di Gianluca Scroccu
Nel 2014 ricorre il trentesimo anniversario della scomparsa di Riccardo Lombardi, una delle figure più interessanti, poliedriche e discusse della sinistra e del socialismo italiano. Tra le opere che stanno uscendo in occasione dell’anniversario, come il lavoro monografico di Luca Bufarale edito da Viella sul primo periodo della parabola politica lombardiana e la pubblicazione degli atti, a cura di Enzo Bartocci per la Fondazione Brodolini di Roma, di un convegno svoltosi nell’aprile 2013 presso la Fondazione Basso di Roma, si segnala quest’opera di Tommaso Nencioni. Già autore di alcuni interessanti lavori pubblicati su riviste e volumi collettanei sulla storia delle sinistre in Italia e Spagna, questa sua prima monografia trae origine dalla sua tesi di dottorato.
Riccardo Lombardi nel socialismo italiano 1947-1963, appena pubblicato da Edizioni Scientifiche Italiane con una bella prefazione di Valdo Spini, è un libro ben scritto, costruito con un uso appropriato di fonti archivistiche e a stampa e che tiene sempre come punto di riferimento la più recente storiografica sulla storia del Psi nel secondo dopoguerra. Nencioni riesce poi a sottrarsi da ogni suggestione agiografica verso la figura di Lombardi, mettendone in luce non soltanto gli elementi innovativi ma anche le contraddizioni e le carenze di azione politica, sia sul piano della teorizzazione che nella gestione organizzativa, che ne hanno contraddistinto l’attività tra il 1947 e la nascita del primo governo Moro nel 1963. Un lasso cronologico frutto di una scelta precisa dell’autore, secondo il quale è in questa scansione temporale che si deve ricercare il peso più forte dell’impegno politico di Lombardi nella storia d’Italia e del socialismo. È un punto, quest’ultimo, che sorregge un’altra delle argomentazioni caratterizzanti del lavoro di Nencioni, ovvero che la vicenda lombardiana non può essere studiata se non in stretta correlazione con quella più generale del socialismo italiano.
Il libro, articolato in quattro capitoli, delinea nella sua prima parte il passaggio di Lombardi al Psi dopo la fine dell’esperienza azionista, destinata comunque a lasciare un’impronta decisiva, insieme a quella della Resistenza, nel suo pensiero e nella sua storia successiva. Da questo punto di vista per Lombardi l’ingresso nel Psi divenne inevitabile nel momento in cui le aspettative di cambiamento radicale del post-Liberazione rischiavano di essere messe seriamente in forse dal nuovo blocco di potere guidato dalla Democrazia cristiana dopo la rottura dei governi di unità nazionale nel maggio del 1947. Smontare questo nuovo assetto garantito dalla leadership degasperiana divenne certamente un obiettivo essenziale nella visione di Lombardi che però, e qui certamente egli si differenziava dai parametri valutativi dei suoi colleghi frontisti, si sposava ad un’attenzione particolare per le potenzialità del Piano Marshall. Sulla scelta di formare liste unificate con il Pci, del resto, sia Lombardi che Basso preferirono andare oltre la mera questione tattico-elettorale e di organizzazione del partito sul piano di una matrice classista, cercando piuttosto di nutrire di contenuti politici quella proposta. Il contrasto che emerse con una personalità come Morandi fu l’inevitabile conclusione di questo approccio, come evidenziò la discussione sulla necessità di avere liste separate, su cui Lombardi si impegnò in prima persona, pur nel quadro dell’alleanza comune col Pci.
Nencioni dedica poi pagine significative al periodo successivo alle elezioni del 18 aprile del 1948, quando la sconfitta del Fronte pose il Psi in una spirale depressiva che condusse alla nuova direzione centrista durata dal congresso di Genova del giugno 1948 a quello di Firenze del maggio 1949, quando Nenni e Morandi riconquistarono la guida del partito su una piattaforma neofrontista. Un frangente in cui riuscirono ad emergere alcune delle costanti del pensiero lombardiano destinate a riproporsi anche negli anni successivi e ad influenzare significativamente il Psi, come l’approccio neutralista, cui si collegava il suo personale europeismo, e lo spirito anticolonialista nella politica internazionale su cui Lombardi si impegnò in prima persona come direttore dell’“Avanti!”, mentre meno originali furono le sue letture sull’Unione Sovietica.
Il secondo capitolo ricostruisce invece la militanza di Lombardi negli anni del centrismo e della sostanziale subordinazione del Psi al Pci nelle tattiche del frontismo sino al 1956. Per farlo l’autore si sofferma in particolare sull’importante ruolo ricoperto dall’esponente socialista all’interno del movimento dei Partigiani della Pace. Un’adesione che si rese inevitabile nel momento in cui egli si convinse che in quella fase più dura della Guerra fredda le sinistre non potessero che stare dalla parte della visione di Mosca contro l’egemonia atlantica. Tutto questo, comunque, senza smettere di avere una propria originalità, ad esempio nell’attenzione alle problematiche sull’interventismo statale nell’economia declinate secondo gli schemi keynesiani, come dimostrò il suo approccio favorevole al Piano del Lavoro della Cgil. Gli anni tra il 1949 e il 1950 non furono comunque facili per Lombardi, che al di là del ruolo nei Partigiani della Pace e in Parlamento visse in una condizione di sostanziale marginalità come accadde, in forme ancora più accentuate, per Lelio Basso. Questo però gli consentì, come nota Nencioni, di elaborare meglio la sua critica alla politica economico-sociale dei governi centristi e di riflettere più approfonditamente sull’interventismo pubblico in economia. Rientrato nella vita politica interna del Psi soprattutto grazie al suo interesse per la politica estera, in virtù della sua contrarietà verso l’atlantismo visto come l’elemento che impediva alle sinistre di partecipare al rinnovamento nazionale, dal congresso nazionale di Milano del gennaio del 1953 a quello di Torino della primavera del 1955 Lombardi tornò a dare un suo contributo in una stagione che vide l’incubazione di quello che fu l’autonomismo socialista. La sua critica pur costruttiva al Piano Vanoni e la teorizzazione della necessità di abbattere i monopoli quale strada principale per cambiare i rapporti di potere nella società divennero alcuni dei punti essenziali della sfida che il Psi doveva porre alla Dc rispetto al governo della nazione e alla scelta di campo tra la tutela degli interessi dei privilegiati e quelli delle masse. Da qui derivava il suo già richiamato impegno nella politica internazionale e in quel suo particolare europeismo che voleva costruire un’Europa equidistante dalle due superpotenze, capace così di muoversi più liberamente nelle lotte anticoloniali che stavano scuotendo la geopolitica mondiale.
Nel terzo capitolo Nencioni tratteggia con accuratezza gli scenari apertisi dopo i fatti del 1956 e delinea il contributo di Lombardi alla nascita dell’opzione dell’autonomismo socialista, elemento determinante nella costruzione del centro-sinistra. In questo scenario l’autore mette in risalto alcuni dei punti principali essenziali dell’azione di Lombardi (la parziale apertura al mondo della socialdemocrazia europea accompagnata dal rifiuto di quella italiana; il dialogo con i cattolici sulla base di precisi profili programmatici; l’unità coi comunisti dentro la Cgil).
Messo in evidenza l’intervento di Lombardi al Congresso di Napoli del gennaio del 1959, dove egli di fatto delineò la piattaforma teorico-programmatica della proposta autonomista, Nencioni analizza il significato più profondo della formula delle “riforme di struttura”, diventata presto la parola d’ordine sottesa alla partecipazione dei socialisti al centro-sinistra. In questo quadro Lombardi e gli uomini che in quella fase gli erano vicini, come Antonio Giolitti, impostarono una filosofia di azione che vedeva nell’intervento pubblico in economia la chiave per sanare le distorsioni a livello territoriale che affliggevano strutturalmente il paese. Ad una condizione, che Nencioni sintetizza così:”L’incontro tra partito socialista e partito cattolico aveva senso solo se da esso sarebbe sorta una politica in grado di far scaturire indirizzi alternativi a quelli che avevano sorretto la precedente fase centrista” (p. 178). Solo in questa formula si può comprendere il senso della sfida di un uomo come Lombardi emersa con forza rispetto all’incontro con i democristiani. Non mero accordo di governo, ma occasione di cambiamento radicale degli assetti politici e soprattutto economici che reggevano l’Italia: così Lombardi concepiva il centro-sinistra. In un quadro siffatto, è evidente che il suo atteggiamento era destinato a scontrarsi con chi non aveva una visione così netta come la sua, destinata peraltro a risultare sconfitta.
Nel quarto capitolo l’autore delinea le ragioni dell’ultima fase lombardiana, la più tormentata, coincidente con il varo del centro-sinistra nato ufficialmente nel dicembre del 1963. Il suo approccio dialettico rispetto alle aspettative dei corpi sociali era antitetico rispetto a quello concertativo di un La Malfa, così come non restava prigioniero della necessità di preservare l’unità o di sacrificare l’orientamento neutralista in politica estera. Da questo punto di vista il grande successo della nazionalizzazione dell’energia elettrica fu l’ultimo momento da protagonista che Lombardi visse prima del dicembre del 1963. Il Psi del resto, come manifestò in occasione della “notte di San Gregorio” o con le frizioni sempre più forti tra gli stessi autonomisti ad iniziare proprio da Nenni e Lombardi, senza dimenticare l’opposizione della sinistra interna, stava arrivando all’appuntamento del governo con grosse difficoltà di tenuta, elemento che ne indeboliva la capacità contrattuale specie sul piano del programma. La breve esperienza del primo esecutivo Moro vide Lombardi, che si rifiutò di entrare nella compagine governativa, su posizioni assai critiche dalla sua scrivania di direttore dell’“Avanti!”, incarico da cui assistette al fallimento della creatura che pure aveva contribuito a creare ma in cui non si riconosceva. Come sottolinea Nencioni, la generosità e la profondità delle sue riflessioni avevano rilevato una loro fragilità nel momento in cui avevano cercato di entrare in relazione con le posizioni degli altri attori in campo. È innegabile tuttavia che di quella stagione Lombardi fu un protagonista, come dimostra anche questo significativo volume capace di restituirci un ritratto assai articolato e vivace di una personalità così complessa e problematica.