tra le aspirazioni modernizzanti e le tendenze conservative che a livello di mentalità collettive si sono scontrate negli anni del miracolo economico (Peroni 2000). Sul fronte delle rappresentazioni iconografiche, si è assistito ad una progressiva moltiplicazione di interessanti ricerche storiche fondate sulle immagini, come quelle che hanno preso in esame i quadri di Giovanni Fattori (1825-1908), realizzati tra il 1870 e il 1900, e che hanno evidenziato il ruolo della pittura nella denuncia sociale e le importanti informazioni che l’arte figurativa fornisce sulla vita materiale sia della classe contadina sia di quella operaia di quell’epoca (De Luna 2004, 139).
Così quasi tutti gli altri studiosi che negli ultimi anni si sono misurati con la stesura di introduzioni allo studio dell’età contemporanea e alla metodologia storica, hanno inteso legittimare l’utilizzo delle fonti in parte sopra richiamate, inserendo stabilmente questi diversi generi di documenti all’interno dell’officina in cui lo storico è chiamato ad operare (Flores, Gallerano 1995; De Luna 2004; Vidotto 2004; Pavone 2007; Luzzatto 2010).
Dato questo quadro rapidamente tracciato che ha investito e modificato, soprattutto negli ultimi tre decenni, in modo significativo il lavoro dello storico sociale, a partire dagli strumenti a sua disposizione, la rivista “Storia&Futuro” ed il Centro di ricerca sull’emigrazione – Museo dell’Emigrante della Repubblica di San Marino hanno inteso promuovere la definizione di un dossier riservato ai centri di ricerca e di formazione e agli istituti di conservazione che operano nell’ambito della raccolta, archiviazione e studio delle testimonianze autobiografiche, sia scritte che orali, al fine di ricostruire il complesso lavoro di riordino documentario e di ricerca scientifica che viene condotto all’interno di queste Istituzioni culturali. Di fronte alla frammentarietà di un panorama che racchiude soggetti pubblici e privati, interni al mondo accademico o irrimediabilmente distanti da esso, di consolidata esperienza (che in qualche caso precede l’avvio della congiuntura storiografica sopra richiamata) e di recente creazione (in qualche modo legati a questa nuova stagione di studi storici da un rapporto di filiazione), l’insieme dei testi che viene presentato in questa prima parte del dossier, unitamente a quelli che daranno corpo alla seconda sezione in uscita nei primi mesi del 2014, manifesta un carattere necessariamente selettivo, riconducibile da un lato alla volontà dei curatori di fornire uno strumento sufficientemente rappresentativo di questo panorama, dall’altro lato alla adesione convinta o al cortese rifiuto manifestati da coloro che sono stati invitati a fornire il loro contributo. Per una breve riflessione su quanto emerso dai contributi, si rinvia ad una seconda nota introduttiva che verrà presentata in coincidenza della pubblicazione del prossimo blocco di articoli, provenienti dall’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, dall’Archivio di storia orale del Parco Minerario dell’Amiata, dal Museo dell’emigrante e Centro studi permanente sull’emigrazione della Repubblica di San Marino, dal Circolo Gianni Bosio, dalla Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, o concernenti i progetti “Strade della memoria” e “Memorie migranti”.
Bibliografia
Bonomo B.
2013 Voci della memoria. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica, Roma, Carocci.
Caffarena F., Mamone G.
2013 L’Archivio Ligure della Scrittura Popolare di Genova (Alsp), in P. Di Luca e L. Gorgolini (cur.), Testimonianze autobiografiche: archivi della memoria e centri di ricerca, “Storia e futuro”, n. 33 (novembre 2013).
Chabod F.
1983 Lezioni di metodo storico, Roma-Bari, Laterza.
De Luna G.
2004 La passione e la ragione. Il mestiere dello storico contemporaneo, Milano, Bruno Mondadori.
Flores M., Gallerano N.
1995 Introduzione alla storia contemporanea, Milano, Bruno Mondadori.
Fumagalli V.,
1995 Scrivere la storia, Roma-Bari, Laterza .
Le Goff J.
1982 Storia e memoria, Torino, Einaudi.
Luzzatto S.
2010 (cur.) Prima lezione di metodo storico, Roma-Bari, Laterza.
Morin E.
2000 La testa ben fatta, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Pavone C.
2007 Prima lezione di storia contemporanea, Roma-Bari, Laterza.
Peroni M.
2000 Il nostro concerto, Firenze, La Nuova Italia.
Sorcinelli P.
1996 Il quotidiano e i sentimenti. Introduzione alla storia sociale, Milano, Bruno Mondadori.
Vidotto V.
2004 Guida allo studio della st
Contenuti correlati
- “La frontiera disciplinare, il suo linguaggio e i suoi concetti isoleranno una disciplina rispetto alle altre e rispetto ai problemi che scavalcano le discipline. Lo spirito iperdisciplinare diventerà lo spirito del proprietario che impedisce ogni incursione di estranei nel suo frammento di sapere. Sappiamo che in origine il termine “disciplina” designava una piccola frusta che serviva ad autoflagellarsi permettendo quindi l’autocritica nel suo significato degradato; la disciplina diventa poi un mezzo per flagellare chi si avventura nel dominio delle idee che lo specialista considera come esclusiva proprietà. L’apertura è […] necessaria” [↩]