Umberto Bottazzini e Pietro Nastasi, La patria ci vuole eroi. Matematici e vita politica nell’Italia del Risorgimento, Zanichelli, Bologna 2013

di Gaspare Polizzi

sag0300103Sembra oggi poco credibile che tanti uomini di scienza, in larga parte matematici, siano stati protagonisti della lotta per l’indipendenza nazionale e abbiano svolto importanti ruoli politici, ai vertici di un nuovo Stato unitario. Il bel libro di Umberto Bottazzini e Pietro Nastasi, entrambi matematici e storici della matematica, offre, in una felice sintesi, la piena giustificazione storica e culturale del protagonismo politico dei matematici italiani nell’Ottocento.

In una fase storica nella quale si stava faticosamente costituendo una classe dirigente italiana, inizialmente grazie alla diffusione, con le armate di Napoleone, dei princìpi della rivoluzione francese, quindi nella lotta lunga e difficile per la nascita di uno Stato unitario, il ruolo degli uomini di scienza era duplice. Da un lato, essi si adoperavano per diffondere anche in Italia le concezioni e i metodi più avanzati della scienza europea, dall’altro si sentivano a pieno titolo protagonisti della nuova comunità politica ed economica che diresse il processo di unificazione nazionale.

Con la nascita del Regno d’Italia saranno numerosi gli scienziati che svolgeranno la funzione di Ministri, come l’ingegnere Giuseppe Colombo, il matematico Luigi Cremona, il fisiologo Carlo Matteucci e il fisico Orso Mario Corbino, che saranno Sottosegretari, come i matematici Francesco Brioschi ed Enrico Betti, o Deputati e Senatori, come, tra i matematici, Ottaviano Fabrizio Mossotti, Brioschi, Betti, Cremona, tra i fisici, Corbino, Giovanni Cantoni, Augusto Righi, Galileo Ferraris, Antonio Garbasso, tra i chimici, Raffaele Piria, Stanislao Cannizzaro, e poi i fisiologi Matteucci, Jacob Moleschott, Giulio Bizzozero, Camillo Golgi. Non fu vicenda casuale. Bottazzini e Nastasi raccontano, in dettaglio e con ricchezza di informazioni, i motivi di tale vicenda, ritrovando il nesso che ha unito, nell’Ottocento e nel primo Novecento, i matematici italiani alla vita politica.

Il libro permette di distinguere due fasi di tale processo: quella dell’impegno patriottico, che precede l’unificazione e che ha le sue radici nell’ultimo decennio del Settecento, e quella dell’impegno politico, che segue la nascita del Regno d’Italia, fino allo spartiacque della Prima Guerra Mondiale, dirompente e tragico anche per la comunità scientifica, che condurrà all’affermazione del fascismo.

Agli inizi dell’Ottocento si assiste anche in Italia alla difficile affermazione degli studi di analisi matematica, di quella “analisi sublime” che, sotto Giuseppe Bonaparte, nel 1806 a Napoli, «uno dei pochi centri della penisola dove l’editoria matematica era di livello paragonabile a quella circolante in Europa» (p. 31), fu chiamata Matematica trascendentale (tale fu la cattedra di Nicola Fergola).

Il secolo che con Carl Friedrich Gauss, princeps mathematicorum e Augustin-Louis Cauchy fu “secolo matematico” per eccellenza, vedeva i primi timidi tentativi tra i matematici italiani di confrontarsi e competere con la “matematica pura”. Accanto ad essi si perpetuava un’idea arcaica della matematica, vista come sostegno della religione e del binomio trono-altare, che dominerà nell’età della Restaurazione. Alti cultori degli studi matematici come Gabrio Piola ritennero doveroso divulgare scritti che sostenevano il ruolo ‘metafisico’ della matematica in funzione di un’apologia della religione, e Paolo Ruffini, docente di Matematica Applicata, Medicina e Clinica Medica all’Università di Modena, e Presidente di quella “Società italiana delle scienze detta dei XL” che nel 1875 sarà trasferita a Roma a coronamento dell’unificazione italiana, discettava sul determinismo di Pierre Simon Laplace, troppo lontano dalla fede, e sull’immaterialità dell’anima.

La scena della matematica italiana del primo Ottocento è occupata dal grande Cauchy, «ultra-cattolico e realista convinto» (p. 45). Il suo soggiorno a Torino, dove insegnò Fisica sublime nel 1832-33, nella cattedra istituita per lui da Carlo Alberto, fu contrastato: i suoi corsi erano poco comprensibili per gli studenti, come testimoniava un altro esponente significativo del futuro ceto politico italiano, Luigi Federico Menabrea, allievo del matematico Giovanni Plana – «l’esponente più autorevole della scienza nella capitale sabauda» (p. 47) –, e che nel Parlamento torinese, da cattolico della Destra, condividerà con Camillo Benso conte di Cavour responsabilità istituzionali e contrasti politici (cfr. Parte II, Capitolo 2). Lo stesso giovane Cavour, «che a dire di Plana, che lo ebbe come allievo, se non fosse diventato un buon economista e politico sarebbe diventato un ottimo matematico» (p. 50), testimoniava della presenza difficile di Cauchy a Torino.

Ma nella Milano della Restaurazione inizieranno a farsi strada ideali modernamente nazionali. Fabrizio Ottaviano Mossotti unirà con determinazione il proprio impegno di matematico con le idee patriottiche, al seguito di Filippo Buonarroti (già nel 1821) e poi del mazzinianesimo. Mossotti è senz’altro, tra gli scienziati, una delle figure più rilevanti del Risorgimento.

La stagione risorgimentale sarà inaugurata a Pisa nel 1839 dalla prima delle “Riunioni degli scienziati italiani”, promossa da Leopoldo II nel Granducato di Toscana grazie all’impegno di Carlo Luciano Bonaparte, ornitologo, nonché nipote di Napoleone. Vi parteciparono i principali scienziati italiani e alcuni importanti studiosi stranieri, come Charles Babbage, gettando le basi di una comunità scientifica nazionale, prima che si realizzasse l’unificazione politica. La nona e ultima Riunione, tenutasi a Venezia nel 1847, prelude alle vicende militari del 1848-49. Alla precedente Riunione di Genova parteciperanno il matematico Francesco Brioschi, Cesare Cantù, Cesare Correnti, che combatteranno nelle Cinque giornate di Milano, e Massimo D’Azeglio, Menabrea e Luigi Carlo Farini (tre futuri Presidenti del Consiglio del Regno sabaudo e di quello d’Italia). Alle vicende epiche del 1848-49 non si sottraggono grandi matematici come Mossotti, che guida il battaglione toscano, nel quale troviamo il matematico pistoiese Enrico Betti (senatore nel 1862), e si scontra a Curtatone e Montanara con gli austriaci, o il diciottenne pavese Luigi Cremona (senatore nel 1879), che si unisce ai volontari napoletani, o ancora Brioschi, che combatte con Garibaldi e sosterrà dopo il 1853 il “partito del Piemonte”. Si intrecciano così due generazioni di matematici, che testimoniano il passaggio dalla fase dell’impegno patriottico e quella dell’impegno politico, successivo all’unificazione. Bottazzini e Nastasi fissano al 1858 l’emergere della comunità scientifica italiana: con la nascita degli «Annali di matematica», la prima rivista matematica italiana, ormai affrancata dall’apologetica religiosa, e con il noto viaggio di studi compiuto da Brioschi, Betti e Felice Casorati in Germania e in Francia, che segna l’ingresso della matematica italiana sulla scena europea («Quel loro viaggio alla vigilia dell’Unità, infatti, finì per rappresentare in maniera emblematica il definitivo ingresso dell’Italia nel novero delle principali nazioni europee in campo matematico», p. 173).

L’impegno politico dei matematici appare almeno altrettanto significativo di quello patriottico. Brioschi promuoverà la Legge sull’Istruzione e il Regolamento generale delle Università, e sarà Segretario Generale dei Ministri della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis e Matteucci. Insieme a Cremona farà poi di Milano il centro della cultura scientifica italiana – sarà Presidente del Consiglio direttivo dell’Accademia Scientifico-Letteraria (nucleo originario della futura Università degli Studi) e fondatore e direttore dell’Istituto Tecnico Superiore (il primo Politecnico d’Italia –, e promuoverà una ipotesi di Riforma dell’Insegnamento Secondario sotto il Ministro Michele Coppino. Quindi, nel 1870, come Consigliere della Luogotenenza a Roma, organizzerà l’Istruzione pubblica nella Capitale, e sarà in prima linea nel progetto promosso da Quintino Sella (che prima di diventare il noto Ministro delle Finanze, era stato cristallografo di valore), per fare di Roma la capitale scientifica dell’Italia unita, rilanciando l’Università, facendo rinascere l’Accademia del Lincei, presieduta dallo stesso Sella e poi da Brioschi, e ricostituendo la ricordata “Società italiana delle Scienze, detta dei XL”. Sarà poi Cremona a riproporre la “questione universitaria”, ovvero un nuovo ordinamento per le Università italiane. E infine Federigo Enriques riprenderà con vigore tale impegno per la Riforma dell’Istruzione Secondaria e Superiore in Italia sotto i governi di Giovanni Giolitti (mi permetto di rinviare al mio Federigo Enriques, in M. Ciliberto, a cura di, Il contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia. Ottava appendice. Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2012, vol. I, pp. 581-589). Lo sviluppo tecnologico e industriale sarà allora così forte da imporre la nascita e l’espansione degli Istituti Politecnici; saranno ancora i matematici – dopo Brioschi a Milano, sarà la volta di Vito Volterra a Torino – a promuoverli nelle due capitali dell’industria italiana. Il libro di Bottazzini e Nastasi dedica uno spazio adeguato a Volterra nel capitolo 2 della Parte V ed ultima del libro (La formazione della classe dirigente) e nell’Epilogo, anche se si occupa soprattutto della storia ottocentesca dei matematici italiani.

Anche a parere di un altro matematico e storico della scienza, Angelo Guerraggio, Volterra esemplifica bene il difficile rapporto tra ricerca matematica e realtà politica italiana, soprattutto dopo l’avvento del fascismo (cfr. A. Guerraggio – G. Paoloni, Vito Volterra, Franco Muzzio, Padova 2008). Volterra espresse da un lato la grande capacità dei matematici di inizio Novecento di costituire un riferimento scientifico e culturale complessivo, sviluppando un ruolo dirigente nella comunità scientifica italiana – basti ricordare la fondazione nel 1907 della SIPS (Società Italiana per il Progresso delle Scienze) e successivamente, nel 1923, la nascita del CNR – e mostrando come la matematica non sia solo calcolo, ma possa trovare importanti applicazioni (Volterra si dedicò molto all’economia e alla biologia), dall’altro testimoniò drammaticamente la contrapposizione di una parte, purtroppo piccola, della comunità scientifica con un regime fascista, che imponeva scelte ideologiche rigide: il matematico anconitano, già anziano, si rifiuterà coraggiosamente nel 1931 di giurare fedeltà al fascismo.

La Grande Guerra costituisce davvero una cesura in tale vicenda e la sconfitta di Enriques, contrastato dai due filosofi neo-idealisti che promuoveranno la svolta ideologica post-bellica, Benedetto Croce e Giovanni Gentile, sarà esemplare al proposito. Nei due brani che aprono e chiudono l’Epilogo del libro, Bottazzini e Nastasi condensano emblematicamente l’inizio e la fine di un’epoca: «Il lungo processo del Risorgimento aveva visto affermarsi nella vita politica del paese un piccolo gruppo di matematici di valore, temprati dalle vicende militari e capaci di coniugare ricerca scientifica e impegno civile. Nel corso del tempo, prendendo a modello le realtà europee avanzate, il piccolo gruppo era cresciuto in una comunità che si era imposta sulla scena matematica internazionale» 413; «Ma, a guerra finita, sono i filosofi, prima  con Croce e poi con Gentile, a insediarsi nel palazzo della Minerva dove i matematici erano stati di casa per decenni così come nelle aule parlamentari. Con l’isolata eccezione di Volterra […] la comunità dei matematici non ha ormai più voce nelle istituzioni politiche di un paese che li aveva visti per tanti decenni tra i protagonisti» (p. 416).

Arriveranno il fascismo, e un’altra guerra mondiale, a eclissare o a strumentalizzare il ruolo degli intellettuali scientifici in Italia. Ma anche nella nostra Italia repubblicana la presenza dei matematici, e più in generale degli scienziati, nella scena pubblica e politica non sarà più consistente come nell’Ottocento, e soprattutto la scienza non sarà più vista come un orientamento decisivo per lo sviluppo culturale e produttivo del Paese.  Ed è forse questo uno dei problemi di fondo che non consentono all’Italia di tornare a essere una grande nazione di cultura e di scienza.